Pochi sanno che il cristianesimo giunse in Estremo Oriente ben prima delle missioni del tempo
moderno e che favorevolmente fu accolto. Furono non gli occidentali, ma i cristiani dell’oriente – ed in
particolare quelli di tradizione siriaca – a portare l’annuncio del vangelo fino in Cina. Così
ne ha scritto il cardinal Roger Etchegaray, nel suo volume Verso i cristiani in Cina[1]:
Lo scopo principale della mia presenza a Xi’an è compiere una sorta di pellegrinaggio alle sorgenti
del cristianesimo in Cina. Per questo veniamo condotti verso la Foresta delle Steli. Nella Cina della carta e
dell’inchiostro, tutti i luoghi sacri hanno la foresta delle steli, la loro biblioteca di pietre. Qui,
vicino al tempio di Confucio, sono riunite più di mille steli incise sotto la dinastia dei Tang, fra le quali
la stele di Si Ngan-fou (Xi’an) scoperta all’inizio del XVII secolo, davanti alla quale mi soffermo a
lungo, evocando le prime tracce del Vangelo in Cina.
Questo blocco monolitico, alto circa tre metri, è la più antica testimonianza
dell’insediamento in Cina del cristianesimo. La stele, eretta nell’anno 781 in uno dei monasteri
nestoriani della regione, è coperta da 1750 caratteri cinesi e da 70 parole siriache. La parte frontale,
sormontata da una croce, ne indica con nove ideogrammi il contenuto: “Memoriale della propagazione in Cina
della religione della luce venuta da Daqin”. Il testo descrive ampiamente la dottrina cristiana e contiene
anche alcuni riferimenti buddisti.
Un documento così importante e complesso non può essere affrontato senza il soccorso di sapienti
lavori come quelli di Paul Pelliot, le cui opere postume sono state pubblicate nel 1996, congiuntamente dal Collegio
di Francia e dalla Scuola italiana degli studi asiatici di Kyoto.
Sul posto, in raccoglimento davanti alla stele di pietra nera, il mio pensiero vola verso quella Pentecoste a
Gerusalemme in cui lo Spirito di Dio infondeva la forza evangelica negli Apostoli per farne messaggeri universali e
intrepidi della Buona Novella. La tradizione evoca così la presenza di san Tommaso in India e la fondazione
di una Chiesa grande e viva.
Eccomi ora davanti alla toccante testimonianza che racconta di un monaco persiano giunto nell’anno 635 a
Chang’an per predicarvi «la religione della luce i cui ministri portano la croce come un sigillo,
viaggiano nelle quattro regioni del mondo e considerano tutti gli uomini uguali».
Fin dal 638, è inciso inoltre sulla stele, l’imperatore giudica di pubblica utilità la
religione cristiana con il seguente editto: «Il vescovo Aloben del regno di Daqin, recando scritture e icone,
è venuto da molto lontano e le ha presentate alla nostra capitale. Esaminatone accuratamente
l’insegnamento, lo abbiamo trovato illuminante e libero da passioni. Dopo averne valutato i punti essenziali,
siamo giunti alla conclusione che contengono ciò che è più importante nella vita. I loro
principi sono così semplici che ci sono consegnati come pesci liberati dalla rete. Questa dottrina è
salutare per ogni creatura e profittevole per tutti gli uomini. Deve quindi essere diffusa nell’impero».
E, conclude l’iscrizione, «di conseguenza le autorità responsabili costruirono un monastero Daqin
e ventuno preti vi furono assegnati» (traduzione di Jean Charbonnier).
Voltaire dovette trovare che era troppo bello per essere vero e vi scorse un’invenzione dei gesuiti che si
apprestavano, incoraggiati dall’opportuna scoperta della stele, a evangelizzare tutta la provincia di
Xi’an (Shaanxi): non sapeva che l’iscrizione era già stata riprodotta in un libro cinese del X
secolo.
Così, dunque, il cristianesimo venne introdotto in Cina non sotto pressione straniera, bensì su
decisione dello stesso imperatore, a fianco di altre religioni e in uno spirito pluralista. Due secoli più
tardi, ahimè, alla fine della dinastia dei Tang, un decreto imperiale dell’845 sancisce la proscrizione
delle religioni straniere. Una missione inviata dal patriarca caldeo alla fine del X secolo non trova più
traccia di cristiani; ma, a credere all’esploratore Marco Polo, piccole comunità cristiane sopravvissero
ancora a lungo in alcune province cinesi.
Penso infine agli stessi rischi che conobbe la seconda ondata di evangelizzazione nel XIII e nel XIV secolo,
così strana ed effimera, più latina che cinese, sotto la dominazione mongola. Il papa invia presso
Gengis Khan dei francescani e uno di essi, Giovanni di Montecorvino, diventa, nel 1310, arcivescovo di Khanbalik
(Pechino). Dopo la sua morte (1328), Benedetto XII accoglie ad Avignone una delegazione mongola e invia in Cina un
gruppo numeroso di missionari che il Khan riceve con grande pompa, felicissimo per il cavallo bianco e nero offerto
dal papa. Nel 1368, però, la dinastia viene rovesciata da un’insurrezione popolare e tutte le religioni
straniere sono per una seconda volta spazzate via dalla nuova dinastia dei Ming.
Lo storico statunitense Peter Brown[2] ci fornisce le
tappe di questo lungo “viaggio” del vangelo che, a distanza di secoli, pur nella penuria di fonti,
è possibile ricostruire:
Abbastanza liberi di muoversi in una società pluralistica, i gruppi di cristiani dell’Est si
adattarono facilmente ai vasti orizzonti che si aprivano dall’Asia centrale persiana. Si unirono con altri
gruppi nella città-oasi cosmopolita di Merv, e ben presto si insediarono anche fra le tribù nomadi
turche che si comportavano come signori delle città commerciali dell’Asia centro-orientale. Da
lì, si stabilirono a est dell’Oxus, fra le colline ai piedi dei monti dell’Hindu Kush e di Tien
Shan, nelle città autonome della Sogdiana. La copia siriaca di un salmo, effettuata da uno scolaro
cristiano, fu fatta a Panjikent, un importante centro commerciale della Sogdiana, nei pressi di Samarcanda
nell’odierno Uzbekistan.
I Sogdiani erano mercanti che si muovevano sulle lunghe distanze. Noti ai Cinesi come uomini “dalle bocche
piene di miele, e la colla alle dita [per tenere attaccato ogni spicciolo!]”, i loro itinerari percorrevano
l’intera Asia. Molti si fecero cristiani. Una croce tipica dei cristiani dell’Est con
un’iscrizione sogdiana è stata rinvenuta addirittura a Ladakh, sulla strada per il Tibet. Attraverso
i Sogdiani, il cristianesimo divenne la religione dei nomadi che gravitavano intorno alle frontiere occidentali
dell’impero cinese.
Il siriaco costituì la base della scrittura del regno uiguro della Mongolia meridionale. La cosa
più sorprendente è che il termine mongolo per “legge religiosa” usato dal buddhismo –
nom – potrebbe essere una lontana eco, tramite il sogdiano, del greco nomos, “legge”. Un concetto
centrale greco veniva così portato, come prestito lessicale in siriaco – namûsa -, fin nel cuore
dell’Asia...
Nell’oasi di Turfan, nel Sinkiang della Cina occidentale, sono stati trovati manoscritti di scritture
manichee di inestimabile valore. Il manicheismo fu il costante Doppelgänger del cristianesimo siriaco. Esso pure
raggiunse l’Asia interna in questo periodo, e sarebbe sopravvissuto in Cina fino al XIV secolo.
Nel vicino villaggio di Bulayiq è stata scoperta una chiesa cristiana. La sua biblioteca includeva una
traduzione sogdiana dell’Antirreticus di Evagrio Pontico (346-399). Questa era un’opera sulla lotta
spirituale del monaco, scritta in Egitto da un uomo che era stato amico e consigliere nientemeno che di Melania la
Vecchia, l’eroina di Paolino di Nola. Tradotto in siriaco, Evagrio era diventato il maestro cristiano
dell’arte della contemplazione nel mondo siriano. Ora un testo ascetico di Evagrio veniva letto in sogdiano,
in un ambiente lontano al di là di ogni immaginazione, in prossimità di monasteri buddhisti che
ospitavano il suo esatto equivalente, una guida alla vita ascetica intitolata La sutra delle cause e degli effetti
delle azioni, anch’essa in traduzione sogdiana.
Nel 635, i cristiani dell’est sottoposero all’imperatore cinese a Hsian-fu una “Difesa del
monoteismo”. Tre anni dopo (e cioè nello stesso anno in cui Gerusalemme passò nelle mani degli
invasori musulmani), un monastero cristiano fu stabilito a Hsian-fu e opere di teologia siriaca derivate in ultima
analisi dalla cultura antiochena del IV secolo di Teodoro, l’ “Esegeta Universale”, venivano
ufficialmente collocate in traduzione cinese nella biblioteca imperiale, fra i molti exotica delle lontane terre
occidentali.
Per altri, studi, itinerari, meditazioni ed immagini sui luoghi della Bibbia in Terra Santa, Turchia, Grecia, Italia, ecc. presenti su questo sito, vedi la pagina I luoghi della Bibbia (itinerari in Medio Oriente, in Turchia ed in Grecia) nella sezione Percorsi tematici
[1] Roger Etchegaray, Verso i cristiani in Cina. Visti da una rana dal fondo di un pozzo, Uomini e religioni, Mondadori, Milano, 2005, pagg.31-33.
[2] Peter Brown, La formazione dell’Europa cristiana, Nuova ediz. ampliata 2006, Biblioteca storica, Laterza, Bari, pagg.349-350.