«A causa dell’invidia e della discordia Paolo mostrò il premio della pazienza. Per sette volte portando catene, esiliato, lapidato, fattosi araldo nell’Oriente e nell’Occidente, ebbe la nobile fama della fede. Dopo aver predicato la giustizia a tutto il mondo, giunto al confine dell’Occidente e resa testimonianza davanti alle autorità, lasciò il mondo e raggiunse il luogo santo, divenendo il più grande modello di pazienza»
Clemente romano ai Corinzi 1, 5,5-7
«So a chi scrivo: voi siete gli iniziati di Paolo, il quale si è santificato, ha reso testimonianza, ed è degno di essere chiamato beato. Possa io stare sui suoi passi e raggiungere Dio. In una intera lettera si ricorda di voi in Gesù Cristo»Ignazio di Antiochia, agli Efesini, 12,1-2
Dalla stessa 1Tess si ricava che Paolo giunse a Tessalonica venendo da Filippi: «… la nostra venuta tra voi non è stata vana ma, dopo aver sofferto e subìto oltraggi a Filippi, abbiamo avuto il coraggio di annunziarvi il Vangelo in mezzo a molte lotte» (1Tess 2,1-2). Questo dev’essere ambientato in quello che comunemente si chiama “secondo” viaggio missionario. – Quanto alla comunità che Paolo fondò a Tessalonica, se egli ha invitato i Tessalonicesi ad allontanarsi dagli idoli per servire al Dio vivente (1Tess 1,9), era prevalentemente costituita da ex-pagani.
Da At 17,2 si potrebbe concludere che Paolo rimase a Tessalonica solo due settimane, ma quello degli Atti è un racconto lacunoso e abbreviato perché: (i) non si fonda una comunità di ex-pagani in 20 giorni; tanto più che si tratta di una comunità operosa in fede carità speranza (1,3), che diffonde il Vangelo in due province (1,8), che non ha bisogno di altri insegnamenti (4,9); (ii) Paolo dev’essersi fermato a lungo, dal momento che ebbe tempo di trovarsi un lavoro e dei clienti (1Tess 2,9); (iii) la comunità di Filippi gli mandò aiuti economici due volte (Fil 4,16) e questo non si può ambientare in solo tre settimane. – Paolo dunque si fermò non alcune settimane, ma alcuni mesi.
Fondata nel 316 a.C. da Cassandro, generale di Alessandro Magno e suo cognato, la città di Tessalonica nel 168 a.C. passò sotto il dominio di Roma, e nel 148 a.C. divenne capitale della provincia di Macedonia. – Collocata al centro del golfo termaico (Terme, era l’antico nome del luogo; Tessalonica è il nome della moglie del fondatore, e dunque della sorella di Alessandro Magno), era un importante porto di mare e centro commerciale, anche perché collegata con Roma e con l’oriente attraverso la Via Egnazia.
Separato dai Tessalonicesi fisicamente ma non nel cuore (1,17), Paolo ha cercato “una volta, anzi due” di visitare la comunità ma ne è stato impedito (2,18), fino che ad Atene ha trovato come soluzione provvisoria quella di mandare Timoteo (3,1). Ora Timoteo è tornato con notizie che hanno recato a Paolo una grande gioia: la comunità porta abbondanti frutti di vita evangelica, è divenuta modello per tutti i credenti delle due province di Macedonia e d’Acaia (con l’attività missionaria?), e ha fatto echeggiare la parola del Signore anche più oltre (1,7-8). – Anche ora, da Corinto, Paolo vorrebbe andare di persona a Tessalonica per colmare le lacune della fede dei Tessalonicesi (3,10), probabilmente circa l’escatologia, ma deve accontentarsi di inviare la lettera.
At 17,1-15 parla dell’itinerario di Paolo da Filippi, attraverso Anfipoli e Apollonia, fino a Tessalonica: Paolo dunque percorse la via Egnazia che appunto congiungeva quelle località. Ancora secondo il racconto degli Atti, Paolo per tre sabati annunciò il Vangelo nella sinagoga, mentre era ospite con Sila nella casa di Giasone (At 17,1). Sempre secondo Atti, la partenza da Tessalonica fu in realtà una fuga provocata dalla persecuzione dei giudei. Nel racconto di Atti ci sono poi alcuni particolari circa gli spostamenti dei collaboratori di Paolo, che l’Autore di Atti non riesce più a ricostruirne con esattezza, e che sono difficilmente conciliabili con quelli che si possono ricavare da 1Tess. – Dopo una sosta ad Atene e dopo avere raggiunto Corinto, da Corinto Paolo scrisse la 1Tess nel quadro di quello che noi chiamiamo “secondo” viaggio missionario.
Se Paolo si è rivolto ai giudei nella loro
sinagoga (At 17,1), può meravigliare il fatto che la
comunità di Tessalonica sia composta di ex-pagani (1Tess 1,9).
La risposta che si deve dare è utile per comprendere non solo
quello che successe a Tessalonica, ma tutta l’attività
missionaria paolina e protocristiana.
Nella diaspora ellenistica la sinagoga era frequentata: (i) da giudei,
(ii) da proseliti, e cioè da pagani che si convertivano
al giudaismo, facendosi anche circoncidere, e (iii) dai cosiddetti timorati
di Dio, i quali vivevano molti dei comandamenti giudaici ma non
accettavano per esempio di farsi circoncidere. A questi ultimi Paolo
offriva proprio quello che desideravano: e cioè tutto il
patrimonio di fede e di etica del giudaismo, senza pretendere la
circoncisione e l’osservanza della legge mosaica. Di qui il
grande successo della sua attività fra di essi, il sorgere di
comunità di non-circoncisi (a cui eventualmente si aggiungevano
veri e propri adoratori di idoli, 1,9), e di qui anche la
comprensibile, aspra ostilità dei giudei dovunque Paolo fosse
attivo. – Le lotte che ne derivavano provocavano talvolta
l’intervento delle autorità romane, tolleranti sul piano
religioso, ma non invece dei disordini cittadini.
Circa i “timorati di Dio” cf. M. WILCOX, «The
‘God-Fearers’ in Acts. A Reconsideration», in Journal
for the Study of the New Testament n.13 (1981), 102-122; J.
JERVELL, «The Church of Jews and Godfearers», in J.B.
TYSON, a cura di, Luke-Acts and the Jewish People. Eight
Critical Perspectives (Minneapolis, MN, 1988), 11-19; A.T. KRAABEL,
«The Disappearance of the God-fearers», in Numen 28
(1981), 113-126; J. SIEVERS, «Lo status socio-religioso dei
proseliti e dei timorati di Dio», in Ricerche Storico Bibliche
8 (1996), 183-196.
Sono state sollevate alcune difficoltà circa
l’ambientazione di questa lettera nel secondo viaggio, per
collocarla nel terzo viaggio. Alcuni autori ritengono poi che la 2Tess
sia cronologicamente anteriore alla 1Tess. Cf. le introduzioni al NT di
Wikenhauser-Schmid e di Kümmel, che confutano in modo
particolareggiato l’ipotesi del terzo viaggio, mentre la seconda
confuta la presunta precedenza cronologica di 2Tess.
Paolo fu a Corinto per il secondo viaggio nel 51/52 (cf. il sincronismo
tra l’iscrizione di Delfi che menziona Gallione e At 18,12) e,
quasi subito dopo il suo arrivo a Corinto, scrisse la 1Tess. Dunque
Paolo scrisse la 1Tess nel 51/52, così che questa lettera
risulta essere lo scritto più antico del NT. La prima parola
scritta del NT è il nome di Paolo:
Παυλος και
Σιλουανος
και
Τιμοθεος τη
εκκλησια
Θεσσαλονικεων
(1,1). – Dalla partenza da Tessalonica è passato poco
tempo (προς
καιρον, 2,17: Wikenhauser parla di 6
mesi). Il clima della lettera è molto affettuoso: Paolo ha
programmato per ben due volte di far visita alla comunità
(1,18), e tutta la lettera è piena di ricordi affettuosi e
recenti circa il periodo della fondazione.
La lettera rivela anzitutto lo stato d’animo
di Paolo al momento in cui Timoteo è rientrato da Tessalonica e
gli ha portato notizie da quella comunità: «Ma ora che
Timoteo è tornato e ci ha portato il lieto annunzio della vostra
fede (…), ora ci sentiamo rivivere (νυν
ζωμεν,3,6)». Paolo era fortemente
preoccupato non solo per ciò che poteva essere successo ai
Tessalonicesi, ma forse anche per i difficili inizi a Corinto, e infine
forse anche perché il suo progetto di andare a Roma era stato
impedito. – Nella lettera ai Romani infatti scriverà di
essere arrivato fino all’Illiria (15,19) e di avere più
volte inutilmente cercato di andare a Roma (1,13; 15,22). Siccome al
momento di scrivere la lettera ai Romani Paolo precisa che questo
è nei suoi piani ‘da parecchi anni’ (15,23), quei
tentativi di andare a Roma allora non si ambientano facilmente
nel terzo viaggio. Forse dunque Paolo aveva dovuto rinunciare a Roma
appunto durante il secondo viaggio, e ripiegare per Corinto (cf. questa
ipotesi per esempio in W. MARXSEN, La prima lettera ai Tessalonicesi,
14).
L’intervento epistolare di Paolo riguarda: (i) difficoltà
e persecuzioni di cui Timoteo ha portato notizia (2,14ss); (ii) il
pericolo che i Tessalonicesi ricadano nei vizi pagani di prima, per
esempio la lussuria (4,3ss); (iii) il pericolo che i Tessalonicesi
mettano l’opera di Paolo sullo stesso piano di quella dei
propagandisti ambulanti ellenistici. Paolo infatti sottolinea in 2,5-6
che nel suo ministero non ci sono state né adulazione, né
cupidigia, né ricerca di gloria umana. E questi erano i metodi
dei ciarlatani di allora. Il punto più scottante tra quelli
riferiti da Timoteo era quello dell’escatologia: e in particolare
(iv) la morte di alcuni credenti intervenuta prima della
parusìa: ¿erano esclusi dalla partecipazione alla gloria
finale? (4,13); e infine (v) la data della parusìa (5,1).
In 1Tess sono assenti le controversie: così che essa è
piuttosto una lettera di buone notizie ricevute dagli interlocutori, e
poi di elogi e di rendimenti di grazie da parte di Paolo. 1Tess,
infine, non è una lettera ‘dogmatica’ che espone o
difende il k?rygma: è piuttosto una lettera pastorale
che parla del ministero di Paolo e dei frutti evangelici portati dalla
comunità, e mira a far proseguire sulla stessa via.
Prescritto: mittenti, destinatari, saluto (1,1)
I. La missione di Paolo a Tessalonica
(A) Le circostanze della fondazione (1,2-2,16)
(B) Relazioni tra Paolo e i Tessalonicesi dopo la partenza (2,17-3,13)
II. Esortazioni e chiarimenti
Saluti e congedo (5,23-28)
Il prescritto non è composto di una sola
frase come succede nelle lettere ellenistico-romane («Cicero
Attico suo salutem»), ma di due (una con i mittenti e i
destinatari, e una con l’augurio di grazia e pace), e questo
dà un tono di maggiore ufficialità alla lettera. –
Paolo non vi rivendica il titolo di apostolo. Lo farà nelle
lettere seguenti, quando la sua autorità sarà messa in
discussione. A Tessalonica essa è non solo evidente e
indiscussa, ma anche circondata da stima e affetto.
Paolo menziona due co-mittenti: Silvano (collaboratore nel secondo
viaggio fin da Gerusalemme: cf. At 15,22), e Timoteo (giovane
collaboratore cooptato a Listra: cf. At 16,1ss). – Nonostante
strani trapassi dalla prima persona plurale alla prima singolare nella
stessa frase («Abbiamo desiderato due volte, proprio
io Paolo, di venire da voi», 2,18; cf. anche 3,5 5,27),
Byrskog ritiene che i co-mittenti siano anche co-autori: «To be
sure, Paul is the main sender and author (…). But the consistent
use of the first person plural together with the presentation of the
three senders as on the same level, lend some probability to the view
that the co-sender are also co-authors. 1Thessalonians, it appears, is
a collective letter reflecting Paul’s close relation to and equal
standing with his associates”», BYRSKOG, «Co-senders,
Co-Authors», 238. In ogni caso, la menzione dei co-mittenti
dà carattere ufficiale ed ecclesiale-comunitario alla lettera.
τη εκκλησια. Il
termine ekkl?sia (i) nelle città greche designava
l’assemblea dei rappresentanti della cittadinanza per deliberare
sul bene comune: quella dei Tessalonicesi non è dunque una
riunione intimistica; (ii) nella Lxx traduceva l’ebraico qehal
Adonay: è dunque l’equivalente della convocazione del
popolo di Dio attorno alla tenda della presenza per il culto. Quella
dei Tessalonicesi non era dunque una assemblea profana, ma quella del
popolo di Dio; (iii) a Tessalonica il popolo di Dio sussiste «in
Dio Padre e nel Signore (εν
κυριω) Gesù Cristo»: è
dunque la comunità messianica redenta da Dio nel Signore
Gesù.
Χαρις richiamava il
χαιρειν delle lettere profane ma,
mentre per i greci la grazia era una qualità che rendeva
piacevoli ed eleganti, per Paolo è il dono gratuito di Dio.
Ειρηνη è il ricupero
dell’amicizia con Dio operato dal Cristo e comprende tutti i beni
messianici.
Colui che leggerà la lettera all’assemblea cristiana di
Tessalonica presterà la sua voce a Paolo, Silvano e Timoteo: la
lettura metterà in atto la presenza apostolica. Poi, ancora
attraverso il lettore, Paolo prenderà la parola per ringraziare,
esortare, istruire.
Il testo, che è il più commentato di
1Tess, affronta 2 temi, introdotti da 2 περι:
Il primo περι (= riguardo a) riguarda i dormienti
(4,13: … των
κοιμωμενων,
eufemismo sia greco che biblico, che significa ‘i morti’);
il secondo riguarda i tempi e i momenti (5,1: … των
χρονων και
των καιρων), e cioè
la data della parusìa. I due temi sono tra loro collegati. Dalla
lettera si può ricavare che Paolo aveva annunciato la
resurrezione di Gesù e la sua imminente parusìa,
edificando su questo dato di fede la speranza cristiana: il Cristo
glorioso sarebbe venuto a coinvolgere nella salvezza e nella sua gloria
i credenti in Lui. Paolo aveva però omesso di parlare di quelli
che sarebbero morti prima della parusìa. Intanto a Tessalonica
si erano verificati dei decessi e i Tessalonicesi erano nella
costernazione (cf. il μη
λυπησθε di 4,13). ¿I
cristiani defunti avevano creduto invano? ¿All’arrivo del
Signore sarebbero stati esclusi dalla salvezza e dalla partecipazione
alla sua gloria? – La seconda domanda rivela che essi temevano un
ritardo tale della parusìa da esserne anch’essi esclusi:
¿Quali erano i tempi e i momenti della parusìa e della
salvezza?
(a) La prima questione riguarda non i morti in generale, ma i morti
εν Χριστω, e cioè i
credenti (4,16). Paolo risponde con due argomentazioni: anzitutto
richiamando il k?rygma cristiano: «Se, come noi crediamo,
Gesù è morto e risorto…» (4,14), e poi
richiamando una parola del Signore:
Τουτο …
λεγομεν εν
λογω
κυριου (4,15). (1) Se
Gesù è risorto, allora Dio radunerà i credenti per
mezzo di Gesù insieme con lui nella sua parusìa
/salvezza: dalla resurrezione di Gesù Paolo ricava non ancora la
resurrezione dei morti ma la loro partecipazione alla parusìa.
(2) Quanto alla “parola del Signore” che Paolo cita, molte
cose sono oscure. ¿Anzitutto di quale parola si tratta?: (i) di
una parola del Gesù storico raccolta dai sinottici? (ii)
¿di un αγραφον (= parola di
Gesù non-scritta ma solo tramandata)?- (iii) ¿di una
rivelazione personale? (iv) ¿di un logion di un profeta
ispirato, della comunità primitiva? Inoltre: ¿dove quella
parola si trova ora? H. Schlier fa quattro ipotesi: che sia da
individuare in 4,15; o in 4,16-17; o in 4,15-17; o in 4,17b (cf. L’apostolo
e la sua comunità. Esegesi della prima lettera ai
Tessalonicesi, 89).
Comunque quella parola del Signore e /o il commento di Paolo affermano:
(i) Il Signore glorioso nella sua parusìa discenderà dal
cielo (= dalla trascendenza divina), al comando (= comando di Dio; =
quando Dio vorrà e darà il comando), alla voce
dell’arcangelo e allo squillo della tromba di Dio (= mediatori
del comando divino) [= questo scenario apocalittico è
pre-paolino, molto diffuso nel giudaismo profetico e apocalittico].
(ii) Nella parusìa non ci saranno né vantaggi ne
svantaggi per i morti rispetto ai viventi: anzi prima
(πρωτον) i morti risorgeranno, e poi tutti,
cioè anche i viventi insieme con loro, saranno rapiti sulle nubi
verso l’aria (= zona intermedia tra cielo e terra). (iii) Questo
rapimento (αρπαγμος, 4,17)
avrà come scopo il grande incontro con il Signore
(εις
απαντησιν
του κυριου);
e (iv) la condivisione del destino stesso del Signore: «…
e così saremo sempre con il Signore» (4,17).
Passi paralleli, con cui completare le affermazioni di 1Tess, sono Fil
3,20-21, che aggiunge la “trasfigurazione del nostro misero corpo
per conformarlo al suo corpo glorioso”; e 1Cor 15,51-52, che
aggiunge non solo la trasformazione, ma anche
l’istantaneità: “…in un istante, in un batter
d’occhio (εν ατομω,
εν ριπη
οφθαλμου)”.
(b) La seconda questione. Alla domanda circa i tempi della
parusìa, Paolo risponde probabilmente citando le parabole
sinottiche del ladro di notte. Il ‘quando?’ è
imprevedibile, ed è illusorio dire: “Pace e
sicurezza!” (5,2-3), perché il giorno del Signore è
giorno di salvezza ma anche di giudizio. Alla rovina (v. 3) e
all’ira (v. 9) sono esposti quelli che vivono da figli delle
tenebre e della notte. All’acquisto della salvezza (v. 8) sono
invece destinati i Tessalonicesi che, come tutti i credenti, sono figli
della luce e del giorno. – Se, a proposito dei morti, i
Tessalonicesi debbono consolarsi a vicenda con le parole di Paolo
(4,18), a proposito dei tempi della parusìa essi devono non fare
calcoli ma, certi che essa ci sarà, devono vivere nella
vigilanza (γρηγορειν,
5,6), nella sobrietà (5,6), e combattere armati con
fede-agape-speranza (5,8).
In 1Tess 1,9-10 Paolo, secondo una felice
espressione di J.T. Forestell, «presenta l’essenza della
fede come un monoteismo, una cristologia e un’escatologia»
(cf. «Prima lettera ai Tessalonicesi», in Grande
Commentario Biblico Queriniana, 1122) – Questi versetti
offrono ai vv. 4,13-5,11 il quadro in cui inserire la parusìa, e
quel testo offre a questi versetti il senso dell’attesa, della
speranza e dell’etica cristiana.
Monoteismo:
επεστρεψατε
προς τον
θεον απο των
ειδωλων
δουλευειν
θεω ζωντι
και αληθινω. La
missione cristiana chiedeva, come già quella giudaica, di
abbandonare gli idoli e credere e servire (= offrire culto) a Dio vivo
e vero (due qualità che mancavano agli idoli pagani).
Escatologia: και
αναμενειν
τον υιον
αυτου εκ
των ουρανων. La fede
nel Risorto dà inizio a un’attesa [= non passiva, cf.
5,1-11 = vivere da figli della luce le tre virtù]: il Risorto
libera (cf. il valore del participio presente
ρυομενον) già ora,
e nella sua parusìa libererà completamente, dalla collera
[= il contrario della salvezza], che viene per i non credenti.
Cristologia: ον
εγειρεν εκ
των νεκρων,
Ιησουν τον
ρυομενον
ημας εκ της
οργης της
ερχομενης. Gesù
è Figlio di Dio, e Dio lo ha fatto risorgere dai morti [= la
morte di croce è affermata qui solo implicitamente], facendo di
lui la sorgente della vita e della salvezza.
Le circostanze si possono ricavare solo da quello
che la lettera dice: le informazioni supplementari che si trovano in
Atti sono già state riferite a proposito della 1Tess. Da 2Tess
si ricava che:
In passato, Paolo è stato personalmente a Tessalonica
(2,5, e 3,10), dando a quei cristiani insegnamenti
sull’escatologia (2,5), trasmettendo loro le tradizioni
apostoliche (2,15 e 3,6), e il suo Vangelo (2,14). In quel tempo non
è stato a carico di nessuno ma si è guadagnato da vivere
lavorando giorno e notte (3,7-10). Da 2Tess 2,15 si ricava anche che
Paolo ha scritto già una prima lettera; e da 2,2 che qualcuno
mette in giro parole o lettere attribuite a Paolo ma che non sono sue.
Nel presente, Paolo ha motivo di rendere grazie a Dio
perché la fede e la carità dei Tessalonicesi crescono e
abbondano nonostante la loro chiesa sia perseguitata e tribolata
(¿dai giudei? ¿dai pagani?, 1,3ss). Nel suo interno la
comunità è turbata da persone che, richiamandosi a
rivelazioni spirituali o a pretesi insegnamenti e lettere di Paolo
(2,2), insegnano che la parusìa è imminente: si
potrebbero chiamare gli ‘entusiasti della parusìa’.
Un altro gruppetto, che Paolo chiama degli sregolati /disordinati
(ατακτως
περιπατουντες,
3,6.11), o degli oziosi (μηδεν
εργαζομενοι,
3,11), ben diversamente da come ha fatto lui, non si guadagnano il pane
che mangiano, finendo col pesare sugli altri.
Quanto al presente di Paolo, a Corinto, egli ha personali
difficoltà che gli vengono da avversari del Vangelo:
«… pregate per noi, perché la parola del Signore si
diffonda, … e noi veniamo liberati dagli uomini perversi e
malvagi. Non di tutti è la fede», (3,1-2). Avendo ricevuto
informazioni preoccupanti («Sentiamo dire
/ακουομεν, infatti
che alcuni fra di voi …», 3,11), Paolo prende
l’iniziativa di scrivere la lettera. Come in 1Tess i co-mittenti
sono Silvano e Timoteo (1,1). Paolo interviene insegnando,
incoraggiando e dando ordini. È evidente che sente di avere
l’autorità apostolica di farlo: cf. per esempio 3,14:
«Se qualcuno non obbedisce a quanto diciamo per lettera, prendete
nota di lui e interrompete con lui i rapporti». Per stroncare
l’abuso, già verificatosi o almeno possibile, di false
lettere, Paolo scrive di sua mano il saluto come contrassegno di
autenticazione: «… io scrivo così» (3,17).
La persecuzione a cui sono sottoposti i Tessalonicesi solleva l’antica domanda del salmista e di Giobbe sulla sofferenza del giusto. Secondo il testo della lettera, la domanda riceverà risposta in prospettiva escatologica (cf. 2Tess 1,4-10), e secondo la legge del taglione: «Dio darà afflizione a quelli che vi affliggono, e a voi, che siete afflitti, darà sollievo» (1,6-7). Questo avverrà alla parusìa (o apocalisse, εν τη αποκαλυψει του κυριου Ιησου, 1,7), che è descritta con immagini comuni nella tradizione apocalittica: «…dal cielo / accompagnato dagli angeli / in fuoco fiammeggiante / per fare vendetta [= ristabilire la giustizia che i peccatori e i persecutori hanno sconvolto] / rovina eterna / Regno di Dio» (1,5-9)
Contro l’opinione degli
‘entusiasti’, secondo cui la parusìa e la riunione
dei credenti con il Cristo sarebbero imminenti, Paolo parla dei segni
che devono venire prima (πρωτον, 2,3) di
essa. Quei segni sono: (i) l’apostasia (2,3) per la quale
il culto e il servizio di Dio saranno abbandonati in modo
generalizzato, come avvenne al tempo di Antioco IV Epifane, il quale
indusse molti giudei a vivere ellenisticamente, e giunse a profanare il
tempio; (ii) la comparsa
(παρουσια, 2,9)
dell’uomo di peccato, o ‘figlio di
perdizione’, il quale si ribellerà a Dio, si
innalzerà sopra ogni realtà sacra e, facendosi passare
come ‘dio’, si intronizzerà nel tempio di Dio: in
tutto ciò egli sarà simile ad Antioco IV e ai re di Tiro
e di Babilonia che si sono divinizzati; (iii) l’ostacolo
(το κατεχον, al
neutro, 3,6) o l’ostacolante (ο
κατεχων, al maschile, 3,7). In
altre parole, il mistero d’iniquità (2,7)
avrà nell’uomo d’iniquità la sua
personificazione escatologica, ma già ora ha ingaggiato la sua
lotta contro Dio. Ora c’è qualcosa (neutro) o qualcuno
(maschile) che lo trattiene; ma quando questo ostacolo sarà
tolto di mezzo, allora esso dispiegherà tutta la sua potenza
satanica e con ogni sorta di portenti, segni e prodigi falsi,
porterà molti alla rovina. Solo allora verrà (iv) la parusìa
del Cristo vittorioso: «… il Signore Gesù lo
distruggerà con il soffio della sua bocca e lo
annienterà» (2,8).
Tutto questo si è cercato di spiegarlo in chiave di storia
contemporanea (= distruzione di Gerusalemme nel 70, con i giudei quali
avversari di Dio, l’impero di Roma come ostacolo: cf. F.
Spadafora), o in chiave storica (= protestanti e anglicani nel tempo
delle controversie confessionali vedevano nell’avversario, che si
autodivinizza, il papato), o in chiave escatologica (= scontro tra
Satana e Michele che nell’escatologia avrà il suo episodio
culminante). Ma «ogni ipotesi per uscire dall’enigma
è gratuita, perché il contesto non offre la
possibilità di una soluzione» (O. DA SPINETOLI,
«Lettere ai Tessalonicesi», in P. ROSSANO, Le Lettere,
85), e perché tutto è espresso in termini
biblico-convenzionali; «Nelle pericopi escatologiche di tutte e
due le lettere Paolo utilizza il genere letterario apocalittico nel
quale vengono usati simboli concreti per designare un mistero
trascendente. In scritti del genere la corrispondenza tra simbolo e
realtà ci sfugge» (J.T. FORESTELL, «Prima lettera ai
Tessalonicesi», in Grande Commentario Biblico Queriniana,
1121). Quindi Paolo stesso probabilmente non dava
un’identità ai protagonisti della battaglia escatologica
di cui parla.
Circa i due gruppi dei ‘disordinati’ e degli ‘oziosi’, «l’Apostolo non stabilisce un collegamento tra il fanatismo apocalittico e l’ozio; ma è facile pensare che i due fenomeni siano in rapporto tra loro» (WIKENHAUSER-SCHMID, Introduzione al NT, 451). Per cui tema onnipresente e unificante è quello dell’escatologia. – Forse i tre spunti della lettera sono collegabili tra loro attorno al tema escatologico: la persecuzione (1) fa sorgere il desiderio di una parusìa imminente (2), e tale entusiasmo escatologico induce a non impegnarsi nelle proprie responsabilità pre-escatologiche e a vivere a spese degli altri (3).
Prescritto e mittenti, destinatari, saluto (1,1-2)
I. Persecuzione e prospettiva escatologica del giusto giudizio di Dio
II. Intervento di Paolo circa l’imminenza della parusìa
III. Esortazioni alla perseveranza, e alla preghiera
IV. Intervento di Paolo circa gli oziosi e sregolati
Saluti, autografo di autenticazione (3,16-18)
Le questioni critiche sollevate dai moderni a proposito di 2Tess sono molte. Una prima discussione riguarda l’unità della lettera: si discute cioè se la 2Tess (ma stessa discussione anche per 1Tess) sia una sola lettera o la fusione di due o più lettere. Un’altra discussione riguarda i destinatari: una delle due lettere sarebbe stata scritta a tutta la comunità, l’altra a un gruppo, alla parte proveniente dal giudaismo. L’opinione ha una variante: la 2Tess fu scritta in realtà non ai cristiani di Tessalonica, ma ai cristiani di Filippi o di Berea. Un’altra discussione, poi, riguarda l’ordine cronologico: la 2Tess sarebbe stata scritta prima di 1Tess, e sarebbe essa lo scritto più antico.
La questione più rilevante è comunque
quella dell’autenticità: per la maggioranza dei critici
2Tess non sarebbe stata scritta da Paolo ma da un discepolo. Questa
questione coinvolge evidentemente anche quelle della data, del luogo e
dell’occasione in cui la lettera fu scritta. Al proposito,
è sintomatico quanto scrivono Conzelmann - Lindemann: La
discussione «metodologicamente è di particolare interesse,
perché sia i sostenitori sia i contestatori
dell’autenticità fanno ricorso ai medesimi argomenti. Essi
partono cioè dall’osservazione che le due lettere sono
molto simili, traendone però conseguenze opposte: (a) data
l’analogia, provengono dallo stesso autore; (b) data
l’analogia, 2Tess è una imitazione» (cf. Guida
allo studio del Nuovo Testamento, 196).
Le divergenze tra le due lettere [per esempio: il Signore verrà
all’improvviso ma la sua parusìa è vicina (1Tess):
la parusìa non è imminente (2Tess)] sono anch’esse
soggette alla stessa ambiguità d’interpretazione: nel
primo caso Paolo correggerebbe un errore che si è diffuso dopo
la prima lettera; nel secondo caso la scuola paolina tardiva di fine
secolo, prendendo atto del ritardo della parusìa, correggerebbe
la 1Tess.
L’espressione ‘Regno di Dio’ non è sconosciuta a Paolo: ricorre una volta in Rm (14,17), quattro volte in 1Cor (4,20; 6,9.10; 15,50), ecc. Dipendendo dall’esperienza per lui determinante di Damasco, Paolo però parla dell’escatologia soprattutto in termini cristologici: l’εσχατον ha oramai avuto inizio, e lui ne ha avuto la rivelazione nel suo incontro con il Cristo a Damasco.
L’αποκαλυψις,
o επιφανεια del Cristo
glorioso è descritta in termini giudaico-apocalittici (la
tromba, l’arcangelo, le nubi …), e secondo il cerimoniale
dell’arrivo del sovrano in visita a una città ellenistica
(cf. testi in CERFAUX, L’itinerario, 43-44; e IDEM, Cristo,
34ss). L’imminenza della parusìa, anche se mai
esplicitamente affermata [anzi: non si può calcolare (1Tess),
non è imminente (2Tess)], tuttavia è il clima spirituale
e teologico di Paolo, e motiva l’atteggiamento di distacco che il
credente deve avere nei confronti di questo mondo «perché
sta passando» (1Cor 7,31).
A riguardo della parusìa Paolo ha fatto applicazioni diverse
sotto la spinta di situazioni diverse: (a) per i Tessalonicesi,
angosciati circa la temuta esclusione dei morti dalla parusìa,
Paolo ha detto che essa è certa per tutti i credenti, e che
sarà indifferente essere già morto o ancora vivente, e
che è importante non il calcolo della data, ma vivere in Cristo
e vigilare; (b) a Corinto qualcuno negava la possibilità della
resurrezione dei morti (1Cor 15,12): la concezione greca della materia
e del corpo non riusciva ad accettare che quegli elementi negativi
potessero partecipare al mondo dello Spirito e di Dio. Per i Corinzi,
partendo dal dato di fede della resurrezione di Gesù, Paolo
afferma che tutti risorgeremo anche noi come lui, in forza
di lui, a immagine di lui (1Cor 15,20-22, cf. BARBAGLIO, Paolo,
213). La nuova creazione sarà però diversa dal mondo
attuale e il corpo glorioso da quello presente (1Cor 15,35-49); (c) In
seguito a un pericolo mortale vissuto (¿a Efeso? ¿il
carcere?) Paolo è giunto a mettere in conto di non
sopravvivere fino alla parusìa, ma di morire e, così, di
essere con Cristo: «… sono messo alle strette tra queste
due cose: da una parte il desiderio di essere sciolto dal corpo per
essere con Cristo …, dall’altra che io rimanga nella
carne» (Fil 1,21-26; ma cf. anche 2Cor 5,1-10).
La resurrezione del Cristo è centro assoluto della nostra fede e della nostra speranza, ed è primizia-απαρχη. Il Cristo risorto è il primogenito tra molti fratelli (Rm 8,29), il primogenito dei morti (Col 1,18). Egli è cioè απαρχη-primizia; quindi è garanzia della resurrezione di tutti («Il Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti», «Ciascuno [risorgerà] nel suo ordine: prima il Cristo, che è la primizia; poi, alla sua parusìa, [risorgeranno] quelli che sono di Cristo; poi sarà la fine», 1Cor 15,20.23). A noi, ora, della resurrezione è data la primizia che è lo Spirito (Rm 8,23); lo Spirito è detto anche αρραβων-anticipo, pegno: «Dio… ci ha dato l’anticipo /la caparra dello Spirito nei nostri cuori» (2Cor 1,22; cf. 2Cor 5,5; Ef 1,14). – Si potrebbe aggiungere che l’uomo salvato, avendo la primizia dello Spirito, è primizia di tutta la creazione: «La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio. Essa infatti nutre la speranza di essere lei pure (και αυτη η κτισις …) liberata dalla schiavitù della corruzione» (Rm 8,19-23).
Il tempo che va dalla Resurrezione di Gesù alla nostra, nella sua parusìa, è tempo intermedio in cui il mondo vecchio e quello nuovo convivono. Il Cristo è già risorto, ma i suoi fratelli e la creazione non ancora. Siamo già salvati, siamo già nuova creazione (καινη κτισις, 2Cor 5,17; Gal 6,15), ma solo in speranza, perché viviamo ancora nella debolezza della carne e ancora siamo esposti al peccato e al mistero dell’iniquità. La soluzione paolina di questo dilemma è nel possesso del Πνευμα-Spirito come primizia e caparra. Lo Spirito già posseduto dal cristiano determina la sua relazione con Dio: lo Spirito è la prova che noi siamo figli perché, messo da Dio nei nostri cuori, grida «Abba, Padre!» (Gal 4,6; Rm 8,15). – In tal modo noi siamo “per strada”, perché «mentre il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno» (2Cor 4,16).
Commentari a 1Tess
M. DIBELIUS (1937), B. RIGAUX (1956), K. STAAB (41965, it 1961), E. BEST (1972), H. SCHLIER (1972, it 1976), J.M. REESE (1979), W. MARXSEN (1979, it 1988), G. FRIEDRICH (1981), F.F. BRUCE (1982), I.H. MARSHALL (1983), F. LAUB (1985), S. LEGASSE (1999).
Commentari a 2Tess
M. DIBELIUS (1937), B. RIGAUX (1956), K. STAAB (41965, it 1961), E. BEST (1972), W. TRILLING (1980), G. FRIEDRICH (151981), F.F. BRUCE (1982), W. MARXSEN (1982), I.H. MARSHALL (1983), F. LAUB (1985).
Monografie su 1-2Tess
L’escatologia paolina
Per altri articoli e studi del prof.Giancarlo Biguzzi o sulle lettere di S.Paolo presenti su questo sito, vedi la pagina Sacra Scrittura (Antico e Nuovo Testamento) nella sezione Percorsi tematici