Ripresentiamo on-line sul nostro sito, per il progetto Portaparola, l’intervista al card.Tonini che Avvenire ha pubblicato nell’edizione del 3 febbraio 2005, nei giorni della malattia del Papa, ricoverato al Gemelli, con il titolo «Così necessario ai disegni di Dio oggi», a firma di Francesco Ognibene.
L’Areopago
Anche noi stiamo sotto quella finestra del Gemelli, con la trepidazione e le attese di tutti. Ma con una domanda in più: per cosa ci è data questa stagione di pontificato così irta di ansie, che intreccia il filo del ministero petrino con quello della sofferenza, la limitazione fisica con lo slancio apostolico di sempre? Dentro l'alternarsi dei periodi nei quali il Papa appare in forma sufficientemente buona (e domenica chi non l'ha pensato in salute, vedendolo all'Angelus divertito dalle colombe che volavano dentro il suo studio?) ai momenti di più acuta difficoltà, occorre certamente saper scorgere qualcosa oltre il «lungo autunno» rudemente diagnosticato da qualcuno. Ma che cosa? Ad aiutarci ecco il cardinale Ersilio Tonini, altro pastore che non risparmia nemmeno un'oncia di energie nei suoi 90 anni.
Eminenza, che tempo è questo del pontificato di Giovanni Paolo
II?
Un particolare mi torna sempre alla memoria in queste circostanze. Il cardinale Poma mi
raccontava che nel conclave che elesse Giovanni Paolo II, dopo la prima giornata, vide durante
una pausa il cardinale Wyszynski inginocchiato in un angolo, singhiozzante. Gli si
accostò, premuroso, e il primate polacco gli sussurrò: "Povero Wojtyla, quanto
dovrà soffrire...". Nelle sue poesie, il Papa fa parlare un padre nel quale in
realtà è lui stesso che si esprime: "La paternità - dice - si è
impadronita di me, mi vincola non solo ai miei figli ma a me stesso: sono impegnato per
sempre". Questo spiega molto del Papa: la sua mente è ancora limpida, la partecipazione
agli eventi è totale, ma capisce che è l'ora della testimonianza,
dell'adempimento del suo dovere fino alle estreme conseguenze, anche in queste condizioni. La
sua è una forza enorme nascosta nella debolezza: è la testimonianza della
fedeltà al proprio dovere pur nella sofferenza.
Non c'è dunque una "distrazione" di Dio...
Al contrario. La fedeltà è segno della presenza continua di Dio. Che cosa
dovremmo dire di nostro Signore che si è lasciato crocifiggere? Quello era il momento
della sconfitta, dunque dell'apparente abbandono di Dio, la comunità cristiana poteva
pensare che Dio si fosse scordato di lei. Invece Cristo crocifisso, come scrive Agostino,
è la "giovinezza della Chiesa", che non risiede nella sovrabbondanza della forza ma
nella disponibilità a far fronte alle responsabilità e alle prove. Il Papa
è il primo a rendersi conto che le sue gambe, della cui forza era così
orgoglioso, ora gli consentono di fare assai poco. Ma quell'energia ora è tutta
nell'intensità del suo sguardo. Ho assistito di recente al suo incontro con la
Comunità Giovanni XXIII di don Benzi. È rimasto a lungo pensoso finché gli
si sono avvicinate le famiglie con i ragazzi sulla sedia a rotelle: allora gli abbiamo visto
apparire sul volto uno splendore che di colpo l'ha reso giovanissimo ai nostri occhi. Ci si
è svelata la sua freschezza interiore, che quando affiora quasi lo trasfigura. Dobbiamo
renderci conto che la Chiesa è questo: non forza che s'impone, ma capacità di
amare.
In questa fase di pontificato "crocifisso" lei cosa scorge?
Un invito a capire che questo è un momento di grande importanza, quale forse la storia
non ha mai conosciuto, e che quest'uomo è qui per la speranza. È lui che ci
invita a vedere quel che deve nascere, ed è bene che sia lui a testimoniare la speranza,
fino a quando Dio glielo permetterà.
Nelle prove cui il Papa è sottoposto possiamo vedere all'opera la
mano di Dio?
Certo! Non sempre sappiamo cogliere cosa traspare dagli eventi. Ci possono essere momenti di
sgomento davanti alle grandi crisi, dal terrorismo alla guerra, al maremoto, ma la Chiesa
sempre dimostra di essere educata alla scuola del Cristo che insegna a essere certi che gli
eventi matureranno, che c'è una sapienza a guidarli. Non ci è consentito di
vedere l'esito ultimo di ciò che accade, ma sappiamo che Dio non permette le nostre
sofferenze se non per procurare un bene più grande, la maturazione dell'umanità.
Ecco: in questo momento storico formidabile ci è dato un Papa che resta all'altezza dei
tempi.
Il Papa come accoglie questo tempo di ridotta efficienza fisica?
Con il coraggio di sempre, con l'enorme forza d'animo che ha un uomo di preghiera come lui. Si
può dire che vive in stato di preghiera, e questo gli dà la capacità di
vedere nelle circostanze della sua vita le sofferenze di Cristo. È disposto a servire
anche così.
Stando ai biografi, il pontificato avrebbe detto tutto quello che poteva:
i grandi eventi, i cicli, le iniziative. Tutto è stato straordinario, ma ormai tutto
è in archivio. È così?
La nostra è una società abituata a misurarsi col parametro delle quotazioni di
Borsa. Ma questa non è la Chiesa: il suo valore è di essere comunità di
amore. Esiste per dare gloria a Dio, per compiacerlo, esaltare la sua potenza che si mostra
nella nostra fragilità. In quest'uomo vediamo che "vale la pena", che lui è
necessario ai disegni di Dio, e che non poteva che essere lui a guidare la Chiesa ora. Merita
di essere circondato di venerazione in questo momento, come riconoscenza al Padre che ce l'ha
donato. La sua debolezza rende ancora più trasparente l'azione di Dio in lui, ci invita
ad apprezzarlo non più solo perché ha fatto grandi cose, ma per quello che
è. È il momento dell'amore più puro per lui. Ed è ora che la Chiesa
si mostra come comunità di amore, non società per azioni che pensiona
l'amministratore delegato se non rende più come prima.
Che cosa ci viene indicato del Papa in questo momento?
Il suo essere padre. È l'ora della lode a Dio, del fasciare di attenzione e di amore
quella stanza al Gemelli, per pura gratitudine a Dio. Quand'ero parroco restavo sempre
edificato dai figli che si stringevano attorno al padre malato: quanta tenerezza, quanto
affetto... Era l'ora in cui la famiglia mostrava se stessa, e restituiva almeno in parte quel
che il padre le aveva donato. Dobbiamo onorare nel Papa l'opera di Dio.