Il Museo Egizio di Torino: una introduzione alla visita
del prof.Gianluigi Prato

Nel maggio 1998 il prof.Gianluigi Prato fu invitato a presentare il Museo Egizio di Torino, in preparazione ad un viaggio culturale della parrocchia di S.Melania in Roma. A distanza di anni, mettiamo a disposizione la trascrizione di quell’incontro. Il testo non è stato rivisto dal relatore e conserva lo stile di documento trascritto dalla viva voce dell’autore

Il Centro culturale Gli scritti (30/10/2006)


L’incontro di questa sera è in preparazione alla vostra visita al Museo Egizio di Torino. Devo ammettere che presentarlo è un’impresa abbastanza ardua.

Poiché il vostro itinerario vi porterà a visitare la Sindone ed a riflettere sugli aspetti cristiani della storia di Torino, voglio partire proprio da un aspetto che riguarda il cristianesimo.

Tra i vari reperti esposti c’è la ricostruzione di un tempietto donato dalla Nubia al governo italiano. Perché, come sapete, quando nell’Alto Egitto costruirono la diga di Nasser, cominciando da Assuan, l’acqua di questa diga ha ricoperto una grande porzione di suolo appartenente all’antica Nubia, territorio oggi politicamente egiziano. Quindi ha sommerso tutta questa valle della Nubia ricca di templi, di cimeli, scolpiti in gran parte nella roccia.

Il famoso tempio di Abu Simbel l’hanno trasportato pezzo per pezzo più in alto. In quel momento il governo egiziano ha dato anche ai vari governi o ai vari istituti che hanno collaborato al salvataggio di questi monumenti, la possibilità di portarsene qualcuno a casa, se lo volevano. Il museo di Torino ha preso questo tempietto, che è stato smontato e rimontato lì, nella sala del museo.

In questo tempio, che di per sé è poca cosa rispetto a tutti gli altri che si vedono in Egitto, si trovano scolpite delle croci copte, di tipo greco, con i quattro bracci uguali. Perché questo tempietto era stato trasformato in chiesa come molti templi egiziani e come molti templi anche romani.

Mentre nell’architettura romana, il tempio greco-romano trasformato in chiesa dà l’impressione di una certa continuità, continuità che è sia ideologica che architettonica, questo non avviene per l’Egitto. Facciamo qualche esempio. Conoscete la chiesa di Santa Maria Antiqua al Foro Romano, purtroppo resa inaccessibile da vari anni, per diversi motivi tra i quali il restauro. Ebbene, questa chiesa risale all’Alto Medioevo ma non c’è stato un passaggio immediato dall’edificio romano sottostante a quello cristiano; c’è stata, piuttosto, la mediazione di una leggenda, come si è verificato per altre chiese costruite sul Foro Romano.

In quel luogo vicino alla fonte di Giuturna e al tempio delle Vestali era nata nella tarda antichità la leggenda di un drago che era nutrito da vergini destinate al suo sostentamento. Era la versione cristiana, demonizzata, del culto delle vestali presso la fonte di Giuturna. Questa leggenda che paganizzava la tradizione romana, ha permesso che si costruisse poi una chiesa dedicata alla Madonna in quel luogo vicino al tempio di Vesta.

La stessa cosa per quanto riguarda la chiesa di Santa Francesca Romana e la leggenda di Simon Mago, tanto è vero che lì si mostra ancora il segno di Simon Mago elevato in aria e caduto poi in terra. C’è una continuità ideologica nel senso della demonizzazione, ma una demonizzazione che ha teso poi a santificare il luogo, la tradizione.

Architettonicamente, sempre per restare al Foro, troviamo il tempio di Antonino e Faustina trasformato nella chiesa di San Lorenzo in Miranda, oppure il tempio di Romolo trasformato nella chiesa dei Santi Cosma e Damiano. Ebbene lì si vede il tempio che è semplicemente stato trasformato in chiesa. La stessa cosa a Siracusa per la cattedrale: si vede un bel tempio greco che è diventato una chiesa cristiana.

In Egitto è capitata la stessa cosa. Il tempio di Luxor per esempio, è stato trasformato in chiesa, tanto è vero che chi va a visitarlo vede nell’ultima parte (sapete che i templi egiziani sono fatti per continuità, un pezzo si aggiunge all’altro e si può procedere all’infinito, mentre la chiesa cristiana, in questo caso copta, ad un certo punto è chiusa da un’abside) dove è stata costruita l’abside.

A sentire gli egittologi questa cosa fa rabbrividire perché la sovrapposizione dell’elemento cristiano-copto a quello egiziano autentico ha rappresentato un annullamento di tutto quello che era valido della civiltà precedente. Addirittura questo è coinciso quasi sempre con una specie di iconoclasmo che ha proprio cercato di annullare tutta l’iconografia precedente. Si è cercato di distruggere tutte le immagini precedenti proprio scalpellandole via, in modo che l’arte copta, il cristianesimo copto si presenta come una sovrapposizione quasi forzata alla tradizione egiziana.

Qui bisogna distinguere due cose. L’arte copta, il cristianesimo copto, rappresentano naturalmente la continuità dell’Egitto antico. Tanto è vero che il termine stesso copto deriva semplicemente dalla parola con la quale gli Arabi chiamavano l’Egitto. E’ una deformazione arabizzata del termine Egitto. Per cui i veri rappresentanti della civiltà egiziana antica sono i copti. I copti del cristianesimo antico, cioè i primi cristiani egiziani, e quelli di oggi, che rappresentano una forte minoranza rispetto alla popolazione araba dell’Egitto, sono in continuità. Potremmo dire che i copti sono gli ultimi continuatori della civiltà egiziana antica.

C’è quindi una continuità storica innegabile, la popolazione copta diventata cristiana è erede dell’antico Egitto. Persino nei tratti somatici del volto si riconosce benissimo in Egitto chi è copto e chi è arabo. I copti nei tratti del loro viso ricordano proprio le pitture antiche che si vedono nelle tombe. C’è una continuità storica che però si fonda su un’interruzione, su una demonizzazione molto più forte che ha voluto escludere la civiltà antica.

Il cristianesimo, dobbiamo dirlo onestamente, quando è giunto in Egitto, ha cercato di presentarsi come l’ultima ed unica e più vera civiltà e religione mai esistita. Per cui tutto quello che precedeva doveva essere escluso. Naturalmente questo non poteva negare la continuità storica. Per cui c’è stata una continuità storica ed una incompatibilità di tipo ideologico, presunta naturalmente.

Questo ha fatto sì che la civiltà egiziana antica non fosse più compresa da chi era l’erede di quella tradizione. Gli stessi copti sono in continuità con l’Egitto più antico, ma hanno voluto rompere i ponti con la civiltà che li ha preceduti.

Il mondo antico, intendendo con questa espressione il mondo greco-romano, il mondo ellenistico, ha sentito sempre il fascino dell’Egitto, l’Egitto è sempre stato un punto di attrattiva culturale, ma non l’ha più capito, non era più in grado di capirlo.

Prendiamo il caso di Erodoto. Erodoto, quando ha scritto Le storie, ha voluto in qualche modo presentare ai Greci, soprattutto in occasione delle guerre persiane, gli altri popoli perché i Greci potessero conoscerli. Nel libro secondo descrive ampiamente l’Egitto, ma in modo tale che, se si conosce un po’ l’egittologia autentica, ci si chiede dove abbia preso quelle notizie, come vedeva l’Egitto.

E’ tutta un’interpretazione fantasiosa. Se solo si guarda la sequenza dei faraoni ci si rende conto che fa una confusione tremenda, salta da un millennio all’altro. Ha proprio la visione tipica dell’Egitto che ha il turista moderno, che va là, ma non è in grado di capirlo, se non ha studiato egittologia.

Tra l’altro, l’antico mondo greco, ellenistico ha fatto proprio un topos, un modo di vedere tipico della civiltà egiziana, ma usurpandolo quasi indebitamente. Gli Egiziani antichi avevano la netta coscienza di essere una civiltà superiore, e ritenevano che la loro lingua fosse la vera, unica lingua. Tanto è vero che nel famoso inno ad Aton, di Amenofi IV, che è scritto sulla sua tomba ad Amarna, si dice proprio questo: “Tu hai dato all’Egitto, il vero Nilo, agli altri popoli hai dato il Nilo che viene dal cielo”, cioè la pioggia. La pioggia che, invece, è la realtà più comune per tutti i popoli, è vista come una cosa secondaria perché la vera pioggia, la vera irrigazione ce l’hanno gli Egiziani con il Nilo.

La stessa cosa si dice in quell’inno delle lingue: “A noi hai dato la vera lingua”, agli altri hai dato delle lingue perché così riescono a capirsi, ma noi siamo i veri rappresentanti dell’aspetto linguistico della civiltà.

I Greci cosa hanno fatto? Hanno preso questa considerazione degli Egiziani degli altri e l’hanno fatta propria. Sono gli Egiziani che hanno inventato il concetto di barbaro. Il termine è greco, ma sono gli Egiziani che consideravano gli altri come barbari, anche se poi avevano a che fare con loro, con gli Hittiti, con i mesopotamici ecc. ecc.

I Greci si sono sentiti loro stessi i rappresentanti di una civiltà superiore e hanno considerato gli altri barbari, ma hanno preso questo modo di vedere dall’Egitto. Da un certo punto di vista i Greci si sentivano attratti dall’Egitto, ma non erano più in grado di capirlo perché avevano introiettato questa coscienza di superiorità che però è tipica della civiltà egiziana.

Questa visione dell’Egitto antico da parte del mondo greco-romano, è quella che ha dettato legge per tutti i secoli fino ad oggi. Vale a dire che chi non studia direttamente l’egittologia, considera sempre l’Egitto da un punto di vista, per così dire, greco-romano. E’ la nostra cultura che vede l’Egitto e questo costituisce una paratia per capire l’Egitto vero e proprio.

Ecco perché ci si chiede veramente se quando si va a vedere l’Egitto o un museo egizio, si è in grado di capire tutto il significato della documentazione archeologica, nel caso dell’Egitto diretto, o la documentazione di repertorio come quella dei musei. Perlomeno il visitatore deve essere cosciente del fatto che ha una sua ermeneutica dell’Egitto che proietta, consciamente o meno, su quello che vede. Questo capita normalmente quando si va in Egitto, ma anche quando si va a vedere un museo.

Facciamo degli esempi concreti. La nostra visione dell’Egitto è di tipo greco. Ed è anche canonica, ufficiale. Perché noi parliamo di dinastie di faraoni? I faraoni per noi sono conosciuti come appartenenti a varie dinastie. Il famoso Ramses per noi è della XIX dinastia, i costruttori delle piramidi sono della IV e così via. Ma chi ha inventato le dinastie? Manetone, un rappresentante dell’antico Egitto, ma del mondo ellenistico, vissuto ad Alessandria. E’ lui che, nel III sec. a.C., ha composto un’opera intitolata “Le cose egiziane”, in greco, per far conoscere quello che ancora ricordava dell’antico Egitto, al suo mondo contemporaneo.

E’ lui che ha classificato tutti i faraoni secondo dinastie. E l’egittologia moderna ha accettato tout court questa divisione di Manetone anche se crea difficoltà dal punto di vista storico e scientifico. Perché, per esempio, nel periodo degli Hyksos non sappiamo quasi nulla di quali fossero le dinastie. Si salta dalla XII alla XVII, ma all’interno ci sono delle dinastie che si sovrappongono. Così anche verso il 700-600 a.C. ci sono la XXIV e la XXV dinastia che si sovrappongono tra loro.

Anche la terminologia che noi usiamo per designare l’Egitto è greca. Egitto è una parola grecizzata. In egiziano Egitto si dice kemet (terra nera). L’Egitto è semplicemente quella fascia di terra scura che si trova intorno al Nilo. A volte si tratta di poche decine di metri, si vede bene dall’aereo. Questo è il vero Egitto, tutto il resto è deserto (deshret), terra rossa, inabitabile. Egitto è la grecizzazione del nome della città di Menfi (tempio funerario, "casa del Ka di Ptah",), nome di un tempio del dio Ptah a Menfi.

Questa espressione i greci hanno trasformato in Αίγυπτος, Aiguptos. La nostra stessa terminologia è così greca. Noi abbiamo sempre davanti a noi questa barriera per conoscere l’Egitto. Dobbiamo tenerlo sempre ben presente. Parlavo prima del fascino esercitato dall’antico Egitto già sugli antichi. Ma questo fascino è continuato in qualunque età della storia, è continuato per tutta la tarda antichità, poi, a parte la parentesi del Medio Evo, è rinato con il primo Umanesimo, con i primi viaggiatori che andavano a scoprire l’Egitto con l’atteggiamento di viaggiatori e di pellegrini.

Buona parte dei pellegrinaggi in Terra Santa passava per l’Egitto per ripercorrere anche idealmente il cammino degli antichi israeliti. Per cui quando arrivavano questi pellegrini o viaggiatori in Egitto e trovavano le piramidi, le interpretavano come i granai di Giuseppe. E’ un’altra proiezione del mondo occidentale, in questo caso cristiano, sull’antico Egitto.

Con il Rinascimento è nato apparentemente lo studio scientifico dell’Egitto, ma, in realtà, è nata una valorizzazione dell’antico Egitto di tipo umanistico ma nostrano.

Ci sono stati, nel frattempo, i vari tentativi di decifrare i geroglifici o perlomeno di leggerli. C’è stato il famoso Orapollo che nel IV secolo ha scritto un trattato sui geroglifici. Naturalmente non ne capiva nulla, ma dava un’interpretazione esoterica di questi strani segni che hanno sempre attratto la curiosità e la fantasia dei visitatori.

Un altro celebre scopritore, alla sua maniera, dell’antico Egitto, che ha lasciato molte pubblicazioni di tipo egittologico, è stato Athanasius Kircher che era professore al Collegio Romano di allora, cioè l’Università Gregoriana di oggi. Questo gesuita era un enciclopedico. Ha scritto moltissimo e la sua testimonianza è importante perché alcune cose che lui ha descritto sono poi andate perdute.

Continuava così almeno fino al Rinascimento quell’attrattiva dell’antico Egitto che si è espressa soprattutto nel mondo antico attraverso il culto di Iside e di Serapide. A Roma gli Isei e i Serapei erano molto numerosi. Il famoso Iseo Campense, un grande tempio dedicato ad Iside era nelle vicinanze del Pantheon.

Molta parte degli attuali monumenti egiziani che si vedono a Roma, alcuni obelischi, ecc. ecc, provengono da lì. Non so se avete presente quel busto di donna posto davanti alla chiesa di S.Marco a Piazza Venezia e che popolarmente si chiama Madama Lucrezia: in realtà è una statua di Iside. Così anche quel piede di marmo che si trova all'angolo di una via che si chiama, appunto, via del Pie' di marmo è un altro monumento egiziano.

Roma era cosparsa di questi templi e di questi monumenti. Questo avveniva nell’antica Roma; c’erano forse tanti isei e serapei quante chiese cristiane sono state costruite dopo. Ecco, questo fascino è stato ripreso poi nel Rinascimento, poi in altra forma ed è durato poi nel 1600, 1700, 1800, praticamente fino alla scoperta dell’Egitto moderno.

Si parla infatti di egittomania, di questa attrattiva dell’antico Egitto che ha lasciato la sua impronta sulle diverse epoche della nostra storia e della nostra cultura. Sono arrivato al 1600, vi ho parlato di Athanasius Kircher, ma, per esempio, nel 1700 è continuata questa attrattiva mescolata all’esoterismo tipico di quell’epoca che ha dato luogo alla massoneria. Pensate a quelle strane forme geometriche con cui si voleva misurare il mondo. Il 1700 è un’epoca interessantissima, che ha voluto in qualche modo afferrare il mondo con idee chiare e distinte. Sul piano pratico si voleva misurare il mondo con forme geometriche ben definite, tanto è vero che sono nati in quel periodo persino dei trattati di Mosè geometra. Persino il giudaismo ha voluto rifarsi a Mosè in quanto geometra.

Così si è arrivati al 1800, alla spedizione di Napoleone, con i frutti di questa spedizione, tutti i reperti, la stele di Rosetta e la decifrazione dei geroglifici. Per cui dalla egittomania è nata l’egittologia moderna. L’egittologia scientifica è frutto di questo fascino dell’Antico Egitto. Addirittura all’epoca di Napoleone, la municipalità di Parigi voleva interpretare in maniera diversa il termine stesso di Parigi, come “par Isis”, cioè simile ad Iside. Tanto si era invaghiti di questa dea.

L’egittologia è diventata una scienza moderna, ma riservata in fondo ad un piccolo ambito di studio, mentre è continuata intorno l’egittomania che si è trasformata nei motivi culturali dell’ ‘800 e ‘900. Un tipico esempio di egittomania ottocentesca è l’Aida di Verdi. Questa grandiosità del mondo egiziano come poteva immaginarselo un europeo. Queste lotte possenti tra egiziani ed etiopi che certo riflettono anche un ambiente storico egiziano, ma sono pensate all’europea.

Egitto, egiziano, è diventato sinonimo di gigantesco, enorme, immane. Esattamente come Bibbia e “biblico” nel linguaggio ordinario di oggi. Noi parliamo di “proporzioni bibliche”. Se fossero veramente proporzioni bibliche sarebbero poca cosa. L’esodo biblico, ridotto ai suoi termini numerici, è certo molto inferiore a quello che definiamo esodo di macchine o di turisti a ferragosto o a Natale!

In realtà quello che vale è la socio-linguistica, cioè l’idea che uno si fa in base ad una certa terminologia proveniente dalla cultura e dalla tradizione. L’egittomania è sempre andata in parallelo con l’egittologia moderna. Ecco allora le nostre condizioni di oggi. Quando noi visitiamo l’Egitto o un suo rappresentante, come può essere un museo, siamo eredi di questa egittomania. E probabilmente con tutti i nostri sforzi non siamo in grado di vedere esattamente qual è il significato di un monumento o di un reperto.

Ma veniamo al Museo di Torino. Il vostro contatto avverrà tramite la visita ad un museo. Qui c’è da fare tutto un discorso o perlomeno ricordare cos’è un museo. Il tentativo di valorizzare la storia, la cultura, la documentazione artistica attraverso la forma museale è tipicamente moderna, si può dire dal 1700 in poi. Museo è termine aulico che vuol dire “casa delle Muse”, è un’invenzione moderna di tipo estetizzante.

Come sono nati i musei? Presso le corti europee, come tentativo di procurare al sovrano, o alla corte, dei beni dei quali si potesse usufruire sul piano estetico, singoli reperti ritenuti belli, artistici, quindi da prendere là dove si trovavano e trasportare nei musei in modo da formare la collezione. Il museo è diventato allora un’astrazione per il diletto del contemplatore. Ma è un’astrazione perché si tira fuori il reperto dal suo contesto.

Dal punto di vista storico, scientifico e archeologico questo è un grande delitto, perché il reperto vale più per quello che dice in rapporto al suo contesto che per quanto rappresenta in se stesso dal punto di vista estetico. Ecco perché i grandi Stati si sono subito costruiti un museo, la Russia, Berlino, Parigi con il Louvre, Madrid con il Prado e così via. Musei legati al palazzo reale. Per di più, per quanto riguarda l’antico Oriente, Egitto compreso, questo è sempre avvenuto a danno della cultura locale.

Fino al 1918 l’impero ottomano, i Turchi, hanno dominato il Medio Oriente. Attraverso le relazioni diplomatiche stabilite con le potenze europee, si era fatto in modo, dato che l’Impero ottomano si disinteressava completamente delle culture non islamiche, che tutti gli europei che andavano lì, soprattutto le rappresentanze diplomatiche, potessero portare via tutto quello che volevano.

Per cui anche i primi archeologi avevano mano libera e hanno trasportato quanto più possibile i reperti nei musei europei. Con grave danno per questi reperti. Sappiamo quanti barconi di oggetti preziosi sono naufragati nel Tigri e sono ancora sul fondo del fiume. Le cose migliori sono andate perse in questo modo.

Il Museo di Torino è nato perché Bernardino Drovetti era un console in Egitto. In Egitto l’impero ottomano è finito cento anni prima rispetto agli altri Paesi, all’inizio dell’ ‘800, con i movimenti di liberazione locali. Anche i nuovi governanti dell’Egitto erano di cultura islamica per cui permettevano tranquillamente che si portasse via qualunque cosa.

Tramite questo Drovetti è nata una prima collezione a Torino, poi lo stesso Regno sabaudo ha inviato spedizioni archeologiche. Quando si sono decifrati i geroglifici tutti si sono precipitati in Egitto a fare scavi e cercare reperti. Gli italiani sono sempre stati presenti in Egitto. Per Torino ci sono stati Ernesto Schiaparelli, Giulio Farina e altri. Questi hanno portato a loro volta altri reperti per cui la collezione di Torino si è ulteriormente arricchita.

Attualmente il Museo di Torino secondo alcuni è il secondo al mondo dopo quello de Il Cairo. Questo è da verificare, ma certo è molto ricco e deve la sua fortuna un po’ a questa situazione storica e alla situazione politica creata dall’Impero ottomano. Quando l’impero ottomano si è accorto che in realtà tutta la cultura locale precedente la cultura islamica poteva essere di grande interesse, se non altro economico, si è bloccato tutto. Ecco perché sono nati due grandi musei ad Istanbul che si vedono ancora all’ingresso di Topkapi: quello delle antichità orientali in genere e quello greco-romano. Sono musei splendidi, ma possiedono una minima parte rispetto a quello che è andato in giro per il mondo.

Il museo oggi non si intende più così. Oggi il museo è il più possibile un museo locale che si colloca in mezzo a un suo contesto, in mezzo a un sito archeologico, in modo da far sì che quello che è raccolto lì per necessità, sia in diretto rapporto con il luogo da cui proviene. In Grecia si tende a fare così. Ad Olimpia, ad esempio, c’è un ottimo museo che però va visto in rapporto allo scavo.

Si va a Torino, si vede un pezzo di Egitto, ma non lo si può mettere in rapporto con la mole Antonelliana. Bisogna immaginare l’Egitto o il luogo dal quale viene il reperto. Se uno invece vede un piccolo museo, come è stato fatto a Luxor, ha l’idea di come si collocano i reperti e viene introdotto nella civiltà egiziana. Qualcosa si tenta di fare nei musei mediante l’aspetto didattico. Si accentua la didattica, si spiega il valore del reperto, ma spesso con il risultato di annoiare il visitatore, che è più attratto dal reperto che dai cartelli esplicativi.

Non so se questo può esservi servito come introduzione alla visita del museo di Torino, ma più che i reperti singoli, vale l’aspetto soggettivo ed ermeneutico di chi visita il museo. Per quanto riguarda il materiale egiziano questo aspetto ermeneutico è fondato e condizionante, più che nei rapporti con altre civiltà antiche. Per concludere vediamo le cose più interessanti che si trovano in questo museo.

C’è una grande sala che raccoglie la statuaria, soprattutto di faraoni, fra cui un famoso Ramses II. Già solo a vedere questa statua in basalto nero, uno può avere un’idea di cosa significa per gli egiziani scolpire una statua. Si tratta di una tipologia fissa. L’arte egiziana, che pure ha una sua evoluzione ed una sua storia, ripete se stessa. Un faraone li rappresenta tutti. Tanto è vero che c’erano i palinsesti. Un faraone poteva usurpare la statua di un suo predecessore senza cambiare il volto, solo sostituendo il cartiglio, mettendo il proprio nome.

Ci sono pure statue di divinità e lì si vede come l’Egitto unisse aspetti antropomorfici con aspetti teriomorfici. Le statue di dei sono formate con parti di corpi umani e parti di corpi animali. La stessa sfinge non è altro che questo, una combinazione di questo genere.

A Torino è ben rappresentata la dea Sekhmet che è una dea con il volto di leonessa che rappresenta le forze del male, le forze non dell’aldilà, ma dell’al di qua. La dea Sekhmet è quella che ha rubato un occhio del dio falco, il dio Horus. Oppure è la dea che nel mito del diluvio, nella versione egiziana, è assetata di uomini, vuole distruggerli e allora per placarla si fabbrica una specie di bevanda rossa. Si inonda la terra con questo liquido rosso e la dea Sekhmet la beve, pensa di ingoiare gli uomini, ma in realtà ingoia solo questa bevanda e gli uomini sono salvi.

Questa è la versione più conosciuta del diluvio egiziano. Avviene perché gli uomini si salvino e tutti si salvano. Ma la mitologia di Sekhmet è molto ampia e complessa.

Tra gli altri reperti Torino custodisce una delle copie migliori del famoso libro dei morti. I testi funebri dell’antico Egitto sono molti, ma vanno divisi per epoche. In epoca più antica ci sono i testi delle piramidi, relativi ai faraoni. Poi vengono i testi dei sarcofagi, più o meno nel Medio Regno, testi scolpiti o disegnati sui sarcofagi. Poi vengono altri testi tra cui il Libro dei morti.

Gli egiziani quando seppellivano una mummia le mettevano accanto una preghiera, e una vignetta che illustrava questa preghiera e ciò che avveniva nell’aldilà. Spesso si tratta di preghiere per superare il giudizio dei morti. Queste preghiere erano varie e mettendo insieme tutte queste vignette o le più celebri, sono venuti fuori dei papiri, non più scritti con geroglifici, ma con una loro semplificazione che si chiama “ieratico”, dei quali quello di Torino è il più celebre perché il più completo.

Per cui quando si pubblica il Libro dei morti, o perlomeno uno di questi papiri, si mette la vignetta e, sotto, la preghiera di cui la vignetta è l’illustrazione. Queste varie preghiere sono divise in capitoli.

Una cosa che facevo spesso a scuola era prendere l’ultimo capitolo del libro dei morti e leggerlo agli alunni, togliendo il nome, per esempio Osiride, per poi chiedere da quale liturgia funebre era stata presa. Perché sembra esattamente una preghiera funebre dei nostri funerali: “Affidiamo il tuo corpo alla terra perché risorga, ecc. ecc.”.

Un altro capitolo celebre del libro dei morti è il 125, il giudizio sul defunto che deve confessare le proprie colpe, ma in negativo: “Io non ho fatto questo, non ho fatto quest’altro e così via”. Sono molto lunghe queste preghiere. Una delle colpe è: “Non ho dato un colpo sulla bilancia”.

Un’altra cosa interessante è una tavola isiaca di epoca romana che rappresenta il culto di Iside nel mondo greco-romano.

Per la ricostruzione dell’antico Egitto e della sua cronologia è famoso un altro papiro di Torino che contiene la lista dei faraoni fino all’epoca degli Hyksos. Per ricostruire le dinastie dei faraoni, al di là di Manetone, abbiamo varie serie di faraoni che sono in parte ancora conservate in Egitto. Per esempio ad Abidos nel tempio di Seti I c’è tutta una lista di faraoni che va dal primo fino a Seti. Il papiro di Torino arriva all’epoca degli Hyksos e, assieme ad altri, come un testo di Saqqara è uno dei documenti fondamentali per la ricostruzione moderna e scientifica della cronologia dell’antico Egitto.

Vorrei concludere esemplificando quello che vi ho detto con un brano letterario della tarda antichità egiziana, ma anche greco-romana, preso dall’Ermete Trismegisto, cioè dal Corpus Hermeticum, da dove si intravede come già gli egiziani dell’epoca tarda erano completamente coscienti che, se fosse caduto l’Egitto, cioè se l’Egitto fosse finito, sarebbe finito tutto e non sarebbe sorto più un popolo o un uomo capace di capire l’Egitto autentico. Insomma i motivi apocalittici tipici della tarda antichità: “Il mondo finisce” - e per fortuna che il cristianesimo ha risanato un po’ questo spirito apocalittico. Nel mondo egiziano si è vissuto proprio con la perfetta coscienza che la civiltà egiziana era ormai al tramonto e stava per finire il mondo. Questo dicevano gli antichi egiziani ed in particolare questo Asclepio che è il protagonista del primo dei libri del Corpus Hermeticum.

Vi leggo uno di questi brani:
O Egitto, dei tuoi culti non resteranno che leggende, che saranno anche considerate incredibili dai tuoi posteri. Rimarranno solo parole incise sulla pietra, che narreranno le tue pie azioni. Abiterà l’Egitto lo scita e l’indiano, o qualche altro popolo simile, cioè un vicino barbaro. Infatti non appena la divinità risalirà in cielo, gli uomini abbandonati moriranno tutti. E così l’Egitto, privato degli dei e degli uomini, sarà deserto. A te mi rivolgo, o fiume santissimo, a te preannuncio il tuo futuro, la tua acqua, divenuta un impetuoso torrente di sangue si riverserà fuori degli argini e le onde divine non solo saranno insozzate dal sangue, ma, a causa di ciò, eromperanno fuori dagli argini e il numero dei morti sarà maggiore di quello dei vivi. Chi sopravviverà sarà riconosciuto per egiziano per la sua sola lingua, per il suo modo di agire egli sembrerà infatti di un’altra stirpe...
Così invecchierà il mondo, tra l’empietà, il disordine e la confusione di tutti i beni.

Si cerca poi di inserire questo discorso della caduta dell’Egitto e quindi del mondo in una concezione di dio che somiglia abbastanza a quella cristiana. Un dio unico che assorbirà in sé anche gli ultimi relitti di questa civiltà. Questo è quanto l’Egitto ha lasciato della propria eredità e rappresenta anche una sfida per chi va a vedere qualcosa della sua storia e dei suoi documenti.

RISPOSTE SEGUITE ALLE DOMANDE AL TERMINE DELLA CONFERENZA:

- L’egittologia va avanti per conto suo. Sicuramente ha fatto conoscere un Egitto un po’ diverso da quello che si vede dall’esterno. Il problema nasce dalla necessità di una mediazione tra quello che l’egittologia ha scoperto e va scoprendo e chi invece accede all’Egitto solo dal punto di vista esterno. Per il turista c’è una mediazione possibile, è l’aspetto iconografico. Quando mi capita di guidare qualche gruppo in Egitto cerco di metterlo in evidenza. Perché nonostante l’apparenza attuale di Paese arabo musulmano, l’Egitto di oggi presenta molti aspetti iconografici, di paesaggio, identici a quelli dell’antico Egitto. Il Nilo, le canne al vento, l’oriente e l’occidente. I geroglifici sono la scrittura del paesaggio. La stessa arte egiziana si capisce vedendo il paesaggio egiziano. Per dire quanto è difficile capire veramente l’Egitto, facciamo l’esempio dell’aldilà. I monumenti dell’antico Egitto che conosciamo sono quasi tutti funebri, per non dire tutti. Gli egiziani avevano due concetti di eternità. Cosa che per noi è impossibile. Noi la descriviamo come un tempo di durata infinita, ma per necessità di linguaggio. C’era l’idea di un percorso lineare nel quale si inserivano dei percorsi ciclici, per cui l’eternità rigenera sempre se stessa. Ora questo è un modo per rendere più razionale l’idea di eternità. L’aldilà non è una durata infinita e noiosissima, ma la rigenerazione continua, tanto che uno dei due termini è femminile, l’altro maschile. L’aldilà non è un protrarre il tempo, ma un continuo rigenerarsi. Così pure l’Egitto non ha l’idea dell’unità e per questo non può avere l’idea della divinità unica. Perché è formato sulla concezione di pluralità. Creare significa diventare di più, moltiplicarsi, questa è l’espressione egiziana. L’uno non esiste, per questo il fenomeno di Amarna è durato così poco. Non poteva durare.

- C’è un aspetto positivo dei musei. Pensate a cosa sarebbe successo se tante opere fossero rimaste sul posto. D’altra parte bisogna anche dire che il museo certe volte è solo un trasferimento grafico del documento. Avete citato Belzoni, di molte realtà dell’antico Egitto possediamo solo i libri di Belzoni.

- Israele era un’entità minima per l’Egitto. Mentre noi possiamo vedere qual era l’immagine dell’Egitto fuori dall’Egitto proprio dalla Bibbia, che considera l’Egitto come una potenza vera e propria che fa paura. Nello stesso tempo l’Egitto era considerato anche un rifugio, pensate a Geremia o alla Sacra Famiglia. Era vicino ed offriva protezione. Da parte egiziana abbiamo documentazione che riguarda il territorio siro-palestinese, senza dubbio. Riguardo ad Israele però non abbiamo molto. C’è la stele di Merneptah, con il nome di Israele, ma non sappiamo a cosa corrispondesse Israele nominata in quella sede nella realtà geografica della Palestina al tempo di Merneptah. C’è chi pensa che Merneptah abbia fatto suo un testo precedente.

- Non c’era l’idea di un dio unico come la pensiamo noi. Ognuno aveva il suo dio. C’erano dèi locali che poi diventavano dèi superiori, incorporavano in sé altri dèi. Pensiamo ad Amon-Ra. Amenofi IV ha preso un dio, Aton, rappresentato dal disco solare, e lo ha inteso non come dio unico, ma come unica rappresentazione della divinità, che è una cosa diversa. Il concetto di dio unico non fa parte di questa cultura. Noi abbiamo pensato che si trattasse di una parentesi monoteistica, ma proiettando sull’antico Egitto il nostro monoteismo. In realtà è stata la rappresentazione resa unica ed univoca di tipo iconografico della divinità. Come ho detto prima però l’Egitto è basato sulla pluralità. A parte il fatto che sono stati scoperti diversi testi dell’Alto Egitto che fanno intravedere come la riforma di Akhenaton non sia stato un fenomeno isolato ma era già in qualche modo preceduta da varie correnti precedenti. A parte questo, la rappresentazione unica della divinità non poteva sopravvivere proprio perché era contraria alla logica egiziana fondata sulla pluralità. Per dire quello che noi chiamiamo essere in egiziano si dice pluralità. Per cui questo fenomeno non poteva sopravvivere, si è tornati a quello che si era prima. Poi Akhenaton è considerato eretico, ma chi è che decide che uno è eretico? Non sono gli eretici a definire così se stessi, ma coloro che si ritengono ortodossi. Ma anche questo concetto di ortodossia è stato proiettato sull’epoca di Amarna. Con i faraoni successivi si è tornati alla visione normale che è durata sempre nella storia egiziana fino ai copti. Noi facciamo presto a dire che il cristianesimo ha cancellato tutto ciò che c’era prima. Bisognerebbe vedere il Museo di Torino insieme al Museo copto del Cairo, non solo al Museo egizio. Si vedono dei crocifissi dove c’è il dio Horus in croce. Per passare al cristianesimo si è dovuta fare una osmosi tra questa cultura e la versione cristiana. Comunque il fenomeno di Amarna è molto complesso.

- Per quanto ne so io della New Age, mi sembra che usi l’Egitto così come usa gli Aztechi. Non è che si fondi particolarmente sull’Egitto, se non per quell’aspetto di esotericità che è esattamente la versione moderna dell’egittomania. Il rapporto che la New Age stabilisce con l’Egitto non è mediato dall’egittologia scientifica, ma da quello che si pretende di sapere dell’Egitto vedendolo dall’esterno. Nella New Age si mescolano l’Egitto, l’induismo, il buddismo, per cercare di stabilire una certa visione per esempio di tipo cosmologico che si basa sulle costellazioni. Pensate all’era dell’Acquario. Un’eredità dell’egittologia è l’astrologia come la intendiamo noi, che è una sintesi tra il sistema sessagesimale babilonese (i segni zodiacali sono dodici) e la divisione del cosmo di tipo egiziano. Dalla fusione di questi due elementi è venuta fuori nel mondo latino l’astrologia dei dodici elementi.

- Il museo egizio risale all’ ‘800, ma Torino è sempre stata una città che ha amato la cultura. Nella Torino tra le due guerre c’era tutta una classe molto colta di cui ci sono ancora oggi gli eredi. Torino ha potuto beneficiare di questa realtà, questo è un capitolo importante del museo egizio. Forse va ammirato di più il fatto che il museo egizio è in un determinato palazzo di stile piemontese, di mattoni, del ‘600, barocco piemontese, che per quello che contiene. Torino ha cercato di fare propria una civiltà antica, ma inserendola nel suo contesto culturale. Sarà criticabile, ma è apprezzabile per alcuni aspetti.

- La vecchia diga di Assuan all’inizio del secolo, non è stata più ritenuta sufficiente. C’erano motivi di prestigio, allora l’Egitto era alleato con la Russia. La Russia si è impegnata a fare un’opera grandiosa che ha indebitato enormemente l’Egitto, si è costruita la nuova diga causando una serie di danni. Il limo è stato portato via, non c’è più. Non si può canalizzare l’acqua più di tanto, non si può portare a grandi distanze e poi è acqua di superficie, non pulitissima. Non si può fabbricare energia elettrica da portare a Il Cairo perché costerebbe troppo. Ci sono infiltrazioni sotterranee che mettono a rischio i reperti che sicuramente ci sono ancora sepolti sotto la sabbia, soprattutto i papiri. Nella zona del delta il mare sta rientrando coprendo la terra fertile con acqua salata e danneggiando ulteriormente l’agricoltura. Ci sono alterazioni climatiche. I nubiani sono stati mandati via dalle loro terre. E’ una grande massa di acqua inutile.


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Qumran, mito e realtà

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