«Il Figlio di Dio, Gesù Cristo che
abbiamo predicato tra voi, io, Silvano e Timoteo ecc.» (2Cor
1,19), «Quando venni tra voi, non mi presentai con
sublimità di parola…, ma venni in debolezza e con molto
timore e trepidazione ecc.» (1Cor 2,1-5): dalle sue stesse parole
si apprende che Paolo ha fondato la comunità corinzia insieme
con Silvano e Timoteo.
Il libro degli Atti (18,1-19,1) aggiunge molti altri particolari: (i) A
Corinto egli abitò con Aquilàs e Priscilla e
lavorò con loro come
σκηνοποιος,
cioè come fabbricatore di tende; (ii) annunciava Gesù
nella sinagoga, e potè farlo a tempo pieno quando dalla
Macedonia arrivarono Sila (il Silvano delle lettere) e Timoteo con
aiuti finanziari; (iii) contrastato dai giudei, abbandonò la
sinagoga e si trasferì nella casa di Tizio Giusto, un
‘timorato di Dio’; (iv) una visione lo incoraggiò e
(v) trascorse così a Corinto un anno e mezzo; (vi)
l’ostilità dei giudei lo portò davanti al tribunale
di Gallione; (vii) poco dopo partì da Cencre (= porto orientale
di Corinto); (viii) lasciati a Efeso Aquilàs e Priscilla,
proseguì per Cesarea e Gerusalemme (= fine secondo viaggio
missionario); (ix) dopo aver attraversato Galazia e Frigia (= inizio
del terzo viaggio), Paolo si ricongiunse a Efeso con Aquilàs e
Priscilla. A Efeso si fermerà circa tre anni, e da quella
città scriverà ai Corinzi.
Dato il vivace commercio esistente tra le due città marittime di Corinto e di Efeso, non era difficile per Paolo tenersi in contatto assiduo con la chiesa di Corinto. Da 1Cor 5,9-13 si apprende che, prima di 1Cor, Paolo ha scritto un’altra lettera: «Vi ho scritto nella lettera precedente di non mescolarvi con gli impudichi…». Quella lettera viene di solito chiamata ‘lettera A’, o lettera ‘degli immorali /impudichi’, ed è una lettera pre-canonica, perché con ogni probabilità è andata perduta. La lettera fu fraintesa: «…Non mi riferivo però agli impudichi di questo mondo, altrimenti dovreste uscire dal mondo; vi ho invece scritto ecc.» (5,10).
Non avendo raggiunto lo scopo con la lettera
‘degli impudichi’, Paolo mandò a Corinto Timoteo
(1Cor 4,17) ma, mentre Timoteo era ancora in viaggio (1Cor 16,10),
ricevette una lettera da parte dei Corinzi (1Cor 7,1), e anche
informazioni orali da quelli della famiglia di Cloe (1Cor 1,11), da
altri viaggiatori (1Cor 5,1: «Si sente dire che…») e
da Stefanàs, Fortunato e Acaico che gli avevano fatto visita
(16,17).
Paolo reagì alle informazioni provenienti da Corinto scrivendo
la lettera B, quella che per noi è la 1Cor. In essa Paolo dice
di scrivere da Efeso mentre si è in attesa della Pentecoste
(1Cor 16,8), dunque in primavera. La lettera fu portata a Corinto forse
dalle persone menzionate in 16,17-18, delle quali dice: «Io mi
rallegro della visita di Stefanàs, di Fortunato e di
Acaico… Sappiate apprezzare tali persone».
Di questa visita nulla dicono gli Atti, ma essa si ricava da 2Cor 12,14 e 13,1, dove Paolo parla della sua imminente “terza visita”: «Questa sarà la terza volta che verrò da voi…». A più riprese Paolo aveva progettato una visita a Corinto e aveva previsto almeno due itinerari: Efeso-Macedonia-Corinto (1Cor 16,5); e Efeso-Corinto-Macedonia-Corinto (2Cor 1,15-16). Poiché la missione di Timoteo e la “lettera B” non avevano avuto buon risultato, al posto di una visita lunga nella quale prevedeva di svernare a Corinto (1Cor 16,5-7), Paolo fece a Corinto una visita-lampo, che però sarebbe stato meglio non avesse mai fatto. Tra l’altro, più tardi dovrà difendersi dall’accusa di leggerezza per aver cambiato tempi e itinerario della visita. Dirà che, se ha cambiato, non lo ha fatto per leggerezza o comportandosi ‘secondo la carne’ in modo che le sue parole sono sì e no nello stesso tempo: lo ha fatto solo per non infierire contro la comunità (2Cor 1,15-24). Ma, soprattutto, improvvisata e mal preparata, la visita-lampo portò a uno scontro violento fra Paolo e i Corinzi. Qualcuno affrontò Paolo e lo offese pubblicamente: «Se qualcuno mi ha rattristato, non ha rattristato me soltanto, ma tutti voi…»; «…se vi ho scritto non fu tanto a motivo dell’offensore o a motivo dell’offeso, ma perché ecc.» (2Cor 2,5-11; 7,12). Contestato in pubblico in una comunità da lui stesso fondata, Paolo ripartì subito per Efeso. Fu in assoluto il momento peggiore dei rapporti tra Paolo e i Corinzi.
Dopo il precipitoso rientro a Efeso, Paolo scrisse
una lettera molto dura e severa della quale siamo informati in 2Cor
2,3-4: «Vi ho scritto in un momento di grande tristezza e col
cuore angosciato, tra molte lacrime», e in 2Cor 7,8:
«Se anche io vi ho rattristati con la mia lettera, non me ne
dispiace perché ecc. Vedo infatti che quella lettera vi ha
rattristati ecc.». Anche questa lettera è probabilmente
perduta, a meno che, come alcuni pensano, non sia da individuare in
2Cor 10-13.
Per primo ricostruì questi avvenimenti intermedi tra le due
lettere canoniche H. Ewald nel 1849 («Bemerkungen über die
Paulusbriefe», in Jahrbücher der bibl. Wissenschaft
2, 225-229), anche se qualcuno tuttora ritiene non ci sia stata
né la visita-lampo né la lettera severa, che sarebbe la
1Cor con tutti i suoi rimproveri; cf. per esempio R. DEVREESSE,
«La deuxième aux Corinthiens et la seconde finale aux
Romains», in Mélanges E. Tisserant, I
(Città del Vaticano 1964), 135-151, e N. HYLDAHL, «Die
Frage nach der literarischen Einheit des zweiten
Korintherbriefes», in Zeitschrift für die
neutestamentliche Wissenschaft (1973), 299-336.
Sempre preoccupato della situazione di Corinto,
forse nutrendo dubbi sull’efficacia della lettera severa, Paolo
mandò a Corinto il suo collaboratore Tito perché
ricucisse la lacerazione. In preda all’inquietudine, Paolo
andò incontro a Tito a Troade, dove forse si erano dati
appuntamento, e non avendolo trovato, sempre in preda
all’eccitazione, andò ad incontrarlo in Macedonia:
«Giunto a Troade, sebbene la porta mi fosse aperta nel Signore,
non ebbi pace nello Spirito, perché non vi trovai Tito, mio
fratello. Perciò, congedatomi da loro, partii per la
Macedonia» (2Cor 2,12-13). Fu in Macedonia che i due
s’incontrarono: «Da quando siamo giunti in Macedonia, la
nostra carne non ha avuto sollievo alcuno, e da ogni parte siamo
tribolati: battaglie all’esterno, timori al di dentro. Ma il Dio
che consola gli afflitti ci ha consolati con la venuta di Tito»
(2Cor 7,5-7).
A Corinto Tito aveva fatto un buon lavoro. La maggioranza della
comunità aveva preso provvedimenti contro l’offensore:
«Per quel tale è sufficiente il castigo che gli sia venuto
dai più» (2Cor 1,6ss), e la comunità aveva fatto
pace con Paolo: «Egli [= Tito] ci ha annunziato il vostro
desiderio, dolore, affetto per me: così che la mia gioia
è accresciuta ecc. Quanta sollecitudine … anzi, quante
scuse, quanta indignazione, quale timore, quale desiderio, quale
affetto, quale punizione! Ecco quello che ci ha consolati. Mi rallegro
perché posso contare totalmente su di voi» (2Cor 7,5-16).
Dopo l’incontro con Tito, non solo per la
gioia delle buone notizie ricevute, ma anche per far fronte a certi
missionari itineranti sopraggiunti a Corinto che si erano interposti
tra Paolo e la comunità, egli scrisse un’altra lettera.
Dal contesto si ricava che Paolo si trova in Macedonia, perché
fa riferimento a ciò che sta dicendo e facendo nelle chiese
macèdoni (8,1 e 9,2). In Macedonia si sta raccogliendo la
colletta per la chiesa di Gerusalemme, e Paolo chiede allora ai Corinzi
che anch’essi portino a termine la raccolta prima che egli giunga
per la terza visita.
Intanto manda a Corinto Tito e altri due “fratelli”, di cui
non dà il nome (cf. 2Cor 8,16 per Tito; 8,18.22 per gli altri
due; 12,18 per Tito e un altro), con il compito di sovrintendere alla
colletta: «Con ciò [= coinvolgendo rappresentanti delle
chiese] intendiamo evitare che qualcuno possa biasimarci per questa
abbondanza che viene da noi amministrata. Ci preoccupiamo infatti di
comportarci bene non soltanto davanti al Signore, ma anche davanti agli
uomini» (2Cor 8,20-21).
Fu appunto la visita della colletta.
Nell’impresa erano state coinvolte le chiese di Galazia
(«Quanto poi alla colletta in favore dei fratelli, fate anche voi
come ho ordinato alle chiese della Galazia: ogni primo giorno della
settimana ciascuno metta da parte ciò che gli è riuscito
di risparmiare», 1Cor 16,1-2), e le chiese di Macedonia e Acaia
(2Cor 8-9; Rm 15,22ss).
Al tempo in cui scrisse la 1Cor, Paolo pensava forse che a Gerusalemme
potevano andare solo i delegati delle chiese con una sua lettera:
«Quando poi giungerò, manderò con una mia lettera
quelli che voi avrete scelto per portare il dono della vostra
generosità a Gerusalemme. Se converrà che vada
anch’io, essi partiranno con me» (1Cor 16,3-4). Arrivato a
Corinto, era invece già convinto o si convinse della delicatezza
di quella missione, e decise di andare anche lui. È da Corinto
infatti che scrisse: «Per il momento vado a Gerusalemme. La
Macedonia e l’Acaia hanno voluto fare una colletta a favore dei
poveri che sono nella comunità di Gerusalemme. Vi esorto
ecc.» (Rm 15,25-32). Questa terza visita di Paolo è
menzionata anche in At 20,2-4, quantunque non vi si faccia il nome di
Corinto bensì dell’Acaia (di cui Corinto era capitale). Il
testo di Atti dà però la lista dei delegati delle chiese
al v. 4 senza dire che il viaggio a Gerusalemme aveva come scopo quello
di portare le collette.
A Gerusalemme Paolo fu arrestato, e poi, dopo una lunga carcerazione a
Cesarea Marittima (sulla costa palestinese), fu portato a Roma in
catene e, secondo l’opinione maggioritaria tra gli studiosi
moderni, dopo due anni di detenzione fu messo a morte.
Se si accettano le informazioni delle Lettere Pastorali, allora Paolo, prima di morire potrebbe aver fatto un altro viaggio in Oriente (Creta, Asia Minore, Grecia), e potrebbe essere stato a Corinto un’ultima volta: «Erasto, è rimasto a Corinto ecc.» (2Tm 4,20).
Lo storico greco Tucidide parla di due scali marittimi di Corinto (Hist. 1,13,5), e il poeta latino Orazio definisce Corinto ‘bimaris’ (= situata su due mari, Metam. 6,420). Corinto aveva infatti accesso a due mari e su ogni mare aveva uno o più porti: il porto orientale principale era quello di Cencre (menzionato in At 18,18 e Rm 16,1) che metteva in comunicazione con Asia, Siria-Palestina, Egitto; mentre il porto occidentale era quello del Lechéo (non menzionato nel NT), che metteva in comunicazione con Roma e l’Italia, con Sicilia, Gallia, Spagna, e Africa nord-occidentale. Tra un mare e l’altro il διολκος, strada lastricata per trainare le merci da un mare all’altro (da διελκειν = tirare, trascinare), permetteva di evitare il periplo del Peloponneso: «I mercanti che viaggiavano via mare, gli uni dall’Italia e gli altri dall’Asia, di buon grado evitavano il passaggio del capo Malea, e venivano a scaricare qui le loro merci» (Strabone 8,6,20). Sul medesimo tracciato nel 1893 è stato costruito il moderno canale di Corinto. – A Istmia (e cioè ‘città dell’istmo’), a 4 km sud-est di Corinto, ogni due anni si svolgevano i giochi ‘istmici’ che, insieme a quelli di Olimpia, Delfi, e Nemea, erano pan-ellenici. – Tutto questo dà una idea della collocazione strategica di Corinto per il commercio marittimo, per i viaggi, per lo sport, e poi per la varietà delle razze, delle religioni, dei culti, e spiega la scelta di Corinto da parte di Paolo come centro di evangelizzazione.
La storia della città è divisa in due
dalla vittoria dei Romani sulla lega achèa di cui Corinto era a
capo. Il console Lucio Mummio nel 146 a.C., vinta la lega achèa,
aveva distrutto la città, che era stata tra le più
illustri della storia greca e fondatrice di colonie fin dal sec. viii.
Dopo circa cento anni, nel 44 a.C., Giulio Cesare la fece risorgere con
un nome latino (Colonia Laus Iulia Corinthiensis), e con coloni
latini (cf. le iscrizioni latine trovate dagli archeologi: su 104
iscrizioni pre-adrianee, 101 sono in latino, solo 3 in greco, e cf. i
nomi latini nelle lettere paoline: Tizio, Crispo, Gaio, Terzo, Quarto,
Lucio, Fortunato). Nel 27 a.C. Corinto divenne capitale della provincia
romana di Acaia, lasciando ad Atene solo il primato culturale. –
Al tempo di Paolo, dopo Roma, con Alessandria, Antiochia di Siria ed
Efeso, la città di Corinto era tra le città più
grandi e importanti dell’impero, con circa 300.000 abitanti.
Su Corinto e Istmia cf. O. BROONEER, «The Apostle Paul and the
Isthmian Games», in Biblical Archaeologist 25
(1962) 2-31, e J. MURPHY-O’CONNOR, Corinthe au temps de saint
Paul d’après les textes et l’archéologie,
Paris 1986 (Wilmington, DE, 1983). Sulla distruzione (parziale o
totale) di Corinto cf. R. OSTER, «Use, Misuse and Neglect of
Archaeological Evidence in Some Modern Works on 1Corinthians», in
Zeitschrift für die neutestamentliche Wissenschaft 83
(1992), 52-73, e la discussione tra W. WILLIS, «Corinthusne
deletus [sic per deleta] est?», in Biblische
Zeitschrift 35 (1991), 233-241; e D.W.J. GILL, «Corinth, a
Roman Colony in Achea», in Biblische Zeitschrift 37
(1993), 259-264.
Tensioni nel testo, contraddizioni, ripetizioni, e soprattutto il desiderio di ritrovare qualcosa delle lettere perdute hanno suggerito l’idea - tutta moderna e non provata - che 1Cor sia compilazione di più lettere. Le difficoltà del testo però si spiegano sufficientemente col fatto che la dettatura di lettere così lunghe era necessariamente a intermittenza.
1Cor fu scritta da Efeso (16,8) nel 57, prima di 2Cor e della terza visita a Corinto o, due anni prima, nel 55? Per i molti avvenimenti che sono da collocare dopo la sua stesura, è più probabile una datazione a metà del soggiorno a Efeso (55 / 56), non alla fine.
A questa lettera siamo debitori del più antico racconto della cena (11,23-27), di un antichissimo schema catechetico (15,3-7), del più antico resoconto sulle apparizioni del Risorto (15,5-8), dell’inno o, meglio, encomio della carità (1Cor 13), di una lunga riflessione sulla resurrezione (1Cor 15), dell’applicazione del Vangelo all’ambiente urbano, che era nato in ambiente rurale, del confronto del Vangelo con l’ambiente ellenistico, così come le lettere ai Galati e ai Romani lo saranno con la teologia giudaica; dell’interesse alla prassi comunitaria e all’approfondimento teologico del k?rygma e della fede.
Non solo in 1Cor ma soprattutto in essa, si
incontrano brusche interruzioni dell’argomento che viene ripreso
solo dopo digressioni, lunghe anche un intero capitolo. Poiché
tali digressioni disturbano la struttura della lettera spesso gli
autori hanno pensato a interpolazioni, oppure a spostamenti di fogli
ecc. La spiegazione sembra però da cercare nel carattere emotivo
di Paolo e nella sua tendenza a pensare in termini dialettici. Quando
si sente attaccato, Paolo è portato a introdurre improvvisamente
argomenti di autodifesa personale. O, ancora meglio, partendo da una
questione particolare e talvolta perfino banale, che si potrebbe
chiamare “elemento A”, Paolo si allontana richiamandosi a
un principio universale o “elemento B”, per poi tornare
all’ “elemento A”, investendolo della luce e della
ricchezza che esso inizialmente non aveva. Cf. J.J. COLLINS,
«Chiasmus, The ‘ABA’ Pattern and the Text of
Paul», in Studiorum paulinorum congressus internationalis
catholicus 1961, II (Analecta Biblica 18; Romae 1963), 575-583. A
questo riguardo J.N. Aletti ha messo in luce come l’elemento
centrale non necessariamente e, anzi, molto raramente sia
l’elemento più importante, e di conseguenza come il
ritorno all’elemento “A” non significhi regressione:
«Il centro geometrico non sempre corrisponde al centro
semantico», ALETTI, «Israele in Rom», 114, nota 16;
IDEM, Comment Dieu, 121, 145, 163-164. MURPHY-O’CONNOR, L’art
épistolaire, 134-141, approva Aletti e precisa che una
struttura concentrica non è necessariamente un fatto cosciente,
ma istintivo (p. 140).
Lo schema a tre (o più) membri si può rintracciare in:
1Cor 1,18-2,16: La sapienza della croce (B), collocata tra «Io
sono di Paolo / Apollo / Kefa» (A), e «Io sono di Paolo /
Apollo / Kefa» (A’);
2,6-16: «C’è però una sapienza per i
perfetti» (B), collocato tra «Io non ho usato linguaggio di
sapienza» (A), e «Non ho potuto parlare a voi con sapienza
perché siete neonati in Cristo» (A’);
6,1-11: «Non ricorrete ai tribunali pagani» (B), collocato
tra «Non abbiate a che fare con gli impudichi» (A), e
«Il corpo non è per l’impudicizia» (A’);
9,1-23, e 10,1-18: «Io sono libero di farmi mantenere ma rinuncio
a quel diritto» (B), e «L’esperienza sacramentale dei
Padri nel deserto» (C), collocate tra «Si è liberi
di mangiare gli idolotiti?» (A), e «Si è liberi di
mangiare gli idolotiti?» (A’);
13,1-13: L’encomio della carità (B), collocato tra
«Aspirate ai carismi» (A) e «Aspirate ai
carismi» (A’).
La logica che governa 1Cor non è quella dottrinale (cf. invece Rom), perché Paolo in 1Cor reagisce a tutt’una serie di problemi concreti. L’accostamento di temi svariati e occasionali, comunque, non fa di questa una lettera povera di contenuti e senza una interiore unità. Solitamente si prende come criterio di divisione il tipo di informazioni, orali o scritte, cui Paolo dà risposta:
Prescritto (1,1-3)
[Secondo una interessante ipotesi, non avendo
paralleli in Paolo, tale ‘formula ecumenica’ potrebbe
essere stata aggiunta quando a Corinto è sorta la raccolta degli
scritti dell’Apostolo per universalizzare la raccolta, ad uso di
tutte le chiese.]
Ringraziamento (1,4-9)
che anticipa alcuni temi della lettera (doni dello Spirito e manifestazione escatologica)
I Parte. Reazione di Paolo alle notizie orali
1. Le divisioni (1,10-4,21) -
εδηλωθη γαρ
μοι περι υμων
υπο των
Χλοης οτι...
(A) 1,10-17: le correnti
(B) 1,18-2,5: la sapienza di questo mondo e la parola della croce
(B) 2,6-16: la sapienza divina per i perfetti
(A) 3,1-4,13: la sapienza divina non è per quelli che si dividono in correnti.
Ruolo ministeriale degli apostoli
2. Disordini morali (5,1-6,20) – ολως ακουεται εν υμιν πορνεια
(A) 5,1-13: l’incestuoso e il rapporto con gli impudichi
(B) 6,1-11: il ricorso ai tribunali pagani
(A) 6,12-20: gli slogan circa il corpo e l’impudicizia; - libertà cristiana non è libertinismo
II Parte. Risposte alle domande scritte dei
Corinzi
1. Risposta circa matrimonio e verginità (7,1-40) -
περι δε ων
εγραψατε
2. Risposta circa gli idolotiti (8,1-11,1) - περι δε των ειδωλοθυτων
(A) 8,1-13: libertà cristiana di mangiare gli idolotiti e rinuncia per riguardo ai deboli
(B) 9,1-27: libertà di Paolo di farsi mantenere e rinuncia a quel diritto
(C) 10,1-18: esperienza ‘sacramentale’ dei Padri nel deserto e incompatibilità con gli idoli
(A) 10,19-11,1: libertà di mangiare gli idolotiti e riguardo per Giudei e Greci
3. Intervento circa le assemblee (11,2-34) - ακουω σχισματα ... υπαρχειν
4. Risposta circa i carismi (12,1-14,40) - περι δε των πνευματικων
(A) 12,1-31: molteplicità e complementarità dei carismi - paragone del corpo
(B) 13,1-13: Encomio dell’agape: la carità è il carisma più grande
(A) 14,1-40: gerarchia tra i carismi e regole pratiche
5. Intervento circa la resurrezione (15,1-58) - πως λεγουσιν τινες …;
6. Risposta circa la colletta (16,1-4) - περι δε της λογειας
Conclusione (16,5-23)
- Informazioni giunte a Paolo sui
‘partiti’ (1Cor 1,10-12)
Paolo è venuto a sapere che all’interno della chiesa di
Corinto si sono formate quattro correnti al sèguito di quattro leaders:
- Come erano sorte le correnti
Di quelle correnti Paolo dice solo i nomi dei leaders; non dice
come sono nate, o per iniziativa di chi, essendo sua unica
preoccupazione quella di far ritornare l’unità. Paolo
comunque smentisce la corrente che si rifà a lui, insieme e allo
stesso modo che smentisce le altre. Kefa poi è da lui nominato
con stima anche in 1Cor 9,5, e 15,5. Apollo infine è con Paolo
in perfetta armonia, tanto è vero che Paolo desidera inviarlo a
Corinto (16,12), evidentemente con un incarico importante. Dunque tutto
è nato senza l’approvazione e contro la volontà dei
tre apostoli nominati.
- Natura delle correnti
Per definire le correnti Paolo adopera due termini:
σχισματα (cf. 1,10), che
significa ‘divisioni’, ma non ha il valore odierno di
‘scismi’; ed εριδες
(1,11), che significa ‘litigi / discordie / conflitti’. In
3,3 le attribuisce all’immaturità cristiana dei Corinzi:
«Dal momento che ci sono tra voi invidia
(ζηλος) e discordia
(ερις), ¿non siete forse
‘carnali’ e non vi comportate in maniera del tutto
umana?». Dunque è questione di immaturità e non di
scismi. Certo la comunione non c’è e l’unità
è minacciata, ma i Corinzi hanno ancora la stessa fede,
partecipano alle stesse assemblee eucaristiche e Paolo si rivolge a
tutti come a una sola chiesa corinzia (1,2), dando per scontato che
tutti ascolteranno la lettura della lettera.
- La replica di Paolo con le tre interrogative retoriche (1Cor 1,13)
Paolo regola la questione delle correnti
telegraficamente: con tre domande. Ma non sono vere domande,
perché sono domande retoriche: sono domande,
cioè, in cui la risposta è già nella domanda, e la
domanda è solo un espediente per rafforzare l’affermazione
che si fa.
La particella interrogativa è solo nella seconda domanda: in
particolare si tratta di μη, particella interrogativa che esige
una risposta negativa. Alla domanda «¿Forse che (=
μη) Paolo fu crocefisso per voi?», è ovvio che si
deve rispondere: «No, in nessun modo! Per noi e per tutti
è stato crocefisso soltanto Gesù!». La terza
domanda ha lo stesso valore, perché la particella congiuntiva
η (che significa “oppure”) prolunga l’influsso di
μη anche per la domanda sul battesimo: «¿Forse che
nel nome di Paolo foste battezzati?». La risposta è di
nuovo necessariamente negativa: «No, in nessun modo! Tutti siamo
stati battezzati solo nel nome di Gesù». La prima domanda
sembra essere una domanda aperta e incerta, non avendo alcuna
particella interrogativa che metta nell’attesa di una risposta
positiva (ου …;) o negativa (μη
…;). In realtà anch’essa («¿È
stato diviso il Cristo?»), esige una risposta negativa:
«No, in nessun modo! Non si può dividere il
Cristo!». Nel fatto che Paolo non abbia premesso alcuna
particella, potremmo vedere la fretta con cui voleva aggredire i
quattro gruppi con le sue domande. L’indeterminatezza della prima
domanda, comunque, sarà precisata dalla particella che introduce
la seconda (e la terza).
- Il valore argomentativo delle tre domande retoriche
Con la prima domanda Paolo afferma che non si può dividere il
Cristo. Se c’è un solo Cristo, ci dev’essere anche
una sola chiesa, un solo corpo del Cristo. Con la seconda Paolo afferma
che la fede è fede in Cristo e la salvezza è stata
operata da lui. Il Cristo e non Paolo è stato crocifisso: i
Corinzi invece stanno sostituendo la fede in Cristo con la fede in
Paolo ecc. Qualcuno nelle correnti vuole definire la chiesa in base a
chi amministra il battesimo; ma ciò che è essenziale nel
battesimo non è certo il battezzatore, bensì invece nel
nome di chi (= nella potenza salvifica di chi) si è battezzati,
e il battesimo cristiano è battesimo nel nome di Gesù.
Paolo lo ricorda ai Corinzi con la terza domanda retorica. –
Insomma, con tre interrogative retoriche (v. 13), tutte incentrate sul
Cristo, Paolo fa terra bruciata intorno ai quattro gruppi corinzi,
escludendo qualsiasi ruolo salvifico delle persone cui le correnti si
richiamavano, e ponendo la crocefissione come evento salvifico unico e
decisivo. Inizia così la contrapposizione tra sapienza della
croce e sapienza di questo mondo.
- La sapienza umana e la sapienza della croce (1Cor 1,17-2,16)
L’argomentazione in base alla sapienza giunge inaspettata. Il
collegamento va forse ricostruito così: le correnti esaltano gli
uomini e la loro sapienza teologico-religiosa, e non si accorgono che
così compromettono e pèrdono la sapienza di Dio che
è sapienza della croce. In altre parole: per i Corinzi era
assurdo pretendere di trovare la verità su Dio e sull’uomo
in una scena di crocefissione: con la loro sapienza essi avrebbero
fatto molto meglio di Dio che ha permesso la morte ignominiosa del suo
figlio sulla croce. – In tal modo la passione di Gesù e la
sua morte di croce, che sono assolutamente centrali, a Corinto non sono
più al centro. A Corinto si cerca una sapienza che svuota e
annulla la croce, al di fuori della quale invece non c’è
salvezza. Qui a soppiantare la croce è la sapienza umana, in Gal
sarà la legge mosaica: Paolo difende sempre l’assoluta
centralità del Cristo e della sua morte di croce, anche se la
croce è rifiutata sia dai Giudei che, cercando i miracoli (=
segni comprovanti il Messia antipagano), la ritengono scandalo; sia dai
Greci che, cercando la sapienza alla maniera della filosofia greca, la
ritengono una follia. Nella croce Dio fa esattamente l’opposto di
quanto gli uni e gli altri s’aspetterebbero da lui. Ciò
che dunque per gli uomini è sapienza, per Dio è
stoltezza, e Dio confonde i sapienti di questo mondo con la debolezza e
la stoltezza della croce del Cristo.
In ultima analisi, si scontrano la pretesa dell’uomo di farsi una
visione del mondo antropocentrica, incentrata su se stesso e sulle
proprie potenzialità da una parte, e dall’altra il piano
salvifico di Dio incentrato invece sulla croce del suo Inviato. Per noi
moderni è importante precisare che tutta la discussione si pone
non sul piano dei valori personali e culturali, ma sul piano della
salvezza: la sapienza greca o un Messia nazionalistico giudaico non
dànno la salvezza. L’uomo deve rinunciare a ogni pretesa
di autosufficienza salvifica: per imperscrutabile volontà divina
la salvezza viene solo dalla croce.
- La sapienza divina non è per coloro che si dividono in
partiti (1Cor 3,1-4)
Dopo avere ammesso che c’è una sapienza divina, di cui
egli è partecipe e annunciatore (2,6-16), Paolo afferma che
però essa può essere conosciuta e compresa solo dagli
uomini spirituali. I Corinzi non erano perfetti o spirituali quando
egli fondò la loro comunità, e non lo sono neanche ora:
lo prova il fatto che si sono divisi in partiti basati sui personalismi
(3,2-3). Dicendo «Io sono di Paolo, io di Apollo…»,
si sottraggono infatti all’influsso dello Spirito di Dio che
hanno ricevuto nel battesimo, ritornano sotto l’influsso dello
spirito del mondo, e ritornano ad essere immaturi come neonati ai quali
non è possibile prendere cibo solido (3,1).
- Qual è il ruolo degli apostoli (1Cor 3,5-9)
Contro quelli che sopravvalutano o sottovalutano il ruolo degli
apostoli, Paolo precisa il loro statuto teologico. Non bisogna
sopravvalutarli perché sono solo dei servi
(διακονοι, 3,5), dei
subalterni (υπερηται, 4,1),
dei braccianti o dei manovali; cf. le due immagini del lavoro nei campi
o nell’edilizia: «Io ho piantato, Apollo ha irrigato»
3,6), «Io ho posto il fondamento, un altro vi costruisce
sopra» (3,10). Per questo i ministri non possono essere messi
l’uno contro l’altro come si fa a Corinto, perché
«chi pianta e chi irriga sono una sola cosa» (3,8); e,
anche se ognuno ha un ministero diverso da quello dell’altro
(fondare è diverso da sopraedificare), tuttavia quello che conta
è quello che Dio fa: «Né chi pianta, né chi
irriga è qualche cosa, ma Dio che fa crescere». – I
ministri sono collaboratori di Dio
(συνεργοι
θεου, 3,9), titolo che non comporta
alcuna parità con Dio, ma comporta che non si sottovaluti il
ruolo dei ministri: alla grazia di Dio è piaciuto assumere
uomini al suo servizio ed ora di fatto la chiesa non può essere
edificata senza il ministero degli uomini.
- Il rovesciamento dei genitivi (1Cor 3,21-23)
Con i genitivi dei loro slogan, i Corinzi si definivano come seguaci di
Apollo, o di Paolo, o di Kefa, o di Cristo: εγω
μεν ειμι
Παυλου ecc. – In 3,22
otto realtà (= tre Apostoli:
Παυλος,
Απολλως,
Κηφας – il mondo:
κοσμος – e poi le coppie
antitetiche vita-morte, presente-futuro:
ζωη-θανατος,
ενεστωτα-μελλοντα),
vengono elencate e collegate distributivamente con la congiunzione
ειτε, ripetuta appunto otto volte, e sono
riassunte con il neutro plurale παντα (παντα
υμων), per essere definite come proprietà
dei Corinzi, battezzati e redenti, attraverso il genitivo
(παντα υμων). Poi
però, attraverso i genitivi
Χριστου e
Θεου di 3,23, gli stessi Corinzi vengono
dichiarati proprietà del Cristo e di Dio, dai quali procede la
loro salvezza.
Quello che i Corinzi hanno fatto è stato un mettere il proprio
vanto negli uomini, cosicché hanno umanizzato la chiesa
privandola della sua vocazione e della sua vera gloria. Hanno capovolto
tutti i valori e Paolo li rimette a posto. Se i Corinzi dicevano:
«Io sono di Paolo», ora egli rovescia
l’affermazione e dice: «Paolo è di voi!».
Anzi: «Tutto è di voi: Paolo, Apollo, Kefa, il mondo, la
vita, la morte [= la vittoria sulla morte], il presente, il futuro:
tutto è vostro!» (3,21-22). Questa signorìa del
battezzato, tuttavia, non è assoluta, perché quello che
la chiesa è, lo deve al Cristo e, in ultima istanza a Dio:
«Tutto è vostro, ma voi siete di Cristo e Cristo di
Dio» (3,23). – Il credente è libero di disporre
di tutto (per esempio è libero dalla sudditanza al pensiero
altrui), ma solo però se è disponibile al Signore.
È padrone di ogni cosa, ma se si fa schiavo del Cristo.
La 2Cor è la lettera di frasi e di
espressioni entrate oramai nel linguaggio religioso e in quello comune.
È la lettera per esempio di: «… non siamo padroni
della vostra fede, ma collaboratori della vostra gioia» (1,24);
«La lettera uccide, lo Spirito vivifica» (3,6);
«Abbiamo questo tesoro in vasi di creta» (4,7);
«L’amore di Cristo ci spinge» (5,14); «Le cose
vecchie sono passate; ecco: ne sono nate di nuove» (5,17);
«Lasciatevi riconciliare con Dio» (5,20); «Ecco il
momento favorevole» (6,2); «… nihil habentes et
omnia possidentes» (6,10); «Il Cristo si è fatto
povero per arricchirci della sua povertà» (8,9);
«Dio ama chi dona con gioia» (9,7); «… rapito
al terzo cielo» (12,2); «… la spina nella
carne» (12,7); «… un angelo di Satana che mi
schiaffeggia» (12,7); «Ti basta la mia grazia»
(12,9); «Quando sono debole, è allora che sono
forte» (12,10); «Mi vanterò delle mie
debolezze» (11,30). – Nonostante la fama di cui godono
questi suoi frammenti, la lettera è tuttavia una delle
più sconosciute, anche perché non è di facile
lettura.
La 2Cor è una lettera difficile, perché è
difficile la sua lingua greca, e sono difficili alcuni suoi testi come
2,14ss; 3,7-18; 5,1-10; e 10,12-18. La lettera è poi difficile
soprattutto perché siamo all’oscuro sulle precise
circostanze che l’hanno provocata. Per questo è stata
definita la lettera più enigmatica di Paolo (A. Jülicher 71931,
99). Ma è anche una delle più avvincenti, perché
ci permette di tenere a lungo lo sguardo sull’animo di Paolo e
sulle sue più disparate pulsioni. Di lui dice l’ardore, la
tenacia, la dedizione, la generosità, l’umiltà, la
fragilità e la passione apostolica. Ma dice anche i risvolti
negativi del suo carattere: l’apostolo vi appare paradossale,
contraddittorio, polemico, pronto al sarcasmo, irritante, orgoglioso,
egocentrico, sanguigno, ingombrante… Come e più che nelle
altre lettere, in 2Cor Paolo è un vulcano: benefico per le
ricchezze di pensiero e di fede che riversa fuori di sé, ma
anche inquietante e minaccioso per le asprezze del linguaggio, dei
giudizi e delle prese di posizione.
Non è difficile individuare tre grandi archi
tematici in 2Cor.
Per difendersi dalle accuse di volubilità e di severità
che gli venivano rivolte a Corinto, dapprima Paolo parla a lungo del
ministero apostolico che ha ricevuto da Dio per diffondere la
conoscenza di Cristo e la chiamata alla salvezza (= 2Cor 1-7).
D’improvviso, poi, Paolo comincia a parlare della colletta che si
sta conducendo a termine in Macedonia a favore dei “santi”
di Gerusalemme e che dovrebbe essere portata avanti e conclusa anche a
Corinto (= 2Cor 8-9); e infine fa un’aspra e polemica difesa di
se stesso nei confronti di alcuni che egli chiama
‘super-apostoli’ i quali, venuti a Corinto da fuori, stanno
scalzando la sua autorità apostolica e “predicano un altro
Cristo e un altro Vangelo” (= 2Cor 10-13).
2Cor 1-7; 2Cor 8-9, e 2Cor 10-13 sono anche le divisioni secondo cui i
commentatori solitamente ripartiscono la lettera, ma non
c’è consenso circa le suddivisioni interne soprattutto per
2Cor 2,4-7,4, e poi anche per 10-13, perché il pensiero di Paolo
va e viene, passando continuamente da un tema A, a un tema B, per poi
nuovamente ritornare ad A.
Per quanto riguarda 2,4-7,4 l’argomentazione
di Paolo sembra potersi così ricostruire.
Egli parte dando una definizione descrittiva del ministero apostolico
(= i/ natura del ministero), che è detto “profumo di
Cristo fra gli uomini… da diffondere nel mondo intero” con
la precisazione che, dipendentemente dall’accoglienza o dal
rifiuto, “per alcuni è odore di vita, per altri odore di
morte” (2,14-16). Poi celebra la grandezza del ministero
cristiano mettendolo a confronto con il ministero di Mosè. Se
quello, inciso sulla pietra ed effimero, era splendente di gloria
– dice Paolo –, quanto più glorioso dev’essere
il ministero della Nuova Alleanza che è ministero non della
lettera ma dello Spirito (= ii/ grandezza del ministero, 3,7-18).
Però – aggiunge Paolo – Dio affida quel ministero ad
apostoli che sono fragili come vasi di terracotta: «Noi portiamo
questo tesoro in vasi d’argilla … perché sia
evidente come la potenza del Vangelo non viene da noi ma appartiene a
Dio» (= fragilità dei ministri, 4,7-12). L’apostolo
però non si scoraggia e non si abbatte perché guarda
avanti verso la resurrezione: «… convinti che Colui che ha
risuscitato il Signore Gesù risusciterà anche noi con
Gesù e ci porterà accanto a lui insieme con voi»
(4,14); lo Spirito di cui ci è stato già dato
l’anticipo e la caparra garantisce che la promessa sarà
compiuta (5,5).
Guidando i suoi lettori attraverso queste profonde riflessioni, Paolo
dice di avere avuto lo scopo di metterli in guardia da chi invece a
Corinto ha una visione molto superficiale del mistero cristiano
(allusione agli oppositori, 5,12). Poi, dalle riflessioni dottrinali,
Paolo passa agli imperativi: con il primo imperativo Paolo chiede ai
Corinzi di riconciliarsi con Dio ma, in realtà, egli chiede loro
di riconciliarsi con lui stesso, con Paolo, che di Dio è
l’ambasciatore (5,20). Infine, introducendosi con le parole
più toccanti che mai abbia scritto (6,11-12), dicendo di parlare
come un padre fa con i figli (6,13), e chiamando i Corinzi per nome
(«… O Corinzi…», 6,11, cf. altrimenti
soltanto Gal 3,1 e Fil 4,15), con gli ultimi imperativi chiede una
netta presa di distanze dai suoi oppositori (6,14.17), chiede ai
Corinzi il contraccambio (6,13) e che gli facciano posto nel cuore
(7,2).
Per molti autori, il tema della lettera è
Paolo stesso: O. Kuss per esempio scrive: «[La 2Cor è] una
lettera su sé stesso» (Regensburg 1971, 155), ma poi cf.
A. Plummer: «Nessun’altra lettera permette di introdursi
tanto nella mente e nel cuore di Paolo» (Edinburgh 1915, xii);
Wikenhauser-Schmid: «In questo secondo scritto [Paolo] parla in
continuazione di se stesso come non fa mai in altre lettere» (Introduzione
al NT, 482); C.K. Barrett: «Paolo non scrisse mai lettera
più personale» (London 1973, 32); e J. Lambrecht:
«2Cor è giustamente chiamata la più personale delle
lettere di Paolo… l’esposizione sulla propria
identità è impressionante» (Collegeville, MN, 1999,
1).
In realtà, però, il tema centrale di 2Cor sembra essere
quello della reciproca relazione tra l’Apostolo e la chiesa
corinzia. Questo è vero non solo per 2Cor 1-7, ma anche per 2Cor
10-13, dove nel triangolo di relazioni tra lui stesso, i corinzi e i
“super-apostoli”, Paolo cerca di riconquistare a sé
i Corinzi cercando di tagliare i legami che essi hanno con gli
oppositori. Scrive G. Barbaglio (1990, 691): «La partita si gioca
a uno contro due e consiste nel tentativo dell“io” [di
Paolo] di spezzare il legame tra il “loro” [degli
oppositori] e il “voi” [dei Corinzi], in concreto di
attrarre a sé il “voi”, isolando il
“loro”. In altre parole l’apostolo è impegnato
a recuperare la sua chiesa, estromettendo gli oppositori». R.
Bieringer scrive: «Le relazioni tra il mittente e i destinatari
svolgono un ruolo molto più importante in 2Cor che non in
qualsiasi altra lettera di Paolo… Paolo si aspetta che la
comunità agisca con lui come lui agisce nei suoi confronti.
Questa reciprocità è già raggiunta a proposito del
conflitto connesso con la lettera severa… Ora la minaccia
più grande è quella degli oppositori e la battaglia ora
non è teologica ma coinvolge le relazioni più che in ogni
altra lettera. Gli appelli di Paolo ai Corinzi a ricucire le relazioni
con Paolo completamente, dopo che lo hanno fatto già in buona
parte, sembra essere il maggiore intento di Paolo in 2Cor»
(«The Apostle and his Communities in Relationship», in Louvain
Studies 1992, 228).
Prescritto epistolare (1,1-2) e Benedizione (1,3-11)
I. Apologia di Paolo ed elogio del ministero
apostolico
(A) Autodifesa per cambiamento di programma e lettera severa, -
partenza per la Macedonia
(B) Elogio del ministero apostolico
Natura e origine del ministero apostolico
2,14-17: natura del ministero cristiano
Paolo è depositario e annunciatore del Vangelo: Dio si manifesta a lui in Cristo, e mediante lui poi si manifesta agli uomini. Il suo ministero apostolico è un ministero soprattutto di vita, ma anche di morte, dipendentemente dall’accoglienza o dal rifiuto
3,1-6: origine del ministero
Paolo non sta facendo opera di auto-raccomandazione, perché tutto gli viene da Dio, e perché come lettera di raccomandazione ha quella che lui ha scritto nel cuore dei Corinzi con lo Spirito del Dio vivente
Splendore e fragilità del ministero apostolico
3,7-13: Dio ha fatto di Paolo un ministro della Nuova Alleanza e quel ministero è molto più glorioso di quello dell’Antica Alleanza (i vv. 12-13 confrontano coloro che esercitano i due rispettivi ministeri, Mosè e Paolo; i vv. 14-18 confrontano quelli che leggono i testi di Mosè e quelli che nella Nuova Alleanza contemplano senza velo la gloria del Signore)
4,1-6: Nonostante che a qualcuno il suo Vangelo appaia oscuro, il ministero di Paolo è ministero di luce e non di tenebra
4,7-12: Ma l’apostolo tiene quel tesoro in vasi di argilla: nella fragilità e debolezza dell’Apostolo agisce tuttavia la potenza di Dio così che sia evidente come la potenza non viene dagli uomini
Le difficoltà del presente viste in prospettiva escatologica
4,13-5,10: Le sofferenze apostoliche sono sopportate dall’Apostolo con fiducia perché egli vive nella prospettiva escatologica della resurrezione, che è sorgente di fiducia e di forza
5,1-10: La caparra dello Spirito è garanzia del futuro
Appelli ed esortazioni cui Paolo mirava con tutta la sua precedente apologia
5,11-15: lo scopo. Lo scopo cui Paolo mirava nello scrivere è quello di aiutare la chiesa corinzia a controbattere chi guarda e vede in superficie e non nel profondo
5,16-6,2: primo imperativo. Dio ha riconciliato a sé il mondo in Cristo e ha costituito gli apostoli quali ministri di riconciliazione, e dunque: “Riconciliatevi/Lasciatevi riconciliare con Dio!” (5,20); la Scrittura dice che è questo il tempo favorevole –e irripetibile– (6,1-2).
6,3-10: Quanto a se stesso, Paolo onora la sua diakonìa andando avanti con fermezza in qualsiasi tribolazione. Elenco di tribolazioni in 5 strofe.
6,11-12: toccante perorazione che introduce gli altri imperativi. “La nostra bocca, o Corinzi, vi ha parlato francamente e il nostro cuore si è tutto aperto per voi! Non siete davvero allo stretto in noi. A essere stretti sono invece i vostri cuori” (v. 11)
6,13-7,4: ultimi imperativi di Paolo che hanno lo scopo di riconquistare a sé i Corinzi (6,13 e 7,2), e di staccarli dagli oppositori (6,14.17; 7,1)
“Parlo come a figli. Rendeteci il contraccambio e aprite anche voi il vostro cuore” (v. 13);
“Non lasciatevi legare al giogo estraneo degli infedeli” (v. 14)
“Uscite di mezzo a loro e separatevi; non toccate nulla d’impuro” – lo dice Dio stesso (v. 17);
“Purifichiamoci da ogni macchia della carne e dello spirito” (7,1)
“Fateci posto nei vostri cuori» (7,2)
(A) Ripresa del racconto di viaggio e gioia di Paolo per le notizie portate da Tito
II. La colletta e le motivazioni
III. La spiacevole necessità di vantarsi:
Paolo attacca i ‘super-apostoli’
1. Paolo si difende dall’accusa di essere una
personalità sdoppiata
2. Paolo si confronta con gli avversari circa il modo di esercitare il ministero
3. Paolo si vanta “secondo la carne”, “come un insensato”
Notizie, esortazioni polemiche finali, saluti e dossologia
Secondo il testo stesso della lettera, il luogo della composizione è la Macedonia: in 7,5 Paolo parla del suo arrivo in Macedonia, e in 7,6 egli parla delle notizie avute da Tito alle quali reagisce scrivendo 2Cor. Non è possibile precisare da quale città Paolo abbia scritto: se da Filippi o da Tessalonica. Il tempo della composizione è uno degli anni dal 55 al 57.
Il problema dell’autenticità si pone solo per 2Cor 6,14-7,1. Il testo interrompe il discorso continuato tra 6,13 («Aprite anche voi il vostro cuore») e 7,2 («Fateci posto nei vostri cuori»), introduce un tema estraneo al contesto e al pensiero di Paolo (= non aver contatto con gli infedeli, imperativo che contrasta con 1Cor 5,10-11), e il vocabolario non è paolino ma di stampo qumranico (cf. Beliar in v, 15). Il brano dunque sembra essere poco omogeneo al contesto, così che molti lo ritengono invece non-autentico. Cf. però R. Pesch (Freiburg i.Br. 1987, 118) e M. Goulder («2Cor 6,14-7,1 as an Integral Part of 2 Corinthians», in NovTest 1994, 47-57) per i quali gli απιστοι di 6,14 sono gli oppositori di Paolo in quanto “(cristiani) infedeli”: Paolo inviterebbe i Corinzi a separarsi da loro tornando a essere fedeli a lui.
Molto vivace è la discussione sull’unità di 2Cor. Per primo J.S. Semler (Halle 1776) fece l’ipotesi che la 2Cor fosse una compilazione di tre lettere, ma fu A. Hausrath (Heidelberg 1870) ad attirare l’attenzione generale su 2Cor 10-13 come “lettera dei quattro capitoli” o “lettera delle molte lacrime”, distinta da 1Cor 1-9 quale seconda lettera, scritta più tardi. Da allora in poi molti commentatori hanno identificato in 2Cor un numero più o meno elevato di lettere o frammenti di lettere (6 lettere per esempio per H. Koester, Berlin 1987; D. Duling - N. Perrin, Fort Worth 1994; S.L. Davies, Sonoma 1994).
Molti autori sostengono che tutte queste cesure non
si spiegano se non appunto con l’ipotesi di un redattore che ha
messo insieme, un po’ maldestramente, molte lettere di Paolo ai
Corinzi. Altri dicono che queste ipotesi creano difficoltà
ancora più gravi, fanno notare l’unità psicologica
di tutte le parti della lettera, l’unanimità della
tradizione manoscritta, e la presenza di critiche in 2Cor 1-7 e di
motivi di concordia in 2Cor 10-13. I trapassi bruschi e la differenza
di stati d’animo si spiegherebbero allora con la vivace
psicologia di Paolo e con la dettatura intermittente, inevitabile per
una lettera così lunga. Cf. per esempio KUSS, Paolo,
135, che scrive: «Così stando le cose non è per
nulla irrazionale considerare la 2Cor come unitaria e cercare la
soluzione dell’enigma piuttosto nel temperamento, nella ricchezza
caratteriale, nell’eccitabilità, nella ruvidezza
dell’Apostolo, oltre che nella confusione della situazione, che
in molti dettagli ci rimane ancora sconosciuta».
Cf. la storia della questione e la bibliografia per esempio di R.
BATEY, «Paul’s Interaction with the Corinthians», in Journal
of Biblical Literature 84 (1965), 139-146; N.H. TAYLOR, «The
Composition and Chronology of Second Corinthians», in JSNT
n. 44 (1991), 67-87; R. BIERINGER, «Der 2. Korintherbrief in den
neuesten Kommentaren», in EphTheolLov 67 (1991), 115-122;
J.D.H. AMADOR, «Revisiting 2 Corinthians: Rhetoric and the Case
of Unity», in New Testament Studies 46 (2000), 92-111.
Un’altra grande discussione riguarda l’identità degli avversari di Paolo. Ciò che si ricava dal testo non permette di ricostruire la situazione, come sarebbe invece utile per la comprensione della lettera.
Per la discussione al riguardo cf. C.K. BARRETT, «Paul’s Opponent in II Corinthians», in New Testament Studies 17 (1970-1971), 233-254; J. MURPHY-O’CONNOR, La teologia della seconda lettera ai Corinti (Brescia 1993 [Cambridge 1991]), 25-29; R. BIERINGER, «Der 2. Korintherbrief in den neuesten Kommentaren», in EphTheolLov 67 (1991), 122-125.
Unanime è l’ammirazione dei commentatori per lo stile di 2Cor: «Questa lettera si caratterizza per il suo stile abbagliante e le sue formulazioni vigorose, … talento straordinario, … ritmo vigoroso …» (M. CARREZ, in GEORGE-GRELOT, Introduzione al NT, vol. 3, 78, che poi elenca testi, frasi e formule divenute celebri); «Paolo non scrisse nulla di più eloquente, di più commosso, di più appassionato» (F. PRAT, La teologia di Paolo, I, 137); «La 2Cor rappresenta un vertice tra le opere letterarie dell’umanità: …ogni pagina è memorabile per la profondità delle idee, per la generosità dei sentimenti ecc.» (P. ROSSANO, Le Lettere, 104).
Insieme con Gal è tra le lettere più autobiografiche, e risulta quindi particolarmente utile per ricostruire la biografia di Paolo, cf. per esempio le liste di peripezie apostoliche in 4,7-12; 11,23-28. Contiene formule triadiche e trinitarie di grande importanza dogmatica: cf. per esempio 3,17-18; e 13,13. L’ultima è una benedizione utilizzata nell’augurio iniziale della Messa di rito latino. Di essa si dice che è «… la benedizione finale più ricca di contenuto di tutto l’epistolario paolino», J. O’ROURKE, «La Seconda Lettera ai Corinti», in Grande Commentario Biblico, = Jerome Biblical Commentary, 1202; «… la formula più nettamente trinitaria di tutto il NT», M. CARREZ, in GEORGE-GRELOT, Introduzione al NT, vol. 3, 78; «… una benedizione trinitaria che è di grandissima importanza dal punto di vista dogmatico», K.-H. SCHELKLE, Paolo, 122. 2Cor contiene una trattazione di due interi capitoli sulla colletta a favore dei ‘santi’ di Gerusalemme (2Cor 8-9), ma soprattutto «2Cor è per eccellenza la lettera dell’apostolato» (CAMBIER, in GEORGE-GRELOT, vol. 3, 82), per cui ha grande importanza ecumenica nel dibattito interconfessionale attuale (ibidem): «… è la Magna Charta del ministero ecclesiastico» (P. ROSSANO, Le Lettere, 107).
Le due lettere ai Corinzi documentano quel momento
spirituale di Paolo in cui egli ha riflettuto sulla centralità
della croce. Nella 1Cor lo ha fatto a partire dalla provocazione
esterna che veniva dai Corinzi e cioè dalla loro interpretazione
riduttiva del messaggio cristiano; nella 2Cor invece soprattutto a
partire dalla sua esperienza apostolica.
Nella 1Cor «Paolo contrappone alla theologia gloriae
dei Corinzi la theologia crucis cristiana. Per Paolo,
non è lecito ignorare la croce in favore della gloria. La
sapienza non si acquista nelle esuberanze entusiastiche, ma prendendo
atto della stoltezza della croce» (CONZELMANN - LINDEMANN, Guida
allo studio del NT, 219). Nella 2Cor «la
δοξα / gloria, dell’apostolo è
paradossale: l’annuncio del Vangelo porta direttamente alla
sofferenza e alla persecuzione, ma proprio in esse si manifesta la
‘potenza’ paradossale dell’apostolo»; «la
theologia crucis … percorre come un filo rosso
tutta la sua argomentazione» (CONZELMANN - LINDEMANN, 221).
Nel loro disprezzo per la materia e per il corpo, i
Corinzi aspiravano alla liberazione attuale e totale del loro spirito,
e a questa loro aspirazione avevano finalizzato e strumentalizzato il
Cristo annunciato da Paolo. – Secondo i Corinzi probabilmente il
Cristo Risorto aveva una volta per sempre deposto il suo corpo e, nella
sua condizione di Risorto, era totalmente e pienamente spirituale. Per
questo i Corinzi desideravano dai predicatori cristiani
l’annuncio della potenza di Dio che vince la materia con la forza
spiritualizzante della Resurrezione. Secondo i Corinzi, la
partecipazione al battesimo e all’eucarestia, mettendo in
comunione con il Risorto, liberava lo spirito dalla schiavitù
del corpo e dava l’impeccabilità. Per i Corinzi i doni
dello Spirito (cf. una lista in 1Cor 12,8-10 di nove carismi) e le
estasi erano la prova che uno era “spirituale” e che
apparteneva già al mondo divino, per cui erano da tutti
ricercati. In conclusione: Dio per i Corinzi era un Dio di potenza, il
Cristo era un Cristo di gloria, e la vita cristiana era una vita nella
già definitiva spiritualizzazione e nella piena libertà
etica.
Paolo reagisce chiamando tutto questo “sapienza umana,
ανθρωπινη
σοφια”, “sapienza di questo
mondo, σοφια του
κοσμου
τουτου” (2,6.13 ecc.),
che svuota la croce di Cristo (1,17). Ad essa Paolo contrappone
“Cristo crocefisso, potenza di Dio e sapienza di Dio”
(1,23-24). Ai Corinzi che cercano solo la gloria del Risorto, Paolo
dice che la Resurrezione è inseparabile dalla croce e che, fino
a che non verrà la parusìa, la potenza di Dio è
nella croce e nel crocefisso, i quali sono stoltezza per i Giudei che
vogliono invece miracoli messianici, e follia per i Greci che vogliono
sapienza filosofica. – Dunque, mentre i Corinzi vogliono un Dio
potente, Dio ha scelto di essere debole (1,21-25): «Dio ha scelto
ciò che è stolto…, debole…,
ignobile…, ciò che non è, per confondere i
sapienti …, i forti …, e per ridurre a nulla le cose che
sono …» (1,27-28), «… perché nessun
uomo possa gloriarsi davanti a Dio» (1,29). Ogni uomo deve
accettare la croce, debole e stolta, e la croce deve distruggere ogni
suo sogno di gloria e di potenza in ordine alla salvezza, perché
l’uomo è impotente a salvarsi e la salvezza è dono
che Dio da attraverso la sola croce (1,18.21.30 ecc.). I sacramenti non
dànno la Resurrezione (e quindi l’impeccabilità) ma
solo un anticipo di essa (= lo Spirito), e chiedono di camminare in
novità di vita, mentre ancora si è nella
precarietà della carne. I carismi poi non sono dati per il
proprio vanto, ma per l’edificazione della comunità.
– Destinati alla Resurrezione, ora abbiamo a nostra disposizione
la potenza di Dio solo nella croce, e il Dio di Gesù
Cristo è bensì potente nell’escatologia, ma
è debole nella storia.
Nella 2Cor Paolo si scontra con chi si sente grande per i privilegi del giudaismo, per le lettere di raccomandazione avute dalle comunità palestinesi e per le grandi esperienze carismatiche. Paolo, invece, non ha nessuno alle spalle e nelle stesse comunità da lui fondate è contestato e pubblicamente umiliato! – Anche per la vita apostolica la chiave di comprensione è nella croce: è in vasi di argilla che ogni apostolo vero porta il suo tesoro (2Cor 4,7-18); è nella povertà totale che diventa capace di arricchire (2Cor 6,4-10); e, infine, la sua vera grandezza non è nei carismi e nelle visioni, ma nella sua debolezza (2Cor 11,30-12,10): «… quando sono debole è allora che sono forte» (12,10), perché a lui basta la grazia divina (12,9).
Commentari per 1Cor
A. ROBERTSON - A. PLUMMER (21914), J. HÉRING (1949),
H. LIETZMANN (41949), F.W. GROSHEIDE (1953), E.-B., ALLO (21956),
H.D. WENDLAND (1963, it 1976), M.E. THRALL (1965), C.K. BARRETT (1968,
it 1979), H. LIETZMANN - H.-G.W. KÜMMEL (1969), H. CONZELMANN
(1969, ingl 1975), C. SENFT (1979), J. MURPHY-O’CONNOR (1983),
H.-J. KLAUCK (1984), C.H. TALBERT (1987), G. FEE (1987), W. SCHRAGE
(1991), H. MERKLEIN (1992), G. BARBAGLIO (21990, 1996), R.
Fabris (1999), R. COLLINS (1999).
Commentari a 2Cor
GIOVANNI CRISOSTOMO, TEODORETO DI CIRRO, TEOFILATTO, EUTIMIO ZIGABENO
(padri greci); AMBROSIASTER, PELAGIO, CASSIODORO (padri latini); RABANO
MAURO, AIMONE DI HALBERSTAT, UGO DI SAN VITTORE, ERVEO DI BOURG-DIEU,
TOMMASO D’AQUINO (padri medievali). – H. WINDISCH (1924),
V. JACONO (1952), E.-B., ALLO (21956), J. HÉRING
(1958), K. PRÜMM (1960), P.E. HUGHES (1962), H.D. WENDLAND (1963,
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Monografie
Sulla sapienza della croce e le sofferenze nel ministero
Per altri articoli e studi del prof.Giancarlo Biguzzi o sulle lettere di S.Paolo presenti su questo sito, vedi la pagina Sacra Scrittura (Antico e Nuovo Testamento) nella sezione Percorsi tematici