Mettiamo a disposizione on-line la trascrizione dell’intervento tenuto da Robert
Attarian, Portavoce del Consiglio per la Comunità Armena di Roma, il 28 aprile 2006, presso il Centro
culturale L’Areopago. L’incontro, svoltosi in preparazione al 24 aprile, giorno divenuto simbolo
dell’identità armena, voleva permettere una prima conoscenza dell’importante storia del popolo
armeno.
N.B. Ovviamente il testo, data la qualifica del relatore, presenta un punto di vista armeno sui differenti temi
via via trattati.
Il Centro culturale Gli scritti
E’ con grande gioia e gratitudine che prendo parte a questo incontro. Gratitudine per questa
accogliente manifestazione. Gioia perché un tempo era alquanto raro, per noi armeni, partecipare a degli
incontri di questa natura, anche se negli ultimi anni possiamo affermare con soddisfazione di aver avuto
l’opportunità di assistere ad un susseguirsi di manifestazioni atte a rendere più tangibile la
storia millenaria della nazione armena.
Negli ultimi anni è cresciuto anche il lavoro editoriale in lingua italiana e abbiamo così
l’opportunità di sfogliare varie ed interessanti pubblicazioni che trattano da vicino episodi della
realtà armene. Anche se il lavoro svolto in questa direzione dovrebbe essere ancora ampliato ed arricchito
fino a colmare, auspichiamo, anche le lacune che sono presenti nei libri scolastici dove raramente si fa cenno
alla questione armena.
La storia in qualche modo è debitrice con il popolo armeno, per tante di quelle ingiustizie subite e per tutto
quel silenzio imposto sulla tragica pagina del genocidio che in qualche modo ha segnato in maniera decisiva il
destino degli armeni.
Nel passare dei secoli il popolo armeno subì, anche per via della propria fede cristiana (fu il primo
popolo ad abbracciarla nel 301), invasioni, massacri e persecuzioni culminate nel 1915 con il genocidio dove
perirono più di 1.500.000 di armeni.
Ma di questo genocidio non si parla o non si è voluto parlare per lungo tempo. Comprenderlo è
impossibile ma conoscerlo è necessario
“Il Genocidio dimenticato” l’ha intitolato qualche giornalista. “Il Genocidio
negato” l’ha descritto un’altro. Figli e nipoti di orrore minore? Si è chiesto un altro
ancora. “Il crimine senza nome” l’ha etichettato invece Samantha Power autrice americana.
Il “Metz Yeghern” che in armeno significa “Grande Male” è invece il termine con il
quale noi armeni chiamiamo il genocidio.
Che cos’è questo Metz Yeghern–Il Grande male? Chi lo ha commesso e perché? Sono le domande
alle quali cercheremo di dare una risposta.
Ma prima probabilmente qualcuno si sta anche domandando: Chi sono gli Armeni? e dov’è
l’Armenia?
Quindi cominciamo a parlare dell’Armenia, di quella antichissima terra, lontana, dove si trovava il giardino
dell’Eden, terra biblica citata nell’Antico Testamento col nome del “Regno di Urartu”.
I Libri scolastici dicono poco o nulla di questo popolo, del popolo dell’Ararat, il Monte dove si
posò l’Arca di Noè dopo il diluvio.
“Il popolo della croce” perché è nella croce che il popolo armeno si è
identificato, così come ricordava Giovanni Paolo II durante l'udienza del 14 settembre del 2000 ai pellegrini
del Patriarcato Armeno Cattolico:
“Il popolo armeno conosce bene la Croce: la porta incisa nel suo cuore. E’ il simbolo della sua
identità, delle tragedie della sua storia e della gloria della sua rinascita dopo ogni evento
avverso”.
In questa frase c’è tutta la storia del popolo armeno. Una storia di fedeltà al messaggio
evangelico fino al sacrificio. In quella frase c’è tutta la sofferenza del popolo armeno, un popolo
con una secolare e gloriosa esistenza, così attaccato alle proprie radici alla propria identità che ha
dovuto subire guerre, invasioni, genocidi, ha dovuto lasciare le sue terre, i suoi averi, ha dovuto abbandonare le
sue case e le sue chiese, ha attraversato deserti e tempeste, ed è stato sparso in tutto il mondo assaggiando
l’amarezza della crudeltà ed appezzando spesso l’amicizia e l’ospitalità di altre
popolazioni
Riassumere la storia millenaria degli armeni non è facile, quindi ci limiteremo ad analizzare alcuni aspetti
importanti che hanno cambiato in qualche modo il corso della loro storia.
Dov’ è l’Armenia? L’Armenia (in armeno detta anche HAYASTAN che deriva da Hayk che
secondo la tradizione è nipote di Noe, eroe progenitore degli armeni), è un paese montuoso con una
superficie di 29.800 km2 geograficamente situato nella regione rocciosa del Caucaso circondato da 4 paesi,
dalla Georgia a nord, dall’Azerbaigian a est, dall’Iran a sud e dalla Turchia a ovest. Purtroppo non
possiede uno sbocco sul mare.
La capitale è Yerevan anticamente chiamata Erepuni, città trimillenaria fondata nel 782 a.C. che
si trova a circa 1000 metri d’altitudine, dominata dal Monte Ararat alto 5165 metri. La lingua è
l’Armeno, lingua indoeuropea. La moneta è il Dram. La bandiera tricolore è formata dal rosso, blu
e arancione
La Religione è il Cristianesimo, con la divisione in ortodossi che sono la maggioranza, cattolici e
protestanti.
L’Armenia sin dal 1936 faceva parte delle 16 repubbliche federali della
ex Unione sovietica, e nel settembre del 1991 dopo il crollo di quest’ultima
dichiarò la propria indipendenza e divenne Repubblica d’Armenia.
L’ordinamento politico è retto da un’Assemblea Nazionale
ed il capo dello Stato viene eletto a suffragio diretto.
Nel 1988 L’Armenia fu colpita da un terremoto che fece più di 25.000 vittime e lasciò mezzo
milione di persone senza tetto, con conseguenze devastanti sull’economia del paese.
Nel frattempo il Nagorno-Karabakh, l'enclave cristiana nell'Azerbaijan musulmano, annesso dai Sovietici
all’Azerbegian, votò per l'annessione all'Armenia, perché la 'minoranza' armena dell'80% era
vittima di repressioni. Ben presto, quando decine di Armeni vennero uccisi, a Sumgait esplose la violenza.
Centinaia di migliaia di Azeri e Armeni che si ritrovarono improvvisamente dalla parte sbagliata della frontiera
cominciarono a spostarsi.
Quando l'Unione Sovietica barcollò scoppiarono le battaglie tra le milizie armene e azere e altri armeni
vennero massacrati a Baku, la capitale dell'Azerbaijan. L'esercito sovietico riuscì a riprendere il controllo
di Baku e a restaurare la sua versione dell'ordine. Nel 1993 l'Armenia controllava oltre un quinto dell'Azerbaijan,
compresa buona parte del Nagorno-Karabak. Le parti in guerra firmarono il cessate il fuoco nel 1994 e da allora
mantengono una difficile tregua.
La campagna militare diede fondo alle risorse della nuova repubblica, ma la Turchia impose un blocco economico
chiudendo le sue frontiere con l’Armenia.
Una buona parte del cuore dell'Armenia storica, tra cui anche il Monte Ararat, si trova oggi in Turchia e
l’Armenia attuale non è altro che un quinto del territorio abitato storicamente dagli armeni.
Secondo le ultime stime la popolazione armena ammonterebbe a circa 9-10 milioni nel mondo di cui 3.500.000 in
Armenia, 2.000.000 – 2.500.000 in Russia e 4.000.000 – 4.500.000 nella diaspora.
Diaspora formatasi specialmente dopo l’orribile genocidio del 1915, definito dalla Sottocommissione dei
Diritti Umani dell'ONU nel 1973 “il I genocidio del XX secolo”, perpetrato dall'allora governo turco,
dove trovarono la morte più di un milione e mezzo di armeni, deportati e di seguito sterminati con estrema
crudeltà nei deserti della Siria, colpevoli forse di non aver rinnegato la propria identità
cristiana.
Genocidio il cui riconoscimento, reclamato dagli armeni sopravissuti, in nome dell’umanità, viene ancora
oggi, negato fortemente dalla Turchia e spesso ignorato ed evitato dalle altre potenze per paura di ritorsioni da
parte di quest’ultima. Su di esso è imposto oramai da tempo un silenzio inspiegabile, che offende
l’animo e la dignità umana.
Gli armeni sono uno dei più antichi popoli civilizzati dell’Asia Occidentale, chiamati dagli storici
greci ARMENOY, discendenti di popolazioni indoeuropee giunte verso la fine del VII sec a.C.
Nel periodo pre-cristiano si sono succeduti sul territorio dell’Armenia storica varie occupazioni, con una
parentesi di indipendenza sotto il Re Tigran il Grande, fondatore dell’Impero Armeno, ricordato da Cicerone
come “colui che fece tremare la Repubblica Romana”. (A questo proposito basta fare una passeggiata in
Via dei Fori imperiali e notare nelle 4 cartine che rappresentano l’Impero Romano il nome Armenia.)
Nel 66 a.C. L’Armenia divenne un protettorato romano tant’è che nel 66 d.C. il re Armeno
Tiridate I intraprese un viaggio a Roma per essere incoronato da Nerone. In quella occasione Nerone dipinse una sala
della Domus Aurea tutta d'oro. Inizia forse qui un’amicizia che durerà a lungo e fino ai giorni odierni,
tra il popolo armeno e quello Antico-Romano inizialmente e Italiano poi di seguito.
Tralasceremo i particolari della prima epoca, quella pre-cristiana ed i primi secoli del cristianesimo per arrivare
direttamente al IV secolo, all’anno 301. Una data importantissima nella quale avvenne la totale conversione
dell’Armenia alla religione cristiana, anzi ci fu la proclamazione del cristianesimo come religione di
stato. L’Armenia divenne così il primo popolo cristiano della storia, ancor prima che l’Impero
Romano giungesse alla tolleranza ufficiale del Cristianesimo, con l’Editto di Milano nel 313 - e prima
dell'Editto di Teodosio (del 380), con cui l'Impero riconobbe il Cristianesimo come religione di Stato.
Va ricordato che il 2001 ha segnato i 1700 anni di fedeltà del popolo armeno al messaggio evangelico e
questa ricorrenza è stata celebrata solennemente sia dentro che fuori i confini dell'Armenia. Particolare
riguardo ha avuto anche la visita in Armenia di Giovanni Paolo II nel settembre del 2001.
Passiamo ai particolari di questa conversione che ha influenzato in maniera decisiva la vita, le azioni e il destino
di questo popolo, fino a diventare parte integrante e radice della sua cultura, “perché ciò
che distingue gli armeni”, ha scritto un cronista, “non è la loro razza ma la religione.
Toglietegliela e gli avrete tolto la carta d’identità.”
Quindi partiamo da questa data, il 301, dal cristianesimo in Armenia, per arrivare fino ai giorni odierni illustrando
alcune date significative e decisive della storia degli Armeni.
La tradizione fa risalire il primo annuncio del Vangelo in Armenia, primo regno nella storia ad aver accolto
ufficialmente il cristianesimo, agli apostoli Taddeo e Bartolomeo, ma la conversione della corte armena
è dovuta all’apostolato di S. Gregorio l’Illuminatore.
L'impero Romano, in quell’epoca, nella sua espansione ad Oriente aveva soggiogato anche la regione
dell'Armenia. Il re Armeno Tiridate III aveva appena riconquistato il trono d'Armenia e, conformemente agli usi
dell'epoca, volle rendere omaggio alla dea Anahite, che l'aveva aiutato nella difficile impresa.
Con lui offrirono doni tutti i cortigiani tranne uno, Gregorio, un giovane cresciuto a Cesarea di Cappadocia,
accolto nella corte del re, che giunto il suo turno, rifiutò, perché era cristiano.
Allora il re lo torturò per 25 giorni e lo fece gettare in un profondo fosso, “Khor Virap”
(cella sotterranea), piena di rettili velenosi, il cui solo nome terrorizzava i criminali più recidivi. Il
Santo vi sopravvive invece miracolosamente per 13 anni con l’aiuto di una vedova cristiana.
Il sovrano fu colpito da una strana malattia, che nessuno era in grado di curare. Si narra che la sorella del
sovrano, Khosrovitoukhd, udì in sogno una voce che le diceva che solo Gregorio sarebbe stato in grado di
guarire il fratello. Allora lo fece uscire dalla sua fossa Khor Virap (dopo 13 anni di reclusione) ed egli
guarì il re, il quale si convertì al cristianesimo e si fece battezzare con tutta la sua corte dallo
stesso Gregorio.
Animati di zelo per Cristo, il Re e l'Apostolo distrussero tutti i templi pagani e stabilirono i siti delle future
Chiese.
Gregorio fu consacrato vescovo, come era di uso allora, in Cesarea di Cappadoccia (oggi Kayseri in Turchia) e si
stabilì nella capitale del regno di allora Vagharshapat e vi eresse una cattedrale chiamata Etchmiadzin”
che significa “Discesa dell’Unigenito”. Etchmiadzin, che si trova, vicino a Yerevan, odierna
capitale dell’Armenia, è ancora oggi la sede del Catholicos di tutti gli Armeni, Capo Supremo della
Chiesa Armena Apostolica.
Gregorio è considerato il vero organizzatore della chiesa armena, perciò egli è chiamato
LUSAVORIC, l’Illuminatore ed il luogo in cui egli trascorse i 13 anni di prigionia (Khor Virap) è
divenuto meta di pellegrinaggi.
A S.Gregorio è dedicata anche una bella e famosa chiesa gotica a Napoli - con la famosa via adiacente -
che è la Chiesa di S. Gregorio L’armeno.
Siamo agli albori del V secolo e l’Armenia viene presa nella morsa tra l’Impero
Bizantino e la Persia che cercavano di imporre ognuno la sua lingua.
Un nuovo pericolo minacciava l’identità degli armeni, che fino allora utilizzavano nelle liturgie la
lingua greca o siriaca, lingue note alla classe colta, ma difficilmente accessibile alla gente comune.
Questa minaccia però fu presto superata, seppur con grande difficoltà, nel 404, con
l’invenzione dell’alfabeto armeno, composto da 36 lettere, per opera del Monaco (vartabed) Mesrop
Mashtodz. Oggi sono 38 le lettere.
Un’invenzione considerata, divina dagli armeni, perché la leggenda vuole che sia proprio lo Spirito
Santo ad iscrivere nel cuore di S.Mesrop i 36 caratteri tanto desiderati, tant’è che uno scrittore
armeno del V secolo (Goriun) definì l’alfabeto Asdvazabarkev (dono di Dio).
Quest’ invenzione fu singolare, primo perché è stata un prezioso strumento, insieme alla
religione, per il mantenimento e la conservazione della cultura e dell’identità di fronte alla minaccia
della dispersione e secondo perché è un’ alfabeto utilizzato solamente da un piccolo popolo: gli
armeni. Un’invenzione che diede all’Armenia una nuova rinascita culturale - il V secolo è
considerato “il secolo d’oro”, dedicato alla traduzione, in particolare modo alla traduzione delle
Sacre Scritture, della Bibbia, chiamata “Regina delle traduzioni”.
Nel Madenataran, principale biblioteca armena nel mondo che si trova a Yerevan, sono conservati con cura e gelosia,
ad oggi, circa 14.000 manoscritti armeni.
Il V secolo però è caratterizzato anche da un’ altro episodio cruciale: difatti la Persia, per
la sicurezza e la compattezza politica dell’impero, cercò di assimilare tutti i popoli conquistati, tra
cui anche gli armeni, tentando di imporre il mazdeismo quale religione di Stato.
Ma gli armeni si opposero con fermezza pagando a caro prezzo questo loro rifiuto con la battaglia di Avarayr nel 451,
la cui fase finale ebbe luogo il 2 giugno 451 nella piana di Avarai. Il Comandante Vartan Mamigonian alla testa della
sua armata composta da 60.000 combattenti affronta con coraggio l'esercito persiano formato da 300.000 soldati. La
battaglia durò solo un giorno e costò la vita a 1036 armeni fra ufficiali soldati ed ecclesiastici.
L’evento, militarmente uno scacco, costituì per gli Armeni l’inizio di una rivolta che
portò poi i suoi frutti, inducendo nel 485 il re di Persia a riconoscere agli armeni la libertà di
culto. Ma soprattutto questa battaglia fu iscritta nella storia armena come il miglior esempio di resistenza
popolare. Tant’è che ad oggi, malgrado siano trascorsi tutti questi secoli, ovunque nel mondo dove
esiste un gruppo di armeni questo evento viene commemorato come festa nazionale: come la “Guerra per la Fede e
per la Patria”.
L’Armenia, comunque, nella sua secolare esistenza, poche volte ha goduto di una vera e propria indipendenza,
è stata sempre una terra contesa, sottomessa, ma questo non è mai stato di ostacolo per il suo sviluppo
culturale.
Il VI e VII secolo costituiscono la prima grande epoca dell’architettura armena religiosa.
Nel 650 dopo un periodo di calma l’Armenia viene invasa di nuovo e questa volta dai Musulmani e si trasforma in
un teatro di scontri tra Bizantini e Arabi.
Nel 961 - e siamo al X secolo - gli armeni riescono ad affermare l’autonomia di un principato di fronte agli
arabi sempre presenti in Armenia. Nacque allora il piccolo regno (dei Bagraditi), riconosciuto anche da Bisanzio.
Ricomincia così la fioritura culturale nella città di Ani, capitale del regno, denominata
“città delle 1001 chiese”, attualmente, purtroppo, abbandonata in territorio Turco.
Contemporaneamente una moltitudine di monasteri viene fondata sulle montagne armene, creandovi grandi centri
religiosi e culturali. Questi monumenti sacri costruiti ovunque manifestano una fioritura di gusti e sentimenti
artistici che ancora oggi irradiano lo spirito profondamente religioso degli armeni.
Un esempio su tutti che rappresenta questa fioritura artistica è il “KHATCHKAR” (Croce di
Pietra), di cui l’Armenia è disseminata. Il Khatchcar è la vera icona della spiritualità
armena. Si tratta di una grande stele di pietra o tufo portante al centro una enorme croce tipicamente armena
nella sua forma, con mille e mille variazioni.
Nel XI secolo l’Armenia fu di nuovo schiacciata tra Bisanzio e le orde dei Seljouki, temibili cavalieri
musulmani provenienti dalla Turchia. I Signori di Anì si rifugiarono in Cilicia dove fondarono nel 1080 La
Piccola Armenia, con capitale SIS, che ebbe vita fino al XIV secolo (1375).
Nel XV secolo gli ottomani invadono tutta l’Armenia. Verso la fine del XVI secolo gli armeni divennero
sudditi dell’impero ottomano nel quale riuscirono a integrarsi.
Questa situazione durò fino al XIX secolo.
In quel periodo l’impero ottomano, che si estendeva dai Balcani fino ai confini degli imperi Russo e Persiano,
era composto da un mosaico di popoli, razze, culture e religioni differenti, ognuna dei quali chiedeva maggiore
autonomia ed in qualche caso l’indipendenza.
Era impresa ardua tenere insieme tutte queste popolazioni. Nel 1821, con la dichiarazione di indipendenza della
Grecia, ebbe inizio il processo di smembramento dell’impero ottomano, che in breve tempo ha visto
scomparire pian piano i suoi domini in Europa, dando luogo alla nascita degli stati nazionali balcanici.
L’impero (definito il “grande malato d’Europa”) ormai era indebolito e veniva tenuto in vita,
per motivi squisitamente politici, dalle grandi potenze occidentali come la Francia e la Gran Bretagna che temevano
che altre potenze ed in particolar modo la Russia traessero vantaggi territoriali dallo smembramento definitivo
dell’Impero. D’altro canto la Sublime Porta con la sua politica (ancora oggi praticata) del dividere e
regnare, faceva il possibile per creare contrasti tra le superpotenze europee. E tutto questo fece sì che
questo “grande malato” continuasse a sopravvivere.
Ma passiamo al diretto retroscena storico. Nel 1877 Abdul Hamid venne duramente sconfitto dai russi che insieme agli
austriaci erano entrati in guerra contro la Turchia per liberare i Cristiani dei Balcani. Le conseguenze per l'Impero
però non furono gravi, poiché al Congresso di Berlino nel (1878) che poneva fine alla guerra
Russo-turca (e dove si discusse della sicurezza degli armeni), il primo ministro inglese Disraeli, spinto dalla
tradizionale politica filo turca del suo paese, fece sì che non si venisse a formare uno stato armeno libero
ma solo che venissero garantiti i diritti personali dei singoli. La Russia ottenne una parte dell’Armenia
storica. L'Inghilterra ottenne l'isola di Cipro. E gli armeni ottennero solamente promesse mai mantenute.
Il sultano, temendo una futura ingerenza europea nella questione armena e la ulteriore perdita di territori, dette
inizio alle repressioni. Tra il 1894 e il 1896 vennero uccisi dai due ai trecentomila armeni ad opera degli
Hamidiés (battaglioni curdi appositamente costituiti dal sultano). E' l'inizio di una serie di massacri
che durerà, in maniera più o meno forte, per trent'anni sotto tre regimi turchi diversi.
L'atteggiamento Europeo è d'immobilismo, poiché ogni nazione ha paura che un'altra assuma maggior
rilevanza nello scacchiere caucasico e medio-orientale.
Un nemico ancor più temibile del sultano si stava, però, preparando: "i giovani turchi" ed il loro
partito "Unione e Progresso" ( Ittihad ve Terakki). Questi, che avevano studiato in Europa, si erano imbevuti
delle dottrine socialiste e marxiste. La perdita dei possedimenti europei indicava loro - quale
possibilità di espansione - il ricongiungimento ai popoli di etnia turca che vivono nell'Asia centrale:
tartari, kazachi, uzbechi ecc. E' principalmente da queste due matrici culturali che nasce l'ideologia del
panturchismo o panturanesimo (il Turan è il focolare della nazione turca da cui i turchi sono giunti,
dopo una lunga marcia durata secoli, in Asia Minore). Dal marxismo i "Giovani turchi" avevano preso l'idea di
uguaglianza: per essere tutti uguali bisogna essere tutti ottomani e per essere tutti ottomani bisogna essere tutti
turchi e musulmani. Dalla constatazione dell'impossibilità del mantenimento e dell'espansione dei domini
europei, essi rivolgono la loro attenzione ai turchi delle steppe dell'Asia centrale e mirano al ricongiungimento con
essi per dare vita ad un entità panturca che possa andare dal Bosforo alla Cina.
Gli ostacoli, che si frappongono a queste mire di formazione di un blocco megalitico turco, panturanico, sono
costituiti da armeni e curdi.
I curdi però - pensano i giovani turchi - sono musulmani e non posseggono una forte cultura; possono essere
quindi assimilati facilmente.
Gli armeni, oltre a essere cristiani malgrado le molte e spietate persecuzioni, posseggono anche una cultura
millenaria, non possono essere assimilati ed inoltre la loro presenza impedisce l'unificazione con gli altri turchi.
Vanno quindi eliminati.
Questi concetti vengono magistralmente espressi da una valutazione del 1915 del viceconsole tedesco Dr. Max
Scheubner Richter, comandante ed ufficiale di collegamento di una forza speciale turco-tedesca incaricata di azioni
di guerriglia. Scheubner Richter così asserisce: "Ho condotto una serie di conversazioni con eminenti
personalità turche e queste sono le mie impressioni: una larga parte dell'Ittihad pensa che l'impero turco
dovrebbe essere basato sul principio dell'Islam e del panturchismo. I suoi abitanti non musulmani e non turchi
dovrebbero essere islamizzati con la forza o distrutti".
Per portare avanti questo progetto l’Ittihad non poteva appoggiarsi al "sultano rosso", c'era bisogno di un
governo forte e privo di remore. L'ironia della sorte vuole che proprio gli armeni diano una mano all' Ittihad per
raggiungere il potere. I giovani turchi infatti, mentre segretamente tramavano l'omicidio di massa; esternamente si
mostravano liberali e laicisti. Gli armeni, pensando all'avvicinarsi di uno stato garante delle libertà
fondamentali dell'uomo, appoggiano così i loro carnefici, i quali nel 1908 con un colpo di stato prendono il
potere. In questo periodo gli armeni ottengono, solo teoricamente, uno status di cittadini a tutti gli effetti e
nell'Armenia vengono formate sei entità vagamente autonome, chiamate villayet.
Nell'aprile del 1909 I giovani turchi avviano una prova generale del genocidio, le vittime sono trentamila. Nel
1913 I giovani turchi impongono la dittatura militare, Djemal, Enver e Talaat (il triumvirato della morte) sono i
ministri della Marina, della Guerra e dell'Interno. Ormai hanno pieni poteri per dirigere lo stato, possono
pianificare il genocidio perfetto.
Il primo passo è stato quello di intervenire nelle attività parlamentari facendo approvare una legge
che permette lo spostamento di popolazioni in caso di guerra. Il ministro della Guerre Enver dà vita ad
un'organizzazione speciale (Teškilati Mahsusa), il cui scopo ufficiale è quello di effettuare azioni di
guerriglia in tempo di guerra, ma, in verità, si tratta di una vera e propria macchina di sterminio.
Viene messa in atto una rete segreta di comunicazione, che si avvale di un codice segreto. Praticamente
sarà articolata come segue: per impartire l'ordine di sterminio ad ogni comando della gendarmeria si
manderà un messaggio ufficiale in cui si dirà di proteggere gli armeni (la scusa ufficiale sarà
infatti quella del trasferimento per motivi bellici) e contemporaneamente un messaggio cifrato che invece ne
disporrà la carneficina con la clausola di distruggere quest'ultimo in modo che non ne rimanga traccia.
Poiché alcuni paesi europei minacciavano ritorsioni in caso di pericolo per gli armeni, alcuni di questi
documenti si salvarono, fortunatamente, perché gli esecutori volevano avere qualcosa che provasse che avevano
obbedito agli ordini. Questi documenti saranno usati in seguito nel processo di Costantinopoli.
Ma per intraprendere la loro politica di annientamento i giovani turchi dovevano aspettare un'occasione
favorevole. Tale occasione è la guerra, perché nessuna potenza sarebbe potuta intervenire a causa di
questa. I giovani turchi iniziano la loro follia e per gli armeni inizia il METZ YEGHERN, il “grande
male”, il genocidio degli armeni. Tutta l'operazione viene mascherata come un'azione di spostamento di persone
da ipotetiche zone di guerra. Tutto ciò perché i giovani turchi vorrebbero far credere che la
sparizione di due milioni di persone sia dovuta al caso.
Le modalità di sterminio:
Dalla fine di luglio al dicembre dello stesso anno, fece seguito il trasferimento a piedi o in
treno, degli Armeni della Anatolia e della Cilicia, non essendovi motivi plausibili che giustificassero i massacri in
loco. Giunti ad Aleppo i prigionieri venivano avviati a soccombere di stenti nei deserti della Siria e della
Mesopotamia. Nel marzo 1916 Costantinopoli emanò l’ordine di liquidare anche gli ultimi superstiti
ammassati nei campi lungo la ferrovia e sulle sponde dell’Eufrate. L’operazione si concluse
nell’agosto seguente con un ammontare di circa 1.500.000 di vittime.
In seguito gli armeni sopravvissuti si organizzarono e cominciò così la resistenza popolare. Uno
degli episodi più famosi è quello raccontato nel libro di Franz Werfel, “I quaranta giorni del
Mussa Dagh”.
Nel 1918 a seguito della vittoria degli armeni sui turchi nella battaglia di Sardarabad nasceva la piccola
Repubblica d’Armenia che durò 2 anni, fino alla sua completa annessione all’Unione sovietica
nel 1936.
Il 30 ottobre 1918 la Turchia firmava l’armistizio con gli alleati. Nel 1919 il Tribunale Militare della
Turchia condannava i tre principali responsabili del Genocidio. Nel 1920 il Trattato di Sèvres sanciva
l’esistenza nella parte orientale dell’ex territorio ottomano di uno stato armeno indipendente e
l’autonomia per il Kurdistan. Ma tutto questo rimase carta straccia così come rimasero carta
straccia tutti gli altri trattati e conferenze che seguirono.
Gli armeni scampati al genocidio si rifugiarono in tutti paesi del mondo ricominciando pian
piano una nuova vita, una nuova esistenza, rispettando le leggi dei paesi ospitanti di cui divennero cittadini e
contribuirono allo sviluppo culturale ed economico nel limite del loro possibile.
Pure in Italia si sono formate delle piccole comunità. Anche se, i legami che uniscono questi due popoli, come
avevo accennato all’inizio, risalgono a molti secoli indietro. La storica Mostra dal titolo Roma-Armenia,
organizzata 6 anni fa nei Musei Vaticani, fu testimone di questi millenari rapporti culturali e commerciali tra i
due paesi, in particolare con Venezia, Livorno, Taranto, Bari, Roma. dove ancora oggi si possono trovare interessanti
testimonianze di presenze armene - ricordiamo fra queste le Chiese di S.Andrea de Armenis a Taranto, S.Gregorio de
Armenis a Bari, S.Gregorio Illuminatore a Livorno ed il famosissimo S.Gregorio degli Armeni a Napoli. Infine Santa
Maria Egiziaca (Tempio della Fortuna Virile), che è tornata al Comune di Roma, e S.Biagio della Pagnotta in
via Giulia (Roma), dove a tutt'oggi si celebrano messe in rito armeno.
A Venezia, nel 1512 fu stampato il primo libro in armeno. L'isola di S.Lazzaro dei Padri Mekhitaristi, con la
ricchissima biblioteca, la tipografia ed il museo, dal 1717 ad oggi svolge un ruolo importantissimo per la diffusione
della cultura armena. Sempre a Venezia, grande importanza ha avuto la scuola di Moorat Rappael, il cui diploma
era riconosciuto a livello internazionale e dava accesso alle Università d’Italia, Francia, Svizzera e
Belgio; buona parte degli armeni che si sono distinti in vari campi del sapere e in vari professioni sono usciti da
questa scuola. Tra i tanti vanno ricordati i poeti Besciktasclian Varujane Terzian che qui vi vennero a conoscenza
dei sommi autori italiani, da Dante al Manzoni fino al Carducci e ne subirono una certa impronta.
A Milano la Chiesa dei SS.Quaranta Martiri e la Casa Armena raccolgono, da 1956 una numerosa comunità armena,
dove sono nate alcune associazioni tra armeni. A Padova, anche se in passato c'è stata una grande affluenza
armena, attualmente la comunità è formata da alcune famiglie.
A Roma, oltre alla Chiesa di S.Biagio l’Armeno menzionata prima, il Pontificio Collegio Armeno, donato da
Papa Leone XIII nel 1883 agli armeni per la preparazione e la formazione dei futuri sacerdoti, nell'arco degli
anni è diventato un punto di riferimento per tutti gli armeni di Roma (un migliaio). L’adiacente
Chiesa di S.Nicola da Tolentino, invece, funge da "culla" per migliaia di armeni di passaggio nella città
eterna.
Esiste la Casa Madre della Congregazione delle Suore Armene dell'Immacolata Concezione, unica Congregazione di
Suore armene, fondata nel 1847 a Costantinopoli dal Patriarca Andon Bedros IV Hassunian con la collaborazione di
Suor Srpuhi Hagi-Andonian. Nel 1922, per motivi di sicurezza, la Casa Generalizia e il noviziato sono stati
trasferiti a Roma, in maniera definitiva. Oggi questa Congregazione, che opera in tutto il mondo, ha concentrato le
sue attività in Armenia.
Dal 1995 esiste anche L'Ambasciata della Repubblica Armena in Italia.
Da più di 30 anni la Sezione Armena della Radio Vaticana trasmette un programma giornaliero.
La Comunità Armena di Roma è ben organizzata, Il Consiglio
per la Comunità Armena di Roma è l’organo che coordina la
vita comunitaria. Ha per obiettivo il mantenere, diffondere e rafforzare lo
spirito e l'identità armena tramite attività culturali, sociali
e religiose. Dispone di un sito all’indirizzo www.comunitaarmena.it,
e di un periodico “Akhtamar” edito dai giovani.
La cultura armena, poi, è presente nelle Università italiane con due cattedre di lingua e
letteratura (una a Bologna, l'altra a Venezia), e un lettore di lingua armena all'Università Statale di
Milano.
Tra i personaggi armeni più di spicco in Italia citerei: il chimico Ciamician che fu nominato Senatore
a Vita e fu proposto per il premio Nobel nel 1921: il dipartimento di Chimica di Bologna porta il suo nome.
Ma quello più degno di ricordo è forse il Cardinal Aghagianian (soprannominato il Papa
Rosso).
Poi ci sono pittori come Sciltian, Rorakian, Minassian, Avannessian,
scultori come Nevart Zarian. Medici illustri quali gli Arslan - di padre in figlio - famosi otorinolaringoiatri che
diedero avvio a una vera e propria scuola. E poi l’attrice Laura Efrikian e professori Universitari come
Antonia Arslan, Paola Mildonian, Anna Sirinian, il prof. Boghos Levon Zekian e Stefano Kasangian, Associato di
fondamenti dell’Informatica all’Università di Milano, nonché promulgatore delle
Categorie.
Il 17 novembre del 2000 il Parlamento italiano basandosi su mozioni approvate da più di 33 comuni Italiani
riconosceva a sua volta, con una Risoluzione, il Genocidio del 1915, sulla scia di altre istituzioni
internazionali ed europee quali la Francia, la Grecia, il Vaticano e l’Unione Europea. Quest’ultima
poneva tra le condizioni dell’entrata della Turchia in Europa il riconoscimento del genocidio perpetrato a
danno degli armeni.
Ma la Turchia continua con la sua politica negazionista, minacciando ritorsioni economiche contro chiunque osi
affrontare la questione. Forte forse anche dell’appoggio americano, che non vuole offendere o ferire il suo
primario alleato militare nella zona. E forte perché spesso le ragioni economiche prevalgono purtroppo sui
valori umani di cui tanto si parla.
Chi parla oggi del massacro degli Armeni? E’ la domanda che Hitler ha rivolto ai suoi ufficiali, prima di
attuare il suo piano diabolico nei confronti degli Ebrei. Se ci fosse stata una risposta a questa domanda
all’inizio del XX secolo probabilmente non avremmo dovuto assistere, a metà secolo, ad un altro crimine
contro l’umanità.
Chi parla oggi del massacro degli Armeni? Ci auguriamo che prima o poi qualcuno sappia darci una risposta.