Ripresentiamo on-line, sul nostro sito, un testo di S.Em. il card.Tarcisio Bertone, arcivescovo di Genova, sul servizio dei Cardinali nella Chiesa Cattolica. Il cardinal Bertone lo ha pronunciato nella Cattedrale di S.Lorenzo di Genova l’1 novembre 2003 ed il testo è già riprodotto on-line sul sito della Diocesi di Genova www.diocesi.genova.it. Lo abbiamo integrato con le righe con margine ridotto che appaiono in un testo più lungo dello stesso Cardinal Bertone, dal titolo Il servizio del Cardinalato al ministero del Successore di Pietro, pubblicato in G.Aranci (a cura di ), Firenze e i suoi cardinali, Pagnini Editore, Firenze, 2005, pagg.15-27, a sua volta frutto della trascrizione del discorso tenuto nell’Aula Magna della Università Pontificia Salesiana in occasione della celebrazione del solenne Atto Accademico in onore dei tre cardinali salesiani Miguel Obando Bravo, Rosalio José Castillo Lara e Alfonso Stickler, in data 16 giugno 1985 ed apparso in Salesianum 1 (1986) 109-121, con alcuni ritocchi ed aggiornamenti.
L’Areopago
Nella solennità di Tutti i Santi ci si può domandare se ci
sono Cardinali santi, cioè solennemente proposti dalla Chiesa come modelli di
santità.
La risposta è senz'altro positiva. Basta pensare alla serie dei Papi Santi, non solo
nei primi secoli, ma anche nel secondo millennio della storia cristiana, e citare ad esempio
San Pier Damiani, San Bonaventura, San Roberto Bellarmino, san Carlo Borromeo, il Beato
Andrea Ferrari, il Beato Idelfonso Schuster, ecc.
Esiste un celebre elogio di Alessandro Manzoni ad un Cardinale, Federigo Borromeo,
cugino del gran Carlo, suo predecessore come Arcivescovo di Milano.
«Federico Borromeo, nato nel 1564, fu uno degli uomini rari in qualunque tempo, che
abbiano impiegato un ingegno egregio, tutti i mezzi d'una grande opulenza, tutti i vantaggi
d'una condizione privilegiata, un intento continuo, nella ricerca e nell'esercizio del meglio.
La sua vita è come un ruscello che, scaturito limpido dalla roccia, senza ristagnare
né intorbidarsi mai, in un lungo corso per diversi terreni, va limpido a gettarsi nel
fiume... Persuaso che la vita non e già destinata ad essere un peso per molti, e una
festa per alcuni, ma per tutti un impiego, del quale ognuno renderà conto,
cominciò da fanciullo a pensare come potesse render la sua utile e santa»
(«I promessi sposi», cap. XXII). «... La fama crescente del suo ingegno,
della sua dottrina e della sua pietà, la parentela e gl'impegni di più d'un
cardinale potente, il credito della sua famiglia, il nome stesso, a cui Carlo aveva quasi
annessa nelle menti un'idea di santità e di preminenza, tutto ciò che deve, e
tutto ciò che può condurre gli uomini alle dignità ecclesiastiche,
concorreva a pronisticargliele. Ma egli, persuaso in cuore di ciò che nessuno il quale
professi cristianesimo può negar con la bocca, non ci essere giusta superiorità
d'un uomo sopra gli uomini, se non in loro servizio, temeva le dignità, e cercava di
scansarle; non certamente perché sfuggisse di servire altrui; ché poche vite
furono spese in questo come la sua; ma perché non si stimava abbastanza degno né
capace di così alto e pericoloso servizio. Perciò, venendogli, nel 1595 proposto
da Clemente VIII l'arcivescovado di Milano, apparve fortemente turbato, e ricusò senza
esitare. Cedette poi al comando espresso del papa».
L'attenzione della letteratura al cardinalato non comincia dal Manzoni, né termina con
lui: basterebbe ricordare la spiritosa commedia di A.Testoni su un altro cardinale: «Il
Cardinale Lambertini», poi divenuto Papa Benedetto XIV, o il più recente romanzo
di Henry Morton Robinson appunto intitolato «Il Cardinale», da cui fu tratto il
film omonimo, segno di un interesse che non si smorza, anzi che si ravviva ad ogni creazione di
Cardinali o ad ogni conclave. Conosciamo prestigiose figure di Cardinali scienziati, scrittori,
giuristi, mecenati, pastori santi, e conosciamo anche la letteratura minore sulla vita
«feriale» dei Cardinali, le loro ville e feste non propriamente liturgiche.
Ma chi sono i Cardinali? Quale origine e quale storia ha questa particolare
«etnia» della Chiesa? Quali prerogative e compiti?
Nei primi secoli della Chiesa il Romano Pontefice era assistito nel
governo della sua Diocesi dal gruppo dei presbiteri (= il presbiterio), i quali lo
coadiuvavano, e quando era necessario, lo sostituivano, nel ministero liturgico e nella
predicazione: essi erano «incardinati» ad una chiesa titolare dell'Urbe. Il
Vescovo di Roma era inoltre assistito dai diaconi «palatini» (o del palazzo
lateranense) e regionari (corrispondenti cioè alle 12 regioni politico-amministrative
dell'Urbe), anch'essi addetti ai servizi liturgici, ma soprattutto all'amministrazione dei beni
temporali e all'esercizio della carità e della pubblica assistenza nelle distinte zone
della città eterna.
La qualifica di «Cardinale» (da cardine), comune dapprima ai chierici
ascritti ad una Chiesa episcopale, perno della Diocesi, fu riservata in seguito al clero
della Chiesa romana, cardine della cristianità.
I sette vescovi le cui diocesi circondavano tutt’intorno la diocesi romana, dette «diocesi suburbicarie» (si tratta di Albano, Frascati, Palestrina, Porto e S. Rufina, Sabina e Poggio Mirteto, Velletri e Ostia), almeno dal sec. V presero a prestare un regolare servizio liturgico ebdomadario presso la cattedrale papale, nella Basilica Lateranense, in altre parole furono ad essa “incardinati”. Essi sono esplicitamente chiamati cardinali dal sec. VIII; a poca distanza di tempo, come risulta dalla costituzione De iure Cardinalium di Giovanni VIII (872-882) sono detti presbyteri cardinales i giudici ecclesiastici e della corte romana.
Nel sec. X a Roma gli episcopi cardinales, i presbyteri cardinales e i diaconi cardinales costituiscono ormai tre gruppi abbastanza definiti, il cui essere cardinales consiste principalmente nel prestare assistenza al vescovo di Roma nelle più solenni celebrazioni liturgiche. Da tale compito privilegiato discende la loro posizione di particolare prestigio all’interno della Chiesa romana. Verso la fine di tale secolo vi è un gruppo di diocesi, italiane e non, che formulano istanze al papa per nominare alcuni membri del proprio clero cardinales more Romanae ecclesiae. Si hanno così una serie di atti papali che soddisfano queste esigenze: Pasquale Il concede 7 presbyteri cardinales alla diocesi di Compostela, Benedetto VII ne concede a Treviri; ottengono ancora propri cardinali Magdeburgo, Besançon, Colonia. Date le particolari condizioni di prestigio di Roma, è evidente in questi atti il desiderio delle grandi sedi episcopali di avere istituti analoghi a quelli romani, le cui caratteristiche erano ancora tali da consentire senza difficoltà l’estensione del titolo, data la loro natura essenzialmente rituale e liturgica. Da questa prassi deriva una nuova accezione di cardinalis come addetto ai cardines, ad cornua altaris.
Nel sec. XI i cardinali preti erano 28 (con 28 titoli), cioè 7 per ciascuna delle basiliche maggiori; i cardinali vescovi sempre 7; i cardinali diaconi in numero di 12 o 19 (è controverso).
L’evoluzione segna una prima tappa quando i cardinali, prima raggruppati nei tre ordini dei diaconi, preti e vescovi, in evidente dipendenza dalle loro diverse funzioni liturgiche, si trasformano in un collegio, in una universitas personarum, all’interno della quale le differenze tra i tre ordini divengono secondarie, e, infine, sempre più nominali. È caratteristico che una volta riconosciuta definitivamente ai vescovi-cardinali una posizione di privilegio nell’elezione del vescovo di Roma nel 1059 con il decreto di Niccolò II In nomine Domini, essi assimilino rapidamente a sé anche i presbiteri-cardinali e i diaconi-cardinali, di modo che in un tempo brevissimo non solo la procedura dell’elezione del vescovo di Roma è radicalmente modificata, ma la distinzione tra i tre ordini cardinalizi diviene semplicemente l’articolazione interna di un collegio solidamente unitario.
Questo collegio subisce un'ulteriore trasformazione nel momento in cui
sono chiamati a farvi parte anche Prelati non romani, la cui serie si apre nel 1057 con
Fredericus Lotharingius, abate di Montecassino, ad opera di Vittore II, decretando così
la fine della fase Diocesano-romana del cardinalato. Sotto Callisto II si avrà il
caso di un vescovo, non solo non romano, ma neppure italiano, creato cardinale, Stefano di
Metz, sino a che Papa Alessandro III conferendo il cardinalato a Corrado di Witterlsbach,
arcivescovo di Magonza e di Salisburgo affermerà definitivamente la legittimità
di cardinali, i quali siano allo stesso tempo titolari di grandi Diocesi della
cristianità. Evidentemente, mentre questi cardinali potevano concorrere senza dubbio
all'elezione del Papa, non altrettanto disponibili erano per collaborare al governo della
Chiesa con il loro consiglio e con la loro assistenza «in Urbe».
La fase più feconda della riflessione dottrinale e dell'evoluzione istituzionale del
cardinalato si ha, a parere degli autori, dal sec. XI al sec. XIV.
A Leone IX, che è conosciuto per la nomina a uffici di curia di persone dal di fuori
dell'ambiente romano («non certo fatta per offrire ai romani un accento straniero nel
canto della liturgia o per riformare secondo nuovi criteri stilistici la cancelleria
pontificia», ma come preludio per la trasformazione dell'istituzione cardinalizia da
istituzione della Chiesa Romana sotto l'aspetto di Chiesa locale ad una istituzione della
Chiesa romana sotto il suo aspetto di Chiesa universale), dobbiamo la prima dottrina sul
cardinalato romano.
Nella prima lettera di Leone IX al patriarca Michele Cerulario di Costantinopoli Leone IX scrisse:
Nam Romanae ecclesiae fides per Petrum supra petram aedificata nec hactenus deficit, nec deficiet in saecula... Quod nemo negat, nisi evidenter ipsa verba Veritatis impugnat, quia sicut cardine regitur ostium, ita Petro et successoribus eius totius ecclesiae disponitur emolumentum. Et sicut cardo immobilis permanens ducit et reducit ostium, sic Petrus et sui successores liberum de omni ecclesia habent iudicium... Unde clerici eius cardinales dicuntur, cardini utique illi, quo cetera moventur, vicinius adhaerentes.
Pietro e i suoi successori, che hanno il giudizio su ogni altra Chiesa, perché sono il cardine della indefettibile Chiesa romana, e i chierici cardinali qualificati proprio come tali, perché sono i più vicini a questo cardine: ecco un abbinamento ben più significativo di una banale etimologia.
Non dissimile è la formula del card. Deusdedit, benedettino, nella sua Collectio canonum del 1087. Egli definisce così i cardinali:
Unde derivative sacerdotes et levite summi pontificis cardinales dicuntur eo, quod ipsi quasi forma facti gregis praedicationibus et praeclaris operibus populum Dei regant atque adregant atque ad regni celestis aditum moveant et invitent. Sicut a basibus, que sunt fulture columnarum a fundamento surgentes, basiléi idest reges dicuntur, quia populum regunt: ita et cardinales derivative dicuntur a cardinibus ianue, qui tam regunt et movent, quod plebem Dei, ut superius diximus, doctrinis sanctis ad amorem Dei moveant…
Il riferimento al gruppo dei 70 anziani che coadiuvavano Mosé nella guida dell’antico popolo di Israele (cfr. Num 11,16) è ribadito anche da san Bernardo di Clairvaux che nel cap. IV del De consideratione esprime al papa Eugenio III la propria preoccupazione perché la scelta dei cardinali sia oculata ed intelligente, data la grande importanza del loro ruolo:
Veniamus ad collaterales et coadiutores tuos. Hi seduli tibi, hi intimi sunt. Quamobrem si boni sunt, tibi potissimum sunt; si mali, acque plus tibi... Sed sive levent, sive gravent, cui rectius imputandum quam tibi, qui tales aut eligisti, aut admisisti? Non de omnibus dico: nam sunt quos non eligisti, sed ipsi te. At potestatem non habent, nisi quam tu eis aut tribueris, aut permiseris... Tuum est undecumque evocare et adsciscere tibi, exemplo Moysi, senes, non iuvenes, sed senes, non tam aetate quam moribus, quos tu nosti, quia senes populi sunt. Annon eligendi de totò orbe, orbem iudicaturi?
Si noti l’istanza universalistica nella composizione del collegio cardinalizio.
Anche papa Innocenzo III, alla fine del 1202, in risposta ad una supplica, nella famosa decretale Per venerabilem faceva risalire l’istituzione del cardinalato direttamente all’Antico Testamento, riconoscendo nei cardinali i successori degli anziani che Mosé aveva preso come consiglieri. Il passo interessante suona così: «... Sunt autem sacerdotes levitici generis fratres nostri, qui nobis iure levitico in executione sacerdotalis officii coadiutores exsistunt». Chi sono in effetti i fratres del papa? Sembra difficile non riconoscere in essi i cardinali romani, quelli stessi che Innocenzo aveva indicato come membra capitis, magna membra ecclesiae romanae, senatus papae, e ai quali aveva affidato i processi informativi relativi alle elezioni episcopali, costituendoli in una posizione nettamente superiore a quella dei vescovi stessi. Un commento molto autorevole in tal senso è quello dell’Hostiensis nel suo Apparatus. Secondo Enrico da Susa fratres nostri significa: «ergo omnes episcopi... qui et vocati sunt in partem sollicitudinis... Cardinales tamen ei continue assistunt, de quorum consilio procedit... et de ipsis hoc specialiter est intelligendum, se de aliis generaliter». In questa direzione il commento continua argomentando che «inter cardinales quippe et papam tanta est unio, ut sibi ad invicem omnia communicare deceat».
La dottrina passa nella bolla Non mediocri dolore di Eugenio IV, la quale contiene, com’è noto, un riepilogo abbastanza ampio delle prerogative del collegio cardinalizio e delle loro motivazioni ecclesiologiche.
Nei secoli XIV-XV l'influenza e lo splendore del «Sacro
Collegio» è notevolissimo, e il numero dei cardinali, prima oscillante, viene
fissato in 70 da Sisto V nella Cost. Postquam vetus ille, del 3.12.1586, di cui 6 Vescovi
suburbicari, 50 preti e 14 diaconi. Mentre i Concili Lateranense III e Tridentino avevano
riservato specifiche riflessioni al Cardinalato, i Concili Vaticano I e Vaticano II non
prendono in considerazione tale istituzione, che ha assunto ormai la sua struttura nel Codex
Iuris Canonici del 1917 (cfr. cann. 230-241).
È Giovanni XXIII che apporta alcune novità significative allo statuto
giuridico del cardinalato: anzitutto decide di superare il numero massimo fissato da Sisto V;
successivamente assegna alle Diocesi suburbicarie vescovi diversi dai cardinali-vescovi, i
quali conserveranno solo il titolo ma non più l'autorità sulle Diocesi stesse, ed
infine decide che tutti i membri del collegio cardinalizio dovranno ricevere la consacrazione
episcopale, «a motivo del carattere genuinamente ecclesiastico dell'attività del
Collegio, nonché dell'impegno nel servizio delle anime e del Sommo Pontefice nel governo
universale e in vista della parificazione di tutti i componenti del S. Collegio dei cardinali
in una stessa dignità di ordine sacro, di episcopale sacramento». Sappiamo che
il teologo Karl Rahner, in un articolo del 1963 sulla rivista Stimmen der Zeit approvò
in pieno la decisione di Giovanni XXIII e ne spiegò l'alto significato ecclesiologico,
in quanto «chi prende parte in effetti al supremo organo direttivo della Chiesa deve
ricevere anche la pienezza sacramentale e la grazia di stato». In quella sede veniva
profilato ed auspicato il conferimento del cardinalato ai Patriarchi Orientali,
effettivamente attuato poi da Paolo VI nel 1965.
Percorrendo la storia abbiamo visto una chiara linea di sviluppo delle
prerogative e dell'autorità dei cardinali: dapprima la partecipazione al servizio
liturgico nella Diocesi di Roma, poi la partecipazione al governo della medesima Chiesa
particolare, successivamente l'attribuzione della facoltà di eleggere il Vescovo di Roma
e infine la collaborazione col Papa nel governo della Chiesa universale.
a) La competenza sull'elezione del Papa è fissata, nel 1059, nel decreto In
nomine Domini di Nicolò II; è perfezionata dalla costituzione Licet de
vitanda di Alessandro III nel 1179, ove si riserva rigidamente ed esclusivamente l'elezione
papale ai cardinali romani, senza distinzioni di sorta tra le varie componenti del Collegio.
Proprio la maggioranza dei due terzi richiesta per l'elezione sottolinea l'assoluta
parità tra i cardinali, tra i quali i vescovi costituiscono una piccola minoranza.
Da allora, ogni ulteriore disposizione non ha fatto altro che applicare o adattare questo
fondamentale ordinamento elettorale del Vescovo di Roma.
Paolo VI ha stabilito alcune modifiche del corpo elettorale col motu proprio Ingravescentem
aetatem del 1970 e ne ha fissato il modo di esercitare le funzioni nella costituzione
Romano Pontifici eligendo del 1975,
Giovanni Paolo II a sua volta ha emanato una sua legge costituzionale nel 1996, intitolata
Universi Dominici Gregis, ove conferma il principio per cui «l'elezione del
vescovo di Roma, secondo l'antica tradizione, è di competenza della Chiesa di Roma,
cioè del collegio dei cardinali, che la rappresentano». La norma è espressa
al n. 33 con questa formula categorica: «Il diritto di eleggere il vescovo di Roma spetta
unicamente ai cardinali di Santa Romana Chiesa, ad eccezione di quelli che, prima del giorno
della morte del Sommo Pontefice, o del giorno in cui la Sede Apostolica resti Vacante, abbiano
hanno già compiuto l'80° anno di età. Il massimo numero dei cardinali
elettori non deve superare i 120. È assolutamente escluso il diritto di elezione attiva
da parte di qualsiasi altra dignità ecclesiastica o potestà laica di qualsivoglia
grado o ordine».
b) La partecipazione al governo della Diocesi di Roma si concretizza anticamente nel
Sinodo Romano, ove il Papa è solito convocare i Vescovi viciniori o anche più
lontani. Ma attorno ai secoli XI-XII cresce la considerazione dell'autorità del collegio
cardinalizio rispetto al sinodo dei Vescovi: si attenua la frequenza e il prestigio dei sinodi
romani mentre aumentano le decisioni prese dal Papa insieme ai cardinali (i quali concorrono
anche nel decidere le questioni dogmatiche). È in quest'epoca che si comincia a
parlare di «concistoro», come del luogo in cui il Papa compie determinati atti in
unione con altri collaboratori, che saranno poi unicamente i cardinali. Così con
Celestino II (1143-1144) diventa normale la sottoscrizione da parte dei cardinali, sia vescovi
che preti e diaconi, di tutti gli atti di governo di una certa importanza, quelli cioè
relativi alle «causae maiores», inaugurando una prassi destinata a durare a lungo.
Il concistoro, a metà del XII secolo, è la sede naturale dove si trattano tutti
gli affari più importanti della Chiesa: nomine di vescovi, controversie dottrinali,
canonizzazioni, grandi affari politici, ecc. Decade non tanto la prassi quanto il valore dei
Concistori alla fine del sec. XVI, con la creazione delle Congregazioni romane e
l'organizzazione della Curia Papale, sicché gli organismi centrali e i singoli
cardinali diventano collaboratori dell'esercizio personale della suprema autorità nella
Chiesa. L'unica funzione collegiale che verrà ancora esercitata rimarrà
l'elezione del papa in conclave, e, contemporaneamente alla «sede vacante», il
governo interinale della Chiesa fino alla nomina del successore di Pietro (anche Giovanni Paolo
II nella sua legge costituzionale dà delle norme minuziose sulle funzioni del Collegio
cardinalizio e circa alcuni uffici in periodo di «sede vacante»).
c) Un'ulteriore forma di valorizzazione dei Cardinali, per lo stretto legame che li unisce al
Papa (l'Hostiensis parla di «maior communio») e per la loro partecipazione al
governo della Chiesa universale («in partem sollicitudinis», o, meglio «in
plenitudinem potestatis»), è quella di mandarli come rappresentanti del Papa
alle Chiese locali, ai concili e ai principi temporali. La funzione di «Legati
Papali», tanto sviluppata già da Gregorio VII che ha intessuto una trama
fittissima di rapporti con i Vescovi e con i principi civili, anche non cattolici continua con
i Papi seguenti (Alessandro III userà la formula «legati a latere») ed
è in vigore ancora oggi.
d) Infine non possiamo non accennare ai titoli ed alle «insegne»
cardinalizie. Se siamo male informati sulla data di apparizione delle vesti rosse - la
«porpora cardinalizia» - lo siamo invece in modo molto più preciso
sull'apparizione del cappello rosso (la decisione è attribuita a Papa Innocenzo
IV, durante il concilio di Lione del 1245, e venne applicata dal nov. 1246).
Il colore rosso significa tradizionalmente, fin dall'inizio, che i portatori di questo
distintivo dovevano essere disposti a versare il loro sangue per la difesa del Papa e della
Chiesa.
Il titolo di «Eminenza» fu decretato da Urbano VIII nel Concistorio segreto
1630, per distinguere i cardinali dai re e dagli altri personaggi ai quali venivano dati i
medesimi appellativi di «Illustrissimi, Potentissimi, Reverendissimi». Questa
decisione stabiliva che, a partire da allora, i cardinali sarebbero stati onorati col titolo di
«Eminenza» ed «Eminentissimo», e che nessun altro avrebbe avuto il
diritto di usurpare tale titolo, all'infuori dei tre arcivescovi elettori dell'imperatore di
Germania e del Gran Maestro dell'Ordine degli Ospedalieri di san Giovanni di Dio in
Gerusalemme. Il decreto aggiungeva che i Cardinali avrebbero dovuto interrompere ogni relazione
con chiunque avesse negato loro questo titolo, eccetto, naturalmente, l'imperatore e i re.
Alcuni anni dopo, nel 1644, Innocenzo X (1644-1655) completava con altre norme la decisione del
suo predecessore. Per evitare qualsiasi conflitto di prestigio tra i Cardinali e per incitarli
a praticare tra di loro una sincera carità, era loro proibito introdurre nei loro stemmi
e sigilli quanto potesse ricordare la gloria dei loro natali o la celebrità della loro
famiglia; dovevano accontentarsi del titolo di Eminenza senza nulla aggiungervi che ricordasse
le dignità secolari. Una scomunica colpiva coloro che avessero osato chiedere a pittori
o scultori di comporre, dipingere o scolpire stemmi, sigilli o altre insegne che non fossero
conformi a queste prescrizioni.
La creazione dei cardinali, e l'evoluzione della dottrina
teologico-giuridica che fonda le loro competenze, si sono scontrate con istituzioni
preesistenti e contemporanee di vario tipo, che attingono la stessa struttura fondamentale
della Chiesa, oppure sono organismi di antica e consolidata tradizione: pensiamo ad es. al
Collegio Episcopale e ai Sinodi dei Vescovi.
L'asserita prassi collegiale e la peculiare natura del Collegio Cardinalizio - chiamato sacro
Collegio - hanno posto anzitutto il problema del suo rapporto con il Collegio
Episcopale. Tralasciando citazioni di autori passati, ascoltiamo da Paolo VI la spiegazione
di questo delicato rapporto.
In un primo discorso, del 28 giugno 1967, dice:
«La funzione del Sacro Collegio è veramente sacra ed ecclesiale, perché
impegnata nella collaborazione al Sommo Pontefice nel governo della Chiesa universale. Avendo
ricevuto la pienezza del sacerdozio, i Cardinali sono insieme membri del Collegio Episcopale ed
entrano in strettissima relazione col primato del Romano Pontefice, poiché ad essi
compete, in conformità ai sacri canoni, la elezione del successore di Pietro nel governo
della Chiesa: atto questo quanto mai delicato ed esposto ad influssi e pericoli nocivi per
tutta la Chiesa, quando non sia protetto, come ora, da un Collegio Cardinalizio qualificato,
stabile e immune da ogni indebita ed estranea ingerenza».
E in un successivo discorso del 5 marzo 1973 offre ulteriori elementi di valutazione:
«Così che codesto Sacro Collegio può dirsi in certo modo "pars corporis
nostri" come si esprimevano gli antichi documenti ecclesiastici (Wernz, II, 459) e può
assumere, nel mezzo e nel confronto del Collegio Episcopale, di cui il recente Concilio
ecumenico ha illustrato l'amplissima potestà in gerarchica comunione con la nostra di
Pastore Universale, una già nota e ora anche più precisa figura di qualificato
"Presbiterio" della Chiesa, Romana».
Anche il teologo K. Rahner, nell'art. cit., esprime l'opinione che, data l'accentuata
internazionalizzazione del Collegio Cardinalizio e purché esso sia composto in modo da
costituire sempre meglio «una rappresentanza dell'intero episcopato», non vi
è ragione di denunciare una contraddizione tra collegio episcopale e collegio
cardinalizio, né di organizzare diversamente l'elezione del Vescovo di Roma.
Il rapporto Collegio Cardinalizio-Sinodo dei Vescovi ci è illustrato ancora una volta
dallo stesso Paolo VI, istitutore del «Synodus Episcoporum» nel 1965. Già
nell'allocuzione del 28 giugno 1967 cit. egli affermava che l'istituzione recente del Sinodo
dei Vescovi non rende superfluo il Collegio cardinalizio; ma è soprattutto in un
discorso del 1969 che il Papa, ribadita la complementarità tra Sinodo Episcopale e
Collegio Card., afferma che «officia, quae tum ab Episcoporum Synodo tum a sacro Collegio
implentur, in consiliis ferendis suapte natura constant, quandoquidem utrumque cum supremo
Christi vicario officio coniungitur eidemque obnoxium est». Nella medesima allocuzione
era specificato che mentre il Sinodo riflette più direttamente la collegialità
episcopale, il Collegio sottolinea maggiormente la prerogativa del governo personale del Papa,
rimanendo fermo che entrambi gli organismi hanno una funzione puramente consultiva.
Il canone centrale che delinea la natura e le funzioni dei cardinali è il can. 349:
I cardinali di santa Romana Chiesa costituiscono un collegio peculiare, cui spetta provvedere all’elezione del Romano Pontefice, a norma del diritto peculiare; inoltre i cardinali assistono il Romano Pontefice sia agendo collegialmente quando sono convocati insieme per trattare le questioni di maggiore importanza, sia come singoli, cioè nei diversi uffici ricoperti prestandogli la loro opera nella cura soprattutto quotidiana della Chiesa universale.
Sottolineiamo tre elementi emergenti in questa descrizione: la stretta collaborazione tra cardinali e papa; una certa forma di collegialità di determinati atti dei cardinali; la «quotidianità» della loro opera: si tratta di un «servizio permanente». Di qui si spiega il can. 356 che recita:
I cardinali sono tenuti all’obbligo di collaborare assiduamente col Romano Pontefice; perciò i cardinali che ricoprono qualsiasi ufficio nella Curia, se non sono vescovi diocesani, sono tenuti all’obbligo di risiedere nell’Urbe; i Cardinali che hanno la cura di una diocesi come vescovi diocesani, si rechino a Roma ogni volta che sono convocati dal Romano Pontefice.
Giovanni Paolo II ha anticipato la realizzazione di questa norma del Codice appena da lui promulgato, chiamando a Roma già tre volte, per una riunione plenaria, tutti i membri del collegio cardinalizio, nel 1979, nel 1982 e nel 1985. La prima riunione, come ha spiegato anche il S.Padre nel discorso del 9 novembre 1979, è stata dedicata sia allo studio della riorganizzazione della Curia Romana — e i suggerimenti, i consigli e le proposte da allora formulate stanno fruttificando nella nuova costituzione sulla riforma della Curia Romana — sia all’interesse della Chiesa per i problemi della cultura, della scienza e dell’arte.
La seconda riunione, dopo avere analizzato ancora una volta il servizio universale della Curia Romana, e dopo avere preso consapevolezza dello stato dei lavori di redazione definitiva del Codice di diritto canonico, nell’imminenza della sua promulgazione, ha studiato in particolare il problema economico della Santa Sede, compiendo «un nuovo passo nel cammino della collegialità», come ha detto il papa, ed esplicitando le diverse potenzialità che sono insite nel collegio cardinalizio, conformemente alla sua fisionomia storica e alle nuove possibili forme del suo funzionamento.
La terza assemblea ha avuto nuovamente come tema centrale il problema concreto della rinnovata Regimini Ecclesiae Universae. Si è trattato, dopo una vasta e diversificata consultazione, di conoscere il pensiero comune, come ha detto il papa nella sua introduzione, su:
i criteri seguiti nella revisione, la nuova tipologia semplificata degli organismi della Curia, la loro denominazione e struttura, i caratteri di pastoralità, collegialità e sussidiarietà che emergono dall’insieme della nuova impostazione, l’esigenza di uno stretto collegamento tra la Curia Romana e le Conferenze Episcopali, e di un necessario coordinamento tra i Dicasteri stessi.
Le altre norme del Codice, sulla libera scelta dei cardinali, sulle qualità che li rendono idonei alla promozione (si noti: «saltem in ordine presbyteratus constituti», can. 351, § 1), sulle cariche interne e sui tre ordini in cui sono distribuiti, come pure sulla distinzione tra concistoro ordinario e straordinario, sono legge della Chiesa, ormai collaudata, anche attraverso le varie riforme postconciliari (compreso l’invito alla rinuncia all’ufficio, al compimento del settantacinquesimo anno di età: can. 354).
Nel 1492 il famoso Lorenzo il Magnifico, di Firenze, scrisse una lettera
al suo figlio minore Giovanni de' Medici, appena creato cardinale a 17 anni, «il
più giovane non solo del Collegio, ma che fusse mai fatto insino a qui», e disse
tra l'altro (a colui che fu poi Papa col nome di Leone X):
«Lo stato del Cardinale è non manco sicuro che grande, onde nasce che gli
uomini si fanno negligenti, parendo loro di avere conseguito assai e poterlo mantenere con poca
fatica... Una regola sopra l'altra vi conforto ad usare con tutta la sollecitudine vostra; e
questa è di levarvi ogni mattina di buon ora, perché oltre al conferire molto
alla sanità, si pensa ed espedisce tutte le faccende del giorno, e al grado che avete,
avendo a dir l'ufficio, studiare, dare audienze, ecc., ve'l troverete molto
utile...».
È uno dei tanti documenti che si potrebbero citare a riprova della stima e della
densità dell'ufficio cardinalizio.
«La vita è il paragone delle parole» scrisse Alessandro Manzoni, dal quale
siamo partiti. Le parole che scolpiscono l'ufficio e la dignità cardinalizia -
«cardine», rosso «porpora», «senato del Papa»,
«collegio», ecc. - sono verità e profezia, e si potrebbero sintetizzare
nella categoria della «fedeltà», categoria costitutiva del nuovo modo di
essere Chiesa e nella Chiesa dei Christifideles «Cardinali». Ogni creazione di
nuovi Cardinali impegna e rinsalda tutti i membri del Popolo di Dio nella fedeltà e
nell'integro amore all'unica Chiesa, che ha nel ministero del Vescovo di Roma il suo cardine e
la promessa divina di indefettibile compimento della missione di salvezza.