Virtù

 

da Il cristianesimo così com’è

di C. S. Lewis  


C’è un punto da rilevare riguardo alle virtù. Fare una determinata azione giusta o temperante ed essere uomini giusti e temperanti sono cose diverse. Un tennista mediocre può fare di tanto in tanto un tiro magistrale. Il bravo tennista è uno che ha occhi, muscoli e nervi talmente esercitati da innumerevoli tiri magistrali, da potervi fare sicuro affidamento. I suoi organi hanno un certo tono o qualità che è presente anche quando egli non gioca, così come un matematico ha un certo abito mentale che sussiste anche quando non fa matematica. Allo stesso modo, chi persevera nel fare azioni giuste acquista alla fine una certa qualità di carattere. Ed è questa qualità, non le azioni particolari, che intendiamo parlando di “virtù”.

Si tratta di una distinzione importante, per la ragione che ora esporrò. Se si pensa soltanto alle azioni particolari, si corre il rischio di incoraggiare tre idee sbagliate:

1.                 L’idea che, purché si faccia la cosa giusta, non ha importanza come o perché la si fa: se volenti o nolenti, con animo lieto o contrariato, per timore dell’opinione altrui o per se stessa. E’ vero invece che le azioni giuste fatte per ragioni sbagliate non giovano a costruire quella qualità o carattere interiore che si chiama “virtù”, ed è questa qualità o carattere ciò che conta realmente. (Se il cattivo tennista colpisce la palla con tutta la forza non perché vede che occorre un bel tiro teso ma perché gli sono saltati i nervi, può darsi che il suo tiro, per pura fortuna, lo aiuti a vincere quella tale partita, ma non lo aiuterà a diventare un buon giocatore).

2.                 L’idea che Dio voglia soltanto l’obbedienza a determinate regola: mentre Egli vuole in realtà persone di un determinato tipo.

3.                 L’idea che le “virtù” siano necessarie soltanto per questa vita- che nell’altro mondo si possa smettere di essere giusti perché non ci saranno più motivi di litigio, e di essere coraggiosi perché non ci saranno più pericoli. Ora, è verissimo che nell’altra vita non ci sarà probabilmente occasione di compiere atti giusti o coraggiosi, ma ci sarà ampia occasione di essere il tipo di persona che potremo diventare solo grazie all’aver compiuto atti simili in questa vita. Il punto non è che Dio rifiuterà di accoglierci nel Suo mondo eterno se non possediamo certe qualità di carattere: il punto è che se una persona non ha acquisito dentro di sé almeno un barlume di quelle qualità, nessuna condizione esterna può costituire per essa un “paradiso”: può, cioè, renderla felice di quella felicità profonda, salda, incrollabile che Dio ci destina.  


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