Questa breve nota è stata pubblicata originariamente sul Blog dei redattori de Gli scritti
Il Centro culturale Gli scritti (21/4/2007)
Nella sua recente opera Erri De Luca (E.De Luca, In nome della madre, Feltrinelli, Milano,
2006) nel desiderio di restituire l’originale ebraico fa chiamare a Iosef ed a Miriàm il loro bambino
Ieshu. Iosef spiega che gli è stato ordinato quel nome dall’angelo – nella notte in cui
dovevo decidere di noi dopo il nostro incontro (In nome della madre, p.56).
Gesù, però, non si è mai chiamato Ieshu. Ieshu e una abbreviazione, di tarda
origine rabbinica, per Yimah shmo vezikhro (il suo nome e il suo ricordo siano annullati). Ieshu
è cioè una storpiatura del nome nata successivamente in contesto polemico.
Il nome ebraico che Gesù ha portato è stato, invece, Ieshua, forma tardiva conosciuta
nell’età intertestamentaria per il più antico Ioshua. Già nella versione greca
della Bibbia, nota come la LXX, opera del giudaismo ellenistico del III secolo a.C. – è difficile
comprendere il disprezzo della cultura greca che impedisce a taluni appassionati della cosiddetta mentalità
semitica di accorgersi che il giudaismo antico non vedeva alcuna irriducibilità linguistica fra l'ebraico
ed il greco – Ioshua, il nostro Giosué che succede a Mosè alla guida del popolo che si
affaccia alla terra promessa, è tradotto dai rabbini in greco con Iesous, lo stesso nome greco di
Gesù nel Nuovo Testamento. La stessa equivalenza troviamo nella forma ebraica ed in quella greca della firma
che segue Sir51, 30 – nel testo ebraico, che solo nel secolo scorso è stato riscoperto facendoci
conoscere l’originale di un testo che si pensava fosse stato scritto direttamente nel greco della LXX, troviamo
Ieshua, figlio di Eleazaro, figlio di Sira, che nel greco è tradotto con Iesous (il nome compare
anche in Lc3,29?).
Su tutto questo, cfr. fra i tanti testi possibili, W.Baur, A greek-english Lexicon of the New Testament and other
Early Christian Literature, Chicago and London, 1979, p.373-374.