Cristiani Copti, Siri, Etiopi, Assiri, Armeni: una comune fede cristologica con la Chiesa Cattolica, dopo le incomprensioni del Concilio di Calcedonia

Un tempo le Chiese che si staccarono dalla piena comunione nel 451, dopo il Concilio di Calcedonia, venivano chiamate Chiese monofisite o non-calcedonesi. Le recenti dichiarazioni cristologiche firmate congiuntamente dai Papi Paolo VI e poi Giovanni Paolo II e dai Patriarchi di queste Chiese, hanno mostrato che il rifiuto di Calcedonia era dovuto ad una incomprensione teologica – probabilmente accentuata dalla decisione di mantenere una distanza dall’emergente patriarcato di Costantinopoli - e non ad una reale differenza di fede rispetto ai Padri che sottoscrissero allora il Concilio. Non una fede monofisita – che ritiene cioè che la natura divina del Cristo menomi la sua natura umana – ma una piena e comune fede in Cristo, vero Dio e vero uomo, unisce i Cattolici ed i cristiani copti, siri, etiopi, assiri, armeni. Ripresentiamo on-line un breve articolo di sintesi che d.Andrea Lonardo scrisse nel 1997, subito dopo la firma delle Dichiarazioni congiunte fra il Papa Giovanni Paolo II ed i Presuli delle Chiese Armene ed, in successione, i testi integrali delle Dichiarazioni congiunte in materia cristologica. Per una presentazione più completa delle questioni relative al Concilio di Calcedonia, vedi il testo relativo, dal titolo: Turchia e Patmos: itinerario paolino, giovanneo, patristico e bizantino, presente su questo stesso sito, www.gliscritti.it, nella sezione I luoghi della Bibbia e della storia della Chiesa.

L’Areopago


Indice:


Cattolici e armeni, comune professione di fede in Gesù. Il contenzioso cristologico risaliva al Concilio di Calcedonia
di Andrea Lonardo (tratto da Roma-sette, Supplemento di Avvenire del 9 febbraio 1997)

“Con l’antica Chiesa di Armenia esisteva un contenzioso cristologico risalente al Concilio di Calcedonia (451), cioè ad oltre 1500 anni fa. Incomprensioni teologiche, difficoltà linguistiche, diversità culturali avevano per tutti questi secoli impedito un vero dialogo. Il Signore ci ha concesso, con nostra profonda gioia, di confessare finalmente insieme la stessa fede in Gesù Cristo vero Dio e vero uomo. Di Lui, nella Dichiarazione comune, abbiamo riconosciuto che è “Dio perfetto nella sua divinità, uomo perfetto nella sua umanità; la Sua divinità è unita alla Sua umanità nella Persona dell’Unigenito Figlio di Dio, in una unione che è reale, perfetta, senza confusione, senza alterazione, senza divisione, senza forma di separazione alcuna”.
Così il Santo Padre ha sintetizzato, in occasione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani del 1997, il significato della visita alla Santa Sede di S.S.Karekin I Sarkissian, Catholicos di tutti gli Armeni, avvenuta il 13 dicembre 1996, a cui ha fatto seguito la visita, il 25 gennaio del 1997, di S.S.Aram I Keshishian, Catholicos di Cilicia degli Armeni, per la firma di una Dichiarazione analoga. Fino a questo importantissimo incontro, la Chiesa Armena era annoverata fra le Chiese cosiddette nestoriane o monofisite, le Chiese che non avevano accolto la definizione dogmatica del Concilio di Calcedonia. Ora, per la prima volta dopo quell’evento, nell’anno di preparazione al Giubileo dedicato all’approfondimento della persona e dell’opera di Gesù Cristo, una comune professione di fede cristologica viene espressa dalle due Chiese, che pure restano in una comunione non ancora totale. Questo accordo va ad aggiungersi agli altri con le cosiddette “antiche Chiese d’Oriente” che il Papa Giovanni Paolo II ha sintetizzato nel numero 62 della sua enciclica “Ut Unum sint”: “Dal Concilio Vaticano II in poi, la Chiesa cattolica, con modalità e ritmi diversi, ha riallacciato fraterne relazione anche con quelle antiche Chiese dell’Oriente che hanno contestato le formule dogmatiche dei concili di Efeso e di Calcedonia. Tutte queste Chiese hanno inviato osservatori delegati al Concilio Vaticano II; i loro Patriarchi ci hanno onorato della loro visita e con essi il Vescovo di Roma ha potuto parlare come a dei fratelli che, dopo lungo tempo, si ritrovavano nella gioia. “La ripresa delle relazioni fraterne con le antiche Chiese dell’Oriente, testimoni della fede cristiana in situazioni spesso ostili e tragiche, è un segno concreto di come Cristo ci unisca nonostante le barriere storiche, politiche, sociale e culturali. E proprio per quanto riguarda il tema cristologico abbiamo potuto dichiarare insieme ai Patriarchi di alcune di queste Chiese la nostra fede comune in Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo. Papa Paolo VI di venerata memoria aveva firmato delle dichiarazioni in questo senso con Sua Santità Shenouda III, Papa e Patriarca copto ortodosso; e con il Patriarca siro-ortodosso d’Antiochia, Sua Santità Jacoub III. Io stesso ho potuto confermare tale accordo cristologico e trarne delle conseguenze: per lo sviluppo del dialogo con il Papa Shenouda, e per la collaborazione pastorale con il Patriarca siro d’Antiochia Mar Ignazio Zakka I Iwas.
Con il venerato Patriarca della Chiesa d’Etiopia, Abuna Paulos, che mi ha fatto visita a Roma l’11 giugno 1993, abbiamo sottolineato la profonda comunione esistente tra le nostre due Chiese: “Noi condividiamo la fede ricevuta dagli Apostoli, gli stessi sacramenti e lo stesso ministero radicato nella successione apostolica [...]. Oggi infatti possiamo affermare di avere la stessa fede in Cristo, allorché per lungo tempo essa è stata causa di divisione tra di noi”.
Più recentemente, il Signore mi ha dato la grande gioia di sottoscrivere una dichiarazione comune cristologica con il Patriarca assiro dell’Oriente, Sua Santità Mar Dinkha IV, che ha voluto per questo motivo farmi visita a Roma nel mese di novembre 1994. Tenendo conto delle formulazioni teologiche differenziate, abbiamo così potuto professare insieme la vera fede in Cristo”.
Fin qui le parole di Giovanni Paolo II. Noi ci uniamo alla lode che è stata espressa al termine della firma della dichiarazione, sottoscritta il 25 gennaio 1997:
In questo ultimo scorcio del secondo millennio cristiano, e nell’imminenza del diciassettesimo centenario della Chiesa Armena, Sua Santità Papa Giovanni Paolo II e Sua Santità Aram I ringraziano e glorificano la Santa Trinità che dà la forza spirituale per aderire fermamente agli imperativi della fede apostolica e della missione pastorale.

Dichiarazione concordata sulla Cristologia tra la Chiesa Copta Ortodossa e la Chiesa Cattolica Romana

Nell’amore di Dio Padre, per la grazia dell’Unigenito Figlio e per il dono dello Spirito Santo.
Il venerdì 12 febbraio 1988 la commissione mista del dialogo tra la Chiesa cattolica e la Chiesa Copta ortodossa si è incontrata nel Monastero di San Bishoi a Wadi EI Natrun (Egitto).
L’incontro è stato aperto da una preghiera recitata da S.S. Papa Shenouda III.
S.E. Mons. Giovanni Moretti, Pro-nunzio Apostolico in Egitto e Padre Duprey, Segretario del Segretariato per l’Unità dei Cristiani del Vaticano hanno partecipato all’incontro in rappresentanza di S.S. Giovanni Paolo II con la potestà di firmare questo accordo. Erano inoltre presenti vescovi inviati da Sua Beatitudine Stephanos II Ghattas, Patriarca della Chiesa Copta Cattolica delegati a firmare il presente accordo.
Ci siamo rallegrati dell’incontro avvenuto in Vaticano nel maggio 1973 tra S.S. Papa Paolo VI e S.S. Papa Shenouda III. Era la prima volta, dopo quasi quindici secoli, che le nostre due chiese si incontravano. In tale occasione ci siamo ritrovati d’accordo su molte questioni riguardanti la fede. Durante l’incontro fu costituita una commissione mista per discutere i punti di divergenza tra le due chiese sulla dottrina e la fede allo scopo di raggiungere l’unità. Prima di tale data, l’associazione Pro Oriente aveva organizzato un incontro a Vienna nel settembre 1971 tra teologi della Chiesa cattolica e delle Chiese Ortodosse Orientali: Copta, Sira, Armena, Etiopica e Indiana, da cui era scaturito un accordo sulla Cristologia.
Siamo grati al Signore di poter ora firmare una formulazione comune che esprime il nostro accordo ufficiale sulla Cristologia, accordo approvato dal Santo Sinodo della Chiesa Copta Ortodossa il 21 giugno 1986.
Tutti gli altri punti di divergenza tra le nostre chiese saranno discussi successivamente secondo il volere di Dio.

Formula breve
“Crediamo che il Nostro Signore, Dio e Salvatore Gesù Cristo, il Verbo Incarnato è perfetto nella Sua Divinità e perfetto nella Sua Umanità. Ha reso la Sua Umanità una con la Sua Divinità senza mescolanza, commistione o confusione. La Sua Divinità non è stata separata dalla Sua Umanità neanche per un momento o per un batter d’occhio.
Al contempo anatematizziamo la dottrina di Nestorio e di Eutiche”.

Monastero di San Bishoi, 12 febbraio 1988
(Testo originale inglese: Information Service n. 76, 1991/I, p. 13)

Dichiarazione comune delle Loro SS. Giovanni Paolo Il e Mar Ignatius Zakka I Iwas

1. Sua Santità Giovanni Paolo II, Vescovo di Roma, Papa della Chiesa Cattolica e Sua Santità Moran Mar lgnatis Zakka I Iwas, Patriarca di Antiochia e di tutto l’Oriente, Capo supremo della Chiesa siro-ortodossa universale, si inginocchiano in tutta umiltà di fronte al Trono esaltato e magnificato di nostro Signore Gesù Cristo, rendendo grazie per questa mirabile opportunità che è stata loro concessa di incontrarsi insieme nel Suo amore per rafforzare ancora di più le relazioni tra le loro due Chiese sorelle, la Chiesa di Roma e la Chiesa siro-ortodossa di Antiochia - relazioni già eccellenti, grazie all’iniziativa intrapresa in comune dalle Loro Santità di felice memoria, Papa Paolo VI e Patriarca Moran Mar lgnatius Jacoub III.

2. È solenne desiderio delle Loro Santità Papa Giovanni Paolo Il e Patriarca Zakka I di dilatare l’orizzonte della loro fraternità e di affermare in tal modo le modalità della profonda comunione spirituale che già li unisce insieme ai prelati, al clero e ai fedeli di entrambe le loro Chiese, di consolidare questi legami di Fede, Speranza e Carità e di progredire nella ricerca di una vita ecclesiale pienamente comune.

3. Innanzi tutto le Loro Santità confessano la fede delle loro due Chiese, nella formulazione del Concilio di Nicea del 325, comunemente nota come “Credo di Nicea”. Essi comprendono oggi che le confusioni e gli scismi avvenuti tra le loro Chiese nei secoli successivi in nessun modo intaccano o toccano la sostanza della loro fede, poiché tali confusioni e scismi sorsero solo a causa di differenze nella terminologia e nella cultura e a causa delle varie formule adottate da differenti scuole teologiche per esprimere lo stesso argomento.
Conseguentemente non troviamo oggi nessuna base reale per le tristi divisioni e gli scismi che sorsero poi tra noi circa la dottrina dell’incarnazione. Con le parole e con la vita noi confessiamo la vera dottrina su Cristo nostro Signore, malgrado le differenze nell’interpretazione di questa dottrina che sorsero all’epoca del Concilio di Calcedonia.

4. Pertanto desideriamo riaffermare solennemente la nostra professione di fede comune nell’incarnazione di nostro Signore Gesù Cristo, come hanno affermato nel 1971 il Papa Paolo VI e il Patriarca Moran Mar Ignatius Jacoub III.
Essi negarono che vi fossero delle differenze nella fede da loro confessata nel mistero del Verbo di Dio incarnato e divenuto vero uomo. A nostra volta noi confessiamo che Egli si è incarnato per noi, assumendo un vero corpo e un’anima razionale. Egli ha condiviso in tutto la nostra umanità, fuorché nel peccato. Noi confessiamo che il nostro Signore e nostro Dio, nostro Salvatore e Re di ogni cosa, Gesù Cristo, è perfetto Dio quanto alla sua divinità e perfetto uomo quanto alla sua umanità. In Lui la sua divinità è unita alla sua umanità. Quest’Unione è reale, perfetta, senza mescolanza o commistione, senza confusione, senza alterazione, senza divisione, senza la minima separazione. Egli, che è Dio eterno e indivisibile, è diventato visibile nella carne, prendendo la forma di servo. In Lui divinità e umanità sono unite in modo reale, perfetto, indivisibile e inseparabile, e in Lui tutte le loro proprietà sono presenti e attive.

5. Poiché abbiamo la stessa concezione di Cristo, confessiamo anche la stessa concezione del suo mistero. Incarnato, morto e risorto, il nostro Signore, Dio e Salvatore, ha trionfato sul peccato e sulla morte. Per mezzo di Lui, nel tempo che va dalla Pentecoste alla sua seconda venuta, periodo che è anche la fase ultima del tempo, è dato all’uomo di fare l’esperienza della nuova creazione, il Regno di Dio, il lievito trasformatore (cfr. Mt 13,33) già presente in mezzo a noi. Per questo, Dio ha scelto un nuovo popolo, la sua Chiesa santa che è il Corpo di Cristo. Mediante la Parola e i Sacramenti, lo Spirito Santo agisce nella Chiesa per chiamare ogni uomo e renderlo membro del Corpo di Cristo. Chi crede viene battezzato nello Spirito Santo, nel nome della Santissima Trinità, per formare un solo corpo e mediante il Sacramento dell’unzione crismale (Confermazione) la sua fede è resa perfetta e rafforzata dallo stesso Spirito.

6. La vita sacramentale trova nella santa eucaristia il suo compimento e il suo culmine, in modo tale che attraverso l’eucaristia la Chiesa realizza e rivela più profondamente la sua natura. Attraverso la santa eucaristia, l’evento della Pasqua di Cristo si dilata nella Chiesa. Attraverso il santo Battesimo e la Confermazione infatti, i membri di Cristo sono unti dallo Spirito Santo e innestati in Cristo; attraverso la santa eucaristia la Chiesa diventa ciò che essa è destinata ad essere mediante il Battesimo e la Confermazione. Per mezzo della comunione con il Corpo e il Sangue di Cristo i fedeli crescono in quella misteriosa divinizzazione che, mediante lo Spirito, li fa abitare nel Figlio come figli del Padre.

7. Gli altri sacramenti, che la Chiesa cattolica e la Chiesa siro-ortodossa di Antiochia hanno in comune in una unica e medesima successione del ministero apostolico, ossia gli ordini sacri, il matrimonio, la riconciliazione dei penitenti e l’unzione degli infermi, sono ordinati a quella celebrazione della santa eucaristia che è il centro della vita sacramentale e la massima espressione visibile della comunione ecclesiale.
Questa comunione dei cristiani tra di loro e delle Chiese locali raccolte intorno ai loro legittimi vescovi si realizza nell’assemblea comunitaria che confessa la medesima fede, che tende nella speranza verso il mondo che verrà nell’attesa del ritorno del Salvatore ed è unta dallo Spirito Santo che abita in essa con un indefettibile amore.

8. Dal momento che la santa eucaristia è la massima espressione dell’unità cristiana tra i fedeli e tra i vescovi e i sacerdoti, essa non può ancora essere concelebrata tra noi. Una tale celebrazione presuppone una completa identità di fede, quale ancora non esiste fra di noi. In effetti, devono ancora essere risolte alcune questioni riguardanti la volontà del Signore per la sua Chiesa, come pure le implicazioni dottrinali e i particolari canonici delle tradizioni proprie alle nostre comunità, che sono rimaste troppo a lungo separate.

9. La nostra identità di fede, per quanto non ancora completa, ci permette tuttavia di contemplare una collaborazione tra le nostre Chiese nel campo della pastorale, in quelle situazioni che al giorno d’oggi ricorrono con frequenza a motivo della dispersione dei nostri fedeli nel mondo intero nonché delle precarie condizioni di questa difficile epoca. Non è raro infatti il caso che i nostri fedeli si trovino nell’impossibilità morale e materiale di accedere a un sacerdote della propria Chiesa. Nel desiderio di venire incontro alle loro necessità e per il loro spirituale vantaggio, li autorizziamo in tali casi e quando ne hanno bisogno a chiedere i sacramenti della riconciliazione, dell’eucaristia e dell’unzione degli infermi a sacerdoti legittimi dell’una o l’altra delle nostre due Chiese sorelle. Dalla collaborazione in campo pastorale dovrebbe necessariamente scaturire la collaborazione nella formazione dei sacerdoti e nell’insegnamento teologico. I vescovi sono pertanto incoraggiati a promuovere una compartecipazione nelle strutture di insegnamento teologico, ogni qual volta lo ritengano auspicabile.
Ciò facendo, non dimentichiamo che è nostro preciso dovere compiere tutto il possibile per realizzare la piena comunione visibile tra la Chiesa cattolica e la Chiesa siro-ortodossa di Antiochia e imploriamo incessantemente il Signore di concederci quell’unità che, sola, ci consentirà di dare al mondo una testimonianza del vangelo concorde e unanime.

10. Ringraziando il Signore che ci ha permesso di incontrarci e di godere della consolazione della fede che abbiamo in comune (cfr. Rm 1,12), nonché di proclamare davanti al mondo il mistero della Persona del Verbo incarnato e della sua opera di salvezza, fondamento incrollabile di questa fede comune, ci impegniamo solennemente a fare tutto il nostro possibile per rimuovere gli ultimi ostacoli che ancora si frappongono alla piena comunione tra la Chiesa cattolica e la Chiesa siro-ortodossa di Antiochia, cosicché, con un cuore solo e una sola voce, possiamo predicare la Parola: “la luce vera che illumina ogni uomo” e “dà il potere di diventare figli di Dio a quelli che credono nel suo nome” (cfr. Gv 1,9-19).

Dal Vaticano, 23 giugno 1984
(Testo originale inglese: AAS 85 (3), 1993, pp. 238-241; Information Service n. 55, 1984/II-III, pp. 61-63)

Dichiarazione della Commissione mista tra la Chiesa Cattolica Romana e la Chiesa Ortodossa Sira-malankarese

La Commissione internazionale mista per il dialogo tra la Chiesa Cattolica Romana e la Chiesa Ortodossa Sira-malankarese dell’India ha tenuto il suo primo incontro a Kottayam (Kerala, India) dal 22 al 25 ottobre 1989.
I membri della Commissione hanno adottato all’unanimità un testo comune relativo alla loro fede nel mistero del Verbo incarnato alfine di porre termine alle divergenze cristologiche esistenti tra le due Chiese. Questo accordo dottrinale è stato presentato alle competenti autorità della Chiesa Cattolica Romana e della Chiesa Ortodossa Sira-malankarese che l’hanno approvato e hanno deciso che sia reso pubblico il 3 giugno 1990, festa di Pentecoste.

1. Durante il nostro primo incontro, caratterizzato da uno spirito di concordia, fiducia reciproca, amore fraterno e desiderio di superare le divisioni e i malintesi ereditati dal passato, abbiamo trovato una base comune nella fede, una, santa, cattolica e apostolica professata dalla Chiesa una e indivisa dei primi secoli, la fede in Cristo sempre sostenuta da entrambe le parti.

2. Rendiamo anzitutto grazie a Dio nostro Signore per averci riunito in un dialogo cordiale e sincero intorno ad alcuni problemi di natura dottrinale e pastorale che possono ostacolare il cammino delle nostre reciproche relazioni ecclesiali e della nostra comunione.

3. In questo clima abbiamo elaborato la presente breve dichiarazione da sottoporre all’approvazione delle rispettive autorità ecclesiali. In essa vogliamo esprimere la nostra comune comprensione del mistero grande e salvifico del nostro Signore Gesù Cristo, nonché la nostra comune testimonianza ad esso. E nostra speranza che questa dichiarazione possa portarci a ripristinare la piena comunione tra le nostre chiese. Il nostro lavoro è stato agevolato dalla documentazione accurata e dalla discussione puntuale condotta a livello non ufficiale dai nostri teologi durante gli ultimi 25 anni.

4. Affermiamo la comune fede in Gesù Cristo, nostro Signore e Salvatore, Verbo eterno di Dio, seconda persona della santissima Trinità, che per noi e per la nostra salvezza è disceso dal cielo e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nella beata vergine Maria, Madre di Dio. Crediamo che nostro Signore Gesù Cristo, il Verbo incarnato, è vero Dio e vero uomo. Il Verbo incarnato ha preso un corpo umano dotato di anima razionale, congiungendo l’umanità con la divinità.

5. Nostro Signore Gesù Cristo è uno, perfetto nella sua umanità e perfetto nella sua divinità — allo stesso tempo consustanziale al Padre per la sua divinità e consustanziale a noi per la sua umanità. La sua umanità è una cosa sola con la sua divinità — senza mutamento, senza confusione, senza divisione e senza separazione. Nella Persona del Verbo Eterno Incarnato sono unite e attive, in maniera reale e perfetta, la natura umana e la natura divina, con tutte le loro proprietà, facoltà e operazioni.

6. La divinità è stata rivelata nell’umanità. La Gloria del Padre si è manifestata nella carne del Figlio. Abbiamo visto l’amore del Padre nella vita del Servo sofferente. Il Signore Incarnato è morto sulla croce affinché noi potessimo vivere. È risorto il terzo giorno, aprendoci la via al Padre e alla vita eterna.

7. A quanti credono nel Figlio di Dio e Io accolgono nella fede e nel battesimo è dato il potere di diventare figli di Dio. Mediante il Figlio Incarnato, nel cui corpo vengono inseriti dallo Spirito Santo, sono in comunione con il Padre e tra di loro. Questo è il cuore del mistero della Chiesa, nella quale e attraverso la quale il Padre, per mezzo dello Spirito Santo, rinnova e ricapitola in Cristo l’intera creazione. Nella Chiesa, Cristo, Verbo di Dio, viene conosciuto, vissuto, proclamato e celebrato.

8. Questa è la fede che entrambi confessiamo, Il suo contenuto è il medesimo in entrambe le comunioni, anche se la sua formulazione ha conosciuto nel corso della storia, differenze di termini e di accentuazioni. Siamo convinti che queste differenze sono tali da poter coesistere nella stessa comunione e quindi non devono né dovrebbero dividerci, soprattutto quando annunciamo Cristo ai nostri fratelli e sorelle sparsi nel mondo in termini ad essi più facilmente accessibili.

9. È la coscienza della nostra comune fede che ci spinge a pregare affinché lo Spirito Santo di Dio rimuova tutti gli ostacoli che ancora permangono e ci guidi alla meta comune: il ristabilimento della piena comunione tra le nostre chiese.

Festa di Pentecoste, 3 giugno 1990
(Testo originale inglese: Information Service n. 73, 1990/II, p. 39)

Dichiarazione Cristologica comune tra la Chiesa Cattolica e la Chiesa Assira dell’Oriente

Sua Santità Papa Giovanni Paolo Il, Vescovo di Roma e Papa della Chiesa cattolica e Sua Santità Mar Dinkha IV, Catholicos-Patriarca della Chiesa assira dell’Oriente, rendono grazia a Dio che ha ispirato loro questo nuovo incontro fraterno.
Essi lo considerano un passo fondamentale del cammino verso la piena comunione che dovrà essere ristabilita tra le loro Chiese. In effetti, essi possono, d’ora in poi, proclamare insieme davanti al mondo la loro fede comune nel mistero dell’Incarnazione.

Quali eredi e custodi della fede ricevuta dagli Apostoli, così come essa è stata formulata dai nostri Padri comuni nel Simbolo di Nicea, noi confessiamo un solo Signore Gesù Cristo, figlio unigenito di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli, il quale, giunta la pienezza dei tempi, è disceso dal cielo e si è fatto uomo per la nostra salvezza. Il Verbo di Dio, la seconda Persona della Santa Trinità, per la potenza dello Spirito Santo si è incarnato assumendo dalla Santa Vergine Maria un corpo animato da un’anima razionale, con la quale egli fu indissolubilmente unito sin dal momento del suo concepimento.
Perciò il nostro Signore Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo, perfetto nella sua divinità e perfetto nella sua umanità, consustanziale con il Padre e consustanziale con noi in ogni cosa, eccetto il peccato. La sua divinità e la sua umanità sono unite in un’unica persona, senza confusione né cambiamento, senza divisione né separazione. In lui è stata preservata la differenza delle nature della divinità e dell’umanità, con tutte le loro proprietà, facoltà ed operazioni. Ma lungi dal costituire “un altro e un altro”, la divinità e l’umanità sono unite nella persona dello stesso ed unico Figlio di Dio e Signore Gesù Cristo, il quale è l’oggetto di una sola adorazione.
Cristo pertanto non è un “uomo come gli altri” che Dio avrebbe adottato per risiedere in lui ed ispirarlo, come è il caso dei giusti e dei profeti. Egli è invece lo stesso Verbo di Dio, generato dal Padre prima della creazione, senza principio per quanto è della sua divinità, nato negli ultimi tempi da una madre, senza un padre, per quanto è della sua umanità. L’umanità alla quale la Beata Vergine Maria ha dato la nascita è stata sempre quella dello stesso Figlio di Dio. Per questa ragione la Chiesa assira dell’Oriente eleva le sue preghiere alla Vergine Maria quale “Madre di Cristo nostro Dio e Salvatore”. Alla luce di questa stessa fede, la tradizione cattolica si rivolge alla Vergine Maria quale “Madre di Dio” e anche quale “Madre di Cristo”. Noi riconosciamo la legittimità e l’esattezza di queste espressioni della stessa fede e rispettiamo la preferenza che ciascuna Chiesa dà ad esse nella sua vita liturgica e nella sua pietà.
Tale è l’unica fede che noi professiamo nel mistero di Cristo. Le controversie del passato hanno condotto ad anatemi pronunciati nei confronti di persone o di formule. Lo Spirito del Signore ci accorda di comprendere meglio oggi che le divisioni così verificatesi erano in larga parte dovute a malintesi.
Tuttavia, prescindendo dalle divergenze cristologiche che ci sono state, oggi noi confessiamo uniti la stessa fede nel Figlio di Dio che è diventato uomo perché noi, per mezzo della sua grazia, diventassimo figli di Dio. D’ora in poi, noi desideriamo testimoniare insieme questa fede in Colui che è Via, Verità e Vita, annunciandola nel modo più idoneo agli uomini del nostro tempo e affinché il mondo creda nel Vangelo di Salvezza.

Il mistero dell’Incarnazione che noi professiamo insieme non è una verità astratta ed isolata. Esso riguarda il Figlio di Dio inviato per salvarci. L’economia della salvezza, che ha la sua origine nel mistero della comunione della Santa Trinità - Padre, Figlio e Spirito Santo - è portata a compimento attraverso la partecipazione a questa comunione, secondo la grazia, nella Chiesa una, santa, cattolica e apostolica, Popolo di Dio, Corpo di Cristo e Tempio dello Spirito.
I credenti diventano membra di questo corpo attraverso il sacramento del Battesimo, per il cui tramite, per mezzo dell’acqua e dell’azione dello Spirito, essi rinascono come creature nuove. Essi sono confermati dal sigillo dello Spirito Santo, che il sacramento dell’unzione conferisce. La loro comunione con Dio e tra loro è pienamente realizzata dalla celebrazione dell’unica offerta di Cristo nel sacramento dell’eucaristia. Tale comunione è ristabilita per i membri peccatori della Chiesa quando essi sono riconciliati con Dio e gli uni con gli altri per mezzo del sacramento del Perdono. Il sacramento dell’ordinazione al ministero sacerdotale nella successione apostolica è garante, in ogni Chiesa locale, dell’autenticità della fede, dei sacramenti e della comunione.
Vivendo di questa fede e di questi sacramenti, le Chiese cattoliche particolari e le Chiese assire particolari possono, di conseguenza, riconoscersi reciprocamente come Chiese sorelle. Per essere piena e totale, la comunione presuppone l’unanimità per quanto riguarda il contenuto della fede, i sacramenti e la costituzione della Chiesa. Poiché tale unanimità, alla quale tendiamo, non è stata ancora raggiunta, non possiamo purtroppo celebrare insieme l’eucaristia che è il segno della comunione ecclesiale già pienamente ristabilita.
Tuttavia, la profonda comunione spirituale nella fede e la reciproca fiducia che già esistono tra le nostre Chiese, ci autorizzano d’ora in poi a considerare come sia possibile testimoniare insieme il messaggio evangelico e collaborare in particolari situazioni pastorali, tra le quali, e in modo speciale, nel campo della catechesi e della formazione dei futuri sacerdoti.
Rendendo grazia a Dio che ci ha concesso di riscoprire ciò che già ci unisce nella fede e nei sacramenti, ci impegniamo a fare tutto il possibile per rimuovere quegli ostacoli del passato che impediscono ancora il raggiungimento della piena comunione tra le nostre Chiese, per poter rispondere meglio all’appello del Signore per l’unità dei suoi discepoli, una unità che deve essere evidentemente espressa in modo visibile. Per superare tali ostacoli, costituiamo un comitato misto per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa assira dell’Oriente.

Firmato: Mar Dinkha IV e Giovanni Paolo Il
Roma, l’11 novembre 1994
(Traduzione ufficiale, dall’originale in lingua inglese, del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani)

Dichiarazione comune di Giovanni Paolo Il e del catholicos degli Armeni Karekin I

Mentre si accingono a concludere il loro solenne incontro, nella profonda convinzione del suo significato particolare per la continuità delle relazioni tra la Chiesa cattolica e la Chiesa apostolica armena, sua santità papa Giovanni Paolo II, vescovo di Roma, e sua santità Karekin I, patriarca supremo e catholicos di tutti gli armeni, rendono umilmente grazie al Signore e Salvatore Gesù Cristo che ha permesso loro d’incontrarsi nel suo amore, per pregare insieme, per un fecondo dibattito sul loro comune desiderio di ricercare una più perfetta unità nello Spirito Santo, e per uno scambio di vedute sul modo secondo il quale le loro chiese possono dare una più efficace testimonianza al Vangelo in un mondo che va verso un nuovo millennio nella storia della salvezza.
Papa Giovanni Paolo II e il catholicos Karekin I prendono atto della profonda comunione spirituale che già li unisce, e unisce i vescovi, il clero e i fedeli delle loro chiese. Si tratta di una comunione con radici profonde nella comune fede nella Trinità santa e vivificante, fede proclamata dagli apostoli e trasmessa attraverso i secoli dai tanti padri e dottori della chiesa, da vescovi, sacerdoti, martiri alla loro sequela. Essi constatano con gioia che i recenti sviluppi delle relazioni ecumeniche e le discussioni teologiche, condotte in spirito di amore cristiano e di fratellanza, hanno dissipato molti dei malintesi ereditati dalle controversie e dai dissensi del passato. Tali dialoghi e incontri hanno preparato una salubre situazione di comprensione reciproca e il ristabilimento di una più profonda comunione spirituale basata sulla fede comune nella santa Trinità, che le due chiese hanno condiviso e condividono per mezzo del vangelo di Cristo e nella santa tradizione della chiesa.
Essi prendono atto con particolare soddisfazione del grande progresso compiuto dalle loro chiese nella loro comune ricerca dell’unità in Cristo, il verbo di Dio fatto carne. Dio perfetto nella sua divinità, uomo perfetto nella sua umanità, la sua divinità è unita alla sua umanità nella persona dell’unigenito Figlio di Dio, in una unione che è reale, perfetta, senza confusione, senza alterazione, senza divisione, senza forma di separazione alcuna.
La realtà di questa fede comune in Gesù Cristo e nella stessa successione del ministero apostolico è stata a volte oscurata o ignorata. Fattori linguistici, culturali e politici hanno in sommo grado contribuito all’insorgere di quelle divergenze teologiche che hanno trovato espressione nella loro terminologia di formulazione delle loro dottrine. Sua santità papa Giovanni Paolo II e sua santità Karekin I hanno espresso la ferma convinzione che, in virtù della comune e fondamentale fede in Dio e in Gesù Cristo, e quale risultato della presente dichiarazione, le controversie e le deplorevoli divisioni a volte derivate dai modi divergenti di esprimere tale fede, non dovrebbero più continuare a influire negativamente sulla vita e la testimonianza della chiesa oggi. Essi dichiarano umilmente davanti a Dio il loro dolore per queste controversie e dissensi, nella determinazione di estirpare dalla mente e dalla memoria delle loro chiese l’amarezza, le reciproche recriminazioni, e persino l’odio che si sono manifestati in passato, e che possono ancora oggi velare le relazioni veramente fraterne e genuinamente cristiane tra le autorità e i fedeli di entrambe le chiese, specie nel modo in cui tali relazioni sono andate sviluppandosi in tempi recenti. La comunione che già esiste tra le due chiese, la speranza di pervenire alla loro piena comunione, e l’impegno assunto per raggiungere tale scopo, dovrebbero diventare motivo per maggiori contatti, per un dialogo più regolare e più profondo, in modo da giungere a un maggiore grado di reciproca comprensione, e al ristabilimento di una condivisione nella loro fede e nel loro servizio.
Papa Giovanni Paolo Il e il catholicos Karekin I benedicono e offrono il loro sostegno pastorale a un maggiore sviluppo dei contatti esistenti e a nuove manifestazioni di quel dialogo della carità tra i loro rispettivi pastori e fedeli, che sarà fruttuoso nei campi dell’azione comune, ai livelli della pastorale e della catechesi, al livello sociale e al livello intellettuale.
Tale dialogo è quanto mai urgente nel nostro tempo in cui le chiese debbono affrontare nuove sfide alla testimonianza che esse rendono al vangelo di Gesù Cristo, sfide derivanti da situazioni di rapidi cambiamenti nel mondo moderno afflitto da un estremo secolarismo e da un andamento secolarizzante della vita e della cultura. Ciò richiede una più stretta collaborazione, reciproca fiducia e un’attenzione più grande per l’azione comune. Parimenti ciò presuppone e richiede un atteggiamento di servizio che non sia egoista, e che sia caratterizzato da un mutuo rispetto per la fedeltà dei fedeli alle loro proprie chiese e tradizioni cristiane.
Papa Giovanni Paolo II e il catholicos Karekin I fanno appello al loro clero e ai laici affinché essi realizzino più attivamente ed efficacemente la loro piena collaborazione in tutti i campi della diaconia, si facciano promotori di riconciliazione, pace e giustizia, combattano per il vero riconoscimento dei diritti umani e si consacrino al sostegno di tutti coloro che soffrono, che versano in condizioni di bisogno spirituale e materiale in ogni parte del mondo.
Essi esprimono la loro particolare preoccupazione pastorale per il popolo dell’Armenia, quello che vive nella sua storica patria dove la libertà e l’indipendenza sono state ancora una volta recentemente riconquistate e ristabilite con la creazione del nuovo stato indipendente d’Armenia; quello che vive nel Nagorno Karabagh e che ha bisogno di una pace durevole; il popolo che vive disseminato in tutto il mondo, in una situazione di diaspora. Negli sconvolgimenti e nelle tragedie, specie nel nostro secolo, questo popolo si è mantenuto fedele alla fede apostolica, la fede dei martiri e dei confessori, la fede di milioni di credenti sconosciuti, per i quali Gesù Cristo, il Figlio di Dio incarnato e salvatore del mondo, è stato il fondamento della loro speranza, e che sono stati guidati attraverso i secoli dal suo Spirito. Nell’imminenza del diciassettesimo centenario della costituzione ufficiale della chiesa in Armenia, possa questo popolo ricevere dal Dio trino particolari benedizioni per l’avvento della pace nella giustizia, e affinché possa con rinnovato impegno essere testimone fedele del Signore Gesù Cristo.

Roma, 13 dicembre 1996
JOANNES PAULUS PP. II e KAREKIN I
(Il testo è tratto dall’Enchiridion Vaticanum 15, EDB, Bologna, 1999, pp.956-963).


[Bibbia e documenti della Chiesa]