Riproponiamo on-line la trascrizione delle meditazioni proposte da don Franco Cagnasso ai preti della diocesi di Roma negli esercizi spirituali del 13-17 novembre 2000. Ogni settimana sarà messa a disposizione sul nostro sito una meditazione perché possa accompagnare la preghiera personale. La trascrizione dei testi è stata curata dal Servizio diocesano di formazione permanente del clero, guidato da mons.Luciano Pascucci. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line del testo.
Il Centro culturale Gli scritti (17/5/2007)
Il Signore conosce la nostra fatica. Pensieri, attese, peccati, impegni... ci viene incontro come
colui che ha accompagnato il nostro cammino. Non dobbiamo avvicinarci e spiegargli, perché ci è
già vicino e sa.
Ciò che occorre in realtà è che noi prendiamo coscienza di noi stessi. La stanchezza della
fatica che il Signore conosce può annebbiare la mente e appesantire il cuore fino al punto di non sapere (o
almeno di non percepire) più bene chi siamo e dove siamo. Ma non è bene proseguire così;
perciò oggi e domani ci fermeremo su questo aspetto, con calma, perché è un aspetto
fondamentale. Spesso più che aggiungere qualcosa o mettere in rilievo qualche particolare, abbiamo bisogno di
fare il punto, di fermarci per guardarci attorno e dentro per riprendere pieno contatto con la realtà attorno
a noi e in noi.
Leggiamo un passo che farà da riferimento per la meditazione: Deut 8, 1-6. 12-18.
Sappiamo bene che la nostra fede è un’attesa, ci proietta sul futuro e alla luce del futuro
trasforma profondamente l’oggi. Tutto ciò si basa sul ricordo, sulla memoria. Abramo parte dalla
terra degli idoli alla ricerca di una memoria perduta, la memoria di un Dio unico e amico che dialoga con Adamo nel
giardino, che promette di non distruggere la terra. Dopo, ci sarà la memoria dei Patriarchi, per sostenere nel
nome del Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Questa memoria risvegliata fa compiere al popolo il passo di uscire
dall’Egitto e attraversare il mare. E anche questo diventerà oggetto di memoria; l’Esodo
fonderà la speranza e gli impegni, darà identità a intere generazioni. Esodo, patto, esilio...
fino a Gesù, il quale lasciandoci dona il gesto supremo della memoria: “Fate questo in memoria di
me”.
Questo “fare memoria”, che prima poteva sembrare solo un motivare, risvegliando energie e speranze
(per quanto forti ed efficaci) ora è chiaramente un cancellare il tempo e lo spazio per renderci presenti
all’evento della nostra salvezza, per farcene partecipi qui e ora, così come lo furono gli
apostoli.
Un “fare memoria” di popolo, collettivo, sui grandi avvenimenti della nostra salvezza ci dà
identità e forma la nostra fede.
Questo brano che abbiamo letto pone in bocca a Mosè proprio un momento di presa di coscienza, una catechesi
sul fare memoria. Il momento è grave, determinante. Il popolo sta per attraversare il Giordano ed entrare
in una terra che è stata desiderata e cercata per 40 anni ed allo stesso tempo è ignota e temuta...
Deve fidarsi, entrare nelle acque che sono pericolose, e inoltrarsi su terreni e fra genti sconosciute. Dove trovare
forza e fede per farlo? Nella memoria.
“Ricordati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere”.
E’ un ricordo che ha tanti aspetti: fame e manna, sete e acqua, tanta strada eppure il piede è ancora
sano e il vestito non è logoro; serpenti e scorpioni in un deserto spaventoso e la mano di Dio che salva.
Tutto ciò è stato “prova”: prova “per sapere quello che avevi nel cuore”, ma
anche garanzia “che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore”. Diventa conoscenza di
sé, umiliazione perché libera dalla presunzione, e conoscenza di Dio che è fedele e che
può salvarci e guidarci anche nelle difficoltà più grandi.
La mancanza di memoria, il non ricordare ha conseguenze gravi.
Può inorgoglire, come dice questo passo. Se non ricordi, dirai che le ricchezze sono frutto del tuo
ingegno, le terre conquista delle tue armi. Diventi autosufficiente, ti ritieni capace di bastare a te stesso, e
questo ti condannerà all’isolamento e alla sconfitta.
Può paralizzare, lasciare indifesi davanti al futuro: come faccio? chi mi aiuterà? con quali
mezzi?
Può far piombare nello sconforto e non permettere di capire ciò che accade.
Per questo il “far ricordare” è opera dello Spirito Santo. Gv 14,26: “Il
Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli vi insegnerà ogni cosa e vi
ricorderà tutto ciò che vi ho detto”, e Gv 16,4: “Vi ho detto queste cose perché,
quando giungerà la loro ora, ricordiate che ve ne ho parlato”.
Questo ricordare avviene, ma a fatica. In Gv 2,22 si dice che: “Quando poi fu risuscitato dai morti, i
suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla Parola detta da
Gesù”; ricordarono cioè che aveva parlato di distruzione e risurrezione del tempio. Altrove
però questo ricordo non è così scontato. Tutto l’episodio dei discepoli di Emmaus lo pone
in evidenza. Un ricordo solo generico e intellettuale non scalda il cuore, non libera dalla delusione e dal ritorno
sui propri passi, lontano da Gerusalemme. “Fare memoria” con il Signore invece “apre gli
occhi” (Lc 24,13-35).
La fatica del deserto ha fatto dimenticare a Israele l’opera di Dio (così come la ricchezza e il
benessere fanno dimenticare); occorre un recupero che li accompagni a rileggere gli avvenimenti perché si
dispongano ad attraversare il Giordano. Così i due di Emmaus (come a tutti, compresa Maria di Magdala); il
dolore della morte del Signore ha fatto dimenticare il suo volto, ha portato lontano la forza delle sue parole, la
bellezza delle sue opere.
Anche Pietro non ricorda le parole di Gesù mentre discute con la serva, nel cortile del sommo sacerdote, e lo
rinnega. Sarà il suo sguardo a “far ricordare” e suscitare il pentimento, il ritorno a lui.
In un momento di grande importanza per il cammino della chiesa nascente, quando lo Spirito scende su Cornelio e
sui suoi famigliari, Pietro “ricorda” quella parola del Signore che diceva: “Giovanni
battezzò con acqua, voi invece sarete battezzati in Spirito Santo”, e questo ricordo gli fa compiere la
scelta di battezzare i pagani, con le enormi conseguenze che ne derivano (At 11,16).
In Deuteronomio però non c’è solo il ricordo di ciò che è accaduto, ma anche
quello delle promesse e quindi delle attese. Perché abbiamo faticato e lottato tanto? Perché
umiliazioni, fame, prove, pericoli? Perché quel Dio che ti ha chiamato e poi condotto e messo alla prova,
vuole “farti entrare in un paese fertile”. C’è una meta da “ricordare”, anche se
è nel futuro. Ricordare nel senso che essa è stata identificata e desiderata sulla Parola del Signore,
quella parola che tante prove ha già dato della sua potenza e fedeltà.
Ricordare fa rinascere la speranza, e i due di Emmaus tornano a Gerusalemme, si fanno testimoni. Ricordare mantiene
nella fedeltà umile a Dio, senza attribuire a noi ciò che è buono, ciò che ha avuto
successo. Tutto ciò è dimensione, forma della nostra fede, che legge la storia di Israele, di
Gesù, della chiesa.
Credo che occorra poi fare un passo in più e leggere allo stesso modo la nostra storia personale, per
risvegliare una fede esistenziale, viva.
Non siamo numeri di un esercito che forma il popolo di Dio, né spettatori di storia di salvezza. Essa si
attua nelle persone e quindi in ciascuno di noi. Ciascuno di noi ha la possibilità di
“ricordare” in modo distratto e stolto, come se tutto fosse occasionale e slegato, vivendo alla giornata
sulla base di impressioni più o meno positive; o addirittura di non ricordare. Quante volte consoliamo le
persone - o veniamo consolati - semplicemente ripetendo cose note, persino scontate. L’essere accanto e
l’aiutare a ricordare attualizzano il mistero di Dio che si mette accanto a noi e ci ricorda ciò che lui
ha fatto per noi, ciò che ha promesso. Per questo i ricordi, se vissuti con fede, hanno forza di
consolazione. Per questo anche noi preti abbiamo bisogno di chi ci dice ciò che già sappiamo.
Se dimenticassimo tutto questo, ciò significherebbe vivere da estranei alla fede che predichiamo.
Parleremmo di perdono e lo amministreremmo, ma non ricorderemmo il perdono ricevuto, non ci sentiremmo partecipi di
questo evento che ogni giorno accade nella chiesa e nel mondo. Perché ci sentiremmo giusti, o perché
non ci lasceremmo veramente toccare da questo dono di grazia: ce ne sentiremmo indegni, o temeremmo le sue
conseguenze. Senza questo ricordo, parleremmo di amore di Dio e non ci sentiremmo amati; parleremmo di speranza e non
sapremmo bene che cosa sperare.
“Conosco la tua fatica”. Il popolo è stato aiutato da Mosè a fare memoria per rimettersi in
cammino; Gesù si è accostato ai due di Emmaus; lo Spirito Santo è inviato a ciascuno di noi per
“ricordarci”. Non le parole di Gesù scritte nei libri, ma la sua parola rivolta a ciascuno di noi.
Parola che ci ha liberati; che ci ha promesso, affascinandoci; che ci ha messo in cammino. Parola di cui ci siamo
fidati, ma non poche volte ci ha fatto soffrire. Parola che forse ci pare priva della sua forza, promesse che paiono
sempre più lontane, mentre noi, pur continuando ad essere seguaci, ci sentiamo sempre meno toccati
interiormente, sempre meno trasformati.
Vi invito dunque a meditare Deuteronomio 8 per fare allo stesso modo memoria del vostro deserto e delle vostre
attese.
Ricordare in modo dettagliato, chiaro. Ripercorrere la storia della propria vita, come ciascuno è giunto qui
attraverso esperienze e passaggi che il Signore conosce e che noi dobbiamo riportare alla nostra coscienza,
perché questo è il fondamento di un rapporto giusto, personale e profondo con il Signore. Rapporto
fondato sulla verità, non quella astratta dei libri (che serve come riferimento), ma quella di chi è
ciascuno di noi è e di come è davanti a Dio. Ricordare ha alcuni obiettivi, che in questa meditazione
si possono iniziare a delineare, ma li riprenderemo:
Per altri articoli e studi di d.Franco Cagnasso o sul libro del Deuteronomio presenti su questo sito, vedi la pagina Sacra Scrittura (Antico e Nuovo Testamento) nella sezione Percorsi tematici