Virtù
di
C. S. Lewis
Si
tratta di una distinzione importante, per la ragione che ora esporrò. Se si
pensa soltanto alle azioni particolari, si corre il rischio di incoraggiare
tre idee sbagliate:
1.
L’idea che, purché si faccia la cosa giusta, non ha importanza come o
perché la si fa: se volenti o nolenti, con animo lieto o contrariato, per timore
dell’opinione altrui o per se stessa. E’ vero invece che le azioni giuste fatte
per ragioni sbagliate non giovano a costruire quella qualità o carattere interiore
che si chiama “virtù”, ed è questa qualità o carattere ciò che conta realmente.
(Se il cattivo tennista colpisce la palla con tutta la forza non perché vede
che occorre un bel tiro teso ma perché gli sono saltati i nervi, può darsi che
il suo tiro, per pura fortuna, lo aiuti a vincere quella tale partita, ma non
lo aiuterà a diventare un buon giocatore).
2.
L’idea che Dio voglia soltanto l’obbedienza a determinate regola: mentre
Egli vuole in realtà persone di un determinato tipo.
3.
L’idea che le “virtù” siano necessarie soltanto per questa vita- che
nell’altro mondo si possa smettere di essere giusti perché non ci saranno più
motivi di litigio, e di essere coraggiosi perché non ci saranno più pericoli.
Ora, è verissimo che nell’altra vita non ci sarà probabilmente occasione di
compiere atti giusti o coraggiosi, ma ci sarà ampia occasione di essere il tipo
di persona che potremo diventare solo grazie all’aver compiuto atti simili in
questa vita. Il punto non è che Dio rifiuterà di accoglierci nel Suo mondo eterno
se non possediamo certe qualità di carattere: il punto è che se una persona
non ha acquisito dentro di sé almeno un barlume di quelle qualità, nessuna condizione
esterna può costituire per essa un “paradiso”: può, cioè, renderla felice di
quella felicità profonda, salda, incrollabile che Dio ci destina.