Pubblichiamo un articolo scritto da Andrea Lonardo per la rubrica “Paolo a Roma” del sito www.romasette.it
Il Centro culturale Gli scritti 21/10/2008
«Io non riesco a capire ciò che io faccio: infatti non quello che voglio io faccio, ma quello che
detesto» (Rm 7,15). L’esigenza che spinge Paolo ad annunciare il vangelo fino a Roma nasce certamente
dalla sua consapevolezza di essere stato fatto oggetto, nell’incontro sulla via di Damasco, della
rivelazione della misericordia di Dio. Ma egli sa pure che di questo annunzio è l’uomo ad aver
bisogno, perché, come afferma proprio nella lettera ai Romani, l’uomo lasciato alle sole sue
forze non compie il bene che pure vuole e desidera.
Come ha affermato con grande chiarezza il teologo svizzero Hans Urs von Balthasar, all’apparire di Cristo
l’uomo comprende finalmente cosa sia l’amore ed, al contempo, prende coscienza di non aver mai
amato di quell’amore.
Paolo, preparando la sua venuta a Roma con l’invio della lettera ai cristiani della capitale
dell’impero, si sofferma sul ‘mistero’ dell’uomo. Egli ne vede le luci e le ombre
ed invita a considerare alla luce di Cristo la dignità, ma anche le ferite che segnano il cuore
dell’uomo.
L’apostolo ritiene l’uomo capace di riconoscere la presenza di Dio nel mondo. Infatti –
afferma - «dalla creazione del mondo in poi, le perfezioni invisibili di Dio possono essere contemplate con
l'intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità» (Rm 1,20).
Non solo. L’uomo è anche in grado di riconoscere il bene ed il male perché anche i pagani,
che pure non hanno ricevuto il Decalogo, «dimostrano che quanto la legge esige è scritto nei loro
cuori come risulta dalla testimonianza della loro coscienza e dai loro stessi ragionamenti, che ora li accusano
ora li difendono» (Rm 2,15).
In questa duplice relazione con Dio e con gli altri uomini, in questa ricerca di verità e di un retto
operare sta tutta la grandezza dell’uomo. Ma Paolo, subito, ne vede anche le ombre. Gli uomini
«pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno
vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa» (Rm 1,21), giungendo ad
immaginare Dio come egli non è. «Essi hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno
venerato e adorato la creatura al posto del creatore» (Rm 1,25). E questo ha portato con sé –
prosegue la lettera ai Romani - uno stravolgimento delle relazioni umane: poiché hanno disprezzato la
conoscenza di Dio, essi sono diventati «colmi di cupidigia, di malizia, d'invidia, di rivalità, di
frodi; diffamatori, maldicenti, superbi, fanfaroni, ingegnosi nel male, insensati, sleali, senza cuore, senza
misericordia. E pur conoscendo il giudizio di Dio, non solo continuano a fare tali cose, ma anche approvano chi
le fa» (cfr. Rm 1,29-32; e l’elenco dei vizi umani è molto più lungo nella
lettera!).
Ecco il mistero dell’uomo. Socrate aveva affermato che l’uomo fa il male solo perché
non ne è consapevole. L’educazione filosofica consisteva precisamente, secondo la sua proposta, nel
far prendere coscienza del male; egli era convinto che, attraverso questo processo, l’uomo avrebbe vinto da
se stesso il male presente nel suo cuore.
Paolo è più moderno e più profondo del pensatore greco. L’apostolo afferma,
infatti: «Io so che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c'è in me il desiderio
del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non
voglio... Io trovo in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me» (Rm
7,18-19.21).
In un famoso passo il Concilio Vaticano II riprende questa tematica, presentando la divisione che esiste nel
cuore umano. L’uomo anela ad una armonia, ad un cuore unificato, proteso verso il bene, ma si scopre anche
capace di provare sentimenti di male e di renderli poi concreti nella vita. La Gaudium et spes afferma,
infatti: «Quel che ci viene manifestato dalla rivelazione divina concorda con la stessa esperienza. Infatti
l'uomo, se guarda dentro al suo cuore, si scopre inclinato anche al male e immerso in tante miserie, che non
possono certo derivare dal Creatore, che è buono. Così l'uomo si trova diviso in se stesso.
Per questo tutta la vita umana, sia individuale che collettiva, presenta i caratteri di una lotta drammatica tra
il bene e il male, tra la luce e le tenebre» (GS, 13).
È questo uomo, così come esiste nella sua concretezza, per il quale Cristo è venuto. Ed
è questo uomo che ha bisogno di Cristo per trovare in lui la forza di amare: «Sono uno sventurato!
Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte? Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù
Cristo nostro Signore!»(Rm 7,24-25).
Per questo uomo, oltre che per amore del Signore, Paolo raggiungerà Roma.