Significato giuridico, storico e teologico delle norme che regolano il Conclave per l’elezione del Romano Pontefice. Conferenza di don Ivan Grigis, tenuta il venerdì 15 aprile 2005 presso il Centro Culturale L’Areopago della parrocchia di S.Melania (tpfs*)

Il testo che vi presentiamo è la trascrizione della conferenza tenuta da d.Ivan Grigis, presso il Centro Culturale L’Areopago della parrocchia di S.Melania il venerdì 15 aprile 2005. Lunedì 18 aprile si sarebbe poi aperto il Conclave che avrebbe eletto l’indomani, il 19 aprile, il nuovo papa Benedetto XVI. Il testo conserva lo stile parlato ed allude, appunto, agli eventi che stavano per svolgersi. Il testo non è stato rivisto dall’autore.

L’Areopago


Don Andrea Lonardo

Accogliamo con gioia d.Ivan Grigis che ci parlerà oggi del significato del Conclave. Lo abbiamo invitato per la sua competenza in materia. E’ da poco uscito il suo volume Il Conclave, La Costituzione Apostolica Universi Dominici Gregis, edito a Roma, nel 2004 che è la sua tesi di dottorato in utroque iure, presso la Pontificia Università Lateranense. D.Ivan è anche responsabile del sito www.conclave.it dedicato appunto a questo tema, sito visitatissimo in questi giorni di avvicinamento all’elezione del nuovo Papa. Ho voluto che ci incontrassimo oggi tutti insieme con lui proprio per riflettere su questi eventi che ci sono dinanzi, al di là di quelle letture superficiali che, talvolta, siamo costretti ad ascoltare o a leggere e che vorrebbero presentare il Conclave come un evento pieno di intrighi, esoterico, segreto nel senso deteriore del termine.
Dobbiamo innanzitutto – credo – riscoprire il valore del “segreto”, del “silenzio”, del “raccoglimento”. Anche di questo è espressione il Conclave. In un tempo in cui solo ciò che è pubblico sembra degno di esistenza, il Conclave, uno spazio di silenzio, ci richiama invece all’interiorità di una decisione. Come Gesù salì sul monte, in preghiera, per scegliere i Dodici, come più volte negli Atti la Chiesa primitiva si raccolse per chiamare qualcuno al ministero, così avviene anche oggi. Non le fanfare, ma la pace interiore preparano l’elezione di un Papa.
La nostra abitudine a leggere tutto in chiave banalmente politica, secondo la usurata chiave progressisti- conservatori, ci impedisce, in seconda battuta, di comprendere il senso di una decisione che, quali che siano gli schieramenti che la preparano, sarà alla fine una scelta unitaria, di comunione ecclesiale. Non avviene nel Conclave come nella politica, come negli scontri di potere. Non usciranno dal Conclave un Papa con la sua maggioranza ed una minoranza che gli farà opposizione, negandogli fiducia e collaborazione e desiderosa di rovesciarlo appena possibile! La riservatezza del Conclave avviene anche perché una volta che l’elezione sarà avvenuta, il Papa sarà, ancora una volta, il Papa di tutti. Tutti gli offriranno fiducia, obbedienza e vera collaborazione, amandolo ed aiutandolo a dare il meglio di sé. Non avranno più senso allora le reticenze di qualcuno che in prima battuta non avesse pensato a quella persona come Papa.
Non so quale altra istituzione possa vantare un così tranquillo svolgimento di un passaggio di incarichi. Pensate a questa successione apostolica petrina nella quale nessuno può scegliere il suo successore, eppure tutto continua, pur con alcuni momenti difficili nei secoli e pur con i cambiamenti che ora d.Ivan ci mostrerà, con tanta continuità e concordia di intenti.
Pensate anche al quorum richiesto: i due terzi. Esprime veramente il desiderio di una larga condivisione di intenti. Quale struttura umana reggerebbe se necessitasse della fiducia previa dei due terzi degli elettori? Veramente non saprei rispondere!
Questo non voler essere influenzati dall’esterno ha anch’esso la sapienza dei secoli. La Chiesa ha imparato molto dai tempi dell’Alto Medioevo, quando le famiglie romane facevano a gara per influenzare le elezioni papali e brigavano per avere per i loro figli le cariche che li rendevano elettori del Nuovo Papa (basti pensare ai nomi dei Colonna, degli Orsini, ecc. ecc.). Lo stesso è avvenuto durante i tempi nei quali i grandi regnanti dell’Impero o i monarchi di Francia, Inghilterra, Spagna, Portogallo, influenzavano i rispettivi cardinali e ponevano veti o chiedevano voti per determinati candidati, promettendo ricompense e minacciando ritorsioni. Quando si cerca di demolire con un processo storiografico un certo periodo della storia della Chiesa, criticando malcostumi di personaggi ecclesiastici talvolta anche molto influenti, perché tacere quante influenze il Papato era costretto a subire, cercando come di barcamenarsi, sotto minacce di governi “laici”, non ecclesiastici? Non sono forse spiegabili almeno alcuni eventi del passato non tanto come cadute di uomini della Chiesa, ma anche come intromissioni di figure non maturate in una piena libertà ecclesiale, ma sottoposte, nel realismo che sempre la storia porta con sé, alle difficilissime condizioni e pressioni di una certa epoca? Ci apparirà subito evidente come le norme del Conclave mirino ad una libertà della Chiesa da ogni influenza esterna. Non dimentichiamo mai che norme che possono talvolta farci sorridere, sono poi quelle norme che divengono punti di riferimento in momenti difficili. Un elezione papale potrebbe un giorno avvenire – Dio non voglia – come già è avvenuto nel passato, in momenti prossimi a conflitti mondiali, a tensioni internazionali, a pressioni di ogni specie!
Infine la nostra preghiera. Il Conclave ci chiede di pregare. Come i cardinali pregheranno ogni giorno e questa preghiera permetterà loro di riconoscere l’indicazione dello Spirito Santo, così anche a noi è richiesto di pregare per loro. Da domenica prossima, finiti i Novendiali, in tutte le parrocchie del mondo si canterà il Veni Creator Spiritus. Lo si canterà ogni giorno, fino all’elezione del nuovo Papa. Lo impareremo in latino, domenica. Sarà segno della nostra partecipazione, della nostra preghiera, della nostra fiducia che l’elezione di un Papa è un evento carismatico, è un dono del Signore e del suo Spirito, perché nella Chiesa di Cristo, l’autorità-ministero ed il carisma-dono di grazia non si oppongono. Ci guiderà adesso d.Ivan a penetrare nei significati e nelle origini storiche di tanti aspetti del Conclave. Lo ringraziamo di essere venuto oggi fra noi.

Don Ivan Grigis

Iniziamo anzitutto con una prima spiegazione molto semplice riguardante le fonti della nostra riflessione. Non andiamo per sentito dire o per luoghi comuni, perché in caso contrario non avremmo una solida base. Quasi tutto quello che vi dirò lo troviamo nella Costituzione apostolica Universi Dominici Gregis che è stata promulgata il 22 febbraio 1996 e va a riformare l’ultima costituzione in materia di Paolo VI, del 1° ottobre 1975: la Romano Pontifice Eligendo. Questa parte normativa chiede esplicitamente un supporto normativo in materia prettamente liturgica. Quindi oltre alla Costituzione viene pubblicato l’Ordo specifico per i funerali del Papa e l’Ordo per il Conclave, dove troveremo anche le preghiere specifiche di questo tempo che stiamo per aprire con l’inizio del Conclave.

Noi ci fermeremo maggiormente sulle norme, ma non con un approccio esclusivamente canonistico. Lo studio della norma ci dovrà aiutare a comprendere il motivo per il quale il legislatore, cioè il Papa, ha emanato queste norme. Ogni norma sempre porta con sé la sua storia e noi vedremo insieme le più importanti, cercando di capire il perché della norma. Il lavoro che io ho svolto a suo tempo fu proprio questo: prendere le 92 disposizioni, o meglio articoli, della Costituzione, e uno dopo l’altro analizzarli, trovarne le fonti, vederne un po’ la genesi fino ad arrivare al presente. In questo modo si va piano piano scoprendo il cammino della Chiesa.

La prima domanda che mi sono chiesto leggendo e rileggendo la Costituzione era anzitutto: Che cos’è un Conclave? Stando al termine strettamente giuridico, direi che la Costituzione usa due significati di Conclave. Primo: una vera e propria area fisica, quindi un territorio, quasi una delimitazione geografica, quel territorio o delimitazione fisica entro la quale i cardinali fanno tutti quei lavori, quelle operazioni anche di voto, che portano la Chiesa ad avere il successore di Pietro (Non a caso spesso diciamo: “I cardinali entrano in Conclave”, “Sono usciti dall’area del Conclave” - tutte terminologie che hanno come sinonimo “Conclave” con questo significato “area chiusa”).

Secondo significato: certamente con Conclave intendiamo in modo più ampio tutto ciò che concerne la provvisione della sede di Pietro, quindi la provvisione dell’episcopato romano.

Ma ancora, direi in modo più aperto, ma soprattutto più aderente a quello che è lo spirito del legislatore, vedere il Conclave come una sorta di ritiro spirituale durante il quale i padri cardinali si ritrovano in preghiera, in ascolto dello Spirito, per trovare colui che, secondo Dio, essi ritengono debba essere eletto. Questo è lo spirito del Conclave.

La clausura quindi - e facciamo un esempio molto diretto e immediato - non sembra più rispondere solamente ad una semplice segretezza fine a se stessa, quasi che la Chiesa abbia il desiderio di creare tutto un mondo quasi esoterico, nascosto, ma, al contrario, tutto ciò che riguarda la riservatezza, il segreto lo vedremo come la necessaria protezione per poter pregare tranquillamente, per non essere influenzati, per poter in piena serenità accogliere la voce dello Spirito e quindi, come strumenti docili nelle mani di Dio, poter dare lo sposo degno alla Chiesa.

Quindi sistemata la prima domanda del Conclave, quella che mi viene subito dopo è: chi sono i votanti? In altre parole, chi può eleggere, chi ha lo ius eligendi che, in termine tecnico, si dice “attivo”? Sono tutti i cardinali.
Storicamente non è sempre stato così: sappiamo che i cardinali erano nel passato piuttosto coloro che erano semplicemente incardinati al Vescovo di Roma. Dalla parola “cardine” proviene la parola “cardinale”: erano gli incardinati al Vescovo di Roma. Crescendo il ruolo del Papa, cresce l’importanza del ruolo dei cardinali, cioè di queste persone incardinate al Papa, e quindi anche il loro numero. Vi erano Cardinali legati alle Diaconie romane - ecco i Cardinali dell’Ordine dei Diaconi, i cardinali legati alle parrocchie e che avevano il titolo quindi delle parrocchie romane - quindi i cosiddetti Cardinali dell’Ordine dei Presbiteri. Successivamente anche i Vescovi viciniores che coadiuvavano il Papa, ricevono il titolo di Cardinali, ma non più dell’Ordine dei Diaconi e dei Presbiteri, come gli altri, ma con il titolo di Cardinali Vescovi, poiché reggevano delle vere e proprie Diocesi. E così abbiamo lo strutturarsi dei tre Ordini entro i quali sono ancora oggi incastonati i Cardinali, ovviamente su un piano attualmente simbolico.

Noi sappiamo che tutti i cardinali elettori oggi sono Vescovi, ma essi conservano il loro titolo legato alle Diaconie, o alle Parrocchie o alle Diocesi suburbicarie. Questo vi dicevo per farvi comprendere quale sia la ratio, il motivo, quando per la prima volta Nicolò II, nella Decretale “In Nomine Domini” detta anche “Novi beatitudo” del 1059, stabilisce che l’elezione del Vescovo di Roma è riservata solamente ai Cardinali Vescovi. Nicolò II dà la precedenza ai Cardinali Vescovi i quali dovranno designare una persona e quindi condividere questo nome con i Cardinali Presbiteri e Diaconi e da ultimo annunciarlo al popolo di Dio.

Immediatamente dopo il corpus del collegio diventa sempre più stretto e la divisione diventa sempre più simbolica, tanto che già nel dodicesimo secolo - siamo con Alessandro III, 1179, con la Costituzione “Licet de vitanda” - mentre si parla del quorum necessario per la valida elezione, si cita altresì, expressis verbis, che tutti i Cardinali, dei vari ordini partecipano direttamente ed immediatamente all’elezione.

Quindi da allora fino ad oggi i Cardinali hanno sempre provveduto direttamente alla elezione del Vescovo di Roma anche se a volte abbiamo avuto qualche influenza esterna come è stato ricordato nell’introduzione, ma queste ingerenze si sono sempre più attenuate man mano che la norma giuridica provvedeva a difendere in modo sempre più forte, più influente, più rigido la libertà del Sacro Collegio.

L’ultima innovazione riguardo a questa norma - cioè chi de facto può eleggere il Papa - l’abbiamo con Paolo VI. Il Papa nel 1970, con il Motu proprio “Ingravescentem aetatem” proibisce ai Cardinali ultra ottantenni, di entrare in Conclave. Oggi la norma prevede che tutti coloro che hanno superato l’ottantesimo anno di vita, quando la sede si è resa vacante, sono privati dello ius eligendi attivo. Quindi oggi i nostri elettori sono tutti i Cardinali che non hanno ancora compiuto 80 anni.

Quale specifico ruolo è affidato ai Cardinali ultra ottantenni? La Costituzione affida loro il popolo di Dio in questo tempo particolare e li pone a guida delle comunità affinché essi facciano meglio comprendere l’importanza del momento che sta vivendo e l’efficacia della preghiera, perché, come abbiamo detto all’inizio, i Cardinali sono veri strumenti nelle mani di Dio e quindi si devono lasciare plasmare dallo Spirito, per poter realmente esprimere ciò che lui desidera. Possiamo così comprendere come sia altrettanto importante, da vero protagonista, il compito del “semplice fedele” che partecipa con la sua preghiera e implora da Dio il dono del santo Pastore.

Alla interrogazione “Chi può eleggere?”, segue spontanea la domanda “Chi può essere eletto?” Chi ha il diritto di eleggere o possiede il cosiddetto ius eligendi passivo (cioè colui che può ricevere il voto)? Su quella scheda che i Cardinali dovranno completare, quale nome può essere collocato? Quali sono i limiti che le norme del codice prevedono? Anzitutto che l’eletto abbia il Battesimo. Quindi non può essere eletto Papa chi non appartiene ai battezzati. In Tv spesso si diceva in questi giorni che tutti possono essere eletti Papa, ma questo non è vero: non tutti, anzitutto perché bisogna appartenere al popolo di Dio con il Sacramento del Battesimo. Voi stessi mi insegnate che per ricevere poi l’Episcopato, è prima necessario il Battesimo. Tutti coloro che hanno studiato il catechismo sanno che nessun sacramento è preso validamente se manca il primo che è quello del Battesimo.

Secondo elemento indispensabile: non si richiede alcun grado di ordine - quindi può essere scelto anche uno che non sia Diacono, che non sia Presbitero, che non sia Vescovo - ma certamente, ed è il secondo elemento, deve essere una persona di sesso maschile, perché comunque dovrà essere ordinato Vescovo (qualora non sia già scelto tra coloro che sono Vescovi).

Terzo elemento: che non sia sposato, perché se è sposato sarebbe un impedimento all’ordinazione episcopale.

Queste tre condizioni ci possono sembrare qualcosa di puramente teorico, però la Costituzione espressamente dice nella parte terminale: “Qualora l’eletto, cioè colui che ha ricevuto i voti, non sia Vescovo oppure non risieda in Vaticano - quindi voi vedete l’apertura della legge a questa possibilità - sia chiamato segretamente”. La Costituzione incarica il segretario, il Sostituto alla Segreteria di Stato, oggi mons. Sandri, a chiamare l’eventuale eletto fuori dal collegio degli elettori, a chiamarlo in forma segreta, a portarlo in Cappella Sistina dove procederanno alla accettazione dell’elezione.

Anche in questa disposizione potete osservare come la Chiesa è veramente aperta all’azione dello Spirito che può soffiare effettivamente al di là dei cosiddetti Cardinali elettori.
Queste cose che, ad un primo sguardo potevano sembrano puramente tecniche, de facto hanno un’immediata ricaduta nella nostra visione di Chiesa. Il fatto che le norme riconoscano la possibilità di scegliere l’eletto anche al di là degli elettori, ci mostra come la Chiesa è veramente aperta e disponibile a qualsiasi proposta che lo Spirito possa soffiare e quindi offrire al collegio degli elettori.

Quindi quali sono le forme della elezione? Le forme più antiche che abbiamo sono fondamentalmente tre, ma attualmente solo la terza è vigente.

La prima, la più antica, era la cosiddetta forma “per ispirazione” - pensate che questa forma era valida fino all’elezione di Giovanni Paolo II. Quindi fino alla riforma del ’96 questo tipo di elezione era percorribile. Cos’era l’elezione per acclamazione? Il Sacro Collegio si ritrovava senza previi accordi nella sala dell’elezione, un Cardinale si alzava in piedi e manifestava non segretamente, ma pubblicamente, il suo gradimento verso una persona e quindi tutti gli altri, se ne erano altrettanto convinti, si potevano alzare in piedi e dire “accetto, accetto” o “eligo, eligo” e così tutti insieme, nessuno eccettuato, si alzavano in piedi e davano assenso alla proposta e si aveva l’elezione detta per “acclamazione”, o quasi per “ispirazione”, perché si poteva manifestare questa idea di essere ispirati, quasi che lo Spirito avesse soffiato fortemente il nome di una persona e quindi tutto il Collegio si fosse ritrovato in una particolare unità e convergenza.
Storicamente le elezioni per acclamazione più significative sono quelle di Papa Fabiano e Papa Pasquale II. Con Papa Fabiano siamo nel 236, una colomba si pone sul capo dell’eletto, gli elettori quindi non si mettono neanche a discutere, immediatamente tutti esultano vedendo quel segno palese inviato da Dio, quindi per acclamazione lo eleggono Papa. Un secondo esempio invece che ci fa più sorridere, forse meno mistico, ma altrettanto significativo, lo abbiamo con Pasquale II, nel 1099. Questo Papa, temendo di essere eletto, si nasconde. Gira voce che vogliono eleggere lui, che lo vogliono votare - più che votare, poiché ancora non c’era un vero e proprio voto, si viene a sapere che comunque i consensi vertevano sul suo nome – ma lui si nasconde. Una volta che lo scoprono lo portano nella sala dove si sta discutendo e tutti urlano e acclamano che Pietro lo vuole come suo successore.
Quindi l’elezione per acclamazione non è una via, diciamo così, che non è mai stata percorsa nella Chiesa, ma, in alcuni casi, aveva anche essa portato i suoi frutti. La difficoltà che oggi il Papa ha evidenziato nella Costituzione, è che questa via oggi risponde poco all’ampio e variegato numero dei Cardinali. La cosiddetta forma “per ispirazione” oggi non è più vigente, è stata abolita. Quindi una delle riforme della nuova legge, certamente è l’abolizione della forma “per acclamazione”.

Don Andrea Lonardo

Per fare un esempio dello stesso procedimento utilizzato per il sacerdozio e l’episcopato possiamo ricordare i casi antichi che conoscete di S. Agostino e S. Ambrogio. Nel recente pellegrinaggio in Tunisia abbiamo visto come S.Agostino fu fatto prete ad Ippona. Lo portarono in chiesa mentre il vescovo stava dichiarando di aver bisogno di un prete. Tutti cominciarono a dire che volevano lui ed Agostino, che non voleva fare il prete, comprese che era volontà di Dio ed accettò. E così, prima di lui, S.Ambrogio che era stato importante funzionario dello Stato a Milano. Per acclamazione popolare fu scelto per l’episcopato – ed era catecumeno, si preparava al battesimo, ma non lo aveva ancora ricevuto. Adesso questo modo di procedere è decaduto anche nelle ordinazioni presbiterali ed episcopali.

Don Ivan Grigis

Tanto più la Chiesa si organizza e diventa complessa - ed aumenta anche di numero - tanto più anche queste forme che in comunità piccole riescono ad esprimere realmente il sentire ecclesiale decadono. La Chiesa, diventando sempre più complessa, ha quindi bisogno di strutturarsi, di organizzarsi; è il processo che sperimentiamo anche nelle cose più quotidiane e più semplici.

Secondo metodo di elezione che è stato anch’esso abrogato è il cosiddetto “metodo per compromesso”. Che cos’era il compromesso? Dal momento in cui il numero dei cardinali aumenta vi fu la proposta di delegare un numero più ristretto di cardinali per l’elezione. In altre parole si faceva un “compromesso” con pochi. Tutti i Cardinali elettori delegava un ristretto numero di cardinali - che poteva andare da 9 a 15 delegati o “compromissari” - i quali ricevevano da parte degli altri questo compromesso. Essi venivano delegati ad eleggere il Papa in nome e per conto di tutto il Collegio. In questa forma i vincoli riguardavano l’atto: bisognava essere molto precisi, bisognava dire per quanto tempo erano incaricati, fino a che punto, quali erano i candidati che potevano scegliere, con quale maggioranza dovevano convergere tra di loro compromissari. La cosa è così farraginosa che, anche se nel passato si è talvolta verificata, anch’essa ha poi trovato, nel tempo, poco successo, nel senso che è stata poco utilizzata. Un caso che storicamente conosciamo è l’elezione di Gregorio X. La sua elezione avvenne per compromesso. Si delegarono solamente 6 cardinali. Furono essi a convergere su questo candidato: Teobaldo Visconti da Piacenza, era arcidiacono di Liegi ed era in quel momento Legato apostolico in Siria; venne chiamato e fatto venire da Acri, quindi fu consacrato vescovo e divenne così Pontefice, dopo – pensate - una vacatio sedis, quindi un’assenza del Vescovo di Roma, di più di tre anni. E’ la vacatio sedis più lunga della storia durante il Conclave di Viterbo. Siamo nel 1271 quando i compromissari ricevettero due giorni per mettersi d’accordo ed, appunto, già il primo giorno - era il 1° settembre 1271 - trovarono l’accordo. Ci sarà poi da aspettare il 24 marzo del 1272 per avere la vera e propria presa di possesso con la consacrazione a Vescovo del Diacono e quindi l’incoronazione.

Questa seconda forma è stata anch’essa abolita e quindi oggi non è più possibile delegare alcuno. Anche in questo caso il Papa dice di aver tolto questa forma di elezione per evitare la possibilità di deresponsabilizzare: è bene che ognuno, in prima persona, si senta chiamato responsabilmente a dare il proprio voto.

Terza forma che attualmente è l’unica percorribile per la validità dell’elezione è il cosiddetto “scrutinio segreto” che è il più semplice anche a livello procedurale. Lo conosciamo già per motivi anche pratici quotidiani, della vita politica. I cardinali mettono un solo nominativo nell’urna e segue poi lo spoglio.

Quali sono i ritmi e quindi i voti necessari per avere una valida elezione? Fino ad Alessandro III, 1179, “bastava” l’unanimità. Voi direte: “Bastava?” Sì, perché a quei tempi era fondamentale, in quel ristretto numero di cardinali, l’unanimità. Non si poteva pensare, anche solo teologicamente, la diversità; essendo 8, 10 o 12 cardinali, bisognava essere tutti d’accordo. C’era la difficoltà, quindi, di trovare un consenso. Alessandro III – segnato dalla sua elezione durante la quale ci sono state diverse difficoltà, problemi interni al Collegio - una volta che viene eletto, ripensa questa diversità. Giustamente qui crescerà, anche a livello teologico, il discorso, e si comprenderà come non sempre la diversità è a discapito dell’unità della Chiesa. A volte la diversità è ricchezza; quindi non dobbiamo assolutizzare la diversità, quasi come un segno di divisione. La diversità della Chiesa, non sempre è sinonimo di disunità o di divisione. La stessa riflessione la porta avanti, ovviamente con un altro tipo di linguaggio più legato a quei tempi, Alessandro III il quale dice che qualora un terzo - pensate l’approccio differente - un terzo dei cardinali elettori non convergesse sugli altri due, si ritenga eletto il cardinale che ha ricevuto i due terzi dei consensi. Vedete l’attenzione alla minoranza: “qualora questa minoranza non riesce a convergere” - c’è quasi un rispetto verso di essa - non si ritenga che essa stia sbagliando. Ma, comunque sia, la Chiesa sceglierà colui che ha ricevuto i due terzi. Ebbene questa norma dei due terzi è ancora oggi vigente.

Oggi per essere eletto pontefice il candidato ha bisogno dei due terzi dei cardinali votanti. Questa norma non è inderogabile proprio perché vi sono delle particolari disposizioni per abbassare il cosiddetto quorum. In altre parole la norma prevede che dopo 33 o 34 scrutini - 34 se si vota già il giorno dell’ingresso in Conclave - anziché esigere la maggioranza cosiddetta qualificata, cioè i due terzi, il Sacro Collegio potrà procedere per maggioranza assoluta. Non è tenuto a farlo, ma potrà scegliere alla 33esima o 34esima votazione di abbandonare la maggioranza qualificata accontentandosi di quella assoluta. Questo perché? Dopo 33 scrutini andati con fumata nera - o 34 se già si vota il giorno dell’ingresso in Conclave – potrebbe essere opportuno cominciare a ripensare come procedere affinché, comunque sia, la Chiesa possa ricevere il suo Pastore, il Vescovo della Chiesa di Roma.

Perché proprio dopo trentatre votazioni? La Costituzione non dice questo numero, ma ve l’ho detto io per voler un po’ semplificare l’approccio alle norme, alla regola: proprio perché il ritmo della votazione è un po’ particolare. Il primo giorno, quindi lunedì, potranno fare una votazione, martedì, mercoledì e giovedì, cioè per tre giorni, potranno fare quattro votazioni al giorno, due la mattina, due il pomeriggio. Se non si raggiungesse una maggioranza qualificata, sono chiamati ad una pausa di preghiera e di riflessione. Questa pausa sarà accompagnata da una meditazione che offrirà il cardinale primo dell’Ordine dei Diaconi, invitando ovviamente a ritrovare l’unità, a cercare di convergere su una persona che deve guidare la Chiesa. Seguono altre sette votazioni, quindi una nuova pausa di preghiera, meditazione offerta questa volta dal primo cardinale dell’Ordine dei Presbiteri. Seguono ancora sette votazioni, quindi una nuova pausa di preghiera e di meditazione, di condivisione anche dei diversi pareri, offerta questa volta dal primo cardinale dell’Ordine dei Vescovi. Quindi altre sette votazioni. Abbiamo fatto una votazione il giorno dell’ingresso, dodici i tre giorni consecutivi, più i tre settenari siamo a trentaquattro (oppure a trentatre se non si vota il giorno dell’ingresso in Conclave).

Quindi alla domanda quanti voti occorrono per essere eletti Pontefice, rispondiamo: i due terzi, ma, se dopo 33 o 34 votazioni è ancora fumata nera, i cardinali possono optare per la maggioranza assoluta, oppure, dice il testo, potranno optare per una forma di ballottaggio fra coloro che, nell’ultimo scrutinio, avranno ricevuto la maggioranza dei voti. Ma anche in questo caso sarà richiesta la maggioranza assoluta. Quindi sotto la maggioranza assoluta, mai si può procedere, perché il valore ecclesiale è comunque quello dell’unità. Nella singola scheda de facto viene detto il gradimento e quindi il grado di comunione che quella persona porta rispetto ai presenti. Se raggiunge la metà dei consensi significa che, comunque sia, la persona che guiderà la Chiesa ha un largo appoggio, una larga condivisione e gradimento con i porporati. Non si tratta di eleggere a livello politico, ma piuttosto a livello ecclesiale: la persona che deve guidare deve trovare attorno a sé persone che lo riconoscono, deve essere capace, proprio come pastore, di non restare da solo con le sue idee e l’elezione deve essere realmente vissuta come un atto di comunione.

Il luogo dell’elezione ed i tempi minimi e massimi. Semplificando vi dico solamente che il tempo minimo di attesa è di 15 giorni – è il tempo scelto questa volta, lunedì è il sedicesimo giorno dalla morte di Giovanni Paolo II – e che si può eventualmente iniziare il conclave al massimo dopo aver atteso venti giorni dal decesso del pontefice o dalla vacatio sedis (cioè al massimo il ventunesimo giorno si dovrà entrare in Conclave).

Il luogo dei lavori dell’elezione è cambiato rispetto al passato. Fino all’elezione di Giovanni Paolo II, la clausura era clausura in stricte sensu. Veramente si dovevano “rinchiudere” tutti coloro che dovevano provvedere all’elezione in un’area, chiusi veramente cum clave, cioè con chiave, riprendendo e conservando l’antico termine cum clave, cioè chiusura fisica all’interno di un’area. Io, per darvi un’immagine più forte, la paragonerei ad una vera e propria prigionia. Non si trattava solamente di stare in preghiera. Era così forte il regime che, fino all’elezione di Giovanni Paolo II, si conservava questa forma di custodia del Conclave con addirittura la presenza esterna di un laico incaricato di chiudere in Conclave tutti coloro che partecipavano ai lavori dell’elezione (i cardinali, il Maestro delle Cerimonie, il Segretario del Collegio, i cerimonieri, i sacristi, i confessori dei cardinali, i cuochi, chi faceva le pulizie, i medici necessari ecc. Pensate, anche il chirurgo doveva essere alloggiato dentro l’area del conclave. Quindi da chi cucinava, a chi puliva, a chi sistemava, a chi pensava alla sacrestia, a chi invece pensava proprio ai cardinali come i conclavisti.

Questa forma di clausura a quando risale storicamente? Questa prima forma di clausura l’abbiamo a Perugia nel 1215, dove per la prima volta i cardinali vengono chiusi dentro. Il giorno dopo la morte del Papa Innocenzo III, i perugini - così possiamo dire, semplificando – vanno, chiudono i cardinali nel palazzo e, immediatamente dopo due giorni, ne uscirà il Papa. Il metodo ha funzionato! Allora lì certamente vi fu una forma forte di clausura.

Ma se si scava un po’ più indietro nella storia ci accorgiamo che già precedentemente, nell’edificio detto Septizonium, costruito anticamente da Settimio Severo e riutilizzato in età medioevale come fortezza, nel 1198, con l’elezione di Innocenzo III, quindi con il Papa immediatamente precedente a quello che abbiamo visto eletto a Perugia, abbiamo già una certa forma di conclave. Perché questa volta i cardinali non sono chiusi dentro dalla popolazione: sono loro che si chiudono in questa fortezza per difendersi dalle ingerenze altrui. Quindi loro si rinserrano; e, per la prima volta, abbiamo l’attestazione dell’uso delle schede. Per la prima volta vi è anche l’uso di una vera e propria preghiera liturgica, la cosiddetta “oratio pro eligendo Pontifice”, cioè una preghiera appositamente formulata e scritta per eleggere il Papa. Non solo, ma, per la prima volta, abbiamo anche l’attestazione della presenza dei cosiddetti “scrutatores”, cioè di coloro che sono preposti a scrutinare, a fare lo scrutinio, a contare i voti. Quindi, per quel che riguarda la parola “conclave”, abbiamo qui degli esempi che ci aiutano storicamente ad entrare meglio nella comprensione della genesi del Conclave.

La prima volta che invece, troviamo la parola “conclave” in un documento giuridico sarà con Gregorio X nella Bolla Ubi periculum, del 7 luglio 1274. Papa Gregorio imporrà giuridicamente la clausura, che come si è detto, fino a Giovanni Paolo II era vigente e manteneva tutta la sua rigidità.

Queste norme sulla clausura servono certamente a salvaguardare la libertà del Collegio, proprio per evitare ingerenze esterne. Lo stesso voto dato in forma segreta favorisce la libertà anche nel rispetto degli altri che votano a fianco. Pensiamo che, se anche all’esterno nessuno può fare pressioni, c’è però la possibilità che anche dall’interno qualcuno possa fare pressione. La segretezza, la difesa da ingerenze esterne, sono sempre volte a questo clima di libertà che possa aiutare la preghiera e quindi l’ascolto della voce dello Spirito e l’accettazione della volontà di Dio. A questo riguardo vi basti pensare che nel passato vi erano delle persone che da fuori scommetteva sui candidati (persone esterne al Conclave). Talmente erano degenerate tali scommesse che spesso si inventavano calunnie contro gli opposti candidati. Ecco da qui l’irrigidimento delle norme: pensate che ancora oggi i cardinali non possono ricevere né inviare posta, internet, giornali, telefonare all’esterno o riceverne da fuori. Tutto ciò è proibito. Ma non per una segretezza fine a se stessa; tutta questa forma di isolamento a null’altro serve che a difendere gli elettori nello svolgere in modo ottimale il loro compito, perché non si lascino influenzare dai giornali o dai mezzi di comunicazione sociale. Sappiamo anche noi quanto questi possano influenzare la nostra considerazione di una persona o di un possibile candidato.

La sicurezza del conclave è molto cambiata, non c’è più questa chiusura fisica con chiave, ma semplicemente il Papa ha ritenuto opportuno garantire quella sicurezza che però mantenga la libertà dei cardinali. In altre parole dove i cardinali alloggeranno, non saranno più chiusi dentro a chiave. Basterà che vi sia una sufficiente sicurezza, garantita dall’esterno. Saranno le guardie svizzere, sarà il corpo di vigilanza della Città del Vaticano che garantirà affinché questi luoghi non siano accessibili ad alcuno se non a quanti hanno diritto di usufruirne: i Cardinali, il Segretario del Collegio, il Maestro delle cerimonie, i cerimonieri, i due sacristi preposti, i tecnici che faranno controlli che non vi siano installati microfoni nelle camere o altri strumenti che possano riprodurre o trasmettere ad extra immagini, o suoni o parole o video ecc..

Possiamo dire che oggi la clausura è completamente cambiata nella forma, ma è immutata quella garanzia di sicurezza che anche nel passato era presente. Come sempre la Chiesa risponde con nuove tecniche e norme alle medesime esigenze: garantire riservatezza e libertà al Collegio. Oggi otteniamo una situazione di clausura senza chiudere nessuno a chiave dentro un recinto, ma semplicemente garantendo la sicurezza a quelle zone utilizzate per il voto, come sono la Cappella Sistina, i locali attigui, il luogo dove essi riposano, cioè la Casa Santa Marta, e altre sale per eventuali adunanze deliberative. Tutte queste aree devono essere custodite con una certa segretezza. La sicurezza di queste aree verrà assicurata ad intra dal cardinale Camerlengo e dai suoi assistenti in numero di tre cardinali, mentre ad extra dal sostituto della Segreteria di Stato: Mons. Sandri. Ad extra Mons. Sandri penserà a garantire che nessuno possa violare la riservatezza dell’area del conclave.

Tutte le persone che si muovono dentro l’area del Conclave, anche chi pensa alle pulizie e comunque rimane a disposizione, anche chi deve svolgere un ruolo marginale, tutti costoro sono tenuti ad un giuramento di segretezza, come sono tenuti: il Maestro di Cerimonie, i cerimonieri, i sacristi, tutti coloro che in un certo qual modo svolgono un servizio che ha una certa attinenza diretta o, dice il testo, con l’elezione. Sono tenuti a giurare il segreto su tutto ciò che possono vedere direttamente o indirettamente e quindi su tutto ciò che concerne l’elezione del Romano Pontefice.

Vediamo ora come avviene l’inaugurazione, come inizierà proprio lunedì pomeriggio il conclave.

I cardinali, dice la norma, si troveranno nella Cappella Paolina. Il comunicato della Sala stampa vaticana ha notificato che è stato disposto che - poiché la Paolina, che è quella Cappella attigua e vicina alla Sistina e quindi comunicante con la Sala regia, è in restauro - i cardinali partiranno dall’Aula delle Benedizioni - è quel salone che affaccia proprio su piazza San Pietro ed ha quelle finestre che vediamo sulla facciata della Basilica. Dietro quelle finestre, da quella sala, dall’Aula delle Benedizioni, i cardinali partiranno in processione. Il Cardinal Decano farà un’esortazione e pronuncerà, fra l’altro, quell’espressione che mi ha commosso e che invita i fratelli cardinali a riflettere che, in questo momento, tutta la Chiesa “istantemente” invoca il dono dello Spirito su di loro. Mi è piaciuto molto questa espressione “istantemente” che sta ad indicare sia la puntualità dell’istante sia, direi anche, l’ampiezza, l’estensione di questo atto ecclesiale. Non è qualcosa di privato, non riguarda solo i cardinali elettori ma piuttosto è qualcosa che coinvolge tutti. Tutta la Chiesa è unita ai cardinali nella preghiera e “istantemente”, invoca il dono dello Spirito.

I cardinali quindi partiranno in processione. Sarà invocata la Chiesa celeste, quindi, con le litanie dei Santi. In unione, quindi, con la Chiesa celeste entreranno nella Sistina, prenderanno posto, quindi vi sarà l’intonazione del Veni Creator. Tutta la Chiesa spiritualmente unita invoca il dono dello Spirito. Questo rito di invocare lo Spirito Santo è particolarmente antico e mi piace sottolinearlo proprio perché è una di quelle tradizioni che nasce proprio “dal basso”, dai fedeli - siamo nel 1417, quando la Chiesa aveva due antipapi e un papa. Per ben 38 anni ci fu questa situazione di conflittualità e di dolore. Ebbene durante il conclave che portò all’elezione di Martino V - siamo a Costanza - i fedeli cominciarono sotto le finestre del conclave a pregare con il Veni Creator e alla preghiera parteciparono anche i bambini. Dicono le cronache del tempo che questi bambini piangevano dalla commozione con gli adulti presenti, invocando il dono dello Spirito con questo canto. Martino V verrà eletto e lui stesso, presiedendo il Concilio di Basilea, disporrà che d’ora innanzi tutti i conclavi dovranno iniziare con una processione nella quale i cardinali, a due a due, entreranno in Conclave seguendo la Croce ed invocando lo Spirito Santo con questo canto. Pensate a questa testimonianza che i fedeli di Costanza ci hanno lasciato. Sotto le finestre inizia questo canto che si eleva, che viene avvertito ad intra dai cardinali elettori. Viene così conservato come un valore fortemente ecclesiale, fondamentale per la vita della Chiesa. Ancora oggi nell’Ordo Rituum Conclavis abbiamo il canto dello Spirito Santo, il Veni Creator, quale momento di preghiera inaugurale al Conclave.

Abbiamo lasciato i nostri cardinali, al momento in cui tutti hanno preso posto, hanno cantato il Veni Creator a cui segue l’orazione. Quindi la riforma prevede che ancora a porte aperte della Sistina i cardinali facciano il solenne giuramento. Questo giuramento prevede innanzitutto l’obbedienza, il rispetto delle norme contenute nella Costituzione Apostolica Universi Dominici Gregis. Il secondo elemento di questo giuramento riguarda la conservazione del segreto su tutto ciò che riguarda l’elezione. Il terzo elemento è relativo alla promessa di mantenere e difendere la Chiesa, chiunque di essi venisse scelto per essere Romano Pontefice. Io ho fatto notare nel mio commento al testo, come dovremmo dottrinalmente inserire la recita di questo giuramento da parte dell’eventuale eletto extra collegio, che dovrebbe promettere questa fedeltà al munus petrino, alla difesa della Chiesa di Cristo, non essendo stato presente al momento del giramento all’ingresso del Conclave. Ora Mons. Marini, Maestro delle Celebrazioni Liturgiche intima ai presenti l’ “extra omnes”. Fino a Giovanni Paolo II l’“extra omnes” avveniva immediatamente: finito il canto, tutti venivano mandati via e seguiva la chiusura del conclave. La riforma di Giovanni Paolo II, invece, ha prolungato per un momento ancora l’aspetto pubblico, o visibile, se preferite, del conclave. Giovanni Paolo II, nella sua riforma, anziché chiudere le porte subito dopo il canto del Veni Creator, ha preferito far fare il giuramento dei cardinali, ancora in maniera pubblica.

Abbiamo lasciato i cardinali che stanno facendo il giuramento. In processione sarà stato portato l’Evangeliario affinché, finito il giuramento che viene letto solamente dal Decano del Sacro Collegio - in questo Conclave è il cardinal Ratzinger - tutti i singoli cardinali ponendo la mano sopra l’Evangeliario, possano giurare uno dopo l’altro la loro fedeltà. Ciò fatto, avremo l’ “extra omnes”. Mons. Marini inviterà tutti a lasciare la sala, rimarranno dentro solamente i cardinali elettori, Mons. Marini e l’ecclesiastico preposto alla cosiddetta Seconda Meditazione (la prima meditazione, infatti, i cardinali l’hanno ascoltata durante i Novendiali ed è stata fatta, questa volta, da padre Raniero Cantalamessa). La seconda meditazione, invece, avviene nel tempo del Conclave ed i cardinali l’ascolteranno lunedì pomeriggio. La farà un cardinale ultra ottantenne che quindi entrerà in conclave solo per la meditazione e, subito dopo, lascerà il Conclave. Sarà il card. Tomáš Špidlík - autore anche della Vita di Santa Melania, come mi avete ricordato. Farà la meditazione; quindi, finita la meditazione, sia lui, che il Maestro delle Cerimonie lasceranno l’aula del conclave: la Cappella Sistina. A questo punto il Cardinal Camerlengo chiederà ai cardinali se si può procedere alla prima votazione; essi potranno dire di sì, come di no - ovviamente si andrà per maggioranza - oppure potranno chiedere chiarimenti se vi sono altri dubbi che necessitano di chiarimenti prima delle votazioni. Potrebbe essere necessario, ad esempio, chiarire parti della legge che ancora possono risultare oscure a qualcuno dei cardinali elettori.

Se cominciano il primo scrutinio, cosa devono fare? Cosa accadrà lunedì pomeriggio, qual’è la procedura immediatamente successiva? Nuovamente bisogna richiamare il Maestro di Cerimonie, il Segretario, nonché i cerimonieri. Per quale motivo? Perché si comincia adesso a fare il sorteggio. Pensate che questo cerimoniale nasce con Gregorio XV nel 1621. Si sorteggiavano delle sferule, che sono state preparate in numero esattamente corrispondente ai cardinali elettori e in ognuna delle quali è posto il nome di ciascuno dei cardinali. Di queste sfere, messe in un piccolo sacchetto, ne vengono estratte nove, corrispondenti a nove nominativi. Qual’era il ruolo di questi nomi? I primi tre sono chiamati gli “scrutatores”, cioè coloro che sono chiamati a fare l’atto dello scrutinio. Il quarto, quinto e sesto sono i preposti ad essere gli “infirmari”, cioè coloro che si recano a prendere il voto degli eventuali malati, che non potendo per infermità o salute precaria recarsi in Sistina, sono rimasti nelle loro camere da letto; quindi il settimo, l’ottavo e il nono, gli ultimi tre, sono quelli chiamati a fare il controllo finale, i cosiddetti “revisores”, i cardinali revisores. Ciò fatto si può cominciare a distribuire a tutti le schede. Quindi i cerimonieri ed il Segretario del collegio vengono invitati a lasciare la Sistina. Il cardinale cosiddetto Diacono ultimo o “novissimus” - perché il più “nuovo” è sempre l’ultimo nell’ordine - è incaricato di aprire e chiudere le porte della Cappella Sistina. Li farà uscire, chiuderà la porta a chiave e quindi inizierà lo scrutinio vero e proprio, cioè la votazione.

La votazione avviene in questo modo: il Decano vota per primo, scrive il nome del suo candidato sul biglietto, lo piega in due parti, si avvicina all’altare, fa la riverenza, emette il giuramento, quindi sale, inserisce il voto nell’urna. Le urne, secondo la Costituzione, prevedevano un grande piatto, dove doveva essere appoggiata la scheda, e quindi con questo piatto introdotta nell’urna. Quindi sarà introdotto il primo voto dal cardinal Decano che tornerà poi al posto. A questo punto tutti si metteranno in ordine per procedere alla votazione: come vi ho detto i cardinali hanno già le loro precedenze interne, quindi non votano a caso, ma secondo un ordine. Hanno la precedenza, prima di cominciare secondo l’ordine, i tre infirmari, perché loro devono votare per primi e poi partire e andare a prendere i voti dei cardinali malati. Come avviene questo? Gli scrutatores, i tre che siedono al tavolo dello scrutinio, mostrano a tutto il collegio l’urna vuota necessaria per raccogliere i voti dei malati; quest’urna viene pubblicamente chiusa a chiave, la chiave viene messa sull’altare della Sistina vicino alle altre urne, quindi gli infirmari, dopo aver votato, prendono questa urna vuota, alcune schede, l’eventuale testo del giuramento e quindi si avviano, escono dalla Sistina. Prenderanno il pulmino ed andranno alla Domus Sanctae Martae, sempre se vi sono dei cardinali malati.

Mentre loro iniziano il loro cammino noi torniamo dai cardinali che stanno votando. Qual’è la procedura? Prima ci si avvicina all’altare, si pronuncia il giuramento particolare che dice: “Chiamo Cristo Signore, che mi giudicherà, che il mio voto è dato a colui che secondo Dio ritengo debba essere eletto”. Ciò detto, si avvicina, inserisce la sua scheda nell’urna e torna al suo posto. Molto semplice, come vedete. Così fanno tutti. Conclusa la deposizione delle schede nell’urna, nel frattempo è tornata anche l’urna degli infermi. Si contano le schede presenti nell’urna degli infermi; se sono esatte quante sono il numero degli infermi, tutte insieme si inseriscono nella grande urna che già conteneva le schede dei presenti. A questo punto gli scrutatores fanno la prima fase dello scrutinio: il conteggio delle schede. Verificare cioè che realmente tutte le schede presenti nell’urna corrispondono al numero dei votanti. Se corrispondono, si può procedere allo scrutinio vero e proprio, cioè all’apertura dei voti. Se non sono dello stesso numero, si deve bruciare tutto. Ovviamente questo vorrebbe dire che qualche cosa non è andata come doveva, o che un cardinale, certo in buona fede, ha piegato inavvertitamente due biglietti, ha scritto solo su uno ed il secondo è così una scheda bianca, ad esempio. Quindi non pensiamo alla malafede, ma a cose molto pratiche e normali che possono capitare.

Ciò fatto lo scrutinio avviene in questo modo: ci sono tre scrutatores, singolarmente prendono la scheda, se la passano l’un l’altro, il terzo che riceve la scheda, dopo che gli altri due l’hanno vista, ad alta voce proclama il nome. Quindi tutti i cardinali hanno un foglio, annotano il voto ricevuto. Quindi procedono così con tutte le schede. Terminato lo spoglio delle schede si può vedere se uno ha raggiunto i due terzi - o la maggioranza assoluta dopo la trentatreesima o trentaquattresima votazione. Se abbiamo l’elezione (o anche se non l’abbiamo) si procede al controllo. I tre scrutatores si alzano, vanno al posto e siedono i revisores. Tutte queste schede, man mano che vengono spogliate, quindi aperte, devono essere infilzate con un ago e filo, affinché poi vengano annodate tutte in una specie di pacchetto, affinché non possano minimamente perdersi o disperdersi in alcun modo. I revisores verificano e, a questo punto, c’è il momento decisivo: se abbiamo o non abbiamo l’elezione. Se non c’è stata elezione si procede ad un secondo scrutinio e si continua con due votazioni la mattina e due il pomeriggio. La norma dice che, se il primo scrutinio del mattino o del pomeriggio è “andato male”, non si brucino le schede, le si mettono da parte e si aspetta l’esito del secondo. Quindi tutte insieme, quelle del primo e del secondo scrutinio, si bruciano insieme per fare la fumata bianca o nera. Quindi, se non c’è stata elezione ed è la seconda del mattino o del pomeriggio, avremo fumata nera. Anticamente si usava la paglia umida con le schede per avere la fumata nera e invece le sole schede per avere quella bianca. Oggi, ma già dopo Giovanni XXIII, si utilizzano anche prodotti chimici per facilitare il segnale ad extra della Sistina.

Supponiamo, invece, il caso che si ha l’elezione, in altre parole che una persona ha ricevuto realmente il largo consenso degli elettori. Cosa succede a questo punto? Dopo aver controllato che realmente una persona ha raggiunto i due terzi, viene chiamato il candidato a dare il proprio assenso. Come abbiamo sentito il Papa può rinunciare liberamente all’ufficio di Pastore della Chiesa universale. Altrettanto liberamente l’eletto può accogliere o non accogliere la votazione. L’eletto ascolterà, quindi, la domanda che gli porgerà il Cardinal Decano - e, se viene eletto il Decano, il vice-Decano – dopo che sono stati chiamati il Segretario del Collegio e il Maestro delle Celebrazioni Liturgiche perché fungano da testimoni: “Accetti tu la tua elezione canonicamente fatta a Sommo Pontefice?” L’eletto potrà dire di sì, e quindi vuol dire che accetta. Potrà dire anche di no. C’è anche una terza possibilità, già avvenuta nella storia: potrà porre delle obiezioni e chiedere tempo. Di fronte ad una domanda così impegnativa ci può essere anche il bisogno di pensarci un attimo ed allora si può chiedere di dare la risposta per l’indomani. La via è percorribile. Pio X aveva messo una norma che expressis verbis prevedeva il caso che il candidato avesse un certo tempo massimo per dare l’eventuale risposta. Attualmente si preferisce un silenzio normativo affinché il collegio cardinalizio valuti caso per caso, situazione per situazione, il da farsi di fronte ad un eventuale richiesta dell’eletto di avere un tempo di riflessione per dare una risposta. Se l’eletto dice immediatamente sì - o quando avrà detto il suo sì - seguirà l’omaggio dei cardinali. Innanzitutto il nuovo Papa si vestirà nella “camera lacrimatoria”, che è la sagrestia della Sistina, proprio perché molti Pontefici lì piansero. Quindi tornerà, gli verrà proclamato il passo di Pietro dove vi è la consegna delle chiavi. Dopo aver ascoltato il Vangelo della consegna delle chiavi e quindi che “tu sei Pietro e su questa pietra io edificherò la mia Chiesa”, seguirà l’omaggio, cioè l’offerta della pace dei cardinali elettori al Papa, quindi il Te Deum come segno di ringraziamento. Ora i cardinali in processione si recano all’aula delle benedizioni e quindi al balcone della Basilica, dove noi trepidanti aspettiamo la notizia e la benedizione Urbi et Orbi.

Mentre avverrà tutto ciò, non appena l’eletto avrà detto “accetto”, dando così il suo assenso positivo, si potranno bruciare le schede con il prodotto chimico relativo che darà il fumo bianco.
Non prima dell’accettazione, perché se poi rifiutasse, ci troveremo con una fumata bianca che è in realtà una fumata che prenderebbe invece una “piega nera”.

A conclusione vorrei sottolineare, come al numero 84, la Costituzione chiede di “unirsi - tutta la Chiesa - con ferventi preghiere” e ribadisce che solo così l’elezione non sarà un fatto isolato dei soli cardinali elettori ma - dice proprio il testo – “in un certo qual senso un atto ecclesiale, di tutta la Chiesa”.


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