Riproponiamo on-line la trascrizione delle meditazioni proposte da don Franco Cagnasso ai preti della diocesi di Roma negli esercizi spirituali del 13-17 novembre 2000. Ogni settimana sarà messa a disposizione sul nostro sito una meditazione perché possa accompagnare la preghiera personale. La trascrizione dei testi è stata curata dal Servizio diocesano di formazione permanente del clero, guidato da mons.Luciano Pascucci. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line del testo.
Il Centro culturale Gli scritti (10/5/2007)
Incominciamo tenendo conto della fatica di entrare nel silenzio, in un ritmo di vita insolito, di
interiorizzare, riferendo a se stessi e non ad altri (ministero, ecc.). Non siamo fatti a compartimenti stagni,
né abbiamo interruttori per passare di colpo da una condizione all’altra. Conviene dunque
“accompagnare” noi stessi in modo convinto, ma graduale dentro il clima di queste giornate, dentro il
nostro mondo interiore e verso un più consapevole e prolungato colloquio con Dio.
L’efficacia di questo passaggio, oltre che a essere favorito dalla nostra buona volontà, dalla
persuasione che esso è solo un altro modo di vivere ciò che viviamo abitualmente. Pur distaccandocene
psicologicamente e fisicamente, noi portiamo in noi stessi persone, problemi, speranze e preoccupazioni... anche qui
siamo pastori della nostra gente. Pur cercando di entrare in una dimensione di maggiore consapevolezza del nostro
rapporto con Dio, noi non ci accostiamo a lui come uno che non ci conosce, uno estraneo al nostro quotidiano che ora
ci attende qui (come potrebbe essere un monaco a cui si va per un consiglio, una preghiera...).
Per questo ho scelto come tema o come filo conduttore di queste giornate un versetto dell’Apocalisse. Il libro
della “Rivelazione di Gesù Cristo, che gli fu data da Dio, affinché mostrasse ai suoi servi le
cose che debbono accadere... (perché) il tempo è vicino” (Ap 1,1.3b) si apre con lettere scritte
alle sette chiese, per le quali c’è una parola che attualizza il messaggio del Vangelo, applicandolo
alla loro condizione concreta. La Parola che è eterna si riformula quasi, per risuonare dentro la storia di
ciascuna chiesa, ciò che essa ha vissuto, vive, attende, spera, sbaglia... Ciò vale per ogni chiesa
e per ogni individuo.
L’Angelo, lo Spirito applica a ciascuno la Parola che lo salva, cogliendolo nella sua condizione concreta di
peccato o di impegno, di tiepidezza di lotta, di fede o di paura, ecc. Natan è profeta non perché
dice che Dio condanna l’ingiustizia, ma perché dice a Davide: “Sei tu quell’uomo!”
(2Sam 12,7), cioè porta la Parola dentro la storia di Davide perché la illumini e in questo caso
faccia emergere il suo peccato.
L’attualizzazione, la profezia di Apocalisse sulle sette chiese, ha un punto di partenza comune a tutte.
L’angelo inizia scrivendo: “Conosco le tue opere... Conosco la tua tribolazione... So che abiti dove
Satana ha il suo trono... (e ancora) conosco le tue opere...” (cfr Ap 2,3).
In particolare, alla prima chiesa cui si rivolge, quella di Efeso, l’angelo scrive: “Conosco la tua
fatica...” (Ap 2,1-6).
Chi di noi ha una formazione tradizionale, forse collega immediatamente il pensiero della presenza di Dio, di un
suo conoscerci personalmente, da vicino, con il pensiero di un giudizio. Uno sguardo vigile al quale non sfuggono le
colpe. Questo è certamente vero. Tuttavia, sarebbe riduttivo e in fondo sbagliato limitarsi a questo aspetto.
Questo “conosce” che l’angelo scrive ha un significato molto più ampio, è il
“conoscere” di chi non è mai stato assente, ha preso a cuore, ama e perciò segue.
Quando una persona ci viene a parlare e noi possiamo dire: sì, ti ricordo, conosco la tua situazione, so chi
tu sei... il dialogo è subito avviato.
Vi invito dunque ad entrare in questo tempo di esercizi accogliendo e facendo vostro questo messaggio che la
Scrittura propone: il Signore conosce, sa.
Arriviamo qui con le nostre stanchezze, con il nostro carico di fatica, forse con il desiderio di un po’ di
riposo e di tranquillità, forse con inquietudine e scetticismo (...tanto non cambia niente!) o semplicemente
con il pensare che “bisogna fare” anche gli esercizi. Forse c’è qualcosa di irrisolto,
qualcosa che ci pesa dentro e non sappiamo bene se guardarlo in faccia o lasciarlo a fianco, sperare che non ci dia
fastidio... Forse c’è tanto desiderio di pace, di impegno, di ripresa... troppo per i pochi giorni che
abbiamo davanti a noi.
Quale che sia il nostro stato d’animo ( forse non ancora decifrato da noi stessi), non nascondiamocelo! Il
primo passo da fare è di prendere coscienza, senza la pretesa di prescindere volontaristicamente da esso.
Mi trovo in questa condizione; e il Signore conosce.
E’ la conoscenza di Colui che ci ha accompagnato in ogni istante della nostra vita, di Colui che ci crea, ci
sceglie, ci ama fino all’ultima fibra del nostro corpo, del cuore, della mente. Colui che prima di essere
nostro giudice dallo sguardo indagatore, è creatore, redentore e padre.
Lasciamo risuonare in noi il Salmo che ben conosciamo, e che ci può accompagnare in un progressivo rientrare
in noi stessi, in un prenderci in mano, non però nella solitudine, ma sotto lo sguardo di Colui che
è “più intimo a me di me stesso” (Salmo 139).
Questo sguardo di Dio che conosce è rivelato da Gesù, di cui il Vangelo di Giovanni dice che
“conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno gli desse testimonianza su un altro, egli infatti sapeva quello
che c’è in ogni uomo” (Gv 2,24-25).
E’ una conoscenza critica e severa a volte, che chiede conto di ciò che i discepoli cercavano di
tenere nascosto: “Di che cosa discutevate per via?” (Mc 9,33) chiede, ben sapendo che parlavano dei primi
posti. “Gesù era a conoscenza dei loro pensieri”, dice Luca 6,8, quando nella sinagoga i farisei
si chiedono se fare la guarigione di sabato dell’uomo dalla mano inaridita.
E’ conoscenza del cuore più penetrante e vera di quella della stessa persona conosciuta, come il
cuore di Pietro. Lui dice: “Con te sono pronto ad andare in prigione e alla morte”, e il Signore
risponde: “Non canterà oggi il gallo prima che tu per tre volte avrai negato di conoscermi”.
Basterà poi uno sguardo per ricordare a Pietro quanto fosse stato cieco, e quanto il Maestro conoscesse di lui
(cfr. Lc 22,33-34. 61-62). Lo sguardo misterioso che stupisce Natanaele: “Come mi conosci” (Gv 1,48) e
che porta il giovane ricco ad una decisione purtroppo triste, forse proprio perché non ne sa accettare la
profondità (Mc 10,21). Gesù “conosce le sue pecore” (Gv 10, 14).
Conosce la loro fatica e quindi dà uno sguardo di compassione come in Mt 9,36: “Vedendo le folle ne
sentì compassione, perché erano come pecore senza pastore”, perciò si sentivano
“non conosciute”. Lo sguardo del padre che “da lontano” vede il figlio che ritorna (Lc
15,20), perché il Padre “sapeva” che sarebbe tornato. Lo sguardo del samaritano che si ferma a
curare l’uomo ferito sul ciglio della strada (Lc 10,33ss ).
E’ il “conoscere” di uno che ha sperimentato e perciò non ci è estraneo.
Cristo - dice la lettera agli Ebrei - “sa compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso
provato in ogni cosa, a somiglianza di noi” (Eb 4,14-5,8). E’ vero che da questo “ogni
cosa” è escluso il peccato, tuttavia del peccato Cristo si è caricato fino a sentirne
l’angoscia molto più di noi, dunque possiamo dire che “conosce” il peccato non perché
lo commette, ma perché ne vive ogni conseguenza esteriore e interiore.
Prendere coscienza di questo “conoscere” del Signore nei nostri riguardi ci permette:
Il Signore dunque ci viene incontro oggi con questa parola: “Conosco la tua fatica”, “So dove abiti”, “Ho visto”... E’ un venirci incontro amichevole, che ha certo qualcosa o molto da correggere, ma è motivato dall’amicizia e dalla capacità di comprendere per aver sperimentato. Lasciamoci afferrare da questa verità per poter gradualmente arrivare ad un pieno e rigenerante abbandono in lui e alla sua volontà.