Angeli e arcangeli: Michele, Raffaele e Gabriele ed i loro compagni dei cori angelici nella fede cattolica

Le affermazioni sugli angeli, nella fede cattolica, sono precise ed insieme discrete. Se ne riconosce come verità di fede l’esistenza ed il ministero di servitori di Cristo e della sua opera di salvezza e, perciò, la loro presenza a vantaggio dell’uomo e della Chiesa. E’ la testimonianza biblica il continuo punto di riferimento per queste affermazioni teologiche.
Il primo testo che mettiamo a disposizione on-line sul nostro sito è tratto dal catechismo della Chiesa cattolica e presenta la fede della Chiesa.
Il secondo ed il terzo testo sono di Roberto Beretta e sono apparsi su Avvenire del 28.9.2001. Ci introducono, in maniera giornalistica, alla conoscenza delle speculazioni che nella storia sono state fatte sugli angeli, da quelle di alto spessore teologico dello pseudo-Dionigi l’Aeropagita, a quelle di ben diverso valore dei vangeli apocrifi e dei loro epigoni New Age.
Beretta ci mostra come la fede ci riporti continuamente alla sobrietà del dettato biblico e teologico. Ripresentiamo questi due articoli nel contesto del Progetto Portaparola del quotidiano cattolico.

Il Centro culturale Gli scritti (19.3.2007)


Indice


Gli angeli nel Catechismo della Chiesa cattolica (nn.328-336)

L'esistenza degli angeli - una verità di fede

328 L'esistenza degli esseri spirituali, incorporei, che la Sacra Scrittura chiama abitualmente angeli, è una verità di fede. La testimonianza della Scrittura è tanto chiara quanto l'unanimità della Tradizione.

Chi sono?

329 Sant'Agostino dice a loro riguardo: “Angelus officii nomen est, non naturae. Quaeris nomen huius naturae, spiritus est; quaeris officium, angelus est: ex eo quod est, spiritus est, ex eo quod agit, angelus - La parola angelo designa l'ufficio, non la natura. Se si chiede il nome di questa natura si risponde che è spirito; se si chiede l'ufficio, si risponde che è angelo: è spirito per quello che è, mentre per quello che compie è angelo” [Sant'Agostino, Enarratio in Psalmos, 103, 1, 15]. In tutto il loro essere, gli angeli sono servitori e messaggeri di Dio. Per il fatto che “vedono sempre la faccia del Padre. . . che è nei cieli” (Mt 18,10), essi sono “potenti esecutori dei suoi comandi, pronti alla voce della sua parola” (Sal 103,20).

330 In quanto creature puramente spirituali, essi hanno intelligenza e volontà: sono creature personali [Cf Pio XII, Lett. enc. Humani generis: Denz. -Schönm., 3891] e immortali [Cf Lc 20,36]. Superano in perfezione tutte le creature visibili. Lo testimonia il fulgore della loro gloria [Cf Dn 10,9-12].

Cristo “con tutti i suoi angeli”

331 Cristo è il centro del mondo angelico. Essi sono “i suoi angeli”: “Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli. . . ” (Mt 25,31). Sono suoi perché creati per mezzo di lui e in vista di lui: “Poiché per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potestà. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui” (Col 1,16). Sono suoi ancor più perché li ha fatti messaggeri del suo disegno di salvezza: “Non sono essi tutti spiriti incaricati di un ministero, inviati per servire coloro che devono ereditare la salvezza?” (Eb 1,14).

332 Essi, fin dalla creazione [Cf Gb 38,7] e lungo tutta la storia della salvezza, annunciano da lontano o da vicino questa salvezza e servono la realizzazione del disegno salvifico di Dio: chiudono il paradiso terrestre, [Cf Gen 3,24] proteggono Lot. [Cf Gen 19] salvano Agar e il suo bambino, [Cf Gen 21,17] trattengono la mano di Abramo; [Cf Gen 22,11] la Legge viene comunicata “per mano degli angeli” (At 7,53), essi guidano il Popolo di Dio, [Cf Es 23,20-23] annunziano nascite [Cf Gdc 13] e vocazioni, [Cf Gdc 6,11-24; Is 6,6] assistono i profeti, [Cf 1Re 19,5] per citare soltanto alcuni esempi. Infine, è l'angelo Gabriele che annunzia la nascita del Precursore e quella dello stesso Gesù [Cf Lc 1,11; Lc 1,26].

333 Dall'Incarnazione all'Ascensione, la vita del Verbo incarnato è circondata dall'adorazione e dal servizio degli angeli. Quando Dio “introduce il Primogenito nel mondo, dice: lo adorino tutti gli angeli di Dio” (Eb 1,6). Il loro canto di lode alla nascita di Cristo non ha cessato di risuonare nella lode della Chiesa: “Gloria a Dio. . . ” (Lc 2,14). Essi proteggono l'infanzia di Gesù, [Cf Mt 1,20; Mt 2,13; Mt 1,19] servono Gesù nel deserto, [Cf Mc 1,12; Mt 4,11] lo confortano durante l'agonia, [Cf Lc 22,43] quando egli avrebbe potuto da loro essere salvato dalla mano dei nemici [Cf Mt 26,53] come un tempo Israele [Cf 2Mac 10,29-30; 2Mac 11,8]. Sono ancora gli angeli che “evangelizzano” (Lc 2,10) annunziando la Buona Novella dell'Incarnazione [Cf Lc 2,8-14] e della Risurrezione [Cf Mc 16,5-7] di Cristo. Al ritorno di Cristo, che essi annunziano, [Cf At 1,10-11] saranno là, al servizio del suo giudizio [Cf Mt 13,41; Mt 25,31; Lc 12,8-9].

Gli angeli nella vita della Chiesa

334 Allo stesso modo tutta la vita della Chiesa beneficia dell'aiuto misterioso e potente degli angeli [Cf At 5,18-20; At 8,26-29; At 10,3-8; At 12,6-11; At 27,23-25].

335 Nella Liturgia, la Chiesa si unisce agli angeli per adorare il Dio tre volte santo; [Messale Romano, “Sanctus”] invoca la loro assistenza (così nell'“In Paradisum deducant te angeli. . . ” - In Paradiso ti accompagnino gli angeli - della Liturgia dei defunti, o ancora nell'“Inno dei Cherubini” della Liturgia bizantina), e celebra la memoria di alcuni angeli in particolare (san Michele, san Gabriele, san Raffaele, gli angeli custodi).

336 Dal suo inizio [Cf Mt 18,10] fino all'ora della morte [Cf Lc 16,22] la vita umana è circondata dalla loro protezione [Cf Sal 34,8; Sal 91,10-13] e dalla loro intercessione [Cf Gb 33,23-24; Zc 1,12; Tb 12,12]. “Ogni fedele ha al proprio fianco un angelo come protettore e pastore, per condurlo alla vita” [San Basilio di Cesarea, Adversus Eunomium, 3, 1: PG 29, 656B]. Fin da quaggiù, la vita cristiana partecipa, nella fede, alla beata comunità degli angeli e degli uomini, uniti in Dio.

I nove cori angelici nello pseudo-Dionigi l’Aeropagita
di Roberto Beretta

Il cielo? E’ una macchina a 9 ruote. L'angelologia occidentale si deve soprattutto al De coelesti Hierarchia del cosiddetto pseudo-Dionigi Areopagita, un autore siriaco del V-VI secolo, la cui opera fu a lungo attribuita al filosofo ateniese Dionigi, convertito all'Areopago da san Paolo. Fu lui a sistematizzare la gerarchia a 9 cerchi che era già stata accettata da sant’Ambrogio e poi da Gregorio Magno (ma con un diverso ordine dei cori), fornendo una base a Dante ed a Tommaso d’Aquino nonostante lo scetticismo di sant’Agostino (il quale dichiarava di credere negli angeli, ma d'ignorare come fossero organizzati).

Secondo la dottrina areopagitica - che è pure una puntuale ipotesi teologica - gli angeli sono divisi in tre ordini e 9 cori (anche nell'islam ci sono tre categorie di angeli: quelli del trono, i celesti e i terrestri. Per Marsilio Ficino, invece, i tre ordini corrispondevano alle Persone della Trinità). Il piano superiore è composto da Serafini, Cherubini e Troni.

I Serafini (i «brucianti») sono gli angeli «rossi», caldi; gli spiriti dell’amore. Illuminano, purificano col fuoco e sono in continuo movimento, anche perché - secondo il profeta Isaia - sono dotati di 6 ali: con una coppia si coprono la faccia, con l’altra i piedi e con la terza volano. A loro si deve il triplice canto del «santo». Un serafino procurò le stimmate a san Francesco e l’estasi a Teresa d’Avila.

I Cherubini, il cui nome forse significa «effusione di scienza» o forse deriva dall’accadico «pregare, benedire», sono gli angeli «azzurri», freddi, anche se hanno servito da guardiani dell’Eden armati di spada fiammeggiante. Sono gli angeli dell’intelletto e della luce purissima. Hanno 4 (in altre versioni meno antiche anche 6) ali coperte di occhi e sembianze semi-umane; qualche studioso li ha assimilati a sfingi alate. Erano i custodi dell’Arca dell'alleanza. Con la loro sapienza conoscono passato e futuro e penetrano il mistero della Trinità.

I Troni siedono intorno all’Altissimo. La loro caratteristica, secondo Bernardo di Chiaravalle, è la quiete assoluta; rappresentano la stabilità divina e il distacco dalle attrazioni terresti. Origene li chiama «sedie di Dio», altre tradizioni li raffigurano come ruote del carro divino. Il loro colore è il giallo-arancione; proteggono le diocesi e le abbazie.

L'ordine intermedio si costituisce di Signorie o Dominazioni, Virtù o Potenze, Potestà. Le Dominazioni sono preposte al governo dei governanti, li, consigliano, li illuminano. Possono essere invocate dai sudditi per ottenere reggenti saggi. Appaiono cinti di corona e impugnano uno scettro e la sfera; proteggono mistici, missionari e direttori spirituali. Sono citati due volte da san Paolo.

Le Virtù sono capaci di compiere prodigi nelle manifestazioni naturali e grazie per gli uomini, dei quali sanno irrobustire la fede e allontanare le cattive ispirazioni. Alcune di loro sarebbero assegnate come consiglieri ai “vip”: dal Papa ai re o ai presidenti. Certe tradizioni li considerano angeli “zodiacali”, in quanto preposti al moto dei corpi celesti. Il loro segno iconografico è il giglio.

Le Potestà possono ostacolare i diavoli e frenare gli spiriti maligni, nonché gli uomini cattivi. Furono incaricati di cacciare gli angeli ribelli dal cielo e di incenerire Sodoma e Gomorra. Grazie alla loro mediazione si può ottenere equilibrio psichico. La loro veste è verde; proteggono sacerdoti e confessori.

L’ordine più basso (Principati, Arcangeli, Angeli) è preposto al governo delle azioni umane “affinché – dice Dionigi – si produca in maniera ordinata l’elevazione spirituale verso Dio”. I Principati presiedono tra l’altro alle grandi religioni. Sono vestiti come militari. Degli Arcangeli si dice in questa pagina. Gli Angeli infine sono i classici custodi, affidati ad ogni uomo: proteggono, consigliano e istruiscono. Sono citati nella Lettera agli Ebrei e si festeggiano il 2 ottobre; il loro colore è bianco.

Uriele, l’arcangelo scomparso
di Roberto Beretta

"I nomi dei sette nani li sanno tutti. Ma i sette arcangeli, quelli, chi li conosce? I più preparati arrivano a Michele, Gabriele e Raffaele; gli altri 4 non si trovano nemmeno nella Treccani". Eppure gli arcangeli erano proprio 7: come i ministri assistenti al trono in Oriente, come i pianeti conosciuti nell’antichità ed a cui essi sarebbero preposti. Lo testimoniano pure un paio di passaggi biblici: “Sono uno dei 7 angeli che stanno innanzi al trono di Dio per servirlo”, si svela l’arcangelo Raffaele a Tobia; e l’Apocalisse segnala “i sette angeli ritti davanti a Dio”.

Perché allora quella schiera celeste oggi non la ricorda più nessuno tra i cattolici (ne parla poco anche Philippe Olivier ne Gli arcangeli, appena tradotto da De Vecchi editore), mentre la loro devozione è invece tuttora viva nella Chiesa copta? E pensare che gli arcangeli avevano persino un nome: oltre ai tre canonici, c’erano Uriele, Sariele (o Saraqaele, o Salathiel), Raguele, Remiele (o Geremiele). Così almeno secondo alcuni apocrifi come i 3 libri di Enoch o il IV Libro di Esdra; ché altre fonti fornivano nome alternativi: Fanuele (l’ “angelo della Faccia” o “della Presenza”), Euchidiele (detto anche Tobiel, già precettore di Sem figlio di Noè), Barachiele (o Malthiel: la colonna di fuoco che condusse il popolo eletto in fuga nel deserto), Jeudiele (il “rimuneratore”, che distribuisce corone o flagelli)...

Ma la pluralità di scelte, oltre che alla fantasia dei commentatori, è dovuta anche al fatto che – secondo alcune scuole teologiche – gli arcangeli ammonterebbero addirittura a 9, in modo da averne uno a capo di ogni coro angelico. All’opposto, nell’angelologia ebraica gli “archistrateghi” superni sarebbero solo 6: come i giorni della creazione (ad essi gli gnostici aggiunsero poi lo stesso Cristo come “settimo arcangelo”). Del resto, nei primi secoli cristiani i nomi degli arcangeli prolificavano all’infinito: ne sono stati contati ben 269 nei vari apocrifi, e ben di più nei testi ebraici.

Servivano per pratiche superstiziose e magiche, poiché si credeva che bastasse pronunciare il nome giusto per piegare lo spirito corrispondente al proprio volere: più o meno come garantisce anche oggi la New Age, che propone un angelo dal nome diverso per ogni giorno dell’anno.

"Fu dunque per evitare abusi che alcuni sinodi e concili - quello di Laodicea nel 360, il romano del 745 e quello tenutosi ad Aquisgrana nel 789 - proibirono esplicitamente sotto pena di scomunica di dar qualsivoglia nome agli arcangeli, aldi fuori dei biblici Michele, Gabriele e Raffaele. I sette arcangeli dunque scomparvero anche fisicamente e le loro icone - non infrequenti nelle chiese occidentali - vennero tosto imbiancate.

L'ultima loro apparizione risale al 1516, allorché nella chiesa palermitana di Sant’Angelo riaffiorò sotto la calce un antico affresco con la schiera completa degli "angeli-capo", rilanciandone la devozione popolare. In particolare un giovane sacerdote siciliano, il maestro di cappella don Antonio del Duca, ne diffuse con successo il culto, esportandolo prima a Roma e di lì in Germania e Russia.

Lo stesso del Duca, con Girolamo Maccabei, compose una messa per i 7 arcangeli; una chiesa fu loro dedicata a Palermo, un’altra venne in parte realizzata nella capitale su progetto di Michelangelo. Pare inoltre che una loro raffigurazione danzante sia inserita nella facciata del santuario di Santiago di Compostela e un dipinto seicentesco del manipolo celeste al gran completo è tuttora conservato nell’ex convento di Santa Chiara a Solofra (AV). Ivi appare con tanto di spada fiammeggiante Uriele, il quarto arcangelo: un personaggio che, ai tempi d'oro, aveva fatto ombra addirittura al grande Raffaele." Uriele è infatti il D’Artagnan delle sfere superne, il quarto incomodo nel trio dei “canonici” in –ele. Il suo nome significa “luce” ovvero “fiamma di Dio” e tuttora i copti – che lo chiamano talvolta Suriele - ne celebrano la festa il 15 luglio (22 gennaio del calendario latino).

Ma Uriele è citato dal midrash ebraico a completamento dei moschettieri celesti, nonché da altre scritture cristiane spurie e ancora da sant’Isidoro di Siviglia e sant’Ambrogio. L’Epistola Apostolorum, per esempio, risalente al II secolo, sostiene che furono proprio Uriele e i suoi tre più famosi colleghi ad accompagnare Cristo “fino al quinto firmamento” nel suo viaggio di discesa verso l’incarnazione, “pensando in cuor loro che fosse uno di loro”. Il Vangelo di Bartolomeo, altro apocrifo del III secolo, narra che Uriele fu creato per quinto, subito dopo Beliar (l’angelo ribelle) e i tre arcangeli “ufficiali”, insieme ai quali venne posto a difesa del trono di Dio.

La stessa fonte lo colloca tra i “quattro angeli” destinati a governare i “quattro angoli della terra” e i “quattro fiumi del paradiso”: una posizione particolarmente prestigiosa, dal momento che i “quattro angeli” appaiono pure nell’Apocalisse come coloro che trattengono i venti. Anche per gli apocrifi di Enoch gli arcangeli sono una sorta di guardie del corpo che occupano i punti cardinali intorno al trono di Dio, e ad Uriele è assegnato il posto davanti.

La stessa basilica di Santa Maria Maggiore a Roma doveva avere 4 cappelle dedicate agli arcangeli “maggiori”, mentre il loro nome corrispondeva alle 4 divisioni dell’antica armata di Israele. Tra gli altri incarichi, sempre secondo lo pseudo-Enoch, Uriele avrebbe partecipato alla sepoltura di Adamo e di Abele nonché – avendo osservato insieme agli altri tre arcangeli lo sfacelo combinato dalla lotta tra uomini e giganti – fu inviato ad avvisare Noè che sarebbe arrivato un diluvio punitivo e ad insegnargli come costruire l’arca.

Il legame con tale evento è ribadito dall’Apocalisse di Pietro, altro apocrifo, nel quale ad Uriele “inviato gagliardo” è assegnato il compito di spezzare “le mostruose chiusure dell’Ade” per chiamare (talvolta infatti è raffigurato con la tromba) al giudizio universale e alla conseguente dannazione sia i titani delle origini sia “le anime dei peccatori che perirono con il diluvio” oltre a quelle degli adoratori di idoli; inoltre egli stesso punirà legandoli a ruote di fuoco i maghi e le streghe.

Dunque Uriele aveva un ruolo di tutto rispetto nell’immaginario religioso occidentale, allorché il sinodo del 745 proibì d’invocarlo, sostenendo che non era un essere celeste bensì un demonio, e – quarant’anni dopo – da Aquisgrana - fu disposta addirittura la pena di morte per chi venerava “il grande Uriel”. La minaccia non impedì tuttavia a un Vangelo spurio molto tardo, quello di Barnaba scritto forse nel V-VI secolo, di richiamare in servizio il quarto arcangelo insieme agli inseparabili compagni come scorta per far fuggire Gesù dall’Orto degli Ulivi fino “al terzo cielo”, così da sottrarlo al Calvario; né al poeta John Milton di affidargli nel 1667 una parte consistente nel suo Paradiso Perduto. Oggi invece Uriele deve accontentarsi del controllo dell’Era dell’Acquario, affidatogli esplicitamente da certi autori New Age: forse è un altro caso di arcangelo decaduto.


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