Spiritualità cattolica e spiritualità particolari

dalle risposte di Papa Benedetto XVI alle domande dei sacerdoti, durante l’incontro con il clero della Diocesi di Roma del giovedì 2 marzo 2006


Ho notato questo quando ero Arcivescovo di Monaco. Quando noi siamo entrati in seminario, abbiamo avuto tutti una comune spiritualità cattolica, più o meno matura. Diciamo che il fondamento spirituale era comune. Adesso vengono da esperienze spirituali molto diverse. Ho constatato nel mio seminario che vivevano in diverse «isole» di spiritualità che comunicavano difficilmente. Tanto più ringraziamo il Signore perché ha dato tanti nuovi impulsi alla Chiesa e tante nuove forme anche di vita spirituale, di scoperta della ricchezza della fede. Bisogna soprattutto non trascurare la comune spiritualità cattolica, che si esprime nella Liturgia e nella grande Tradizione della fede. Questo mi sembra molto importante. Questo punto è importante anche riguardo al Concilio. Non bisogna vivere — come ho detto prima di Natale alla Curia Romana — l'ermeneutica della discontinuità, ma vivere l'ermeneutica del rinnovamento, che è spiritualità della continuità, dell'andare avanti in continuità. Questo mi sembra molto importante anche riguardo alla Liturgia.

Prendo un esempio concreto che mi è venuto proprio oggi con la breve meditazione di questo giorno. La «Statio» di questo giorno, giovedì dopo il Mercoledì delle Ceneri, è san Giorgio. Corrispondenti a questo santo soldato, una volta vi erano due letture su due santi soldati. La prima parla del re Ezechia, che, malato, è condannato a morte e prega il Signore piangendo: dammi ancora un po' di vita! E il Signore è buono e gli concede ancora 17 anni di vita. Quindi una bella guarigione e un soldato che può riprendere di nuovo in mano la sua attività. La seconda è il Vangelo che narra dell'ufficiale di Cafarnao con il suo servo malato. Abbiamo così due motivi: quello della guarigione e quello della «milizia» di Cristo, della grande lotta. Adesso, nella Liturgia attuale, abbiamo due letture totalmente diverse. Abbiamo quella del Deuteronomio: «Scegli la vita», e il Vangelo: «Seguire Cristo e prendere la croce su di sé», che vuol dire non cercare la propria vita ma donare la vita, ed è una interpretazione di cosa vuol dire «scegli la vita». Devo dire che io ho sempre molto amato la Liturgia. Ero proprio innamorato del cammino quaresimale della Chiesa, con queste «chiese stazionali» e le letture collegate a queste chiese: una geografia di fede che diventa una geografia spirituale del pellegrinaggio col Signore. Ed ero rimasto un po' male per il fatto che ci avessero tolto questo nesso tra la «stazione» e le letture. Oggi vedo che proprio queste letture sono molto belle ed esprimono il programma della Quaresima: scegliere la vita, cioè rinnovare il «Sì» del Battesimo, che è proprio scelta della vita. In questo senso, c'è un'intima continuità e mi sembra che dobbiamo impararlo da questo che è solo un piccolissimo esempio tra discontinuità e continuità. Dobbiamo accettare le novità ma anche amare la continuità e vedere il Concilio in questa ottica della continuità. Questo ci aiuterà anche nel mediare tra le generazioni nel loro modo di comunicare la fede.


 

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