Getsèmani. Santuario della preghiera del Cristo, di Matteo Munari

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 18 /03 /2021 - 15:00 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo da L’Osservatore Romano del 5/3/2021 un articolo di Matteo Munari. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per ulteriori testi, cfr. la sezione I luoghi della Terra Santa. Vedi inoltre il primo articolo della serie, Dominus flevit: lì dove il Signore pianse, di Alessandro Coniglio.

Il Centro culturale Gli scritti (18/3/2021)

Gli evangelisti Matteo, Marco e Luca raccontano che Gesù, terminata l’ultima cena, si diresse insieme ai suoi discepoli verso il Monte degli Ulivi (cfr. Mt 26, 30; Mc 14, 26; Lc 22, 39). Matteo e Marco precisano che il podere nel quale essi si recarono dopo aver cantato l’inno era chiamato Getsèmani (cfr. Mt 26, 36; Mc 14, 32). L’evangelista Giovanni ci fa inoltre sapere che il luogo nel quale Gesù venne catturato era un giardino o più in generale un terreno coltivato, situato «al di là del torrente Cedron» (Gv 18, 1). Intersecando i dati che i singoli evangelisti forniscono, è facile comprendere come la tradizione cristiana abbia fissato il luogo dell’agonia e dell’arresto di Gesù a oriente del Monte del Tempio, oltre la valle di Giosafat, ai piedi del Monte degli Ulivi.

Il nome Getsèmani nel corso della storia è stato interpretato in diversi modi. Il toponimo è stato trasmesso in caratteri greci ma viene dai più letto come traslitterazione di un’espressione ebraica o aramaica. La spiegazione più diffusa è che Getsèmani derivi dall’ebraico Gath-Shemanim “torchio degli oli” oppure “area (demarcata) degli oli”. Anche oggi, nell’ebraico moderno, il luogo santo è indicato con questa dicitura. Certamente, essendo il Getsèmani situato nei pressi del Monte degli Ulivi dagli stessi racconti evangelici, l’interpretazione del toponimo come “frantoio” sembra particolarmente idonea.

San Girolamo tuttavia nel suo commentario a Matteo preferisce spiegare il nome per mezzo di un’altra espressione ebraica che si trova in Is 28, 1.4: Gey-Shemanim “valle degli oli/dei grassi” e che egli traduce a senso con vallis pinguissima.

Nelle antiche versioni in siriaco e in aramaico cristiano palestinese (catechesi di Cirillo di Gerusalemme), la trascrizione del nome semitico (passata attraverso il greco) perde ogni riferimento ai termini ebraici torchio (Gath) e olio (Shemen) e acquista una assonanza con l’aramaico Simanei/Simanin “segni/miracoli” (dal greco semeion). Da qui nasce la suggestione per una diversa comprensione del termine.

Queste sono soltanto alcune tra le interpretazioni che il toponimo ha ricevuto. In ogni caso, il fatto che Matteo e Marco riportino il nome potrebbe essere indizio di una prima forma di venerazione del sito. Lo stesso si può immaginare per il luogo del Golgota (cfr. Mt 27, 33; Mc 15, 22; Gv 19, 17).

Dai dati di cui disponiamo oggi l’etimologia del Getsèmani resta dunque incerta anche se l’ipotesi di un podere con un frantoio sembra essere attendibile anche a causa dei reperti archeologici ritrovati. Gli attuali lavori a sud della basilica, mirati alla creazione di un sottopassaggio che permetterà ai pellegrini di accedere alla valle sottostante, hanno infatti fornito l’occasione per nuovi scavi, i quali promettono di gettare ulteriore luce sulla storia del santuario. Di particolare interesse è il ritrovamento di un bagno rituale giudaico (Mikveh) del tempo di Gesù, idoneo a un podere nel quale si producevano vino o olio ritualmente puri. Questa scoperta potrebbe anche in un qualche modo spiegare la presenza nel sito di un ragazzo rivestito soltanto di un lenzuolo al momento dell’arresto di Gesù (cfr. Mc 14, 51).

Come testimoniato da Eusebio di Cesarea nel suo Onomasticon, già dall’epoca pre o proto-costantiniana il Getsèmani era un luogo venerato, nel quale i fedeli accorrevano per pregare facendo memoria dell’orazione che Gesù stesso aveva offerto prima della sua morte.

Eusebio inoltre, nella sua Demonstratio Evangelica, lascia intendere che l’intero Monte degli Ulivi divenne una sorta di monte sacro sul quale i cristiani facevano memoria di diversi eventi della storia di Gesù.

Il pellegrino anonimo di Bordeaux (333 d.C.) menziona perfino la pietra ubi Iudas Scarioth Christum tradidit e quando alla fine del IV sec. la pellegrina Egeria visiterà il luogo, troverà un edificio sacro che definirà ecclesia elegans.

Il Getsèmani quindi fu verosimilmente venerato fin dagli albori dell’era cristiana e a partire dal IV sec. ebbe un edificio di culto. Nell’epoca crociata venne poi edificata la chiesa del Salvatore.

Il pellegrino che oggi visita il Getsèmani può entrare in una grotta legata alla memoria dell’arresto di Gesù, nella quale si trovano antichi segni di venerazione. Proseguendo verso sud troverà la basilica dell’Agonia, opera dell’architetto A. Barluzzi, consacrata nel 1924.

Accanto alla basilica diversi ulivi secolari ricordano la notte nella quale Gesù ci ha insegnato a lottare contro le tentazioni del maligno per mezzo della preghiera: «Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole» (Mt 26, 41).

La formazione intellettuale e catechetica infatti preparano ogni discepolo alla conoscenza della volontà divina e allo svelamento delle trappole del maligno, ma di fronte alla fragilità umana e alla paura della morte soltanto la forza della preghiera può ottenere la vittoria nella lotta.

Matteo Munari
Studium Biblicum Franciscanum, Gerusalemme