Pubblichiamo un articolo scritto da Andrea Lonardo per la rubrica “Paolo a Roma” del sito www.romasette.it
Il Centro culturale Gli scritti 20/11/2008
La Lettera di Paolo apostolo ai Romani è la più lunga lettera dell’antichità.
Contiene 7101 parole. Nessun’altra lettera antica regge al suo confronto, almeno quanto ad ampiezza.
Già questo fatto dice, da solo, l’importanza di questo scritto.
Una caratteristica di Romani, che la differenzia da altre lettere pagane a lei contemporanee, è quella di
essere inviata per essere letta da una comunità. Al di fuori delle lettere neotestamentarie si
conoscono lettere inviate a singoli (lettere familiari, di amore o di affari) o anche trattati in forma
di lettera (come, ad esempio, le lettere di Seneca a Lucilio) composti da lettere che non sono state
realmente inviate l’una dopo l’altra al destinatario. Questi ultimi sono così piuttosto degli
scritti nei quali ogni lettera corrisponde ad un capitolo scritto a tavolino e destinato al pubblico più
ampio dei lettori del tempo.
Paolo scrive, invece, ad una intera comunità, sapendo che la sua lettera sarà letta in uno o
più incontri che vedranno radunati i cristiani di Roma. La lettera è così, per lui, uno
strumento ecclesiale. Manifesta che la fede è personale, ma, al contempo, ha una dimensione
comunitaria che vede coinvolta l’intera chiesa.
La lettera ai Romani fu scritta su papiro o su pergamena e fu ovviamente recata a mano fin nella capitale
del’impero e poi letta ad alta voce. Nella seconda lettera di Giovanni (2 Gv 12) si parla del papiro come
materiale scrittorio, mentre nella seconda Lettera a Timoteo si accenna alla pergamena (2Tm 4,13), la pelle
conciata di animale utilizzata come supporto scrittorio – il termine pergamena proviene
dall’antica città di Pergamo, famosa per le sue botteghe che producevano il prezioso materiale.
La recente mostra su La Bibbia a Roma, organizzata dall’Ufficio catechistico per approfondire le
tematiche del Sinodo dei vescovi su La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa appena
conclusosi, mostrava alcuni originali e fac-simili delle antiche pergamene a forma di
volumen o di codex (cioè rotoli oppure pagine in forma quadrata
rilegati in un quaderno) e dei papiri sui quali vennero scritte da Paolo e dai suoi collaboratori le lettere
inviate alle diverse chiese.
Il Papiro Chester Beatty (P46), databile intorno al II secolo d.C., testimonia già l’intera
raccolta delle sue lettere, come peraltro già indicava chiaramente nel I secolo la seconda Lettera di
Pietro: «La magnanimità del Signore nostro giudicatela come salvezza, come anche il nostro carissimo
fratello Paolo vi ha scritto, secondo la sapienza che gli è stata data; così egli fa in tutte le
lettere, in cui tratta di queste cose. In esse ci sono alcune cose difficile da comprendere e gli ignoranti e gli
instabili le travisano, al pari delle altre Scritture, per loro propria rovina» (2Pt 3,15-16).
Ma Romani, per quanto sia un testo diretto dall’apostolo ad una specifica chiesa, si presenta sotto la
forma di un’esposizione sintetica e sistematica. Paolo non è pressato da urgenze immediate, come
in altre lettere. Conosce solo alcuni cristiani della chiesa di Roma, ma vuole rivolgersi a tutti gli altri che
ancora non lo conoscono
Romano Penna ha scritto, sottolineando la specificità della Lettera ai Romani: «Essa si avvicina
al genere che oggi chiameremmo un saggio. È come se Paolo, al punto in cui si trova della sua vita,
volesse – una volta per tutte – chiarire anche a se stesso che cosa significa in definitiva
ciò che da anni andava annunciando in giro per il mondo».
Questo scritto manifesta così ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, che la teologia non è
puramente narrativa, ma ha bisogno anche di uno sguardo sintetico che solo una riflessione sistematica
può dare (così come necessita ulteriormente degli inni e delle professioni di fede, dei proverbi e
delle liriche poetiche, ecc.). La teologia non nasce dopo il Nuovo Testamento, ma è presente in esso:
Paolo, in Romani, vuole mettere il luce la realtà dell’uomo e della sua condizione di peccato,
così come la verità di Dio e del suo disegno di misericordia realizzatosi nel Cristo.
Un passaggio del Direttorio generale per la catechesi, il documento di riferimento per la catechesi
elaborato durante il pontificato di Giovanni Paolo II, così si esprime a riguardo della necessità
di quello sguardo sintetico che l’annuncio della fede deve proporre e che l’uomo stesso esige per
comprendere cosa siano la vita ed il vangelo: «La catechesi trasmette il contenuto della Parola di Dio
secondo le due modalità con cui la Chiesa lo possiede, lo interiorizza e lo vive: come narrazione della
Storia della Salvezza e come esplicitazione del Simbolo della fede» (DGC 128).
È maestro, in questo, Paolo che avvertì l’esigenza, per sé e per gli altri, di
esplicitare quale visione dell’uomo e del male, di Dio e della sua salvezza fosse presente nella fede che
il risorto sulla via di Damasco gli aveva rivelato.
Per alcune immagini degli antichi rotoli, papiri e codici recentemente esposti nella mostra La Bibbia a Roma, vedi al link Immagini della mostra La Bibbia a Roma sul sito dell’Ufficio catechistico della Diocesi di Roma