Presentiamo on-line un testo del prof.Giancarlo Biguzzi, docente di Nuovo Testamento presso la
Pontificia Università Urbaniana, già apparso sulla rivista Eteria ed appartenente ad una serie di
articoli che avevano lo scopo di introdurre, come in agili reportage giornalistici, ad una prima conoscenza dei
luoghi e delle figure del Nuovo Testamento. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di rendere più
facile la lettura on-line.
Ci piace qui richiamare, in consonanza con questo breve testo, la preghiera di Colletta della Messa della festa di
San Luca che ricorda insieme la predicazione e gli scritti dell’evangelista Luca: “Signore Dio nostro che
hai scelto san Luca per rivelare al mondo con la predicazione e con gli scritti il mistero della tua predilezione per
i poveri, fa’ che i cristiani formino un cuor solo e un’anima sola, e tutti i popoli vedano la tua
salvezza”.
Il Centro culturale Gli scritti (21/10/2007)
Ai Musei Vaticani è conservato un frammento di sarcofago cristiano dove un timoniere,
volgendo le spalle alla prua, è intento a impartire le istruzioni del caso ai rematori di una piccola barca.
Sul fianco dell’imbarcazione, in corrispondenza di ciascuno dei rematori, sono altrettanti nomi: Marcus,
Lucas, Ioannes. Manca, come è facile intuire, un quarto rematore e un quarto nome, quello di
Matteo.
L’immagine è suggestiva perché dice come nei quattro vangeli ci sia la voce di un solo
maestro, ma anche la collaborazione di quattro uomini di fatica, i quali hanno non poco merito nel sospingere la
barca tra le onde e le tempeste.
Tra quei quattro “rematori” Luca si distingue per avere scritto un’opera in due
volumi. All’inizio del secondo volume lui stesso rivela senza lasciare dubbi come pensasse a due volumi da
conservare e leggere insieme: «Nel mio primo libro ho già trattato, o Teofilo, di tutto
quello che Gesù fece e insegnò dal principio fino al giorno in cui ecc.» (Atti 1,1).
Teofilo e tutti gli altri lettori avrebbero dunque dovuto leggere il secondo libro di seguito al primo, ma nel
secondo secolo i cristiani hanno deciso altrimenti. Quando le comunità cristiane cominciarono a scambiarsi i
libri scritti dalla generazione apostolica, negli scaffali delle loro “sagrestie” ebbero la tendenza a
raggruppare i libri omogenei. È così che il vangelo lucano (sarebbe meglio dire
“lucaneo”, perché per noi italiani “lucano” è aggettivo di
“Lucania”) è finito nella tetralogia evangelica e ha perso il legame, voluto dal suo autore, con
il libro degli Atti. Ed è per questo che gli studiosi attingono, come è giusto, da tutti e due i volumi
quando vogliono mettere in luce la visione teologica di Luca o, comunque, il suo contributo di pensiero al
cristianesimo delle origini.
Luca, dunque, fu affascinato come tutti quelli della sua generazione dall’abbagliante figura di Gesù,
ma seppe anche fare posto al dopo-Gesù, alla continuazione della sua opera che prima i suoi discepoli, e
poi gli uomini della seconda e terza generazione cristiana seppero portare avanti in un ambito geografico e culturale
ben più vasto di quello in cui era stato attivo Gesù.
Quello che poi è interessante notare è che in tutte e due le opere Luca pensa in
termini di viaggi: nel vangelo descrive il cammino di Gesù dalla Galilea, attraverso la Samaria, verso
Gerusalemme, mentre nel libro degli Atti narra la grande corsa della Buona Notizia da Gerusalemme fino alle
estremità della terra.
Più in particolare, gli Atti parlano dei viaggi missionari di Filippo (Atti 8) o di Pietro (Atti 9-11), ma i
viaggi più giustamente famosi sono quelli di Paolo: il primo verso Cipro e nel cuore dell’Anatolia (=
l’attuale Turchia); il secondo verso Filippi e Tessalonica in Macedonia, e verso Atene e Corinto in Acaia; il
terzo verso Efeso, con un’appendice in Macedonia e in Acaia per visitare le comunità fondate nel
secondo viaggio.
C’è poi un quarto viaggio nel quale, propriamente parlando, Paolo non era nelle vesti del missionario
perché, essendosi egli appellato all’imperatore, con le catene ai polsi veniva portato dal tribunale
periferico di Cesarea Marittima a quello di Roma. Anche il trasferimento dalla Palestina a Roma comunque è
presentato da Luca come viaggio missionario perché Paolo, sia nella lunga e tormentata navigazione, sia
una volta arrivato a Roma, approfittò per annunciare il Cristo.
Secondo Luca, dunque, Paolo è stato protagonista della missione protocristiana in termini
di viaggi, ma -per quanto sorprendente possa essere- nelle sue lettere Paolo sembra interpretare la sua
attività piuttosto in termini di soggiorni apostolici.
Luca, non si sa perché, non parla mai delle lettere di Paolo, mentre ce ne sono state tramandate ben 13
con in apertura il suo nome quale mittente. Il fatto stesso che a noi siano pervenute 13 lettere di Paolo o a lui
attribuite, dice che Paolo, invece di andare di persona, spesso scriveva. È bensì vero che in quelle
lettere Paolo non di rado parla delle visite che intende fare a Filippi o a Corinto ecc., ma si tratta generalmente
di visite a singole comunità, e non inserite invece nella parabola di un viaggio missionario, secondo lo
schema lucano.
Non solo, ma nelle sue lettere molto spesso Paolo allude all’invio di collaboratori: di Timoteo
(1Corinzi 4,17) e di Tito (2Corinzi 8,6, ecc.) a Corinto, di Timoteo ed Epafrodito a Filippi (Filippesi 2,19; 2,25),
di Onesimo e di Tichico a Colosse (Colossesi 4,7.9), della diaconessa Febe a Roma (Romani 16,1) ecc.
L’invio di lettere e di collaboratori era evidentemente inteso a non interrompere l’azione di Paolo
nelle città in cui egli si trovava al momento di scrivere. Questo dice che Paolo non lasciava una chiesa
se non vi era costretto dall’ostilità dei giudei (Atti 17,5.13), dalle autorità cittadine (Atti
16,39) o, infine, dal ritenere concluso in quel luogo il suo lavoro (Romani 15,23): quello di impiantare una chiesa
matura nella fede e autosufficiente nella vita evangelica e nell’iniziativa missionaria.
Tutto questo ci aiuta a delineare, per contrasto, un ritratto di Luca. Da come scrive e dai suoi
centri d’interesse, Luca non va immaginato in uno studiolo da intellettuale, nella cui pace egli si ritira
di tanto in tanto a scrivere ciò che ha ricevuto dai testimoni dei primi tempi o ciò di cui è
stato personalmente protagonista. E non va pensato neanche come un dirigente di una chiesa oramai numerosa e
consolidata, la quale lo incarica di scrivere per fare fronte alle proprie esigenze catechetiche e liturgiche. Luca
è abbastanza diverso anche dal Paolo che, se gli era possibile, soggiornava a lungo nelle chiese dopo la loro
fondazione.
Per Luca la vita apostolica è invece una corsa ininterrotta, è un continuo succedersi di arrivi
e di partenze. Luca è un itinerante con le valigie sempre in mano che, come quelli di cui parla la
Didachè (fine sec. I dC), non si ferma più di due giorni nella stessa comunità, per paura
di essere un profittatore e un falso profeta: «Un apostolo non rimarrà tra voi che un giorno solo. Se vi
fosse bisogno, si potrà fermare anche un secondo giorno. Ma se rimane per tre giorni, è un falso
profeta» (Didachè 11,5).
Luca, che concepisce la storia della chiesa primitiva come una successione di viaggi missionari, era insomma ancora
più viaggiatore che non Paolo. Non per nulla, egli conosce vie terrestri e rotte marine come nessun altro
nel Nuovo Testamento, e menziona qualcosa come 102 toponimi di città, regioni, isole, ecc. sparse dalla
Mesopotamia all’Italia. Già tutto questo induce a pensarlo come un itinerante. Ma c’è
di più: egli ripetutamente giunge a chiamare la nuova fede cristiana come “la Via”, egli
che per esempio fa dire a Paolo: «Io perseguitai a morte questa nuova Via» (22,4), e: «Adoro il Dio
dei nostri padri secondo questa Via» (22,14; ma cf. per esempio anche 18,15.26; 24,22).
Poiché chiunque scrive fa dell’autobiografia, nel suo primo libro Luca si autodefinisce come
l’evangelista della “via di Gesù” dalla Galilea a Gerusalemme, nel secondo egli si presenta
come l’evangelista della “Via” da Gerusalemme a Roma, lui che era costantemente in viaggio, per
terra o per mare, da una chiesa all’altra, al servizio del Vangelo.