Brave persone o uomini nuovi?

da Il cristianesimo così com’è di C.S.Lewis, Adelphi, pagg.249 ss.


Dio diceva sul serio. Coloro che si mettono nel­le Sue mani diventeranno perfetti, come Egli è perfetto — perfetti nell’amore, in sapienza, gioia, bellezza, immortalità. Il cambiamento non sarà compiuto interamente in questa vita, perché la morte è una parte importante del processo. Fin dove sarà arrivato il cambiamen­to nei singoli cristiani prima della morte è in­certo.
Penso che a questo punto sia il caso di conside­rare una domanda che viene formulata spesso: perché, se il cristianesimo è vero, non tutti i cristiani sono persone palesemente migliori di tutti i non cristiani? Alla base di questa doman­da c’è in parte qualcosa di molto ragionevole, e in parte qualcosa che non è ragionevole affat­to. La parte ragionevole è questa. Se la conver­sione al cristianesimo non produce alcun miglioramento nelle azioni esteriori di un indivi­duo — se egli continua a essere arrogante, mali­gno, invidioso o ambizioso come prima — allo­ra c’è da sospettare, direi, che la sua “conver­sione” sia stata più che altro immaginaria: ed è questo il test da applicare ogni volta che qual­cuno, convertitosi, ritiene di aver fatto dei pro­gressi. I buoni sentimenti, le nuove intuizioni, il maggiore interesse per la “religione” non significano nulla se non rendono migliore il nostro comportamento concreto; così come, in una malattia, “sentirsi meglio” giova a poco, se il termometro indica che la febbre continua a salire. In questo senso il mondo esterno ha perfettamente ragione di giudicare il cristiane­simo dai suoi risultati. Cristo ci ha detto di giu­dicare dai risultati. L’albero si conosce dai suoi frutti; ovvero, come diciamo noi, la prova della torta sta nel mangiarla. Quando noi cristiani ci comportiamo male, o manchiamo di comportarci bene, rendiamo il cristianesimo non cre­dibile agli occhi degli altri. Durante la guerra i manifesti ci ammonivano che discorsi sconsi­derati costavano vite. E altrettanto vero che vi­te sconsiderate costano discorsi. Le nostre vite sconsiderate fanno discorrere gli altri; e noi diamo loro motivo di discorrere in un modo che getta dubbi sulla verità del cristianesimo stesso.
Ma ci può essere, da parte degli altri, una ri­chiesta di risultati del tutto illogica. La richie­sta, cioè, non solo che la vita di ognuno miglio­ri se egli diventa cristiano: ma di vedere, prima di credere nel cristianesimo, il mondo intero bellamente diviso in due campi — cristiano e non cristiano; e che tutti gli appartenenti al primo siano in qualsiasi circostanza persone evidentemente migliori di tutti gli appartenen­ti all’altro. Questa è una richiesta irragionevo­le, per vari motivi.
1. Anzitutto, la situazione nel mondo reale è molto più complicata di così. Il mondo non consiste di cristiani al cento per cento e di non cristiani al cento per cento. Ci sono persone (moltissime) che stanno lentamente cessando di essere cristiane ma si chiamano ancora con questo nome; alcuni sono ecclesiastici. Ce ne sono altre che stanno lentamente diventando cristiane, sebbene ancora non si dicano tali. C’è gente che non accetta per intero la dottri­na cristiana riguardo a Cristo, ma è attratta co­sì fortemente verso di Lui da essere Sua in un senso molto più profondo di quanto essa stessa non comprenda. Ci sono adepti di altre religio­ni che vengono condotti dalla segreta influen­za di Dio a concentrarsi su quelle parti del pro­prio credo che sono in accordo col cristianesi­mo, e che quindi appartengono a Cristo senza saperlo. Per esempio, un buddhista di buo­na volontà può essere portato a concentrarsi sempre più sulla dottrina buddhista della mi­sericordia, e a lasciare in secondo piano (pur dicendo di credervi ancora) l’insegnamento buddhista su certi altri punti. Molti buoni pa­gani, ben prima della nascita di Cristo, erano probabilmente in questa situazione. E c’è sem­pre, inutile dirlo, moltissima gente che ha sem­plicemente una gran confusione in testa, con tante opinioni incoerenti tutte aggrovigliate in­sieme. Di conseguenza, voler dare giudizi sui cristiani e i non cristiani in blocco serve a po­co. Può aver senso paragonare in blocco gatti e cani, o magari uomini e donne, perché qui si sa con precisione quali sono gli uni e quali gli altri. E poi, un animale non si trasforma (né lentamente né d’improvviso) da cane in gatto. Ma quando paragoniamo i cristiani in generale con i non cristiani in generale, di solito non abbiamo in mente persone reali a noi note, ma solo due vaghe idee che abbiamo ricavato da romanzi e giornali. Chi vuol fare un confronto tra il cattivo cristiano e il buon ateo deve pen­sare a due esemplari reali, che abbia incontra­to effettivamente. Se non si viene al concreto, è tutto tempo perso.
2. Supponiamo di parlare, venendo appunto al concreto, non di un cristiano immaginario e di un immaginario non cristiano, ma di due persone reali del nostro vicinato. Anche in questo caso, dobbiamo stare attenti a fare le domande giuste. Se il cristianesimo è vero, do­vrebbe conseguirne che a) una stessa persona, in quanto cristiana, sarà migliore di quel che sarebbe se non lo fosse, e che b) chiunque di­venti cristiano sarà migliore di come era pri­ma. Allo stesso modo, se la pubblicità del tale dentifricio dice il vero, dovrebbe conseguirne che a) una stessa persona avrà, usandolo, denti migliori di come li avrebbe non usandolo, e che b) se uno comincia a usarlo i suoi denti miglioreranno. Ma osservare che io, pur usan­do quel tale dentifricio (e avendo, peraltro, ereditato denti cattivi da entrambi i genitori), ho una dentatura meno bella di un giovane in buona salute che non ha mai usato dentifrici di sorta, non dimostra, di per sé, che la pubblicità sia menzognera. La cristiana Miss Bates avrà una lingua più malevola del miscre­dente Dick Firkin; ma questo, di per sé, non ci dice se il cristianesimo funziona o no. La questione è un’altra: come sarebbe la lingua di Miss Bates se lei non fosse cristiana, e come sarebbe quella di Dick se lui lo diventasse. Miss Bates e Dick, per cause naturali e per l’educa­zione ricevuta da piccoli, hanno un certo carat­tere: il cristianesimo professa, se essi glielo consentono, di mettere i loro caratteri sotto “nuo­va gestione”. Ciò che abbiamo il diritto di chiedere è se tale gestione, ove le sia consenti­to di prendere le redini, migliorerà l’azienda. Tutti sanno che nel caso di Dick c’è da gestire qualcosa di molto più «amabile» che nel caso di Miss Bates. Ma il punto non è questo. Per giudicare la gestione di una fabbrica, bisogna considerare non solo il prodotto ma anche gli impianti. Considerando gli impianti della Fab­brica A, può essere un prodigio che essa riesca a produrre checchessia; considerando l’attrezzatura di prim’ordine della Fabbrica B, la sua produzione, per quanto alta, può essere molto inferiore a quel che dovrebbe. Senza dubbio il buon direttore della Fabbrica A installerà, appena può, nuove macchine; ma ci vuole tem­po. Fino ad allora, la bassa produzione non di­mostra che egli sia un incapace.
3. E adesso, andiamo un poco più a fondo. Il direttore installerà nuove macchine: prima che Cristo abbia finito con Miss Bates, lei sarà cer­tamente diventata molto «amabile». Ma se ci fermassimo qui, vorrebbe dire che Cristo mira soltanto a elevare Miss Bates allo stesso livello a cui Dick si è sempre trovato. Ci siamo espressi, infatti, come se Dick avesse tutte le carte in regola; come se il cristianesimo fosse qualcosa di cui hanno bisogno i caratteracci, mentre la gente di buon carattere, amabile e gentile, po­trebbe farne a meno; e come se l’amabilità fos­se tutto ciò che Dio esige. Ma questo sarebbe un errore fatale. La verità è che Dick Firkin, agli occhi di Dio, ha bisogno di essere «salvato» non meno di Miss Bates. In un certo senso (spiegherò subito quale) il buon carattere c’entra poco o nulla.
Non possiamo aspettarci che Dio valuti col no­stro stesso metro l’indole placida e affabile di Dick. Queste qualità derivano da cause natura­li create da Dio stesso; ed essendo solo un fatto di temperamento, svaniranno se la digestione di Dick si altera. L’indole amabile, insomma, è un dono di Dio a Dick, non di Dick a Dio. Allo stesso modo, Dio ha permesso che cause naturali, operanti in un mondo corrotto da se­coli di peccato, producessero in Miss Bates l’angustia mentale e i nervi fragili cui è dovuta in larga misura la sua asprezza. Dio intende, a tempo debito, sanare questa parte di lei. Ma non è questo, per Lui, l’aspetto critico dell’im­presa. Esso non presenta difficoltà; non è que­sto che Gli preme. L’attesa vigile e operosa di Dio è rivolta a qualcosa che non è facile nem­meno per Lui, una cosa di natura tale che nemmeno la potenza di Dio può produrla per atto proprio. Dio attende, vigile, e da Miss Bates e da Dick Firkin, qualcosa che essi pos­sono darGli liberamente, o liberamente rifiu­tarGli. Si volgeranno a Lui, adempiendo così all’unico fine per cui sono stati creati, oppure no? Dentro di loro il libero arbitrio trema co­me l’ago di una bussola. Questo, però, è un ago che può scegliere. Può puntare al Nord; ma non vi è costretto. Girerà, l’ago, e si ferme­rà, puntato su Dio?
Dio può aiutarlo in questa scelta; non può for­zarlo. Non può, per così dire, allungare la ma­no e trascinarlo nella posizione giusta, perché allora la libertà del volere, il libero arbitrio, non esisterebbe più. L’ago punterà al Nord? Tutto dipende da questo. Miss Bates e Dick of­friranno le loro nature a Dio? Che la natura offerta o negata sia, al momento, amabile o inamabile, è una questione di secondaria im­portanza. Dio è in grado di provvedere a que­sta parte del problema.
Non vorrei essere frainteso. E ovvio che Dio considera un brutto carattere cosa cattiva e de­plorevole, e buona cosa un bel carattere — buo­na come il pane, il sole o l’acqua. Ma queste sono le buone cose che Egli dà e che noi rice­viamo. Dio ha creato i nervi saldi e la buona digestione di Dick, e là donde queste cose pro­vengono ce ne sono molte altre ancora. A Dio non costa nulla, per quanto ne sappiamo, crea­re cose amabili: ma convertire volontà ribelli Gli costò la crocifissione. E poiché si tratta di volontà, esse possono — nelle persone amabili come in quelle inamabili — respingere la Sua richiesta. E allora, poiché la buona indole di Dick era solo un fatto naturale, essa alla fine andrà in pezzi. La natura stessa è destinata, tut­ta, a scomparire. Cause naturali confluiscono in Dick creando un piacevole assieme psicolo­gico, così come confluiscono in un tramonto creando un piacevole assieme di colori. Ben presto torneranno a separarsi (così funziona la natura), e in entrambi i casi l’assieme svanirà. Dick ha avuto la possibilità di mutare (o me­glio, di lasciare che Dio mutasse) quell’assieme momentaneo nella bellezza di uno spirito eter­no: e non l’ha colta. C’è qui un paradosso. Finché Dick non si volge a Dio, egli pensa che la sua buona indole gli appartenga, e finché pensa questo, essa non gli appartiene. Soltanto quando Dick capisce che essa non è cosa sua, ma un dono di Dio, e la ridona a Dio — soltanto allora essa comincia a essere realmente sua. Perché adesso Dick co­mincia a partecipare alla propria creazione. Le sole cose che possiamo tenerci sono quelle che diamo liberamente a Dio. Ciò che cerchiamo di tenere per noi è proprio ciò che sicuramen­te perderemo. Non dobbiamo meravigliarci, dunque, se al­cuni, benché cristiani, sono tuttavia persone «inamabili» e poco «perbene». C’è perfino, a pensarci, un motivo per aspettarsi che costoro si volgano a Cristo più numerosi delle persone amabili e «perbene». Proprio questo veniva rimproverato a Cristo durante la Sua vita sulla terra: che Egli sembrava attirare «certa genta­glia». E un’obiezione che viene fatta anche og­gi, e lo sarà sempre. Non vedete perché? Cristo ha detto «beati i poveri», ha detto quanto è difficile per i ricchi entrare nel Regno: e senza dubbio Egli intendeva anzitutto gli economica­mente ricchi e gli economicamente poveri. Ma le Sue parole non valgono anche per un altro genere di ricchezza e di povertà? Uno dei peri­coli dell’avere molti soldi è di essere soddisfatti del genere di felicità che il denaro può dare, e quindi di non rendersi conto del bisogno che si ha di Dio. Se ci sembra di poter avere tutto semplicemente firmando degli assegni, forse dimenticheremo che in ogni momento dipen­diamo totalmente da Dio. Ebbene, è chiaro che le doti naturali portano con sé un rischio analogo. Se hai nervi saldi, intelligenza, salute, popolarità, buona educazione, è probabile che tu sia soddisfatto della tua persona così com’è. «Perché tirare in ballo Dio?» chiederai. Un certo livello di buon comportamento ti riesce abbastanza facile. Non sei una di quelle sciagu­rate creature sempre alle prese col sesso, l’al­cool, il nervosismo, il malumore. Tutti ti consi­derano una persona amabile e come si deve, e tu (detto fra noi) sei d’accordo con loro. E molto probabile che tu sia convinto che tutta questa amabilità è opera tua: ed è facile che tu non senta il bisogno di un tipo migliore di bontà. Spesso chi è dotato di queste buone qualità naturali non arriva a riconoscere il pro­prio bisogno di Cristo, finché un bel giorno la bontà naturale lo abbandona e il suo autocompiacimento va in frantumi. In altre parole, è difficile per chi è “ricco” in questo senso en­trare nel Regno.
Le cose stanno molto diversamente per le per­sone «inamabili» — le nature grame, meschine, timide, viziate, fiacche, solitarie, o le nature passionali, sensuali, squilibrate. Se costoro fan­no tanto di provare a essere buoni, imparano, due volte più alla svelta, di avere bisogno di aiuto. Per loro, è Cristo o niente. Prendere la croce e seguirLo — oppure disperare. Sono le pecore smarrite: Egli è venuto specialmente per loro. Sono (in un senso molto reale e terri­bile) i «poveri»: Egli li ha benedetti. Sono la «gentaglia» con cui Egli va in giro; e natural­mente i farisei dicono ancora, come dicevano all’inizio: «Se nel cristianesimo ci fosse qual­cosa di buono, gente simile non sarebbe cri­stiana ». Qui c’è un monito, o un incoraggiamento, per ognuno di noi. Se sei una brava persona, «co­me si deve», se la virtù ti riesce facile, stai in guardia! Molto ci si aspetta da coloro a cui molto è stato dato. Se scambi per tuoi meriti quelli che sono in realtà doni ricevuti da Dio tramite la natura, e se tiaccontenti di essere semplicemente una brava persona, sei ancora un ribelle, e tutti quei doni non faranno che rendere la tua caduta ancora più terribile, la tua corruzione più intricata, il tuo cattivo e­sempio più disastroso. Il Diavolo un tempo e­ra un arcangelo: le sue doti naturali erano su­periori alle tue quanto le tue sono superiori a quelle di uno scimpanzé.
Ma se sei una povera creatura — avvelenata da una trista educazione in una casa piena di vol­gari gelosie e di insensati litigi; afflitta, non per tua scelta, da qualche repellente perversione sessuale; tormentata giorno dopo giorno da un complesso di inferiorità che ti fa trattare con asprezza i tuoi migliori amici — ebbene, non disperare. Dio sa tutto questo. Tu sei uno dei poveri che Egli ha benedetto. Egli sa quale mi­serabile macchina tu cerchi di guidare. Tieni duro. Fa’ quello che puoi. Un giorno (forse in un altro mondo, ma forse molto prima) Egli la getterà tra i rottami e te ne darà una nuova. E allora tu potrai stupire noi tutti — e non da ultimo te stesso: perché avrai imparato a guida­re a una dura scuola. (Alcuni degli ultimi sa­ranno i primi e alcuni dei primi saranno gli ultimi).
Una buona indole, una personalità sana e inte­gra, è un’ottima cosa. Dobbiamo cercare, con tutti i mezzi in nostro potere sanitari, scolasti­ci, economici, politici di produrre un mon­do in cui il maggior numero possibile di per­sone cresca ricco di buone qualità; così come dobbiamo cercare di produrre un mondo in cui tutti abbiano da mangiare in abbondanza. Ma non dobbiamo supporre che anche se riu­scissimo a rendere tutti buoni in questo senso, avremmo salvato le loro anime. Un mondo di brave persone, contente delle loro buone qua­lità, che non cercano altro, che hanno voltato le spalle a Dio, sarebbe altrettanto disperatamente bisognoso di salvezza quanto un mondo miserabile — e salvarlo potrebbe essere ancora più difficile.
Il semplice miglioramento, infatti, non è re­denzione, sebbene la redenzione migliori sem­pre le persone, anche qui e ora, e alla fine le migliorerà fino a un punto che noi non possia­mo ancora immaginare. Dio si è fatto uomo per trasformare delle creature in figli: non per produrre uomini migliori del vecchio tipo ma per produrre un nuovo tipo di uomo. Non è come insegnare a un cavallo a saltare sempre meglio, ma come trasformare un cavallo in una creatura alata. Ed è ovvio che il cavallo, quando avrà le ali, si librerà alto sopra steccati che prima non avrebbe mai potuto saltare, e così batterà il cavallo «naturale» al suo stesso gioco. Ma può esserci un periodo, mentre le ali cominciano appena a spuntare, in cui ciò non gli sarà possibile; in quella fase le protube­ranze sulle sue spalle (nessuno direbbe, veden­dole, che diventeranno ali) potranno dargli perfino un aspetto goffo e impacciato. Ma forse ci siamo già soffermati troppo a lungo su questo tema. Se ciò che volete è un argo­mento contro il cristianesimo (e io ricordo be­ne con quanto zelo cercavo argomenti simili quando cominciavo a temere che il cristianesi­mo fosse vero), vi sarà facile trovare qualche cristiano ottuso e scadente, e dire: «Dunque questo sarebbe il vantato uomo nuovo! Preferi­sco il vecchio modello». Ma se avete comincia­to a vedere che altre ragioni rendono il cristia­nesimo probabile, saprete in cuor vostro che state solo eludendo il problema. Cosa possia­mo sapere realmente delle anime altrui, delle loro tentazioni, delle loro opportunità, delle loro lotte? Un’anima sola, in tutta la creazione, ci è dato conoscere: ed è l’unica la cui sorte sta nelle nostre mani. Se c’è un Dio, noi siamo, in un certo senso, soli con Lui. Non possiamo liberarcene almanaccando sul vicino di casa o sui ricordi di ciò che abbiamo letto nei libri. Cosa conteranno tutte queste chiacchiere e di­cerie (saremo in grado, perfino, di ricordarle?) quando la nebbia anestetica che chiamiamo «natura» o «mondo reale» si dissiperà, e la Presenza davanti alla quale siamo sempre stati diventerà tangibile, immediata e inevitabile?


 

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