Ripresentiamo on-line un articolo di Fiorenzo Facchini, professore di Antropologia all’Università di Bologna, sacerdote e scienziato, autore di pubblicazioni sul tema dell’evoluzione, apparso su L’Osservatore Romano del 16 gennaio 2006. Il suo pregio è di presentare sinteticamente i punti in discussione nell’attuale dibattito fra creazionisti ed evoluzionisti ed, in particolare, la posizione della fede cattolica. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line del testo.
Il Centro culturale Gli scritti (12/09/2006)
L'acceso dibattito su evoluzione e creazione, sviluppatosi da diversi
decenni negli Stati Uniti, è giunto in Europa da qualche anno e va infiammando il mondo
culturale. Purtroppo è inquinato da posizioni politiche, oltre che ideologiche, e
ciò non giova a una serena discussione. Certe affermazioni dei "creazionisti"
americani hanno suscitato nell'ambiente scientifico reazioni ispirate a un certo dogmatismo
nella difesa del neodarwinismo e hanno fatto riemergere posizioni scientiste, tipiche della
cultura ottocentesca.
Molte volte si ha l'impressione che la confusione regni sovrana. Anche la vicenda dei nuovi
programmi di scienze nelle scuole italiane, in cui in un primo tempo l'evoluzione è
stata cassata e poi riammessa, è il segno di qualche disorientamento derivante da
conoscenze non adeguate del problema. È del mese scorso il pronunciamento del giudice
federale Jones, in Pennsylvania, sulla non ammissibilità dell'insegnamento
dell’Intelligent Design (versione recente del creazionismo scientifico, di cui si
parlerà più avanti, basato su una interpretazione letterale della Genesi), come
teoria alternativa a quella della evoluzione da insegnare nei corsi di scienze.
Su questa materia il magistero della Chiesa, particolarmente negli interventi di Giovanni
Paolo II, si è espresso con grande chiarezza e apertura in varie occasioni. Di
recente, nel 2004, è stato pubblicato, con l'approvazione del cardinale Joseph
Ratzinger, un documento della Commissione Teologica Internazionale dal titolo: "Comunione e
servizio. La persona umana creata a immagine di Dio".
Nel mondo scientifico l'evoluzione biologica rappresenta la chiave interpretativa della storia
della vita sulla terra, il quadro culturale della biologia moderna.
Si ritiene che la vita sulla terra sia incominciata in ambiente acquatico intorno a 3,5-4
miliardi di anni fa con esseri unicellulari, i procarioti, sprovvisti di vero nucleo. Essi
si ritrovano a lungo senza cambiamenti fino a 2 miliardi di anni quando compaiono i primi
eucarioti (unicellulari con nucleo) nelle acque che ricoprivano il pianeta. I viventi
pluricellulari tarderanno a venire. Dalla loro comparsa, 1 miliardo di anni fa, il ritmo
evolutivo procederà ancora lento e non generalizzato. Sarà durante il
Cambriano, fra 540 e 520 milioni di anni fa, che si svilupperanno in modo quasi esplosivo le
principali classi dei viventi.
E presumibile che per molto tempo non vi siano state sulla terra le condizioni idonee per
l'evoluzione degli animali e vegetali oggi viventi. Ma la successione con cui compaiono pesci,
anfibi, rettili, mammiferi, uccelli e la grande rapidità con cui evolvono sono un
problema ancora da chiarire. Negli ultimi minuti dell'orologio della vita si forma la linea
evolutiva che ha portato all'uomo. Intorno a 6 milioni di anni fa viene vista la divergenza fra
la direzione evolutiva che ha portato alle scimmie antropomorfe e la direzione che ha portato a
un cespuglio di forme, gli Ominidi, fra cui intorno a due milioni di anni fa si individua la
linea evolutiva umana. Prima della forma umana moderna, le cui più antiche
espressioni si ritrovano intorno a 150.000 anni fa, sono esistite altre forme umane,
classificate come Homo Erectus e, prima ancora Homo Habilis, alle quali va ricongiunto Homo
Sapiens.
La ricostruzione delle varie tappe è compito della paleoantropologia a cui si
aggiungono le moderne indagini biomolecolari sul DNA per individuare analogie e differenze a
livello genetico, da riportare a un'ascendenza comune.
Quanto ai fattori e alle modalità evolutive il discorso è tutto aperto. La
felice intuizione di Darwin, e insieme con lui, anche se meno famoso, di Wallace,
sull'importanza della selezione naturale operante sulle piccole variazioni della specie che si
formano casualmente (i cosiddetti errori nella replicazione del DNA secondo la sintesi moderna)
rappresenta un modello interpretativo che viene esteso da molti a tutto il corso evolutivo.
Altri studiosi lo ammettono per la microevoluzione, ma non ritengono adeguato questo
meccanismo, fondato sulla casualità delle piccole variazioni (o mutazioni), per
spiegare in tempi relativamente brevi la formazione di strutture assai complesse e delle
grandi direzioni evolutive dei vertebrati.
A questo proposito vanno tenuti presenti i possibili sviluppi della biologia evolutiva
nello studio dei geni regolatori che possono comportare sensibili cambiamenti morfologici.
Esperimenti compiuti su geni regolatori che guidano lo sviluppo embrionale di crostacei
permetterebbero di ipotizzare la possibilità del formarsi di nuovi piani organizzativi
per una singola mutazione genetica. Ricerche in questa direzione potrebbero aprire nuovi
orizzonti. Resta poi sempre da vedere se le cause di queste mutazioni siano del tutto casuali o
possano avere avuto qualche orientamento preferenziale.
Nel processo evolutivo una particolare attenzione dovrebbe essere sempre data ai mutamenti
ambientali. L'ambiente può svolgere un ruolo di rallentamento, come forse è stato
nei primi miliardi di anni della vita sulla terra, o di accelerazione, come negli ultimi 500
milioni di anni. Non ci troveremmo qui a parlare di queste cose se una ventina di
milioni di anni fa non ci fosse stata la formazione del Rift africano, con valli e regioni
aperte che hanno consentito l'evoluzione del bipedismo e dell'uomo. La storia della vita
suggerisce che lo sviluppo dei viventi ha richiesto una coincidenza di fattori genetici e di
condizioni ambientali favorevoli in una serie di eventi naturali.
A questo punto possono porsi due interrogativi: c'è spazio per la creazione e per un
progetto di Dio? La comparsa dell'uomo rappresenta un necessario sviluppo delle
potenzialità della natura?
Giovanni Paolo II in un discorso a un simposio su "Fede cristiana e teoria
dell'evoluzione", nel 1985, affermava: "Una fede rettamente compresa nella creazione e un
insegnamento rettamente inteso della evoluzione non creano ostacoli. [...] L'evoluzione suppone
la creazione, anzi la creazione si pone nella luce dell'evoluzione come un avvenimento che si
estende nel tempo, come una ‘creatio’ continua".
Il Catechismo della Chiesa Cattolica osserva che "la creazione non è uscita dalle
mani del Creatore interamente compiuta" (n. 302). Dio ha creato un mondo non perfetto, ma "in
stato di via verso la sua perfezione ultima. Questo divenire nel disegno di Dio comporta con la
comparsa di certi esseri la scomparsa di altri, con il più perfetto anche il meno
perfetto, con le costruzioni della natura, anche le distruzioni" (n. 310).
Giovanni Paolo II nel messaggio dell'ottobre 1996 alla Pontificia Accademia delle Scienze
ha riconosciuto alla evoluzione il carattere di teoria scientifica, in ragione della sua
coerenza con le vedute e le scoperte di varie branche della scienza. Nello stesso tempo
rilevava che esistono diverse teorie esplicative del processo evolutivo, tra cui anche alcune
che per l'ideologia materialista cui si ispirano non sono accettabili per un credente. Ma in
questo caso non è in gioco la scienza, ma una ideologia.
Il citato documento "Comunione e servizio" dà per scontato il processo evolutivo.
Quello che è da riaffermare nella teologia (e in un retto ragionare) è il
rapporto di dipendenza radicale del mondo da Dio, che ha creato le cose dal nulla, ma non ci
è detto come.
A questo punto può inserirsi il dibattito in corso sul progetto di Dio sulla
creazione. Come noto, i sostenitori dell’Intelligent Design (ID) non negano l'evoluzione,
ma affermano che la formazione di certe strutture complesse non può essere avvenuta per
eventi casuali, ma ha richiesto interventi particolari di Dio nel corso
dell'evoluzione e risponde a un progetto intelligente. A parte il fatto che in ogni caso
non basterebbero mutazioni delle strutture biologiche perché occorrono anche cambiamenti
ambientali, con il ricorso a interventi esterni suppletivi o correttivi rispetto alle cause
naturali viene introdotta negli eventi della natura una causa superiore per spiegare cose
che ancora non conosciamo, ma che potremmo conoscere. Ma così non si fa scienza. Ci
portiamo su un piano diverso da quello scientifico. Se il modello proposto da Darwin viene
ritenuto non sufficiente, se ne cerchi un altro, ma non è corretto dal punto di vista
metodologico portarsi fuori dal campo della scienza pretendendo di fare scienza.
La decisione del giudice della Pennsylvania appare dunque corretta. L'ID non appartiene
alla scienza e non si giustifica la pretesa che sia insegnato come teoria scientifica accanto
alla spiegazione darwiniana. Si crea solo confusione tra il piano scientifico e quello
filosofico o religioso. Non è neppure richiesto in una visione religiosa per
ammettere un disegno generale sull'universo. Meglio riconoscere che il problema dal punto di
vista scientifico rimane aperto. Se si esce dall'economia divina che agisce attraverso le cause
seconde (quasi ritraendosi dalla sua opera di creatore), non si capisce perché certi
eventi catastrofici della natura o linee o strutture evolutive senza significato o mutazioni
genetiche dannose non siano state evitate in un progetto intelligente.
Purtroppo al fondo di tutto va anche riconosciuta una certa tendenza in scienziati
darwinisti ad assumere l'evoluzione in senso totalizzante, passando dalla teoria alla
ideologia, in una visione che pretende di spiegare tutta la realtà vivente, compreso il
comportamento umano, in termini di selezione naturale escludendo altre prospettive, quasi che
l'evoluzione renda superflua la creazione e tutto possa essersi autoformato e possa essere
ricondotto al caso.
Quanto alla creazione, la Bibbia parla di una dipendenza radicale di tutti gli esseri da
Dio e di un disegno, ma non dice come ciò si sia realizzato. L'osservazione empirica
coglie l'armonia dell'universo che si basa su leggi e proprietà della materia e rimanda
necessariamente a una causa superiore, non con dimostrazioni scientifiche, ma in base a un
retto ragionare. Negarlo sarebbe un'affermazione ideologica e non scientifica. La scienza in
quanto tale, con i suoi metodi, non può dimostrare, ma neppure escludere che un disegno
superiore si sia realizzato, quali che siano le cause, all'apparenza anche casuali o rientranti
nella natura. "Anche l'esito di un processo naturale veramente contingente può
rientrare nel piano provvidenziale di Dio per la creazione" si osserva nel citato documento
"Comunione e servizio". Ciò che a noi appare casuale doveva esser certamente presente e
voluto nella mente di Dio. Il progetto di Dio sulla creazione può realizzarsi attraverso
le cause seconde con il corso naturale degli eventi, senza dover pensare a interventi
miracolistici che orientano in una o nell'altra direzione. "Dio non fa le cose, ma fa in
modo che si facciano", ha osservato Teilhard de Chardin. E il Catechismo della Chiesa Cattolica
afferma: "Dio è la causa prima che opera nelle e per mezzo delle cause seconde" (n.
308).
L'altro punto delicato è rappresentato dall'uomo, che non può considerarsi un
prodotto necessario e naturale della evoluzione. L'elemento spirituale che lo
caratterizza non può emergere dalle potenzialità della materia. È il salto
ontologico, la discontinuità che il magistero ha sempre riaffermato per la comparsa
dell'uomo. Essa suppone una volontà positiva di Dio. Maritain ha osservato che la
trascendenza dell'uomo in forza dell'anima avviene "grazie all'intervento finale di una scelta
libera e gratuita operata da Dio creatore che trascende tutte le possibilità della
natura materiale". Quando, dove e come Dio ha voluto, si è accesa dunque la scintilla
dell'intelligenza in uno o più Ominidi. La natura ha la potenzialità di
accogliere lo spirito secondo la volontà di Dio creatore, ma non può produrlo da
sé. In fondo, è quello che avviene anche nella formazione di ogni essere umano ed
è ciò che fa la differenza tra l'uomo e l'animale; un'affermazione che si colloca
fuori dalla scienza empirica e, in quanto tale, non può essere né provata
né negata con le metodologie della scienza.
Quanto poi al momento in cui è comparso l'uomo non siamo in grado di stabilirlo. Si
possono però cogliere i segni della specificità dell'essere umano, come ha notato
Giovanni Paolo II nel citato messaggio del 1996. Questi segni possono essere riconosciuti
anche nei prodotti della tecnologia, nella organizzazione del territorio, se rivelano
progettualità e significato nel contesto di vita. In una parola sono le
manifestazioni della cultura che possono orientare in modo più chiaro nell'individuare
la presenza umana. Le manifestazioni della cultura si collocano in un piano extrabiologico ed
esprimono un trascendimento (come riconoscono Dobzhansky, Ayala e altri scienziati
evoluzionisti), una discontinuità, che sul piano filosofico viene considerata di natura
ontologica. A parere di chi scrive non è necessario attendere l’Homo Sapiens,
le sepolture o l'arte. Ma la delimitazione del livello evolutivo in cui può essere
riconosciuto l'uomo, se cioè 150.000 anni fa con Homo Sapiens o anche 2 milioni di anni
fa con Homo Habilis, è materia di discussione sul piano scientifico più che su
quello filosofico o teologico.
Per concludere, in una visione che va oltre l'orizzonte empirico, possiamo dire che non
siamo uomini per caso e neppure per necessità, e che la vicenda umana ha un senso e
una direzione segnate da un disegno superiore.