Presentiamo on-line una riflessione dell’allora cardinal Joseph
Ratzinger sull’indulgenza nella Chiesa. Questo breve testo ci aiuta non solo, ancora una
volta, a situare correttamente l’esperienza di Francesco d’Assisi che fu
profondamente radicata nel contesto ecclesiale del tempo, accogliendone la convinzione della
bellezza della cattolicità della Chiesa, ma, soprattutto, a leggere in maniera
più semplice ed insieme più profonda il senso della tradizione
dell’indulgenza, cogliendone il nucleo permanente che illumina anche l’oggi della
vita cristiana.
Il testo è tratto dal volume J.Ratzinger, Immagini di speranza, San Paolo, Cinisello
Balsamo, 1999, pagg.71-79, dove porta il titolo: “Porziuncola. Che cosa significa
indulgenza”. I neretti sono nostri, per facilitare la lettura on-line, e pertanto non
appartengono al testo originale.
L’Areopago
Se si arriva ad Assisi provenendo da sud, sulla pianura che
si estende davanti alla città si incontra dapprima la maestosa basilica
di Santa Maria degli Angeli, dei secoli XVI e XVII, con una facciata classicistica
del secolo scorso. Per dire la verità, essa mi lascia piuttosto freddo;
è difficile cogliere qualcosa della semplicità e dell'umiltà
di san Francesco in questo edificio che si presenta con tanta magnificenza esteriore.
Quel che cerchiamo, lo troviamo però al centro della basilica: una
cappella medievale in cui degli antichi affreschi ci raccontano episodi
della storia della salvezza e della vita di san Francesco, che proprio in questo
luogo visse importanti esperienze. In quello spazio basso e poco illuminato
possiamo percepire qualcosa del raccoglimento e della commozione che vengono
dalla fede dei secoli, che qui ha trovato un luogo di riparo e di orientamento.
Al tempo di san Francesco il territorio circostante era coperto di boschi,
paludoso e disabitato.
Nel terzo anno dalla sua conversione Francesco si imbatté in questa
piccola chiesa, ormai del tutto cadente, che apparteneva all'abbazia benedettina
del monte Subasio. Come aveva già fatto in precedenza con le due chiese
di San Damiano e di San Pietro, restaurate con le sue mani, Francesco si
mise al lavoro anche qui, nella chiesetta della Porziuncola dedicata a Santa
Maria degli Angeli, in cui egli venerava la Madre di ogni bontà. Lo stato
di abbandono in cui si trovavano tutte queste piccole chiese dovette parergli
un triste segno della condizione della Chiesa stessa; egli ancora non sapeva
che, restaurando quegli edifici, si stava preparando a rinnovare la Chiesa vivente.
Ma proprio in questa cappella gli si fece incontro la chiamata definitiva, che
diede alla sua missione la sua vera forma e permise la nascita dell'ordine dei
Frati Minori, che peraltro all'inizio non fu affatto pensato come ordine
religioso, ma come un movimento di evangelizzazione che doveva raccogliere
di nuovo il popolo di Dio per il ritorno del Signore.
A Francesco accadde quello che nel terzo secolo era già accaduto a sant'Antonio
d'Egitto: udì durante una celebrazione liturgica il vangelo della
chiamata dei dodici da parte del Signore, che affidava loro il compito di
annunciare il regno di Dio e di mettersi in cammino a questo scopo, senza averi
e senza sicurezze mondane. Inizialmente Francesco non aveva compreso del tutto
quel testo; se lo fece quindi spiegare dal sacerdote e a quel punto gli
fu chiaro che quello era anche il suo compito. Depose le sue calzature, tenne
solo una tunica e si accinse ad annunciare il regno di Dio e la penitenza. Attorno
a lui si raccolsero a poco a poco dei compagni che, come i dodici, cominciarono
a loro volta ad andare di luogo in luogo e ad annunciare il vangelo che per
loro, come per Francesco, significava gioia per quel nuovo inizio, gioia per
il cambiamento che si era prodotto nelle loro vite, per il coraggio della penitenza.
La Porziuncola era divenuta per Francesco il luogo dove finalmente aveva
compreso il vangelo, perché non lo accostava più a teorie
e glosse esplicative, ma voleva viverlo alla lettera. Si era infatti accorto
che non si trattava di parole del passato, ma di un appello che si rivolgeva
direttamente ed esplicitamente a lui come persona.
Per questo sempre alla Porziuncola consegnò a santa Chiara l'abito
religioso, dando così inizio al ramo religioso femminile del suo Ordine,
chiamato a dare un sostegno interiore al compito evangelico mediante la preghiera.
Per questo, quando si sentì prossimo alla morte, volle essere trasportato
proprio in quel luogo.
Porziuncola significa piccola porzione, piccolo pezzo di terra. Francesco non
volle mai che essa diventasse di proprietà dei suoi frati, preferì
che i benedettini la concedessero loro in uso; e proprio in quel modo, come
qualcosa che non era di proprietà, doveva esprimere la vera proprietà
e l'autentica novità del suo movimento. Per esso doveva valere la
parola del salmo 16, che nell' Antico Testamento esprimeva il particolare destino
della tribù sacerdotale di Levi, cui non apparteneva nessuna terra, perché
la sua unica terra era Dio stesso: «Tu, o Signore, sei mia parte e mia
eredità - sì, della mia eredità mi sono compiaciuto».
La Porziuncola - lo abbiamo visto - è anzitutto un luogo, ma grazie a
Francesco d' Assisi è divenuto una realtà dello spirito e della
fede, che proprio qui si fa sensibile e diventa un luogo concreto in cui possiamo
entrare, ma grazie al quale possiamo anche accedere alla storia della fede e
alla sua forza sempre efficace.
Che poi la Porziuncola non ci ricordi solo grandi storie di conversione del
passato, non rappresenti solo una semplice idea, ma riesca ancora ad accostarci
al legame vivente di penitenza e di grazia, ciò dipende dal cosiddetto
perdono d' Assisi, che più propriamente dovremmo chiamare perdono della
Porziuncola. Qual è il suo vero significato? Secondo una tradizione
che sicuramente risale almeno alla fine del secolo XIII, Francesco nel luglio
del 1216 avrebbe fatto visita nella vicina Perugia al papa Onorio III, subito
dopo la sua elezione, e gli avrebbe sottoposto una richiesta inusuale: chiese
al pontefice di concedere l'indulgenza plenaria per tutta la loro vita precedente
a tutti coloro che si fossero recati nella chiesetta della Porziuncola,
confessandosi e facendo penitenza dei propri peccati.
Il cristiano di oggi si chiederà che cosa possa significare un tale perdono,
dal momento che presupponeva comunque penitenza personale e confessione.
Per comprenderlo dobbiamo tener presente che a quel tempo, malgrado tanti cambiamenti,
continuavano a valere gli elementi essenziali della disciplina penitenziale
dell'antica Chiesa. Tra questi vi era
la convinzione che, dopo il battesimo, il perdono non potesse essere concesso
semplicemente con l'atto dell'assoluzione, ma - come già in precedenza
nella preparazione al battesimo - che esigesse un cambiamento reale di vita,
una rimozione interiore del male. L'atto sacramentale doveva legarsi a un
atto esistenziale, a un lavoro profondo e reale sulla propria colpa, che
veniva appunto chiamato penitenza. Perdono non significa che questo processo
esistenziale diventa superfluo, ma che riceve un senso, che viene fatto proprio.
Al tempo di san Francesco come forma principale di penitenza imposta dalla Chiesa,
in stretto rapporto con il perdono dei peccati, era invalso l'uso di intraprendere
un grande pellegrinaggio, a Santiago, a Roma e, soprattutto a Gerusalemme.
Il lungo, pericoloso e difficile viaggio a Gerusalemme poteva davvero diventare
per molti pellegrini un viaggio interiore; tuttavia un aspetto molto concreto
era anche il fatto che in Terra Santa le offerte che esso portava con sé
erano divenute la fonte più importante per il mantenimento della Chiesa
locale. In proposito non si dovrebbe storcere troppo facilmente il naso: in
tal modo la penitenza acquistava anche una valenza sociale.
Se dunque - come vuole la tradizione - Francesco aveva avanzato la richiesta
che tutto questo potesse essere ottenuto con la visita orante al santo luogo
della Porziuncola, ciò era legato davvero a qualcosa di nuovo: una
indulgenza, che doveva cambiare l'intera prassi penitenziale. Si può
senz'altro comprendere che i cardinali fossero scontenti della concessione di
questo privilegio da parte del papa e temessero per il sostentamento economico
della Terra Santa, tanto che il perdono della Porziuncola fu inizialmente ridotto
a un solo giorno all'anno, quello della dedicazione della Chiesa, il 2 agosto.
A questo punto, però, ci si domanda se il papa potesse far questo così
semplicemente. Può un papa dispensare da un processo esistenziale,
quale era quello previsto dalla grande prassi penitenziale della Chiesa? Ovviamente,
no. Quel che è un' esigenza interiore dell'esistenza umana, non può
essere reso superfluo mediante un atto giuridico. Ma non si trattava affatto
di questo. Francesco, che aveva scoperto i poveri e la povertà, nella
sua richiesta era spinto dalla sollecitudine per quelle persone a cui mancavano
i mezzi o le forze per un pellegrinaggio in Terra Santa; coloro che non
potevano dare nulla, se non la loro fede, la loro preghiera, la loro disponibilità
a vivere secondo il vangelo la propria condizione di povertà. In questo
senso l'indulgenza della Porziuncola è la penitenza di coloro che sono
tribolati, che la vita stessa carica già di una penitenza sufficiente.
Senza dubbio a ciò si legava anche un 'interiorizzazione del concetto
stesso di penitenza, sebbene non mancasse certamente la necessaria espressione
sensibile dal momento che implicava comunque il pellegrinaggio al semplice e
umile luogo della Porziuncola, che allo stesso tempo doveva essere anche un
incontro con la radicalità del vangelo, come Francesco l'aveva appresa
proprio in quel posto.
È innegabile che all'idea di indulgenza che proprio qui gradatamente
assunse il suo carattere specifico, si legava anche il pericolo di abusi, come
la storia ci ha insegnato in termini sufficientemente drammatici. Ma
se alla fine si conserva solo il ricordo degli abusi, allora si è caduti
in una perdita di memoria e in un atteggiamento di superficialità,
con cui si danneggia soprattutto se stessi. Come sempre, infatti, ciò
che è grande e puro è più difficile da vedere di ciò
che è rozzo e meschino.
Ora non posso certo spiegare tutto il complesso intreccio di esperienze e di
conoscenze che si è sviluppato a partire dall'evento della Porziuncola.
Voglio solo cercare di tracciare le linee più importanti. Dopo la concessione
di questa particolare indulgenza si arrivò ben presto a un passo ulteriore.
Proprio le persone umili e di fede semplice finirono per chiedersi: perché
solo per me stesso? Non posso forse comunicare anche ad altri quel che mi
è stato dato in ambito spirituale, come avviene in ambito materiale?
Il pensiero si rivolgeva soprattutto alle povere anime, a coloro che nella
vita erano stati loro vicini, che li avevano preceduti nell'altro mondo
e il cui destino non poteva essere loro indifferente. Si sapeva degli errori
e delle debolezze delle persone che erano state care o dalle quali si erano
forse ricevuti anche dei dispiaceri. Perché non ci si poteva preoccupare
di loro? Perché non cercare di fare loro del bene anche al di là
della tomba, di accorrere in loro aiuto, laddove possibile, nel difficile viaggio
delle anime?
Qui si fa evidente un sentimento antico dell'umanità, che ha trovato
molteplici espressioni nei culti degli antenati e dei morti lungo tutta la storia
dell'umanità. La fede cristiana non ha affatto negato valore a tutto
ciò, ma ha cercato di purificare questo sentimento e di farlo emergere
nel suo senso più autentico. «Se viviamo, viviamo per il Signore;
se moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, noi siamo
del Signore», dice Paolo (Rm 14,8). Questo significa: il vero limite non
è più la morte, ma l'appartenere o il non appartenere al Signore.
Se gli apparteniamo, allora siamo vicini gli uni agli altri per mezzo di
lui e in lui.
Per questo - era la conseguenza logica - c'è un amore che va al di là
dei limiti della morte. Così, a chi chiedeva se qualcosa della forza
donata dal perdono potesse essere comunicato anche all'aldilà, veniva
risposto di sì, con la formula per modum suffragii - per mezzo
della preghiera. La preghiera per i defunti, da sempre appartenente alla
Chiesa, guadagnava così una particolare intensità. E questa
promessa fu proprio ciò che fece dell'indulgenza un grande invito
alla preghiera, al di là di tutti gli abusi e di tutti gli equivoci.
Qui devo aggiungere che nel corso del tempo l'indulgenza in un primo momento
riservata solo al luogo della Porziuncola, fu poi estesa prima a tutte le
chiese francescane e, infine, a tutte le chiese parrocchiali per il 2 agosto.
Nei ricordi della mia giovinezza il giorno del perdono d'Assisi è rimasto
come un giorno di grande interiorità, come un giorno in cui si ricevevano
i sacramenti in un clima di raccoglimento personale, come un giorno di preghiera.
Nella piazza antistante la nostra chiesa parrocchiale in quel giorno regnava
un silenzio particolarmente solenne. Entravano e uscivano in continuazione persone
dalla chiesa. Si sentiva che il cristianesimo è grazia e che questa si
dischiude nella preghiera.
Indipendentemente da ogni teoria sull'indulgenza, era quello un giorno di fede
e di silenziosa speranza, di una preghiera che si sapeva certamente esaudita
e che valeva soprattutto per i defunti.
Nel corso del tempo, tuttavia, a tutto questo si aggiunse un'altra idea, che
oggi può apparirci alquanto estranea, ma che, peraltro, contiene un'importante
verità. Quanto più l'indulgenza veniva intesa come un porsi a
sostegno degli altri, tanto più si faceva strada un altro concetto, che
dava un fondamento teologico a questa nuova forma e, nel contempo, la avviava
verso sviluppi ulteriori. La preghiera indirizzata all'altro mondo implicava
necessariamente l'idea della comunione dei santi e della comunicazione dei
beni spirituali.
A questo punto vi chiederete ancora una volta: ma che cosa significa tutto questo?
non si tratta forse di un insensato mercantilismo religioso? La domanda si fa
più acuta se si tiene conto che si parlava proprio di tesoro della
Chiesa, che consisteva nei meriti accumulati dai santi. Che cosa si intendeva
dire? Non è forse vero che ognuno deve rispondere personalmente di se
stesso? Che significato possono avere per me le buone opere compiute da un altro?
Sono queste le domande che ci poniamo, perché, malgrado tutti gli
ideali socialisti, continuiamo a vivere del meschino e ristretto individualismo
dell'epoca moderna. In realtà, però, nessun uomo è
chiuso in se stesso. Ciascuno di noi vive in rapporto con gli altri e dipende
dagli altri, non solo dal punto di vista materiale, ma anche da quello spirituale,
culturale e morale.
Cerchiamo di esemplificare questo concetto cominciando dal suo versante negativo.
Vi sono persone che non distruggono solo se stesse, ma portano alla rovina
anche gli altri, lasciando dietro di sé forze di distruzione che
spingono verso il negativo intere generazioni. Se pensiamo ai grandi seduttori
del nostro secolo, sappiamo quanto ciò sia reale. La negazione di uno
diventa una malattia contagiosa, che coinvolge anche gli altri.
Ma, grazie a Dio, ciò non vale solo per il negativo. Vi sono persone
che lasciano dietro di sé una sorta di sovrappiù d'amore,
di dolore sofferto e vissuto fino in fondo, di letizia, sincerità e verità,
che prende anche gli altri, li accompagna e li sostiene. Esiste davvero qualcosa
come la sostituzione vicaria nel più profondo dell'esistenza. Tutto il
mistero di Cristo poggia proprio su questo.
Ora si può dire: bene, è così. Ma allora basta il sovrappiù
dell'amore di Cristo, non c'è bisogno d'altro. Lui solo libera e redime,
tutto il resto sarebbe presunzione, come se noi dovessimo aggiungere qualcosa
all'infinità del suo amore con la nostra finitudine. È vero, ma
non è vero del tutto. Infatti la grandezza dell'amore di Cristo è
tale che non ci lascia nella condizione di chi riceve passivamente, ma ci coinvolge
fino in fondo nella sua opera e nella sua passione. Lo afferma un celebre
passo della lettera ai Colossesi: «Compio nella mia carne ciò che
manca alla passione di Cristo, per il suo corpo» (Col 1,24).
Ma vorrei far riferimento anche a un altro passo neotestamentario, in cui mi
pare che questa verità sia espressa in modo meraviglioso. L'Apocalisse
di san Giovanni parla della sposa, la Chiesa, in cui è raffigurata l'umanità
salvata. Mentre la meretrice Babilonia appare vestita di abiti e ornamenti lussuosi
e appariscenti, la sposa indossa solo una semplice veste di lino bianco, sia
pure di quel bisso puro e splendente che è particolarmente prezioso.
In proposito il testo osserva: «Questa veste di lino sono le opere
giuste dei santi» (Ap 19,8). Nella vita dei santi viene tessuto questo
radioso bisso bianco, che è l'abito dell'eternità.
Usciamo dalla metafora: nell'ambito spirituale tutto appartiene a tutti.
Non c'è nessuna proprietà privata. Il bene di un altro diventa
il mio e il mio diventa suo. Tutto viene da Cristo, ma poiché noi gli
apparteniamo, anche ciò che è nostro diventa suo ed è investito
di forza salvifica. È questo ciò che si intende con le espressioni
«tesoro della Chiesa» o «meriti» dei santi.
Chiedere l'indulgenza significa entrare in questa comunione di beni spirituali
e mettersi a propria volta a sua disposizione. La svolta nell'idea di penitenza,
che ha avuto inizio alla Porziuncola, ha conseguentemente portato a questo punto:
anche spiritualmente nessuno vive per se stesso. E solo allora la preoccupazione
per la salvezza della propria anima si libera dall'ansia e dall'egoismo, proprio
perché diventa preoccupazione per la salvezza degli altri.
Così la Porziuncola e l'indulgenza che da lì ha avuto origine
diventa un compito, un invito a mettere la salvezza degli altri al di sopra
della mia e, proprio in questo modo, a trovare anche me stesso. Si
tratta di non chiedere più: sarò salvato? ma: che cosa vuole Dio
da me perché altri siano salvati?
L'indulgenza rinvia alla comunione dei santi, al mistero della sostituzione
vicaria, alla preghiera come via per diventare una cosa sola con Cristo
e con il suo volere. Egli ci invita a partecipare alla tessitura dell'abito
bianco della nuova umanità, che proprio nella sua semplicità è
la vera bellezza.
L’indulgenza in fondo è un po' come la chiesa della Porziuncola:
come bisogna percorrere gli spazi piuttosto freddi ed estranei del grande edificio
per trovare al suo centro l'umile chiesetta che tocca il nostro cuore, così
occorre attraversare il complesso intreccio della storia e delle idee teologiche
per giungere a ciò che è davvero semplice: alla preghiera, con
cui ci lasciamo cadere nella comunione dei santi, per cooperare con essi
alla vittoria del bene sull'apparente onnipotenza del male, sapendo che alla
fine tutto è grazia.
Per altri testi su S.Francesco presenti su questo sito, vedi la pagina San Francesco d'Assisi nella sezione Percorsi tematici