In dialogo con le nuove generazioni: le risposte di Papa Benedetto XVI ai giovani di Roma ed ai bambini della prima comunione (tpfs*)

Ripresentiamo on-line sul nostro sito le risposte di Papa Benedetto XVI ai giovani della Diocesi di Roma ed ai bambini della prima comunione. Le sottolineature in neretto sono nostre ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura dei testi on-line.

L’Areopago


Indice


Colloquio di Sua Santità Benedetto XVI con i giovani, durante l’Incontro con i giovani della Diocesi di Roma, in preparazione alla XXI Giornata Mondiale della Gioventù (piazza San Pietro, giovedì 6 aprile 2006)

1) Santità, sono Simone, della Parrocchia di San Bartolomeo, ho 21 anni e studio ingegneria chimica all'Università «La Sapienza» di Roma.
Innanzitutto ancora grazie per averci indirizzato il Messaggio per la XXI Giornata Mondiale della Gioventù sul tema della Parola di Dio che illumina i passi della vita dell'uomo. Davanti alle ansie, alle incertezze per il futuro, e anche quando mi trovo semplicemente alle prese con la routine del quotidiano, anch'io sento il bisogno di nutrirmi della Parola di Dio e di conoscere meglio Cristo, così da trovare risposte alle mie domande. Mi chiedo spesso cosa farebbe Gesù se fosse al posto mio in una determinata situazione, ma non sempre riesco a capire ciò che la Bibbia mi dice. Inoltre so che i libri della Bibbia sono stati scritti da uomini diversi, in epoche diverse e tutte molto lontane da me. Come posso riconoscere che quanto leggo è comunque Parola di Dio che interpella la mia vita? Grazie.

Rispondo sottolineando intanto un primo punto: si deve innanzitutto dire che occorre leggere la Sacra Scrittura non come un qualunque libro storico, come leggiamo, ad esempio, Omero, Ovidio, Orazio; occorre leggerla realmente come Parola di Dio, ponendosi cioè in colloquio con Dio. Si deve inizialmente pregare, parlare con il Signore: “Aprimi la porta”. E’ quanto dice spesso sant’Agostino nelle sue omelie: “Ho bussato alla porta della Parola per trovare finalmente quanto il Signore mi vuol dire”. Questo mi sembra un punto molto importante. Non in un clima accademico si legge la Scrittura, ma pregando e dicendo al Signore: “Aiutami a capire la tua Parola, quanto in questa pagina ora tu vuoi dire a me”.
Un secondo punto è: la Sacra Scrittura introduce alla comunione con la famiglia di Dio. Quindi non si può leggere da soli la Sacra Scrittura. Certo, è sempre importante leggere la Bibbia in modo molto personale, in un colloquio personale con Dio, ma nello stesso tempo è importante leggerla in una compagnia di persone con cui si cammina. Lasciarsi aiutare dai grandi maestri della “Lectio divina”. Abbiamo, per esempio, tanti bei libri del Cardinale Martini, un vero maestro della “Lectio divina”, che aiuta ad entrare nel vivo della Sacra Scrittura. Lui che conosce bene tutte le circostanze storiche, tutti gli elementi caratteristici del passato, cerca però sempre di aprire anche la porta per far vedere che parole apparentemente del passato sono anche parole del presente. Questi maestri ci aiutano a capire meglio ed anche ad imparare il modo in cui leggere bene la Sacra Scrittura. Generalmente, poi, è opportuno leggerla anche in compagnia con gli amici che sono in cammino con me e cercano, insieme con me, come vivere con Cristo, quale vita ci viene dalla Parola di Dio.
Un terzo punto: se è importante leggere la Sacra Scrittura aiutati dai maestri, accompagnati dagli amici, i compagni di strada, è importante in particolare leggerla nella grande compagnia del Popolo di Dio pellegrinante, cioè nella Chiesa. La Sacra Scrittura ha due soggetti. Anzitutto il soggetto divino: è Dio che parla. Ma Dio ha voluto coinvolgere l’uomo nella sua Parola. Mentre i musulmani sono convinti che il Corano sia ispirato verbalmente da Dio, noi crediamo che per la Sacra Scrittura è caratteristica - come dicono i teologi – la “sinergia”, la collaborazione di Dio con l’uomo. Egli coinvolge il suo Popolo con la sua parola e così il secondo soggetto – il primo soggetto, come ho detto, è Dio – è umano. Vi sono singoli scrittori, ma c’è la continuità di un soggetto permanente - il Popolo di Dio che cammina con la Parola di Dio ed è in colloquio con Dio. Ascoltando Dio, si impara ad ascoltare la Parola di Dio e poi anche ad interpretarla. E così la Parola di Dio diventa presente, perché le singole persone muoiono, ma il soggetto vitale, il Popolo di Dio, è sempre vivo, ed è identico nel corso dei millenni: è sempre lo stesso soggetto vivente, nel quale vive la Parola.
Così si spiegano anche molte strutture della Sacra Scrittura, soprattutto la cosiddetta “rilettura”. Un testo antico viene riletto in un altro libro, diciamo cento anni dopo, e allora viene capito in profondità quanto non era ancora percepibile in quel precedente momento, anche se era già contenuto testo precedente. E viene riletto ancora nuovamente tempo dopo, e di nuovo si capiscono altri aspetti, altre dimensioni della Parola, e così in questa permanente rilettura e riscrittura nel contesto di una continuità profonda, mentre si succedevano i tempi dell’attesa, è cresciuta la Sacra Scrittura. Infine, con la venuta di Cristo e con l’esperienza degli Apostoli la Parola si è resa definitiva, così che non vi possono più essere riscritture, ma continuano ad essere necessari nuovi approfondimenti della nostra comprensione. Il Signore ha detto: “Lo Spirito Santo vi introdurrà in una profondità che adesso non potete portare”.
Quindi la comunione della Chiesa è il soggetto vivente della Scrittura. Ma anche adesso il soggetto principale è lo stesso Signore, il quale continua a parlare nella Scrittura che è nelle nostre mani. Penso che dobbiamo imparare questi tre elementi: leggere in colloquio personale con il Signore; leggere accompagnati da maestri che hanno l’esperienza della fede, che sono entrati nella Sacra Scrittura; leggere nella grande compagnia della Chiesa, nella cui Liturgia questi avvenimenti diventano sempre di nuovo presenti, nella quale il Signore parla adesso con noi, così che man mano entriamo sempre più nella Sacra Scrittura, nella quale Dio parla realmente con noi, oggi.

2) Santo Padre, sono Anna, ho 19 anni, studio Lettere e appartengo alla Parrocchia di Santa Maria del Carmelo.
Uno dei problemi con i quali abbiamo maggiormente a che fare è quello affettivo. Spesso facciamo fatica ad amare. Fatica, sì: perché è facile confondere l'amore con l'egoismo, soprattutto oggi, dove gran parte dei media quasi ci impongono una visione della sessualità individualista, secolarizzata, dove tutto sembra lecito, e tutto è concesso in nome della libertà e della coscienza dei singoli. La famiglia fondata sul matrimonio sembra ormai poco più di un'invenzione della Chiesa, per non parlare, poi, dei rapporti prematrimoniali, il cui divieto appare, perfino a molti di noi credenti, cosa incomprensibile o fuori dal tempo... Ben sapendo che tanti di noi cercano di vivere responsabilmente la loro vita affettiva, vuole illustrarci cosa ha da dirci in proposito la Parola di Dio? Grazie.

Si tratta di una grande questione e rispondere in pochi minuti certamente non è possibile, ma cerco di dire qualcosa. La stessa Anna ha già dato delle risposte in quanto ha detto che l’amore oggi è spesso male interpretato, in quanto è presentato come un’esperienza egoistica, mentre in realtà è un abbandono di sé e così diventa un trovarsi. Lei ha anche detto che una cultura consumistica falsifica la nostra vita con un relativismo che sembra concederci tutto e in realtà ci svuota. Ma allora ascoltiamo la Parola di Dio a questo riguardo. Anna voleva giustamente sapere che cosa dice la Parola di Dio. Per me è una cosa molto bella costatare che già nelle prime pagine della Sacra Scrittura, subito dopo il racconto della Creazione dell’uomo, troviamo la definizione dell’amore e del matrimonio. L’autore sacro ci dice: “L’uomo abbandonerà padre e madre, seguirà la sua donna e ambedue saranno una carne sola, un’unica esistenza”. Siamo all’inizio e già ci è data una profezia di che cos’è il matrimonio; e questa definizione anche nel Nuovo Testamento rimane identica. Il matrimonio è questo seguire l’altro nell’amore e così divenire un’unica esistenza, una sola carne, e perciò inseparabili; una nuova esistenza che nasce da questa comunione d’amore, che unisce e così anche crea futuro. I teologi medievali, interpretando questa affermazione che si trova all’inizio della Sacra Scrittura, hanno detto che tra i sette Sacramenti, il matrimonio è il primo istituito da Dio, essendo stato istituito già al momento della creazione, nel Paradiso, all’inizio della storia, e prima di ogni storia umana. E’ un sacramento del Creatore dell’universo, iscritto quindi proprio nell’essere umano stesso, che è orientato verso questo cammino, nel quale l’uomo abbandona i genitori e si unisce alla sua donna per formare una sola carne, perché i due diventino un’unica esistenza. Quindi il sacramento del matrimonio non è invenzione della Chiesa, è realmente “con-creato” con l’uomo come tale, come frutto del dinamismo dell’amore, nel quale l’uomo e la donna si trovano a vicenda e così trovano anche il Creatore che li ha chiamati all’amore. E’ vero che l’uomo è caduto ed è stato espulso dal Paradiso, o con altre parole, parole più moderne, è vero che tutte le culture sono inquinate dal peccato, dagli errori dell’uomo nella sua storia e così il disegno iniziale iscritto nella nostra natura risulta oscurato. Di fatto, nelle culture umane troviamo questo oscuramento del disegno originale di Dio. Nello stesso tempo, però, osservando le culture, tutta la storia culturale dell’umanità, costatiamo anche che l’uomo non ha mai potuto totalmente dimenticare questo disegno che esiste nella profondità del suo essere. Ha sempre saputo in un certo senso che le altre forme di rapporto tra l’uomo e la donna non corrispondevano realmente al disegno originale sul suo essere. E così nelle culture, soprattutto nelle grandi culture, vediamo sempre di nuovo come esse si orientino verso questa realtà, la monogamia, l’essere uomo e donna una carne sola. E’ così, nella fedeltà, che può crescere una nuova generazione, può continuarsi una tradizione culturale, rinnovandosi e realizzando, nella continuità, un autentico progresso.
Il Signore, che ha parlato di questo nella lingua dei profeti d’Israele, accennando alla concessione da parte di Mosè del divorzio, ha detto: Mosé ve lo ha concesso “per la durezza del vostro cuore”. Il cuore dopo il peccato è divenuto “duro”, ma questo non era il disegno del Creatore e i Profeti con chiarezza crescente hanno insistito su questo disegno originario. Per rinnovare l’uomo, il Signore - alludendo a queste voci profetiche che hanno sempre guidato Israele verso la chiarezza della monogamia – ha riconosciuto con Ezechiele che abbiamo bisogno, per vivere questa vocazione, di un cuore nuovo; invece del cuore di pietra – come dice Ezechiele – abbiamo bisogno di un cuore di carne, di un cuore veramente umano. E il Signore nel Battesimo, mediante la fede “impianta” in noi questo cuore nuovo. Non è un trapianto fisico, ma forse possiamo servirci proprio di questo paragone: dopo il trapianto, è necessario che l’organismo sia curato, che abbia le medicine necessarie per poter vivere con il nuovo cuore, così che diventi “cuore suo” e non “cuore di un altro”. Tanto più in questo “trapianto spirituale”, dove il Signore ci impianta un cuore nuovo, un cuore aperto al Creatore, alla vocazione di Dio, per poter vivere con questo cuore nuovo, sono necessarie cure adeguate, bisogna ricorrere alle medicine opportune, perché esso diventi veramente “cuore nostro”. Vivendo così nella comunione con Cristo, con la sua Chiesa, il nuovo cuore diventa realmente “cuore nostro” e si rende possibile il matrimonio. L’amore esclusivo tra un uomo e una donna, la vita a due disegnata dal Creatore diventa possibile, anche se il clima del nostro mondo la rende tanto difficile, fino a farla apparire impossibile.
Il Signore ci dà un cuore nuovo e noi dobbiamo vivere con questo cuore nuovo, usando le opportune terapie perché sia realmente “nostro”. E’ così che viviamo quanto il Creatore ci ha donato e questo crea una vita veramente felice. Di fatto, possiamo vederlo anche in questo mondo, nonostante tanti altri modelli di vita: ci sono tante famiglie cristiane che vivono con fedeltà e con gioia la vita e l’amore indicati dal Creatore e così cresce una nuova umanità.
E infine aggiungerei: sappiamo tutti che per arrivare ad un traguardo nello sport e nella professione ci vogliono disciplina e rinunce, ma poi tutto questo è coronato dal successo, dall’aver raggiunto una meta auspicabile. Così anche la vita stessa, cioè il divenire uomini secondo il disegno di Gesù, esige rinunce; esse però non sono una cosa negativa, al contrario aiutano a vivere da uomini con un cuore nuovo, a vivere una vita veramente umana e felice. Poiché esiste una cultura consumistica che vuole impedirci di vivere secondo il disegno del Creatore, noi dobbiamo avere il coraggio di creare isole, oasi, e poi grandi terreni di cultura cattolica, nei quali si vive il disegno del Creatore.

3) Beatissimo Padre, sono Inelida, ho 17 anni, sono Aiuto Capo Scout dei Lupetti nella Parrocchia di San Gregorio Barbarigo e studio al Liceo Artistico «Mario Mafai».
Nel suo Messaggio per la XXI Giornata Mondiale della Gioventù Lei ci ha detto che «è urgente che sorga una nuova generazione di apostoli radicati nella parola di Cristo». Sono parole così forti e impegnative che mettono quasi paura. Certo anche noi vorremmo essere dei nuovi apostoli, ma vuole spiegarci più dettagliatamente quali sono, secondo Lei, le maggiori sfide da affrontare nel nostro tempo, e come sogna che siano questi nuovi apostoli? In altre parole: cosa si aspetta da noi, Santità?

Tutti ci chiediamo che cosa si aspetta il Signore da noi. Mi sembra che la grande sfida del nostro tempo – così mi dicono anche i Vescovi in visita “ad limina”, quelli dell’Africa ad esempio – sia il secolarismo: cioè un modo di vivere e di presentare il mondo come “si Deus non daretur”, cioè come se Dio non esistesse. Si vuole ridurre Dio al privato, ad un sentimento, come se Lui non fosse una realtà oggettiva e così ognuno si forma il suo progetto di vita. Ma, questa visione che si presenta come se fosse scientifica, accetta come valido solo quanto è verificabile con l’esperimento. Con un Dio che non si presta all’esperimento immediato, questa visione finisce per lacerare anche la società: ne consegue infatti che ognuno si forma il suo progetto e alla fine ognuno si trova contro l’altro. Una situazione, come si vede, decisamente invivibile. Dobbiamo rendere nuovamente presente Dio nelle nostre società. Mi sembra questa la prima necessità: che Dio sia di nuovo presente nella nostra vita, che non viviamo come se fossimo autonomi, autorizzati ad inventare cosa siano la libertà e la vita. Dobbiamo prendere atto di essere creature, costatare che c’è un Dio che ci ha creati e che stare nella sua volontà non è dipendenza ma un dono d’amore che ci fa vivere.
Quindi, il primo punto è conoscere Dio, conoscerlo sempre di più, riconoscere nella mia vita che Dio c’è, e che Dio c’entra. Il secondo punto - se riconosciamo che Dio c’è, che la nostra libertà è una libertà condivisa con gli altri e che deve esserci quindi un parametro comune per costruire una realtà comune – il secondo punto, dicevo, presenta la questione: quale Dio? Ci sono infatti tante immagini false di Dio, un Dio violento, ecc. La seconda questione quindi è: riconoscere il Dio che ci ha mostrato il suo volto in Gesù, che ha sofferto per noi, che ci ha amati fino alla morte e così ha vinto la violenza. Occorre rendere presente, innanzitutto nella nostra “propria” vita, il Dio vivente, il Dio che non è uno sconosciuto, un Dio inventato, un Dio solo pensato, ma un Dio che si è mostrato, ha mostrato sé stesso e il suo volto. Solo così, la nostra vita diventa vera, autenticamente umana e così anche i criteri del vero umanesimo diventano presenti nella società. Anche qui vale, come avevo detto nella prima risposta, che non possiamo essere soli nel costruire questa vita giusta e retta, ma dobbiamo camminare in compagnia di amici giusti e retti, di compagni con i quali possiamo fare l’esperienza che Dio esiste e che è bello camminare con Dio. E camminare nella grande compagnia della Chiesa, che ci presenta nei secoli la presenza del Dio che parla, che agisce, che s’accompagna a noi. Quindi direi: trovare Dio, trovare il Dio rivelatosi in Gesù Cristo, camminare in compagnia con la sua grande famiglia, con i nostri fratelli e sorelle che sono la famiglia di Dio, questo mi sembra il contenuto essenziale di questo apostolato del quale ho parlato.

4) Santità, mi chiamo Vittorio, sono della Parrocchia di San Giovanni Bosco a Cinecittà, ho 20 anni e studio Scienze dell'Educazione all'Università di Tor Vergata.
Sempre nel Suo Messaggio Lei ci invita a non avere paura di rispondere con generosità al Signore, specialmente quando propone di seguirlo nella vita consacrata o nella vita sacerdotale. Ci dice di non avere paura, di fidarci di Lui e che non resteremo delusi. Molti tra noi, anche qui o tra chi ci segue da casa questa sera tramite la televisione, sono convinto che stiano pensando a seguire Gesù per una via di speciale consacrazione, ma non è sempre facile capire se quella sarà la via giusta. Ci vuol dire come ha fatto Lei a capire quale era la sua vocazione? Può darci dei consigli per capire meglio se il Signore ci chiama a seguirlo nella vita consacrata o sacerdotale? La ringrazio.

Quanto a me, sono cresciuto in un mondo molto diverso da quello attuale, ma infine le situazioni si somigliano. Da una parte, vi era ancora la situazione di “cristianità”, in cui era normale andare in chiesa ed accettare la fede come la rivelazione di Dio e cercare di vivere secondo la rivelazione; dall’altra parte, vi era il regime nazista, che affermava a voce alta: “Nella nuova Germania non ci saranno più sacerdoti, non ci sarà più vita consacrata, non abbiamo più bisogno di questa gente; cercatevi un’altra professione”. Ma proprio sentendo queste voci “forti”, nel confronto con la brutalità di quel sistema dal volto disumano, ho capito che c’era invece molto bisogno di sacerdoti. Questo contrasto, il vedere quella cultura antiumana, mi ha confermato nella convinzione che il Signore, il Vangelo, la fede ci mostravano la strada giusta e noi dovevamo impegnarci perché sopravvivesse questa strada. In questa situazione, la vocazione al sacerdozio è cresciuta quasi naturalmente insieme con me e senza grandi avvenimenti di conversione. Inoltre due cose mi hanno aiutato in questo cammino: già da ragazzo, aiutato dai miei genitori e dal parroco, ho scoperto la bellezza della Liturgia e l’ho sempre più amata, perché sentivo che in essa ci appare la bellezza divina e ci si apre dinanzi il cielo; il secondo elemento è stata la scoperta della bellezza del conoscere, il conoscere Dio, la Sacra Scrittura, grazie alla quale è possibile introdursi in quella grande avventura del dialogo con Dio che è la Teologia. E così è stata una gioia entrare in questo lavoro millenario della Teologia, in questa celebrazione della Liturgia, nella quale Dio è con noi e fa festa insieme con noi.
Naturalmente non sono mancate le difficoltà. Mi domandavo se avevo realmente la capacità di vivere per tutta la vita il celibato. Essendo un uomo di formazione teorica e non pratica, sapevo anche che non basta amare la Teologia per essere un buon sacerdote, ma vi è la necessità di essere disponibile sempre verso i giovani, gli anziani, gli ammalati, i poveri; la necessità di essere semplice con i semplici. La Teologia è bella, ma anche la semplicità della parola e della vita cristiana è necessaria. E così mi domandavo: sarò in grado di vivere tutto questo e di non essere unilaterale, solo un teologo ecc.? Ma il Signore mi ha aiutato e, soprattutto, la compagnia degli amici, di buoni sacerdoti e di maestri, mi ha aiutato.
Tornando alla domanda penso sia importante essere attenti ai gesti del Signore nel nostro cammino. Egli ci parla tramite avvenimenti, tramite persone, tramite incontri: occorre essere attenti a tutto questo. Poi, secondo punto, entrare realmente in amicizia con Gesù, in una relazione personale con Lui e non sapere solo da altri o dai libri chi è Gesù, ma vivere una relazione sempre più approfondita di amicizia personale con Gesù, nella quale possiamo cominciare a capire quanto Egli ci chiede. E poi, l’attenzione a ciò che io sono, alle mie possibilità: da una parte coraggio e dall’altra umiltà e fiducia e apertura, con l’aiuto anche degli amici, dell’autorità della Chiesa ed anche dei sacerdoti, delle famiglie: cosa vuole il Signore da me? Certo, ciò rimane sempre una grande avventura, ma la vita può riuscire solo se abbiamo il coraggio dell’avventura, la fiducia che il Signore non mi lascerà mai solo, che il Signore mi accompagnerà, mi aiuterà.

5) Padre Santo, sono Giovanni, ho 17 anni, studio al Liceo Scientifico Tecnologico «Giovanni Giorgi» di Roma e appartengo alla Parrocchia di Santa Maria Madre della Misericordia.
Le chiedo di aiutarci a comprendere meglio come la rivelazione biblica e le teorie scientifiche possono convergere nella ricerca della verità. Spesso si è indotti a credere che scienza e fede siano tra loro nemiche; che scienza e tecnica siano la stessa cosa; che la logica matematica abbia scoperto tutto; che il mondo è frutto del caso, e che se la matematica non ha scoperto il teorema-Dio è perché Dio, semplicemente, non esiste. Insomma, soprattutto quando studiamo, non è sempre facile ricondurre tutto ad un progetto Divino, insito nella natura e nella storia dell'Uomo. Così, a volte, la fede vacilla o si riduce a semplice atto sentimentale. Anch'io Santo Padre, come tutti i giovani, ho fame di Verità: ma come posso fare per armonizzare Scienza e Fede?

Il grande Galileo ha detto che Dio ha scritto il libro della natura nella forma del linguaggio matematico. Lui era convinto che Dio ci ha donato due libri: quello della Sacra Scrittura e quello della natura. E il linguaggio della natura – questa era la sua convinzione – è la matematica, quindi essa è un linguaggio di Dio, del Creatore. Riflettiamo ora su cos’è la matematica: di per sé è un sistema astratto, un’invenzione dello spirito umano, che come tale nella sua purezza non esiste. E’ sempre realizzato approssimativamente, ma - come tale - è un sistema intellettuale, è una grande, geniale invenzione dello spirito umano. La cosa sorprendente è che questa invenzione della nostra mente umana è veramente la chiave per comprendere la natura, che la natura è realmente strutturata in modo matematico e che la nostra matematica, inventata dal nostro spirito, è realmente lo strumento per poter lavorare con la natura, per metterla al nostro servizio, per strumentalizzarla attraverso la tecnica.
Mi sembra una cosa quasi incredibile che una invenzione dell’intelletto umano e la struttura dell’universo coincidano: la matematica inventata da noi ci dà realmente accesso alla natura dell’universo e lo rende utilizzabile per noi. Quindi la struttura intellettuale del soggetto umano e la struttura oggettiva della realtà coincidono: la ragione soggettiva e la ragione oggettivata nella natura sono identiche. Penso che questa coincidenza tra quanto noi abbiamo pensato e il come si realizza e si comporta la natura, siano un enigma ed una sfida grandi, perché vediamo che, alla fine, è “una” ragione che le collega ambedue: la nostra ragione non potrebbe scoprire quest’altra, se non vi fosse un’identica ragione a monte di ambedue.
In questo senso mi sembra proprio che la matematica - nella quale come tale Dio non può apparire - ci mostri la struttura intelligente dell’universo. Adesso ci sono anche teorie del caos, ma sono limitate, perché se il caos avesse il sopravvento, tutta la tecnica diventerebbe impossibile. Solo perché la nostra matematica è affidabile, la tecnica è affidabile. La nostra scienza, che rende finalmente possibile lavorare con le energie della natura, suppone la struttura affidabile, intelligente della materia. E così vediamo che c’è una razionalità soggettiva e una razionalità oggettivata nella materia, che coincidono. Naturalmente adesso nessuno può provare - come si prova nell’esperimento, nelle leggi tecniche – che ambedue siano realmente originate in un’unica intelligenza, ma mi sembra che questa unità dell’intelligenza, dietro le due intelligenze, appaia realmente nel nostro mondo. E quanto più noi possiamo strumentalizzare il mondo con la nostra intelligenza, tanto più appare il disegno della Creazione.
Alla fine, per arrivare alla questione definitiva, direi: Dio o c’è o non c’è. Ci sono solo due opzioni. O si riconosce la priorità della ragione, della Ragione creatrice che sta all’inizio di tutto ed è il principio di tutto - la priorità della ragione è anche priorità della libertà – o si sostiene la priorità dell’irrazionale, per cui tutto quanto funziona sulla nostra terra e nella nostra vita sarebbe solo occasionale, marginale, un prodotto irrazionale - la ragione sarebbe un prodotto della irrazionalità. Non si può ultimamente “provare” l’uno o l’altro progetto, ma la grande opzione del Cristianesimo è l’opzione per la razionalità e per la priorità della ragione. Questa mi sembra un’ottima opzione, che ci dimostra come dietro a tutto ci sia una grande Intelligenza, alla quale possiamo affidarci.
Ma il vero problema contro la fede oggi mi sembra essere il male nel mondo: ci si chiede come esso sia compatibile con questa razionalità del Creatore. E qui abbiamo bisogno realmente del Dio che si è fatto carne e che ci mostra come Egli non sia solo una ragione matematica, ma che questa ragione originaria è anche Amore. Se guardiamo alle grandi opzioni, l’opzione cristiana è anche oggi quella più razionale e quella più umana. Per questo possiamo elaborare con fiducia una filosofia, una visione del mondo che sia basata su questa priorità della ragione, su questa fiducia che la Ragione creatrice è amore, e che questo amore è Dio
 

Colloquio di Sua Santità Benedetto XVI con i bambini della prima comunione, durante l’Incontro di Catechesi e preghiera con i bambini (piazza San Pietro, sabato 15 ottobre 2005)

1) Andrea: «Caro Papa, quale ricordo hai del giorno della tua prima Comunione?»

Innanzitutto vorrei dire grazie per questa festa della fede che mi offrite, per la vostra presenza e la vostra gioia. Ringrazio e saluto per l'abbraccio che ho avuto da alcuni di voi, un abbraccio che simbolicamente vale per voi tutti, naturalmente. Quanto alla domanda, mi ricordo bene del giorno della mia Prima Comunione. Era una bella domenica di marzo del 1936, quindi 69 anni fa. Era un giorno di sole, la chiesa molto bella, la musica, erano tante le belle cose delle quali mi ricordo. Eravamo una trentina di ragazzi e di ragazze del nostro piccolo paese, di non più di 500 abitanti. Ma nel centro dei miei ricordi gioiosi e belli sta questo pensiero - la stessa cosa è già stata detta dal vostro portavoce - che ho capito che Gesù è entrato nel mio cuore, ha fatto visita proprio a me. E con Gesù Dio stesso è con me. E che questo è un dono di amore che realmente vale più di tutto il resto che può essere dato dalla vita; e così sono stato realmente pieno di una grande gioia perché Gesù era venuto da me. E ho capito che adesso cominciava una nuova tappa della mia vita, avevo 9 anni, e che adesso era importante rimanere fedele a questo incontro, a questa Comunione. Ho promesso al Signore, per quanto potevo: "Io vorrei essere sempre con te" e l'ho pregato: "Ma sii soprattutto tu con me". E così sono andato avanti nella mia vita. Grazie a Dio, il Signore mi ha sempre preso per la mano, mi ha guidato anche in situazioni difficili. E così questa gioia della Prima Comunione era un inizio di un cammino fatto insieme. Spero che, anche per tutti voi, la Prima Comunione che avete ricevuto in quest'Anno dell'Eucaristia sia l’inizio di un'amicizia per tutta la vita con Gesù. Inizio di un cammino insieme, perché andando con Gesù andiamo bene e la vita diventa buona.

2) Livia: «Santo Padre, prima del giorno della mia Prima Comunione mi sono confessata. Mi sono poi confessata altre volte. Ma volevo chiederti: devo confessarmi tutte le volte che faccio la Comunione? Anche quando ho fatto gli stessi peccati? Perché mi accorgo che sono sempre quelli».

Direi due cose: la prima, naturalmente, è che non devi confessarti sempre prima della Comunione, se non hai fatto peccati così gravi che sarebbe necessario confessarsi. Quindi, non è necessario confessarsi prima di ogni Comunione eucaristica. Questo è il primo punto. Necessario è soltanto nel caso che hai commesso un peccato realmente grave, che hai offeso profondamente Gesù, così che l’amicizia è distrutta e devi ricominciare di nuovo. Solo in questo caso, quando si è in peccato "mortale", cioè grave, è necessario confessarsi prima della Comunione. Questo è il primo punto. Il secondo: anche se, come ho detto, non è necessario confessarsi prima di ogni Comunione, è molto utile confessarsi con una certa regolarità. È vero, di solito, i nostri peccati sono sempre gli stessi, ma facciamo pulizia delle nostre abitazioni, delle nostre camere, almeno ogni settimana, anche se la sporcizia è sempre la stessa. Per vivere nel pulito, per ricominciare; altrimenti, forse la sporcizia non si vede, ma si accumula. Una cosa simile vale anche per l'anima, per me stesso, se non mi confesso mai, l'anima rimane trascurata e, alla fine, sono sempre contento di me e non capisco più che devo anche lavorare per essere migliore, che devo andare avanti. E questa pulizia dell'anima, che Gesù ci dà nel Sacramento della Confessione, ci aiuta ad avere una coscienza più svelta, più aperta e così anche di maturare spiritualmente e come persona umana. Quindi due cose: confessarsi è necessario soltanto in caso di un peccato grave, ma è molto utile confessarsi regolarmente per coltivare la pulizia, la bellezza dell'anima e maturare man mano nella vita.

3) Andrea: «La mia catechista, preparandomi al giorno della mia Prima Comunione, mi ha detto che Gesù è presente nell'Eucaristia. Ma come? Io non lo vedo!»

Sì, non lo vediamo, ma ci sono tante cose che non vediamo e che esistono e sono essenziali. Per esempio, non vediamo la nostra ragione, tuttavia abbiamo la ragione. Non vediamo la nostra intelligenza e l'abbiamo. Non vediamo, in una parola, la nostra anima e tuttavia esiste e ne vediamo gli effetti, perché possiamo parlare, pensare, decidere ecc... Così pure non vediamo, per esempio, la corrente elettrica, e tuttavia vediamo che esiste, vediamo questo microfono come funziona; vediamo le luci. In una parola, proprio le cose più profonde, che sostengono realmente la vita e il mondo, non le vediamo, ma possiamo vedere, sentire gli effetti. L'elettricità, la corrente non le vediamo, ma la luce la vediamo. E così via. E così anche il Signore risorto non lo vediamo con i nostri occhi, ma vediamo che dove è Gesù, gli uomini cambiano, diventano migliori. Si crea una maggiore capacità di pace, di riconciliazione, ecc... Quindi, non vediamo il Signore stesso, ma vediamo gli effetti: così possiamo capire che Gesù è presente. Come ho detto, proprio le cose invisibili sono le più profonde e importanti. Andiamo dunque incontro a questo Signore invisibile, ma forte, che ci aiuta a vivere bene.

4) Giulia: «Santità, tutti ci dicono che è importante andare a Messa alla domenica. Noi ci andremmo volentieri ma spesso i nostri genitori non ci accompagnano perché alla domenica dormono, il papà e la mamma di un mio amico lavorano in un negozio e noi spesso andiamo fuori città per trovare i nonni. Puoi dire a loro una parola perché capiscano che è importante andare a Messa insieme, ogni domenica?»

Riterrei di sì, naturalmente, con grande amore, con grande rispetto per i genitori che, certamente, hanno tante cose da fare. Ma tuttavia, con il rispetto e l’amore di una figlia, si può dire: cara mamma, caro papà, sarebbe così importante per noi tutti, anche per te incontrarci con Gesù. Questo ci arricchisce, porta un elemento importante alla nostra vita. Insieme troviamo un po' di tempo, possiamo trovare una possibilità. Forse anche dove abita la nonna si troverà la possibilità. In una parola direi, con grande amore e rispetto per i genitori, direi loro: "Capite che questo non è solo importante per me, non lo dicono solo i catechisti, è importante per tutti noi; e sarà una luce della domenica per tutta la nostra famiglia".

5) Alessandro: «A cosa serve andare alla Santa Messa e ricevere la Comunione per la vita di tutti i giorni?»

Serve per trovare il centro della vita. Noi la viviamo in mezzo a tante cose. E le persone che non vanno in chiesa non sanno che a loro manca proprio Gesù. Sentono però che manca qualcosa nella loro vita. Se Dio resta assente nella mia vita, se Gesù è assente dalla mia vita, mi manca una guida, mi manca una amicizia essenziale, mi manca anche una gioia che è importante per la vita. La forza anche di crescere come uomo, di superare i miei vizi e di maturare umanamente. Quindi, non vediamo subito l'effetto dell'essere con Gesù quando andiamo alla Comunione; lo si vede col tempo. Come anche, nel corso delle settimane, degli anni, si sente sempre più l'assenza di Dio, l'assenza di Gesù. È una lacuna fondamentale e distruttiva . Potrei adesso facilmente parlare dei Paesi dove l'ateismo ha governato per anni; come ne sono risultate distrutte le anime, ed anche la terra; e così possiamo vedere che è importante, anzi, direi, fondamentale, nutrirsi di Gesù nella comunione. E’ Lui che ci dà la luce, ci offre la guida per la nostra vita, una guida della quale abbiamo bisogno.

6) Anna: «Caro Papa, ci puoi spiegare cosa voleva dire Gesù quando ha detto alla gente che lo seguiva: "Io sono il pane della vita"»?

Allora dobbiamo forse innanzitutto chiarire che cos'è il pane. Noi abbiamo oggi una cucina raffinata e ricca di diversissimi cibi, ma nelle situazioni più semplici il pane è il fondamento della nutrizione e se Gesù si chiama il pane della vita, il pane è, diciamo, la sigla, un'abbreviazione per tutto il nutrimento. E come abbiamo bisogno di nutrirci corporalmente per vivere, così anche lo spirito, l'anima in noi, la volontà, ha bisogno di nutrirsi. Noi, come persone umane, non abbiamo solo un corpo, ma anche un'anima; siamo persone pensanti con una volontà, un’intelligenza, e dobbiamo nutrire anche lo spirito, l'anima, perché possa maturare, perché possa realmente arrivare alla sua pienezza. E, quindi, se Gesù dice io sono il pane della vita, vuol dire che Gesù stesso è questo nutrimento della nostra anima, dell'uomo interiore del quale abbiamo bisogno, perché anche l'anima deve nutrirsi. E non bastano le cose tecniche, pur tanto importanti. Abbiamo bisogno proprio di questa amicizia di Dio, che ci aiuta a prendere le decisioni giuste. Abbiamo bisogno di maturare umanamente. Con altre parole, Gesù ci nutre così che diventiamo realmente persone mature e la nostra vita diventa buona.

7) Adriano: «Santo Padre, ci hanno detto che oggi faremo l'Adorazione Eucaristica? Che cosa è? Come si fa? Ce lo puoi spiegare? Grazie»

Allora, che cos'è l'adorazione, come si fa, lo vedremo subito, perché tutto è ben preparato: faremo delle preghiere, dei canti, la genuflessione e siamo così davanti a Gesù. Ma, naturalmente, la tua domanda esige una risposta più profonda: non solo come fare, ma che cosa è l'adorazione. Io direi: adorazione è riconoscere che Gesù è mio Signore, che Gesù mi mostra la via da prendere, mi fa capire che vivo bene soltanto se conosco la strada indicata da Lui, solo se seguo la via che Lui mi mostra. Quindi, adorare è dire: «Gesù, io sono tuo e ti seguo nella mia vita, non vorrei mai perdere questa amicizia, questa comunione con te». Potrei anche dire che l'adorazione nella sua essenza è un abbraccio con Gesù, nel quale gli dico: «Io sono tuo e ti prego sii anche tu sempre con me».


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