Stare in piedi

da Figure di preghiera nella Bibbia di Sergio Bastianel


Gesù fa due strane allusioni-provocazioni al modo di capire il Battista da parte della gente che lo sta ascoltando. Di lui dice che non è come una canna che si lascia trasportare dal vento, ma una persona che sta in piedi. Non sembra ragionevole pensare che qui si tratti di una questione di temperamento. Si tratta piuttosto della statura interiore di una persona che sa, sul piano spirituale, che cosa fa e per quale motivo: sta parlando, infatti, del regno di Dio. Questa è una provocazione posta agli uditori per chiedersi se loro personalmente stanno in piedi o se si lasciano tirare dai venti. Anche l’andare a vedere Giovanni nel deserto poteva essere il vento di una moda, come l’ascoltare ora Gesù stesso. La provocazione allora diventa: tutti stimano quest’uomo, ma chi lo prende sul serio? Chi lo ascolta veramente? Egli è uno che sa quello che dice e il suo parlare è da Dio. La seconda provocazione è: siete andati a vedere uno che veste bene, cioè siete andati a vedere un personaggio interessante secondo la mentalità abituale? Ma coloro che vestono bene stanno altrove, stanno a palazzo. Anche qui Gesù sta chiedendo agli uditori che cosa stanno cercando: il Battista è uno che ha lasciato la città ed è andato nel deserto. Ma la sfida posta non è semplicemente sul tipo di stoffa che usa per i suoi vestiti: è questione di scelta di vita. Gesù ovviamente non dice che bisogna andare nel deserto. La contrapposizione non è tra la città e il deserto, bensì tra il palazzo del re e il luogo in cui gli interlocutori hanno visto il Battista. E forse il palazzo è il luogo che tutti cercano e desiderano. Giovanni non è come una canna agitata dal vento, ma è uno che ha una sua statura morale, sa quello che vuole e perché, nel Signore è in verità. Questo suo stare in piedi è uno stare in piedi anche rispetto a quei venti che sono le apparenti vie di autorealizzazione. E Gesù lo sottolinea...

L’incarnazione, in una storia come la nostra, ha tutto il sapore della mortificazione rispetto alla pretesa di una realizzazione di sé senza costi. Si tratta di vedere il senso di tutto questo. Persona compiuta è Giovanni, non colui che vive a palazzo. Figura di umanità compiuta è Maria, non quella donna che va in giro cercando di diventare grande a suo modo. Si tratta di assimilare tali modelli di relazione nel modo di interpretare la grandezza della dignità umana e si tratta di interiorizzare i loro criteri di vita anche nelle nostre piccole valutazioni e decisioni del quotidiano. Solo così possiamo non rimanere interiormente scissi tra un valutare che va verso l’apprezzamento di chi sta a palazzo e un decidere contrario, che finiremmo per vivere con un alto costo di mortificazione, solo per non acconsentire al male.
Finché avrò il cuore, il modo di valutare, che porta ad apprezzare colui che vive a palazzo, finché questo sarà il mio schema di riferimento, considererò il mio cammino di conversione come pura penitenza. Vivere la fede allora diventerà una cosa estremamente mortificante. Quando invece il giudizio e la sensibilità siano modellati in maniera tale che nel confronto tra il Battista e coloro che stanno a palazzo, tra la figura di Maria e le altre figure, vedo chiaro che quello è il pieno compimento della vita umana sulla terra mentre l’alternativa è illusione di compimento, allora tendenzialmente anche nell’immediato sarò portato a capire che cosa sono chiamato a fare un po’ più spontaneamente alla maniera evangelica, in coerenza con ciò che sono già diventato.


 

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