Riprendiamo da L’Osservatore romano del 16 gennaio 2008, l’articolo scritto da Giorgio Israel, professore ordinario di Matematiche complementari presso l’Università di Roma La Sapienza. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico intento di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (6/2/2008)
È sorprendente che quanti hanno scelto come motto la celebre frase attribuita a Voltaire
- "mi batterò fino alla morte perché tu possa dire il contrario di quel che penso" - si oppongano a
che il Papa tenga un discorso all'università di Roma La Sapienza. È tanto più sorprendente in
quanto le università italiane sono ormai un luogo aperto ad ogni tipo di intervento ed è inspiegabile
che al Papa soltanto sia riservato un divieto d'ingresso. Che cosa di tanto grave ha spinto a mettere da parte la
tolleranza volterriana?
Lo ha spiegato Marcello Cini nella lettera dello scorso novembre in cui ha condannato l'invito fatto dal rettore
Renato Guarini a BenedettoXVI. Quel che gli appare "pericoloso" è che il Papa tenti di aprire un discorso
tra fede e ragione, di ristabilire una relazione fra le tradizioni giudaico-cristiana ed ellenistica, di non
volere che scienza e fede siano separate da un'impenetrabile parete stagna. Per Cini questo programma è
intollerabile perché sarebbe in realtà dettato dall'intento perverso, che Benedetto XVI coltiverebbe
fin da quando era "capo del Sant'Uffizio", di "mettere in riga la scienza" e ricondurla entro "la
pseudo-razionalità dei dogmi della religione".
Inoltre, secondo Cini, egli avrebbe anche prodotto l'effetto nefasto di suscitare veementi reazioni nel mondo
islamico. Dubitiamo però che Cini chiederebbe a un rappresentante religioso musulmano di pronunziare un
mea culpa per la persecuzione di Averroè prima di mettere piede alla Sapienza. Siamo anzi
certi che lo accoglierebbe a braccia aperte in nome dei principi del dialogo e della tolleranza.
L'opposizione alla visita del Papa non è quindi motivata da un principio astratto e tradizionale di
laicità. L'opposizione è di carattere ideologico e ha come bersaglio specifico Benedetto XVI in
quanto si permette di parlare di scienza e dei rapporti tra scienza e fede, anziché limitarsi a parlare di
fede.
Anche la lettera contro la visita firmata da un gruppo di fisici è ispirata da un sentimento di fastidio per
la persona stessa del Papa, presentato come un ostinato nemico di Galileo. Essi gli rimproverano di aver ripreso -
in una conferenza tenuta proprio alla Sapienza il 15 febbraio 1990 (cfr J. Ratzinger, Wendezeit für
Europa? Diagnosen und Prognosen zur Lage von Kirche und Welt, Einsiedeln-Freiburg, Johannes Verlag, 1991, pp. 59
e 71) - una frase del filosofo della scienza Paul Feyerabend: "All'epoca di Galileo la Chiesa rimase molto
più fedele alla ragione dello stesso Galileo. Il processo contro Galileo fu ragionevole e giusto".
Non si sono preoccupati però di leggere per intero e attentamente quel discorso. Esso aveva come tema
la crisi di fiducia nella scienza in sé stessa e ne dava come esempio il mutare di atteggiamento sul caso
Galileo. Se nel Settecento Galileo è l'emblema dell'oscurantismo medioevale della Chiesa, nel Novecento
l'atteggiamento cambia e si sottolinea come Galileo non avesse fornito prove convincenti del sistema eliocentrico,
fino all'affermazione di Feyerabend - definito dall'allora cardinale Ratzinger come un "filosofo
agnostico-scettico" - e a quella di Carl Friedrich von Weizsäcker che addirittura stabilisce una linea diretta
tra Galileo e la bomba atomica.
Queste citazioni non venivano usate dal cardinale Ratzinger per cercare rivalse e imbastire giustificazioni:
"Sarebbe assurdo costruire sulla base di queste affermazioni una frettolosa apologetica. La fede non cresce a
partire dal risentimento e dal rifiuto della razionalità". Esse piuttosto venivano addotte come prova
di quanto "il dubbio della modernità su se stessa abbia attinto oggi la scienza e la tecnica".
In altri termini, il discorso del 1990 può ben essere considerato, per chi lo legga con un minimo di
attenzione, come una difesa della razionalità galileiana contro lo scetticismo e il relativismo della cultura
postmoderna. Del resto chi conosca un minimo i recenti interventi del Papa sull'argomento sa bene come egli
consideri con "ammirazione" la celebre affermazione di Galileo che il libro della natura è scritto in
linguaggio matematico.
Come è potuto accadere che dei docenti universitari siano incorsi in un simile infortunio? Un docente
dovrebbe considerare come una sconfitta professionale l'aver trasmesso un simile modello di lettura disattenta,
superficiale e omissiva che conduce a un vero e proprio travisamento. Ma temo che qui il rigore intellettuale
interessi poco e che l'intenzione sia quella di menar fendenti ad ogni costo. Né c'entra la laicità,
categoria estranea ai comportamenti di alcuni dei firmatari, che non hanno mai speso una sola parola contro
l'integralismo islamico o contro la negazione della Shoah. Come ha detto bene Giuseppe Caldarola, emerge qui "una
parte di cultura laica che non ha argomenti e demonizza, non discute come la vera cultura laica, ma crea mostri".
Pertanto, ripetiamo con lui che "la minaccia contro il Papa è un evento drammatico, culturalmente e
civilmente".
(© L'Osservatore Romano - 16 gennaio 2007)