La Chiesa antica ha generato la tradizione di fare doni ai bambini nel
giorno di S.Nicola, il 6 dicembre. Nicola, fu vescovo di Myra, in Licia, oggi Demre in
Turchia, nella prima metà del IV secolo.
E’ storicamente certa la presenza di Nicola al Concilio di Nicea, perché lo
troviamo firmatario degli Atti del Concilio nel 325 d.C. A Nicea i Padri conciliari di
allora, i vescovi della prima metà del IV secolo, confermarono la fede della Chiesa
che cioè Gesù era veramente Dio, “della stessa sostanza del
Padre”, e non una semplice “creatura” per quanto nobilissima, come il
prete Ario aveva allora voluto sostenere contro la tradizione della Chiesa che aveva sempre
creduto alla divinità del Figlio di Dio fin dall’annunzio del Cristo stesso ed, in
seguito, dei suoi apostoli e della Sacra Scrittura da Dio ispirata. Proprio questa
professione di fede di S.Nicola nell’Incarnazione, nel Dio che si fa uomo, possiamo
recuperare oggi nel dare nuovo significato ai doni che, nei secoli, si sono scambiati in
sua memoria e che, oggi, vengono portati non più il 6 dicembre, ma il 25, giorno
tradizionale della nascita del Dio che si fa uomo.
Per comprendere come Nicola sia divenuto l’uomo dei “doni”, l’uomo
della carità cristiana, capace di rinunciare ai suoi averi per il bene di ogni altro
uomo, dobbiamo tornare alla sua storia. La tradizione[1] lo vuole, infatti, protagonista di un episodio che è
appunto all’origine del gesto annuale dei doni ai bambini. Eccolo descritto nella
versione che ne fornisce la Leggenda Aurea di Jacopo da Varagine[2]:
Un suo vicino, che aveva tre figlie ancora giovani, aveva deciso, a causa dell’estrema
povertà e nonostante la nobiltà del casato, di spingerle alla prostituzione, per
ricavare di che vivere da quello sconcio commercio. Il santo seppe la cosa, ne ebbe orrore
e, avvolto dell’oro in un panno, di notte, attraverso una finestra lo gettò in
casa del vicino e fuggì. La mattina, svegliandosi, il vicino trovò
l’oro, rese grazie a Dio e con quella cifra maritò la primogenita. Non molto tempo
dopo il servo di Dio rifece la stessa cosa. L’uomo trovò di nuovo l’oro e
scoppiando di gioia e di gratitudine decise di far di tutto per riuscire a sapere chi era che
rimediava in quel modo alla sua povertà. Dopo pochi giorni, raddoppiata la somma, Nicola
gettò di nuovo il sacchetto dentro la casa; l’uomo, svegliatosi dal rumore, si
mise a inseguire Nicola che fuggiva, gridandogli: “Fermati, fatti riconoscere!”. E,
riuscito a raggiungerlo, riconobbe Nicola; subito si gettò a terra e cercò di
baciargli i piedi, ma Nicola non volle e anzi gli fece promettere che non avrebbe mai rivelato
la cosa a nessuno, per tutta la vita.
Numerosi altri fatti della vita di Nicola ce lo mostrano ancor più come vescovo, come
persona sempre preoccupata del bene del suo popolo e capace di far del bene a tutti con la
sua carità sostenuta da fatti miracolosi, richiesti nella preghiera
all’Altissimo, per poter giungere in soccorso di marinai, di accusati ingiustamente, ecc.
ecc.
La morte di Nicola di Myra è fissata nei calendari liturgici al 6 dicembre 343. Il
suo corpo fu traslato a Bari, sul finire dell’XI secolo, precisamente nel
1087[3]. L’arrivo
delle reliquie in Occidente segnò ulteriormente la fortuna della tradizione del
Santo[4]. Egli che già
era noto, oltre che per l’episodio delle tre fanciulle salvate dalla prostituzione, anche
per il racconto di due miracoli con i quali aveva salvato da sicura morte tre innocenti
destinati alla decapitazione e tre ufficiali bizantini salvati dalla prigione, ricevette anche
l’attribuzione del miracolo con il quale aveva riportato dai genitori Basilio, un
fanciullo rapito dai pirati saraceni e del prodigio della resurrezione di altri tre
bambini[5] che erano stati
uccisi da un oste. Questi episodi se lo resero, da un lato, il protettore invocato per il
pericolo delle incursioni dei saraceni via mare, confermarono ancor più il suo legame di
carità, nella tradizione popolare, con i bambini ed i fanciulli.
Se nell’Europa meridionale ed orientale[6] la tradizione della festa del Santo al 6 dicembre e dei doni in
suo nome non si interruppe mai, se non in tempi recenti, ben diversamente andarono le cose
nell’Europa del Nord. La predicazione protestante, infatti, volle l’abolizione
delle feste dei santi, per incentrarsi esclusivamente sui giorni liturgici legati direttamente
alle storie bibliche ed, in particolare, neotestamentarie.
Duri furono Lutero e i protestanti olandesi (che promulgarono leggi severe contro chi faceva
festa il 6 dicembre). Più tolleranti i protestanti svizzeri. Ma, nessuno riuscì a
sradicare S.Nicola dall’animo dei bambini, anche se in alcuni paesi l’alterazione
del vestito fece perdere il ricordo della sua origine[7].
La decostruzione della figura di S.Nicola operata dal mondo protestante del Nord Europa non
riuscì ad allontanare dal folklore popolare la memoria dell’uomo dei doni, ma la
separò pian piano definitivamente dalla figura del Santo.
Credo che l’ostacolo della Riforma sia stato superato proprio perché egli era
diventato una figura che andava al di là della Chiesa, era diventato parte integrante di
ogni famiglia.
Sin dal XIV secolo, ogni 6 dicembre, Nicola veniva a portare i doni ai bambini del Nord
Europa, passando attraverso il camino. Era una figura molto popolare e molto amata e questo
sembra avergli dato la forza di resistere durante un periodo in cui le immagini e le statue dei
santi venivano rase al suolo, bruciate e distrutte[8].
S.Nicola è così rimasto nella memoria popolare, in una forma che J.Seal
definisce “dormiente”[9], fino agli inizi del XIX secolo. Gli olandesi, nella cui
lingua porta il nome di Sinterklaas, lo portarono nel Nuovo Mondo, in particolare nella Nuova
Amsterdam, l’odierna Manhattan, e la pronuncia americana dell’olandese portò
all’evoluzione linguistica da Sinterklaas all’odierna pronuncia anglosassone di
Santa Claus. Nel frattempo, a cavallo fra l’Olanda e gli States, acquistò
slitta, renne e campanellini, tipici del Nord Europa, nel periodo invernale.
E’ nei primi decenni del 1800 che, per opera di un gruppo di scrittori americani
– prima Washington Irving, poi Georg Pintard, poi ancora Clement Clark Moore, insieme ad
un fiorire di poesie anonime[10] – Santa Claus, oramai resosi completamente indipendente
da San Nicola, pur conservandone la realtà del dono ed il nome, divenne popolare nella
sua nuova forma. Il nome che Babbo Natale conserva tuttora nella tradizione anglosassone, Santa
Claus, non viene più percepito come nome di un santo, pur essendone la chiara
derivazione.
Santa Claus-Babbo Natale non è più, così, legato al 6 dicembre, e la
tradizione dei suoi doni si è trasferita definitivamente al giorno di Natale.
Fu la necessità di trovare, nel 1931, un veicolo pubblicitario per il lancio della
Coca Cola ai fanciulli ed agli adolescenti, che spinse, infine, la Compagnia della famosa
bevanda americana a vestire Santa Claus di rosso e di bianco, con la tonalità dei
due colori rigorosamente identica a quelli della bibita che dovevano ricordare.
Gli imbottigliatori della Coca-Cola avevano sempre saputo che dovevano cercare di attrarre
presto la prossima generazione di consumatori, nonostante le remore riguardo alla
pubblicità diretta ai giovani di età inferiore ai dodici anni. Ora che i bambini
potevano trovare la Coca-Cola nei loro frigoriferi, la Compagnia cominciò a corteggiare
anche il mercato dei giovani in età scolare, facendo però attenzione a non
mostrare mai esplicitamente nelle pubblicità un bambino nell'atto di bere la Coca-Cola.
Questo approccio al mondo infantile finì per rimodellare la cultura popolare americana,
attraverso l'arte di Haddon Sundblom.
“Sunny”, un forte bevitore svedese professionalmente brillante, ma sempre in
ritardo, si rese indispensabile, malgrado le sue abitudini, inventando il classico Babbo Natale
della Coca-Cola nel 1931. Il Babbo Natale di Sundblom era il perfetto uomo della Coca-Cola:
più grosso del normale, di un rosso brillante, sempre allegro e colto in stravaganti
situazioni che si concludevano con una famosa bibita come ricompensa per una dura notte di
lavoro passata a consegnare giocattoli. Ogni Natale, Sundblom partoriva un'altra
pubblicità, avidamente attesa, raffigurante il Babbo Natale della Coca-Cola. Quando
morì il suo primo modello, un ex-venditore della Coca-Cola, Sundblom lo sostituì
personalmente. Se si può dire che la Coca-Cola abbia esercitato una sottile, penetrante
influenza nella cultura americana, occorre ammettere che essa ha forgiato direttamente il
concetto americano di Babbo Natale. Prima delle illustrazioni di Sundblom, Babbo Natale (alias
Santa Claus) era stato variamente dipinto con abiti blu, gialli, verdi o rossi; nell'arte
europea era generalmente alto e macilento, mentre Clement Moore l'aveva dipinto come un elfo in
“Una visita da St. Nicholas”. Dopo le pubblicità della bibita, invece, Babbo
Natale sarebbe sempre stato un uomo enorme, grasso, sempre contento, con un ampio giro-vita e
stivali neri fino all'anca, sempre rigorosamente vestito di rosso Coca-Cola[11].
A partire dalla fine della II guerra mondiale Santa Claus-Babbo Natale si impose anche
nell’Europa meridionale, soppiantando tutte le ricorrenze regionali dei doni ai bambini
legate ai santi, che avevano resistito nei secoli dopo la Riforma. Scomparve, così,
in particolare l’usanza di fare doni ai bambini il 6 dicembre, giorno di S.Nicola,
così come di farli il 13 dicembre, nella ricorrenza di S.Lucia.
Oggi la tradizione dei doni è saldamente ancorata al Natale. Noi non la
rifiutiamo. Ne cogliamo, però, il senso profondo nella testimonianza di
carità di S.Nicola e dei santi che si fanno eco della carità del Dio che
si è fatto Bambino. La via che ci è dato, così, di percorrere è
quella di una comprensione del Natale del Bambino Gesù come dono supremo, come dono
personale di Dio al quale, avendo dato tutto, non resta che l’offerta suprema, quella
di se stesso. Questo è l’annuncio che ci giunge attraverso la Tradizione della
Chiesa, anch’essa dono ripetuto di tutte le generazioni alle successive e, quindi,
anche di Nicola, vescovo di Myra, che riconobbe a Nicea la natura divina del Figlio di Dio,
fattosi carne in Gesù, e che la testimoniò nella carità, in una vita
responsabile nella quale si fece carico del bene richiestogli da tutti i suoi fedeli.
Molte tradizioni popolari dell’Epifania si comprendono solo se si
tiene conto che l’Epifania viene considerata come giorno d’inizio d’anno.
Così si spiegano le strenne e i doni, specialmente ai fanciulli, nel loro ben noto
significato propiziatorio. Il popolo ha creato un personaggio simbolico nella Befana...
immaginandola come una vecchia benefica che passa di notte per le case lasciando i suoi regali
nelle scarpette e nelle calze dei bimbi buoni, o carbone e altri segni di disappunto, per
quelli cattivi. In molte città italiane, per es. a Firenze, nei tempi andati, si
fabbricavano e si portavano in giro dei grandi fantocci rappresentanti la
Befana[12].
La Befana, se nell’etimologia del nome deriva chiaramente dalla festa
dell’Epifania (per le labiali “b” e “p” che si
interscambiano), nel suo antichissimo significato simbolico antropologico richiama una
verità universale: il fluire del tempo è, in apparenza ed in realtà,
triste e persino brutto, ma è carico di doni e di bene. E’ questo che
significa la vecchiaia della Befana: essa è vecchia, come la nostra vita, che
è cresciuta di un anno ancora, ma la sua bruttezza è benevola e benefica,
portando con sé il suo carico di fecondità. Il simbolo della Befana è
un invito a non odiare il tempo che passa, ma a vedere in questa fatica dolorosa che
è l’accettazione della vita che si svolge e scorre il travaglio che lascia una
scia di ricchezza e di bene dietro di sé.
L’arrivo dei Magi fino all’Adorazione del Bambino può essere ulteriormente
capita, allora, come la redenzione di tutta la ricerca dell’uomo, giunta finalmente a
quel bene, a quella fecondità, a quella speranza di eternità che solo Dio
può donare e donare per sempre, nella comunione con il Figlio di Dio che per noi
è nato e che si è offerto in dono. Non più, allora, la paura
dell’oblio e della morte, nella perdita della giovinezza, ma il paziente costruire,
nell’attesa, quei cieli nuovi e terra nuova che, ultimamente, saranno libero dono di Dio
stesso.
[1] A Nicola di Myra sono stati ascritti alcuni fatti della vita e della leggenda di Nicola, vescovo di Pinara, in Licia, vissuto al tempo di Giustiniano.
[2] Iacopo da Varazze, Leggenda Aurea, Einaudi, Torino, 1995, pagg.26-27. Come è noto il testo di Jacopo da Varagine (o Iacopo da Varazze), uno dei testi più letti nel Medioevo, raccoglie le tradizioni relative ai santi, disposte secondo il calendario liturgico di allora, invitando appunto alla lettura di questi episodi di vita cristiana (“Legenda” nel senso etimologico di “testo che deve essere letto”). Jacopo (1228 ca.-1298), che nel 1292 divenne vescovo di Genova, non è il creatore di tali racconti, ma, appunto, uno dei testimoni più autorevoli e completi di ciò che la tradizione medioevale ha creduto delle vite dei santi più venerati.
[3] Studi specialistici sono dedicati alle numerose storie antiche della traslazione da Myra a Bari del corpo del Santo. Vedi, su questo, P.Corsi, La traslazione di San Nicola: le fonti, Centro studi nicolaiti, Bari, 1988 e G.Cioffari, San Nicola di Bari, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo, 1988. Si trattò certamente di un furto operato da marinai baresi a danno dei monaci bizantini custodi della chiesa di Myra che custodiva la sepoltura di S.Nicola, ma questa sottrazione fu resa possibile dalla confusione regnante in Asia Minore a motivo del dilagare della presenza turca che, dopo la sconfitta dei bizantini a Manzikert, nel 1071, avevano invaso l’Anatolia, raggiungendo velocemente le porte di Costantinopoli. Paradossalmente un gesto compiuto con intenzioni oggi inaccettabili, si tramutò nella possibilità della permanenza delle reliquie di Nicola che sarebbero altrimenti andate disperse.
[4] Il racconto della vita di S.Nicola ebbe grande successo in Occidente e la raffigurazione delle sue storie ebbe numerose espressioni nella storia dell’arte. Le troviamo raffigurate, solo per fare alcuni esempi, negli affreschi di San Saba all’Aventino a Roma, nelle Storie di San Nicola di Bari del Beato Angelico, nella Pinacoteca Vaticana, oppure possiamo incontrare i tre doni d’oro come attributi iconografici del Santo, come nel Maestro della Cappella di S.Nicola ad Assisi, nella Madonna in trono con il Bambino e i santi Nicola di Bari, Maria Maddalena, Orsola e Domenico di Antonello da Messina, nel Kunsthistorisches Museum di Vienna o nel San Nicola in Gloria di Lorenzo Lotto, nella Chiesa di Santa Maria dei Carmini a Venezia o nel San Nicola con i fanciulli e le fanciulle di Andrea Sabatini detto Andrea da Salerno, nella Pinacoteca di Napoli (ed ancora in Ambrogio Lorenzetti, Spinello Parri in Arezzo, Vitale da Bologna, Gentile da Fabriano, ecc. ecc.). Talvolta, in epoca più tardiva, troviamo direttamente rappresentata la distribuzione dei doni nel giorno di S.Nicola, come ne La festa di San Nicola di Jan Steen (secolo XVII) nel Rijksmuseum di Amsterdam.
[5] Per il gioco etimologico della parola “innocente” indicante sia l’innocenza, sia la giovane età.
[6] Anche in Russia San Nicola ricevette grande venerazione e gli furono tributati i nomi di Ugodnik, “colui che è dalla tua parte”, Ciudotvorez, “il Miracoloso”, Morskoi, “il protettore dei marinai”.
[7] G.Cioffari, San Nicola di Bari, San Paolo, Cinisello Balsamo, p.43.
[8] Jeremy Seal, autore del volume Nicholas: The Epic Journey from Saint to Santa Claus (ed. Bloomsbury), in un’intervista rilasciata all’agenzia di stampa Zenit il 21 dicembre 2005.
[9] “Nel XVI secolo i riformatori religiosi si scagliarono contro l’eccessiva devozione di cui godeva il santo e, nelle aree protestanti, san Nicola finì per perdere il ruolo di portatore di doni natalizi. Fu sostituito da Gesù Bambino e dalle sue versioni laiche, che di solito si presentavano coperte di pelli. Così nel XVII e nel XVIII secolo fecero la loro comparsa i personaggi tedeschi come Knecht Ruprecht, Pelznickel o Belsnickel (che significa “Nicola coperto di pelle”) o “Ru-Klaus” (“Rude Nicola”), che accompagnavano il Bambino Gesù (che trasformò il suo nome in Christkindl) o che venivano in sua vece a portare i doni. In altri paesi protestanti, come l’Inghilterra, l’usanza di fare i doni ai bambini andò scemando e, per un po’ di tempo, non ci fu un particolare portatore di doni. In Scozia i calvinisti avevano proibito le festività natalizie di qualsiasi genere spostando i festeggiamenti e i regali al giorno di Capodanno”, in G.Bowler, Dizionario universale del Natale, Newton, Roma, 2003, pag. 299. “Lentamente si creò una curiosa situazione. Per mantenere la loro identità nei confronti degli Irlandesi che avevano S.Patrizio come protettore e simbolo, e degli Inglesi che avevano S.Giorgio, e dei Francesi che avevano S.Luigi, gli Olandesi, benché protestanti, elessero S.Nicola a loro simbolo” in G.Cioffari, San Nicola di Bari, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo, 1988, pagg.210-211.
[10] Una pietra di riferimento in questa evoluzione è la poesia del 1822 “A Visit from St. Nicholas”, nota anche come “Twas the Night Before Christmas” (“Era la vigilia di Natale”) che ce lo descrive come lo immaginiamo oggi.
[11] M.Pendergrast, Per Dio la Patria e la Coca Cola. La vera storia (non autorizzata) della bibita più famosa del mondo, Piemme, Casale Monferrato, pagg.245-246.
[12] Epifania di Paolo Toschi, in Enciclopedia Cattolica, vol. V, Città del Vaticano, 1950, p.426.