La tradizione del “presepio” esisteva probabilmente già
prima di Francesco d’Assisi, ma egli la amò più di altri e, sul suo
esempio, tanti a ragione trovarono, da allora, in essa un espressione dell’amore di Dio e
dell’uomo, nell’espressione sensibile della realtà dell’Incarnazione
del Bambino Gesù. E’ noto a tutti come l’ambientazione del presepe vivente
voluto da S.Francesco è la campagna di Greccio, nella valle santa reatina. L’aiuto
di un ricco e nobile personaggio della regione, di nome Giovanni, amico del santo, permise a
Francesco di realizzare il suo sogno. Un passaggio del testo della Vita prima di Tommaso da
Celano – che più oltre mettiamo a disposizione integralmente – ci preme
sottolineare in questo anno che il papa ha voluto come “Anno
dell’eucarestia”.
Francesco vuole vedere sensibilmente un bambino, il Bambino Gesù, poiché sa che
la fede non è idea, immaginazione, sogno, ma evento realizzato da Dio, nella pienezza
dei tempi. Tutta la spiritualità e l’arte cristiana vivono proprio di questa
rappresentabilità di Dio, poiché egli si è fatto uomo, si è reso
visibile. Ciò che era impossibile all’uomo, ora è divenuto
possibilità, perché Dio ci ha fatto conoscere il suo mistero. Ma, soprattutto,
Francesco crede e sa che lo stesso Gesù, nato in terra 1200 prima, è realmente
presente nell’eucarestia. Così descrive la scena Tommaso da Celano:
Il Santo è lì estatico di fronte al presepio, lo spirito vibrante di
compunzione e di gaudio ineffabile. Poi il sacerdote celebra solennemente l’Eucaristia
sul presepio e lui stesso assapora una consolazione mai gustata prima.
Il Francesco della storia – ci permettiamo di ricordare quanti apocrifi francescani
esistano, come la famosa Preghiera semplice di S.Francesco, “Signore fa’ di me uno
strumento della tua pace”, che è una preghiera del 1912 - è stato uno dei
più grandi amanti dell’eucarestia che la storia abbia mai conosciuto.
Nelle sue stesse parole nel Testamento scritto nel 1226, Francesco descrive il suo amore alla
Chiesa ed all’eucarestia con queste parole:
E il Signore mi dette tanta fede nelle chiese, che così semplicemente pregavo e
dicevo: Ti adoriamo, Signore Gesù Cristo, in tutte le tue chiese che sono nel mondo
intero e ti benediciamo, poiché con la tua santa croce hai redento il mondo.
Poi il Signore mi dette e mi dà tanta fede nei sacerdoti che vivono secondo la forma
della santa Chiesa Romana, a causa del loro ordine, che se mi dovessero perseguitare voglio
ricorrere ad essi. E se io avessi tanta sapienza, quanta ne ebbe Salomone, e mi incontrassi in
sacerdoti poverelli di questo mondo, nelle parrocchie dove abitano, non voglio predicare contro
la loro volontà. E questi e tutti gli altri voglio temere, amare e onorare come miei
signori, e non voglio in loro considerare il peccato, poiché in
essi io vedo il Figlio di Dio e sono miei signori. E faccio questo perché,
dell’altissimo Figlio di Dio nient’altro io vedo corporalmente, in questo mondo, se
non il santissimo corpo e il sangue suo che essi soli consacrano ed essi soli amministrano agli
altri.
E questi santissimi misteri sopra ogni cosa voglio che siano onorati, venerati e collocati
in luoghi preziosi. E dovunque troverò i nomi santissimi e le sue parole scritte in
luoghi indecenti, voglio raccoglierle, e prego che siano raccolte e collocate in un luogo
decoroso. E dobbiamo onorare e rispettare tutti i teologi e coloro che annunciano la divina
parola, così come coloro che ci danno lo spirito e la vita.
L’indissolubile legame dell’amore ai sacramenti e dell’amore alla Chiesa che
li dona, è elemento strutturante la sua stessa esperienza di vita. La stessa
povertà deve recedere, per Francesco, dinanzi agli oggetti liturgici che debbono essere
preziosi, perché essi contengono Cristo stesso, presente nell’eucarestia.
Tommaso da Celano racconta Greccio
Ecco, integralmente, il testo della Vita prima di Tommaso da Celano, sul presepio di Greccio,
al cap. XXX.
84. La sua aspirazione più alta, il suo desiderio dominante, la sua volontà
più ferma era di osservare perfettamente e sempre il santo Vangelo e di imitare
fedelmente con tutta la vigilanza, con tutto l’impegno, con tutto lo slancio
dell’anima e del cuore la dottrina e gli esempi del Signore nostro Gesù
Cristo.
Meditava continuamente le parole del Signore e non perdeva mai di vista le sue opere. Ma
soprattutto l’umiltà dell’Incarnazione e la carità della Passione
aveva impresse così profondamente nella sua memoria, che difficilmente gli riusciva di
pensare ad altro.
A questo proposito è degno di perenne memoria e di devota celebrazione quello che il
Santo realizzò tre anni prima della sua gloriosa morte, a Greccio, il giorno del Natale
del Signore. C’era in quella contrada un uomo di nome Giovanni, di buona fama e di vita
anche migliore, ed era molto caro al beato Francesco perché, pur essendo nobile e molto
onorato nella sua regione, stimava più la nobiltà dello spirito che quella della
carne. Circa due settimane prima della festa della Natività, il beato Francesco, come
spesso faceva, lo chiamò a sé e gli disse: «Se vuoi che celebriamo a
Greccio il Natale di Gesù, precedimi e prepara quanto ti dico: vorrei rappresentare il
Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si
è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una
greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello». Appena l’ebbe
ascoltato, il fedele e pio amico se ne andò sollecito ad approntare nel luogo designato
tutto l’occorrente, secondo il disegno esposto dal Santo.
85. E giunge il giorno della letizia, il tempo dell’esultanza! Per l’occasione
sono qui convocati molti frati da varie parti; uomini e donne arrivano festanti dai casolari
della regione, portando ciascuno secondo le sue possibilità, ceri e fiaccole per
illuminare quella notte, nella quale s’accese splendida nel cielo la Stella che
illuminò tutti i giorni e i tempi. Arriva alla fine Francesco: vede che tutto è
predisposto secondo il suo desiderio, ed è raggiante di letizia. Ora si accomoda la
greppia, vi si pone il fieno e si introducono il bue e l’asinello. In quella scena
commovente risplende la semplicità evangelica, si loda la povertà, si raccomanda
l’umiltà. Greccio è divenuto come una nuova Betlemme.
Questa notte è chiara come pieno giorno e dolce agli uomini e agli animali! La gente
accorre e si allieta di un gaudio mai assaporato prima, davanti al nuovo mistero. La selva
risuona di voci e le rupi imponenti echeggiano i cori festosi. I frati cantano scelte lodi al
Signore, e la notte sembra tutta un sussulto di gioia. Il Santo è lì estatico di
fronte al presepio, lo spirito vibrante di compunzione e di gaudio ineffabile. Poi il sacerdote
celebra solennemente l’Eucaristia sul presepio e lui stesso assapora una consolazione mai
gustata prima.
86. Francesco si è rivestito dei paramenti diaconali perché era diacono, e
canta con voce sonora il santo Vangelo: quella voce forte e dolce, limpida e sonora rapisce
tutti in desideri di cielo. Poi parla al popolo e con parole dolcissime rievoca il neonato Re
povero e la piccola città di Betlemme. Spesso, quando voleva nominare Cristo
Gesù, infervorato di amore celeste lo chiamava «il Bambino di Betlemme», e
quel nome «Betlemme» lo pronunciava riempiendosi la bocca di voce e ancor
più di tenero affetto, producendo un suono come belato di pecora. E ogni volta che
diceva «Bambino di Betlemme» o «Gesù», passava la lingua sulle
labbra, quasi a gustare e trattenere tutta la dolcezza di quelle parole.Vi si manifestano con
abbondanza i doni dell’Onnipotente, e uno dei presenti, uomo virtuoso, ha una mirabile
visione. Gli sembra che il Bambinello giaccia privo di vita nella mangiatoia, e Francesco gli
si avvicina e lo desta da quella specie di sonno profondo. Né la visione prodigiosa
discordava dai fatti, perché, per i meriti del Santo, il fanciullo Gesù veniva
risuscitato nei cuori di molti, che l’avevano dimenticato, e il ricordo di lui rimaneva
impresso profondamente nella loro memoria. Terminata quella veglia solenne, ciascuno
tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia.
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