Ripresentiamo on-line sul nostro sito, per il progetto Portaparola,
l’intervista concessa da Zygmunt Bauman al giornalista Pierangelo Giovanetti,
apparsa su Avvenire del 2 febbraio 2006, con il titolo “L’amore
non è liquido”. Z.Bauman è sposato con Janina Bauman, un
ebrea sopravvissuta al ghetto di Varsavia (una brevissima introduzione al suo
volume di memorie, J.Bauman, Inverno
nel mattino, Il Mulino, Bologna, 1994, è disponibile su questo sito,
nella sezione dedicata ai ghetti ebrei in Polonia durante il nazismo).
Di lei il sociologo polacco ha dichiarato in un’intervista a Rainews24:
«Da Janina ho imparato che la 'neutralità' rispetto ai valori è,
per quanto riguarda le scienze umane, non solo una vana speranza ma anche un'illusione
assolutamente inumana: che fare sociologia ha senso solo nella misura in cui
aiuta l'umanità nel corso della vita». Della Shoah Z.Bauman ha
scritto in Modernità e olocausto, Il Mulino, Bologna, 1992.
Nelle sue ultime opere (vedi, fra le altre, Modernità liquida, Laterza, Roma-Bari, 2002; Amore liquido,
Laterza, Roma-Bari, 2004; Vita liquida, Laterza, Roma-Bari, 2006; Homo consumens, Erikson, Gardolo, 2007) Z.Bauman ha
indicato nella ‘liquidità’ la caratteristica saliente dell’epoca post-moderna. Scrive, ad
esempio, nell’Introduzione a Vita liquida, pp.VII-IX: “Una società può essere definita
‘liquido-moderna’ se le situazioni in cui agiscono gli uomini si modificano prima che i loro modi di
agire riescano a consolidarsi in abitudini e procedure... In una società liquido-moderna gli individui non
possono concretizzare i propri risultati in beni duraturi: in un attimo, infatti, le attività si traducono in
passività e le capacità in incapacità... La vita liquida è una vita precaria vissuta in
condizioni di continua incertezza... La vita nella società liquido-moderna non può mai fermarsi. Deve
modernizzarsi (leggi: continuare a spogliarsi quotidianamente di attributi giunti alla propria data di scadenza, e a
smontare/togliere le identità di volta in volta montate/indossate) o perire”. I neretti sono nostri ed
hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line del testo.
Il Centro culturale Gli scritti (7/7/2007)
Per una vita ha studiato la «società liquida», quella senza legami stabili, e
l’«amore confluente», che dura fin tanto che c’è l’interesse di uno dei due
partner. Ma quando pensa all’amore vero, con la A maiuscola, volge lo sguardo a lei, Janina, la moglie che da
sessant’anni gli è al fianco. «Io e Janina – racconta Zygmunt Bauman, uno dei più
grandi sociologi viventi - sappiamo che stare insieme significa anche sacrificio e accettazione dell’altro,
pure quando è faticoso. Ma per noi lo stare insieme, il volerci bene e l’essere uniti "finché
morte non ci separi" è una prospettiva molto più bella, che l’essere separati e vivere la
libertà dello stare da soli. Per questo credo che il Papa abbia centrato l’obiettivo,
decidendo di richiamare la società di oggi, che per definizione evita legami duraturi ed esclusivi, alla
totalità dell’amore. È sicuramente un richiamo controcorrente. Ma è tanto più
necessario in un’epoca di dittatura del consumismo, dove la "sindrome del consumo" penetra ogni fessura della
nostra esistenza, fagocitando in essa anche ciò che c’è di più grande:
l’amore».
Professor Bauman, perché gli uomini d’oggi sono incapaci di amare «per sempre»?
«È una società che si è modellata sull’usa e getta, sul desiderio di
consumo, sull’impegnarsi finché si ha voglia, senza assumersi responsabilità di qualsiasi
genere. Il consumo come metro di ogni nostra azione non è fatto per elevare la lealtà e la dedizione
nostra per l’altro. Al contrario, è pensato per passare in continuazione da un desiderio
all’altro, per spegnere in fretta quelli vecchi e creare posti per altri nuovi. In più la clausola
della società dei consumi "soddisfatti o rimborsati" è diventata metro di ogni rapporto, di ogni
relazione. In questo tritacarne è finito anche l’amore. Ecco perché è sempre
più difficile "amare per sempre"».
Ma questo s’è tradotto in maggiore libertà per l’uomo moderno?
«Questa era la promessa che sta alla base della "nuova società": la liberazione individuale. Promessa
che si è rivelata falsa. Molti, infatti, credono (erroneamente) che la quantità compenserebbe la
mancanza di qualità. Ogni relazione è debole, quindi cerchiamo di averne a non finire, in modo che
possiamo trovare qua e là qualcosa che ci soddisfi, comprensione o simpatia alla bisogna. Il fatto è
che – come ci ricorda anche Benedetto XVI nell’enciclica – non funziona così. Piuttosto
è il contrario. Più le relazioni diventano facili a rompersi e usa e getta, meno c’è
motivazione a combattere le difficoltà che lo stare assieme comporta di volta in volta. Dopo tutto, quando
due persone s’incontrano, ognuno porta con sè la propria diversa storia personale, che ha bisogno di
essere conciliata con l’altro, che a sua volta è differente. E una convivenza di diversi è
impensabile senza compromessi e sacrifici».
Secondo lei, è possibile che ci sia futuro in questa «fluidità» dei rapporti e quindi
anche dell’amore?
«È il paradosso della postmodernità liquida. Più si evitano impegni stabili e duraturi
per timore di esserne poi vincolati, più sentiamo bisogno invece di relazioni solide e amici disponibili.
Però siamo incapaci di fare il passo. Di fronte al "per sempre" ci troviamo impauriti. Solo che, senza un
impegno esclusivo e nel tempo, i nostri legami sono fragili e anche il rapporto d’amore risulta esasperatamente
insicuro. Questo crea uno stato di ansietà permanente in cui è sprofondato l’uomo
d’oggi. Un futuro oscuro e gravido di conseguenze se non ci sarà un cambio di rotta».
Benedetto XVI dice però che questo amore «pieno» è possibile. Anzi è il progetto
a cui l’uomo e la donna sono chiamati.
«Certo. È una questione di scelte, di valori che si attribuiscono allo stare insieme. In ultimo,
direi, di forza dell’amore che rende il sacrificio per il bene dell’amato qualcosa di naturale, di
dolce e di gioioso, invece che un giogo pesante come i più credono. Agape, cioè il vero amore,
quello che noi sogniamo e di cui tutti abbiamo seriamente bisogno per sentirci salvi in un mondo caratterizzato per
la sua insicurezza, non può che essere altruista e incondizionato. Da entrambi i lati. E lo sforzo di
arrivare a questo, non può che partire sempre dalla mia parte. Il contrario di quanto avviene
comunemente oggi, dove si vive nella paura che l’altro decida unilateralmente di rompere il legame, di chiudere
una relazione perché non la si ritiene soddisfacente o anche solo per il fatto di voler sperimentare emozioni
nuove».
Benedetto XVI insiste anche sul non separare eros da agape.
«Questo è l’altro grande errore del nostro tempo: l’idea di separare il sesso
dall’amore e dai legami spirituali e dalle responsabilità morali che esso comporta. È
l’idea che passa quando gli esperti ci dicono che innamorarsi è solo una reazione chimica che attiva la
produzione nel corpo di dopamina. Quando c’è questo, c’è amore. Quando finisce, non ce
n’è più. Ridotto così, si pensa che il sesso possa essere praticato come un qualunque
oggetto di consumo di questa società dei consumi. In realtà eros non si può separare da agape,
pena il tradirlo».
Un ultima domanda: cosa ha pensato del richiamo del Papa a «Dio amore»?
«È forse il messaggio di cui l’umanità ha bisogno più di ogni altro. Vedo
all’orizzonte il pericolo enorme della "religionizzazione della politica", dove la religione, il richiamo a
Dio, è preso dalla politica per combattere gli altri. È una minaccia grave per il futuro
dell’umanità, per la sua sopravvivenza fisica ma anche per la capacità di far fronte assieme ai
gravi problemi ancora irrisolti di miseria umana e di aggressività causata dalla miseria. Bene ha fatto Papa
Benedetto a lanciare alto questo monito: Dio, che ha dato il comandamento dell’amore, ci impedisce di usare
il suo nome per combatterci gli uni contro gli altri».