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Fiume Iabbok

Fiume Iabbok

 


Meditazione di d.Achille Tronconi sulla lotta fra Giacobbe e l'angelo al fiume Iabbok, tenuta il 20/11/98 durante il pellegrinaggio in Giordania della parrocchia di S.Melania, sulla riva del fiume Iabbok

Gen 32, 23-33
Durante quella notte egli si alzò, prese le due mogli, le due schiave, i suoi undici figli e passò il guado dello Iabbok. Li prese, fece loro passare il torrente e fece passare anche tutti i suoi averi. Giacobbe rimase solo e un uomo lottò con lui fino allo spuntare dell'aurora. Vedendo che non riusciva a vincerlo, lo colpì all'articolazione del femore e l'articolazione del femore di Giacobbe si slogò, mentre continuava a lottare con lui. Quegli disse: "Lasciami andare, perché è spuntata l'aurora". Giacobbe rispose: "Non ti lascerò, se non mi avrai benedetto!". Gli domandò: "Come ti chiami?". Rispose: "Giacobbe". Riprese: "Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele perché hai lottato con Dio e con gli uomini e hai vinto!". Giacobbe allora gli chiese: "Dimmi il tuo nome". Gli rispose: "Perché mi chiedi il nome?". E qui lo benedisse. Allora Giacobbe chiamò quel luogo Penuel "Perché - disse - ho visto Dio faccia a faccia, eppure la mia vita è rimasta salva". Spuntava il sole, quando Giacobbe passò Penuel e zoppicava all'anca. Per questo gli Israeliti, fino ad oggi, non mangiano il nervo sciatico, che è sopra l'articolazione del femore, perché quegli aveva colpito l'articolazione del femore di Giacobbe nel nervo sciatico.

Quando l'esegesi affronta questo testo si mette le mani nei capelli. E allora noi ci dobbiamo servire dell'esegesi biblica, ma poi abbiamo un altro riferimento, per fortuna. Per capire questo testo oltre l'esegesi - che sarebbe di per sé molto limitativa e qualche volta anche deviante, qualche volta, anche se è un servizio importantissimo, fondamentale, indispensabile; il testo va analizzato bene - l'altro riferimento che abbiamo, che è più grande dell'esegesi è proprio la cifra umana, cioè noi come siamo fatti. E' l'essere fatti ad immagine e somiglianza di Dio che ci aiuta a capire il testo. Il testo non è al di là della nostra cifra umana - anche se viene dall'alto - ma proprio dentro la nostra cifra umana riesce a farci capire meglio il testo. E qui, questa lotta con Giacobbe a Penuel, questa lotta di Dio con Giacobbe è un atto d'amore. E questo l'uomo lo capisce, capisce che la lotta è un atto d'amore e capisce che l'amore è una lotta.
E vedete qui ci sono in ballo due cose, proprio tipiche di questo atto d'amore. Da una parte, dalla parte di Dio l'atto d'amore viene espresso proprio attraverso la benedizione - torniamo al discorso che abbiamo fatto anche per Mosè e per Abramo - cioè l'atto d'amore di Dio passa, si posa sulla persona, ma l'attraversa e va verso la sua generazione. L'amore di Dio ti rende fecondo, ti rende padre, ti coinvolge nel suo amore, così tanto e così personalmente che tu diventi padre. Ecco allora la benedizione, Giacobbe lotta per la benedizione, ma non per lui! Ma per questo popolo che deve ancora, di nuovo, attraversare, fare il nuovo esodo. E lui ha bisogno della benedizione di Dio. L'atto d'amore! E' proprio qui l'atto. Dio, nel suo amore, non si ferma mai alla persona. Mai. Mai! Questa è una cosa bellissima, perché essere amati da Dio ti apre continuamente, non è da trattenere - l'inno ai Filippesi: "non è un tesoro geloso, non è una ricchezza tua, da tenere, da rubare al padre per tenerla per te", mai! Questo va riconosciuto: se tu ti senti amato, questo amore ti attraversa e ti rende fecondo. Questo è l'espressione d'amore.
L'altra espressione d'amore, invece, da parte dell'uomo, in questa lotta tra Dio e l'uomo, l'altra espressione d'amore da parte dell'uomo è proprio questa: quella di insistere. Quella di insistere! La preghiera! La preghiera nella sua insistenza, non nasce nella monotonia e nella ripetitività, ma l'insistenza della preghiera nasce proprio dal fatto di puntare su questo amore di Dio. Quella preghiera nasce come atto di fede, prima di conoscere l'amore di Dio. Io conto su quello, miro su quello: "Devi darmi la benedizione, perché tu sei Dio, tu sei l'amore, mi devi amare". Questa è la forza - l'unica - l'unica forza che noi abbiamo: puntare direttamente sul cuore di Dio, sulla sua misericordia, sul suo amore. Tu non mi puoi non amare - è il grido di Giobbe, è il grido di Giacobbe - tu mi devi dare la benedizione. Va bene, mi fai penare tutta una notte, mi rompi le ossa, ma mi devi dare la tua benedizione.
Questo spezzare delle ossa, questo mio desiderio della tua benedizione mi segna il corpo. E - notate bene questa nota, glossa rituale per cui poi gli ebrei non mangiano il nervo sciatico - può sembrare una stonatura, ed è sicuramente un'aggiunta, però è molto bello perché quella esperienza mia, quello che ha segnato la mia persona, la mia vita, proprio perché passa, segnerà la vita dei miei figli. Io trasmetto questo segno. Quindi la mia fecondità non è un atto teorico, ma nasce da una storia e da un'esperienza e viene trasmessa attraverso un'esperienza. E' come io mi sento amato, è come accolgo l'amore così posso trasmetterlo ai miei figli. E questo è un discorso molto importante. Allora la preghiera, l'insistenza, nasce dal fatto di sapere teoricamente, di sapere che c'è una benedizione da qualche parte. Dovrò lottare tutta una notte, dovrò farmi segnare le ossa, la carne, dovrò poi trasmettere questa lotta, questa fatica anche ai miei figli, ma sicuramente la benedizione c'è ed è per me. Perché io sono figlio, lui non può non benedirmi! Questa è la forza, l'unica, ricordatelo sempre! Altro che candele, ceri e giaculatorie… l'unica forza che io posso aver di fronte a Dio è questa qui: puntare direttamente su un mio diritto, l'unico mio diritto di figlio, quello di essere amato da lui - l'unico - e puntare su quello e da questo fare tessere la preghiera. Tessere la preghiera dentro questo. E non mollare mai, anche se è notte, anche se tu devi andare in una terra nuova, anche se tu hai un popolo, hai una famiglia, hai dei figli e delle responsabilità nei confronti di qualcun altro, tu non devi mollare mai e verrà la benedizione.
Un'ultima nota molto bella di questo testo: l'amore non può -proprio per questo è una lotta, è l'amore questa lotta - l'amore non può non arrivare a chiederti il nome. Io voglio sapere il tuo nome, cioè io voglio guardarti negli occhi e questa è una cosa molto bella che significa: "A me interessa te". Allora la benedizione è un atto d'amore che nasce dall'amore e a me non mi interessano, non mi interessano le conseguenze positive, i benefici che mi dà la benedizione - la terra dove scorre latte e miele - a me interessa te. Non mi perdo sul dono, mi interessi tu che sei il donatore. E allora io voglio te. Io voglio conoscere te. E Dio qui non risponde, bellissimo! Dio non risponde! Dio non si rivela mai pienamente, mai! E allora dov'è il tuo nome? E lui benedice. Il tuo nome: il mio amore per te. E' questo che faccio per te, questa storia, il mio amore per te. E' questo per te. Allora vuol dire che questa traversata che è qui un momento solenne e glorioso è soltanto, come dice la liturgia, è soltanto l'anticipo di quello che noi vivremo dentro il suo nome, nella pienezza del suo nome. Guai se noi nel frattempo dimenticassimo il desiderio di vederlo negli occhi questo Dio, veramente. E guardate qui torniamo al discorso iniziale: è la cifra umana che ci fa desiderare di guardare negli occhi chi siamo.
Qualche tempo fa qualcuno diceva ad un convegno sul volto fisico di Gesù - recentemente vi ho partecipato - diceva: "Io ho dato la mia vita per Gesù, per qualcuno che non riesco mai a vedere negli occhi". E questo per una cifra umana è una grossa povertà, è una grossa prova. Ma guai se venisse meno la vigilanza, il desiderio di questo! Ed è la nostra cifra umana che ce lo chiede. E' iscritto nei nostri cromosomi, proprio fa parte della nostra realtà, che ci chiede questo tipo di amore. Guai se rinunciamo a queste cose. Anche nei confronti di Dio, guai. Allora la nostra carne diventa il luogo dove noi incontriamo Dio e con questa carne, dice Paolo, che vivo la mia fede, è con questa e non con un'altra, con questa, che vivo la mia fede.
Nel frattempo allora - momento solenne, grandioso - gli cambierà il nome. Diventa Israele, colui che ha lottato con Dio - gli cambia il nome, momento solenne, ma non quello definitivo. E' sempre il penultimo, non è mai l'ultimo, non è mai il definitivo. Questo non dimentichiamolo mai. Il nome! Non lo conosciamo ancora il suo nome. Allora ecco il cammino. Da una parte un Dio che benedice, io che mi impunto tutta una notte - ricordatevi però che bisogna impuntarsi tutta una notte, fino all'alba, e non mollarci prima - poi arriva questa benedizione, arriva questo amore e di nuovo il gioco ricomincia, questo gioco dell'amore. C'è il rilancio, come per dirti: "Vuoi la benedizione, io per ora posso darti la benedizione". "No, io voglio il tuo nome, io voglio te!". Questo fa parte di un'altra storia! Si va avanti ancora, di benedizione in benedizione, di generazione in generazione, fino alla pienezza, dove tutti saremo in Dio. Questo è il cammino nostro, che non va mai dimenticato.


 

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