Il nostro corpo

da La gioia di credere di Madeleine Delbrêl


La nostra condizione è di avere un corpo. La mattina, quando ci svegliamo, il nostro corpo è il nostro primo incontro. Un primo incontro non sempre piacevole, poi una prossimità ora cordiale ora tempestosa lungo tutto il giorno. Quanti di noi, in momenti di sovraffaticamento o di tentazione, non hanno provato una gran voglia di maledire il proprio corpo e quasi chiesto di esserne liberati... E tuttavia il nostro corpo non è un caso. Dio l’ha voluto, Dio l’ha equilibrato. Abbiamo i nervi il sangue e il temperamento profondo che Egli ha voluto. Il nostro corpo, Dio l’ha pre-conosciuto per farvi abitare la sua grazia. Egli non ne ignora alcuna debolezza, alcun com­promesso, alcuna deviazione. Eppure l’ha scelto per farne il corpo d’un santo.

Noi abbiamo il corpo del nostro destino, il corpo della nostra santità.

Il nostro corpo è il luogo, nel corso della giornata, di incidenti che fanno spesso a pugni con la nostra anima: vibrazione di nervi, pesantezza di testa, buone o cattive disposizioni, altrettante minute circostanze che non per questo sono meno le circostanze e l’espressione della vo­lontà di Dio su di noi. Niente di tutto ciò è un negativo che debba impedirci e determinarci. Al contrario: tutto ciò costituisce le condizioni della venuta di Dio in noi, è un poco del suo volere che ci si rivela: questo benes­sere, questa emicrania, queste gambe affaticate sono la materia della nostra grazia attuale.

Bisognerebbe abituarci a tenere il nostro corpo come in gerenza: è la vita che Dio ci affida. Noi dobbiamo perderla quanto alla proprietà, ma ritrovarla in quanto essa gli appartiene. Bisognerebbe che noi stessimo di fronte al nostro corpo come il contadino davanti alla sua terra. Sapere ciò che il nostro corpo vale: stimarlo, come si suol dire. Saperne le ricchezze e le deficienze, ciò che lo fortifica e ciò che lo debilita, tentare di armonizzarlo con le grandi leggi naturali che Dio ha inventato: quelle che noi richiamiamo quando vogliamo raffigurare l’insieme delle anime congiunte al Cristo.

Il nostro corpo non ha frontiere che ci siano facil­mente percettibili. Di questi tempi, in cui gli studi medici e psicologici mettono spesso in luce brutalmente le eredità o gli atavismi, molte persone possono venirne turbate, sentirsi urtate e scosse nei loro desideri di retti­tudine spirituale da questi marosi interiori: gusti istinti caratteri passioni squilibri.

Nondimeno, tutta questa pasta umana è anch’essa ma­teria per la grazia, materia per la nostra grazia. Proprio con essa Dio ha deciso di fare di noi dei santi. Nulla in essa è inquietante, perché tutto vi è previsto. È una gioia offrire a Dio, per un servizio di buona volontà, questa particella di umanità carnale venuta di balzo in balzo dal fondo di generazioni pure o colpevoli. È una gioia l’esserne depositari e avere il potere di santificarla. È assai confortante sapere che la nostra volontà, applicata alla volontà di Dio, basta a mantenere nell’ordine tutta questa pasta di umanità: la nostra volontà, che dev’essere tesa e dolce, tesa verso Dio e priva della propria rigidezza come una guaina di pelle ben conciata che rivesta una lama e diventi dura anch’essa.

Questa scoperta della volontà di Dio nel nostro corpo fa sì che noi dobbiamo considerarne anche la minima parte con rispetto. Esiste una sorta di reverenza di fronte a ciò che Dio ha creato. Non bisogna credere di materializzare così la nostra vita: l’ossequio che daremo all’azione di Dio nella nostra carne ci condurrà all’adorazione profonda dell’opera che egli compie negli spiriti. La giustizia che praticheremo nei riguardi del nostro corpo ci renderà forse più giusti di fronte alla nostra anima.


 

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