Mettiamo a disposizione on-line, anche sul nostro sito, per gentile concessione di d.Pino Pulcinelli, il lavoro di sintesi e libero riadattamento da lui curato dell’articolo di J.L Ska, "Come leggere l'Antico Testamento", Civiltà cattolica 144 III (1993) 209-223. L’autore ha pubblicato questo breve testo sul suo sito www.bibbiaonline.it
L’Areopago
Come valutare quei brani dell’Antico Testamento che sono in contrasto con l’etica ispirata al Nuovo Testamento? Che cosa pensare quando in alcuni passi emerge l’immagine di un Dio violento? La fede nella resurrezione cambia il nostro modo di leggere testi dell’AT che non contemplano la vita oltre la morte?
1 - Amoralità in alcune grandi figure bibliche
Abramo dice bugie su Sara (chiamandola "sorella", Gen 12,10-20; 20,1-18), Isacco fa lo stesso
(Gen 26,6-11); Giacobbe inganna due volte il fratello Esaù (Gen 25,29-32; 27,1-28,9),
ecc.
La figura a volte crudele o amorale dei giudici (cf. Sansone, Gdc 13-16; Iefte, Gdc 9-11) e
dei più grandi re d’Israele (cf. Davide, 2Sam 11; Salomone, 1Re 11), ecc.
2 - Violenza divina
Ci sono dei testi del Dt, Gs, 1Sam, che parlano di un’usanza secondo cui la città
conquistate dovevano essere "votate all’interdetto" (in ebraico Herem), dovevano
cioè essere completamente distrutte, massacrati tutti gli abitanti, uomini, donne e
bambini, e anche il bestiame, e tutti gli oggetti preziosi consacrati solo a Dio. La questione
si complica perché è Dio stesso a chiedere di agire in questo modo (!).
3 - Una teologia insufficiente
Il libro di Giobbe, uno dei vertici della poesia ebraica, tratta il tema della sofferenza del
giusto e del tentativo di trovare una risposta che rientri in qualche modo in ciò che si
conosce del piano di Dio. La soluzione presentata dal testo è di tipo intraterreno (cf.
la restaurazione dei beni e della benedizione "materiale"), che non è confortata
dall’esperienza comune né ha sbocchi nella vita oltre la morte o nel dogma della
resurrezione. Lo stesso si può dire del libro del Qohelet, che al dramma della
caducità della vita non oppone nemmeno la ricompensa intraterrena. Per altri versi il
libro di Geremia pone la questione della libertà dell’uomo di fronte alla chiamata
di Dio (cf. il profeta che maledice il giorno in cui è nato, Ger 20). Un altro problema
è rappresentato da alcuni salmi imprecatori, dove si parla dell’odio verso i
nemici e si fa uso di maledizioni.
1 - I racconti biblici non hanno come primo scopo quello di proporre
dei modelli di virtù: sono soprattutto memorie su personaggi che ebbero un ruolo
importante nella storia del popolo d’Israele, antenati che costituiscono
l’identità del popolo. che Abramo, Isacco e Giacobbe abbiamo avuto le loro
debolezze non impedisce loro di essere i padri di Israele secondo la carne e nella fede. Gli
eroi della Bibbia non sono di una classe privilegiata, ma fanno parte del popolino, gente
comune: chiunque può riconoscersi in essi; gli errori, i peccati, non sono un ostacolo
insuperabile per andare a Dio. Lo scrittore sacro non intende formulare dei giudizi, ma
semplicemente descrivere. I cristiani, inoltre, nell’AT non devono cercare sempre modelli
da imitare. Cf. il dramma di Iefte: non vuole edificare, ma commuovere; il lettore non è
chiamato a giudicare, né ad approvare o a condannare, il racconto invita piuttosto a
partecipare all’esperienza crocifiggente dell’amore di un padre verso sua figlia.
Occorre che il lettore si estranei momentaneamente dal suo orizzonte etico che soppesa le
vicende per entrare nel mondo della narrazione. In questo modo si arricchirà in contatto
con il testo (cf. "farsi tutto a tutti", 1Cor 9,22; "nulla di umano mi è estraneo" cf.
GS n. 1).
2 - Occorre tener conto che quei racconti (Cf. anche l’uso dei generi letterari)
sono vicini al mondo idealizzato dell’epopea: in guerra non esistono mezze vittorie.
Composte durante il periodo dell’esilio o del post-esilio, servono a darsi un passato
glorioso nel momento in cui la loro terra era un bene lontano o insicuro: si vuole idealizzare
il passato (non è vero che tutti i cananei furono distrutti). Si è di fronte al
compromesso tra una realtà deludente (l’incapacità umana di corrispondere
del tutto alla promessa di Dio) e la promessa stessa che resta valida (il paese nella sua
interezza donato da Dio). L’esigenza da parte di Dio, che viene espressa da quei
racconti, rimane comunque giusta: l’astensione dai culti idolatrici, evitando ogni
contatto con i pagani.
3 - Con Giobbe si tratta di partecipare al suo dramma: il carattere insondabile
dell’azione divina (cf. la figura del giusto perseguitato: Gesù riprende le loro
invocazioni), mistero illuminato dalla Passione e Resurrezione di Gesù. Le imprecazioni
che troviamo nei salmi [cf. Sal 34 (35); 108 (109),6-8; 51 (52),7 ecc.]: l’uomo pio univa
la sua causa personale con quella di Dio (cf. la legge del taglione: ogni colpa va punita); la
distruzione del nemico è giustificata in quanto è nemico di Dio. Può un
cristiano pregare con questi salmi? Sì: se prova sentimenti di odio verso qualcuno esso
può servire a far venir fuori questi sentimenti per esaminarli e cambiarli; viene
così liberato da essi in quanto li affida a Dio (la vendetta è lasciata a Lui).
Inoltre tali salmi ci permettono di essere solidali con quelli che soffrono ingiustizia e non
possono esprimere la loro ira (esprimono una ricerca di giustizia).
"La Bibbia riflette un’evoluzione morale considerevole, che trova il suo compimento nel
NT (Cf. documento della PCB 1993, p. 101) L’etica dell’AT non è in sé
cattiva, pur non essendo perfetta: non basta che una concezione sia attestata nell’AT
(cf. schiavitù, divorzio o sterminio) perché continui ad essere valida (cf. anche
il "ma io vi dico" di Gesù). Si rende quindi necessario un discernimento che tenga conto
del progresso della coscienza morale (evoluzione morale che si compie nel NT). La Rivelazione
è progressiva, rispecchia una lenta educazione del popolo, che viene raggiunto dalla
rivelazione nello stato in cui si trova, per essere poi pian piano elevato al disegno di Dio.
Nell’AT ci sono elementi "imperfetti e caduchi" (Concilio Vaticano II, Dei Verbum 15) che
la pedagogia divina non poteva eliminare subito.
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