Riprendiamo, per il progetto Portaparola, da Avvenire di domenica 26 agosto 2007,
l’articolo scritto da padre Raniero Cantalamessa dal titolo: Madre Teresa, «la notte» accettata
come un dono. Le lettere finora inedite di madre Teresa ci fanno conoscere come anche lei abbia attraversato
quella “notte dello spirito” che, secondo i grandi mistici, segue il periodo iniziale della
conversione, quando Dio, insieme alla fede, dona anche quelle che san Giovanni della Croce chiama le “grazie
sensibili”, cioè il gusto delle cose di Dio. Secondo il grande mistico spagnolo a quel momento
iniziale segue un diverso momento della crescita nell’esperienza di Dio. In esso l’anima crede
senza sentire più la piacevolezza dei primi passi. All’occhio inesperto sembra che l’anima
torni indietro – afferma san Giovanni della Croce – mentre essa, invece, si trova ad amare Dio per se
stesso e non per la gioia che ne deriva. Loreena McKennitt ha musicato, recentemente, alcuni versi del
mistico spagnolo che parlano di “questa notte più luminosa del sole”, in The dark night of the
soul.
Il quotidiano cattolico introduce il testo di Cantalamessa con queste righe redazionali:
Diceva: «Se la pena e la sofferenza, la mia oscurità e separazione da te, ti danno una goccia di
consolazione, mio Gesù, fa di me ciò che vuoi». A dieci anni dalla morte di Madre Teresa di
Calcutta giungono in libreria alcune delle lettere che la religiosa, ora beata, scrisse in diversi momenti ai suoi
direttori spirituali e che attestano quella lunga fase della sua vita in cui, com’è noto ormai da tempo,
ella sperimentò la «notte della fede». Il libro, che si intitola «Mother Teresa: come be
my light» e sarà pubblicato il prossimo 4 settembre nel mondo anglosassone, è stato curato
da padre Brian Kolodiejchuk, postulatore nella causa di canonizzazione di Madre Teresa. Già in occasione
della beatificazione della suora, nel 2003, padre Brian aveva parlato delle crisi mistiche della religiosa e
pubblicato su un sito internet brani delle lettere. La decisione di riproporle ora nel libro ribadisce la
volontà del postulatore di rendere il più trasparente possibile il processo di canonizzazione. La
decisione, infatti, è stata commentata favorevolmente da più parti. Il cardinale Angelo Scola,
Patriarca di Venezia, si è detto «molto contento della pubblicazione di questo libro». «Mi
sembra – ha proseguito – di poter rilevare che anche nell’esperienza di santità più
elevata, anche quando tocca i vertici di preghiera e di contemplazione di Madre Teresa, non si può prescindere
dalla libertà finita e limitata dell’uomo». La beata albanese, ha spiegato, «è una di
noi, che ha fatto tutte le sue fatiche come facciamo noi. Inoltre quando uno è nella prova, in questo caso la
prova dell’aridità perché a Madre Teresa sembrava di non percepire più la presenza di
Gesù, ha sempre come risorsa la forma più elementare di esercizio della volontà, che è la
domanda quotidiana a Gesù di rivelare il suo volto». Un plauso anche dall’arcivescovo di Calcutta,
Lucas Sirkar. «Nonostante avesse affrontato il lato oscuro della vita – ha dichiarato – rimase ben
salda sulla strada verso la santità e fu quella la sua grandezza».
Il Centro culturale Gli scritti (29/8/2007)
Cosa successe dopo che Madre Teresa disse il suo sì all'ispirazione divina che la chiamava
a lasciare tutto per mettersi a servizio dei più poveri dei poveri? Il mondo ha conosciuto bene ciò
che avvenne intorno a lei - l'arrivo delle prime compagne, l'approvazione ecclesiastica, il vertiginoso sviluppo
delle sue attività caritative -, ma fino alla sua morte nessuno ha conosciuto ciò che avvenne dentro
di lei.
Lo rivelano i diari personali e le lettere al suo direttore spirituale, di cui è imminente la pubblicazione a
cura della Postulazione della causa per la canonizzazione. Non credo che gli editori, prima di decidersi a darli alle
stampe, abbiano dovuto superare la paura che tali scritti possano suscitare sconcerto o addirittura scandalizzare i
lettori. Lungi da diminuire la statura di Madre Teresa, essi infatti la ingigantiscono, ponendola a fianco dei
più grandi mistici del cristianesimo.
«Con l'inizio della sua nuova vita a servizio dei poveri - scrive il gesuita Joseph Neuner che le fu
vicino -, una opprimente oscurità venne su di lei». Bastano alcuni brevi stralci per darci
un'idea della densità delle tenebre in cui si venne a trovare: «C'è tanta contraddizione nella
mia anima, un profondo anelito a Dio, così profondo da far male, una sofferenza continua - e con
ciò il sentimento di non essere voluta da Dio, respinta, vuota, senza fede, senza amore, senza
zelo… Il cielo non significa niente per me, mi appare un luogo vuoto».
Non è difficile riconoscere subito in questa esperienza di Madre Teresa un caso classico di quello che gli
studiosi di mistica, dietro san Giovanni della Croce, sono soliti chiamare la notte oscura dello spirito.
Taulero fa una descrizione impressionante di questo stato: «Allora veniamo abbandonati in tal modo da
non aver più nessuna conoscenza di Dio e cadiamo in tale angoscia da non sapere più se siamo mai stati
sulla via giusta, né più sappiamo se Dio esiste o no, o se noi stessi siamo vivi o morti.
Cosicché su di noi cade un dolore così strano che ci pare che tutto quanto il mondo nella sua
estensione ci opprima. Non abbiamo più nessuna esperienza né conoscenza di Dio, ma anche tutto il resto
ci appare ripugnante, sicché ci pare di essere prigionieri tra due mura».
Tutto lascia pensare che questa oscurità accompagnò Madre Teresa fino alla morte, con una breve
parentesi nel 1958, durante la quale poté scrivere giubilante: «Oggi la mia anima è ricolma di
amore, di gioia indicibile e di una ininterrotta unione d'amore». Se a partire da un certo momento non ne
parla quasi più, non è perché la notte è finita, ma perché ella si è ormai
adattata a vivere in essa. Non solo l'ha accettata, ma riconosce la grazia straordinaria che racchiude per lei.
«Ho cominciato ad amare la mia oscurità, perché credo ora che essa è una parte, una
piccolissima parte, dell'oscurità e della sofferenza in cui Gesù visse sulla terra».
Il fiore più profumato della notte di Madre Teresa è il suo silenzio su di
essa. Aveva paura, parlandone, di attirare l'attenzione su di sé. Anche le persone a lei più vicine
non hanno sospettato nulla, fino alla fine, di questo interiore tormento della Madre. Su suo ordine, il direttore
spirituale dovette distruggere tutte le sue lettere e se alcune se ne sono salvate è perché egli, con
il permesso di lei, ne aveva fatto una copia per l'arcivescovo e futuro cardinale Trevor Lawrence Picachy, tra le
cui carte furono trovate dopo morte. L'arcivescovo, per nostra fortuna, si era rifiutato di accondiscendere alla
richiesta di distruggerle, fatta anche a lui dalla Madre.
Il pericolo più insidioso per l'anima nella notte oscura dello spirito è di… accorgersi che
si tratta, appunto, della notte oscura, di quello che grandi mistici hanno vissuto prima di lei e quindi di far
parte di una cerchia di anime elette. Con la grazia di Dio, Madre Teresa ha evitato questo rischio, nascondendo a
tutti il suo tormento sotto un eterno sorriso. «Tutto il tempo a sorridere, dicono di me le sorelle e la gente.
Pensano che il mio intimo sia ricolmo di fede, fiducia e amore…Se solo sapessero come il mio essere gioiosa
non è che un manto con cui copro vuoto e miseria!». Un detto dei Padri del deserto dice: «Per
quanto grandi siano le tue pene, la tua vittoria su di esse sta nel silenzio». Madre Teresa lo ha messo in
pratica in maniera eroica.
Ma perché questo strano fenomeno di una notte dello spirito che dura praticamente tutta la
vita? Qui c'è qualcosa di nuovo rispetto a quello che hanno vissuto e spiegato i maestri del passato, compreso
san Giovanni della Croce. Questa notte oscura non si spiega con la sola idea tradizionale della purificazione
passiva, la cosiddetta via purgativa, che prepara alla via illuminativa e a quella unitiva. Madre Teresa era
convinta che si trattasse proprio di questo nel caso suo; pensava che il suo «io» fosse particolarmente
duro da vincere, se Dio era costretto a tenerla così a lungo in quello stato.
Ma non era certo questo. La interminabile notte di alcuni santi moderni è il mezzo di protezione inventato
da Dio per i santi di oggi che vivono e operano costantemente sotto i riflettori dei media. È la tuta
d'amianto per chi deve andare tra le fiamme; è l'isolante che impedisce alla corrente elettrica di
disperdersi, provocando corti circuiti…
San Paolo diceva: «Perché non montassi in superbia per la grandezza delle rivelazioni, mi è
stata messa una spina nella carne» (2 Cor 12,7). La spina nella carne che era il
silenzio di Dio si è rivelata efficacissima per Madre Teresa: l'ha preservata da ogni ebbrezza, in mezzo al
gran parlare che il mondo faceva di lei, perfino al momento di ritirare il premio Nobel per la pace. «Il
dolore interiore che sento - diceva - è talmente grande che non provo nulla per tutta la pubblicità e
il parlare della gente». Quanto è lontano dal vero Christopher Hitchens quando nel suo saggio
velenoso Dio non è grande. La religione avvelena ogni cosa (Einaudi 2007) fa di Madre Teresa un
prodotto dell'era mediatica!
C'è una ragione ancora più profonda che spiega queste notti che si prolungano per tutta una
vita: l'imitazione di Cristo, la partecipazione all'oscura notte dello spirito che avvolse Gesù nel
Getsemani e in cui morì sul Calvario, gridando: «Dio mio, Dio mio perché mi hai
abbandonato?». Madre Teresa è giunta a vedere sempre più chiaramente la sua prova come una
risposta al desiderio di condividere il Sitio di Gesù sulla croce: «Se la pena e la sofferenza,
la mia oscurità e separazione da te ti da una goccia di consolazione, mio Gesù, fa di me ciò che
vuoi…Imprimi nella mia anima e nella vita la sofferenza del tuo cuore…Voglio saziare la tua sete con
ogni singola goccia di sangue che puoi trovare in me. Non ti preoccupare di tornare presto: sono pronta ad
aspettarti per tutta l'eternità».
Sarebbe grave errore pensare che la vita di queste persone sia tutta tetra sofferenza. Nel fondo dell'anima,
queste persone godono di una pace e gioia sconosciute al resto degli uomini, derivanti dalla certezza, più
forte in esse del dubbio, di essere nella volontà di Dio. Santa Caterina da Genova paragona la sofferenza
delle anime in questo stato a quella del Purgatorio e dice che essa «è così grande, che solo
è paragonabile a quella dell'Inferno», ma che c'è in esse una «grandissima
contentezza» che sola si può paragonare a quella dei santi in Paradiso. La gioia e la serenità
che emanava dal volto di Madre Teresa non era una maschera, ma il riflesso dell'unione profonda con Dio in cui viveva
la sua anima. Era lei che si «ingannava» sul suo conto, non la gente.
Il mondo d'oggi conosce una nuova categoria di persone: gli atei in buona fede, coloro che
vivono dolorosamente la situazione del silenzio di Dio, che non credono in Dio ma non si fanno un vanto di
ciò; sperimentano piuttosto l'angoscia esistenziale e la mancanza di senso del tutto; vivono anch'essi, a
loro modo, in una notte oscura dello spirito. Nel suo romanzo La peste Albert Camus li chiamava «i santi
senza Dio». I mistici esistono soprattutto per essi; sono loro compagni di viaggio e di mensa. Come
Gesù, essi «si sono assisi alla mensa dei peccatori e hanno mangiato con loro» (cf. Lc
15,2).
Questo spiega la passione con cui certi atei, una volta convertiti, si sono buttati sugli scritti dei mistici:
Claudel, Bernanos, i due Maritain, L. Bloy, lo scrittore J.-K. Huysmans e tanti altri sugli scritti di Angela da
Foligno, T.S. Eliot su quelli di Giuliana di Norwich. Vi ritrovavano lo stesso paesaggio che avevano lasciato, ma
questa volta illuminato dal sole. Pochi sanno che l'autore di Aspettando Godot, Samuel
Beckett, nel tempo libero leggeva san Giovanni della Croce.
La parola «ateo» può avere un senso attivo e un senso passivo. Può indicare uno che
rifiuta Dio, ma anche uno che - almeno così gli sembra - è rifiutato da Dio. Nel primo caso, si
tratta di un ateismo di colpa (quando non è in buona fede), nel secondo di un ateismo di pena, o di
espiazione. In quest'ultimo senso possiamo dire che i mistici, nella notte dello spirito, sono degli a-tei, dei senza
Dio e che anche Gesú, sulla croce, era un «ateo», un senza-Dio.
Madre Teresa ha parole che nessuno avrebbe sospettato in lei: «Dicono che la pena eterna che soffrono le
anime nell'Inferno è la perdita di Dio… Nella mia anima io sperimento proprio questa terribile pena
del danno, di Dio che non mi vuole, di Dio che non è Dio, di Dio che in realtà non esiste. Gesù,
ti prego perdona la mia bestemmia». Ma si rende conto della natura diversa, di solidarietà e di
espiazione, di questo suo «ateismo»: «Voglio vivere in questo mondo così lontano da Dio e
che ha voltato le spalle alla luce di Gesù, per aiutare la gente, prendendo su di me qualcosa della loro
sofferenza». Il rivelatore più chiaro che si tratta di un «ateismo» di ben altra natura
è la sofferenza indicibile che esso provoca nei mistici. Gli atei comuni non si tormentano in questo modo per
il loro ateismo!
I mistici sono giunti a un passo dal mondo dove vivono i senza Dio; hanno sperimentato la vertigine di buttarsi
giù. È ancora Madre Teresa che scrive al suo padre spirituale: «Sono stata sul punto di dire
No… Mi sento come se qualcosa un giorno o l'altro dovesse spezzarsi in me». «Prega per me, che io
non rifiuti Dio in quest'ora. Non lo voglio ma temo di poterlo farlo». Per questo i mistici sono gli ideali
evangelizzatori nel mondo post-moderno, dove si vive etsi Deus non daretur, come se Dio non esistesse.
Ricordano agli atei onesti che non sono «lontani dal regno di Dio»; che basterebbe loro spiccare un salto
per ritrovarsi dalla sponda dei mistici, passando dal nulla al tutto. Aveva ragione Karl Rahner di dire: «Il
cristianesimo del futuro, o sarà mistico, o non sarà». Padre Pio e Madre Teresa sono la risposta
a questo segno dei tempi. Non dobbiamo «sprecare» i santi, riducendoli a distributori di grazie, o di
buoni esempi.