Chi è il vero Matteo nella Vocazione di Caravaggio? La risposta di Sara Magister. Intervista a cura di Andrea Lonardo

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 29 /03 /2020 - 16:59 pm | Permalink | Homepage
- Tag usati: , , , ,
- Segnala questo articolo:
These icons link to social bookmarking sites where readers can share and discover new web pages.
  • email
  • Facebook
  • Google
  • Twitter

Riprendiamo sul nostro sito un’intervista di Andrea Lonardo alla storica dell’arte Sara Magister. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Roma e le sue basiliche e Caravaggio, in particolare La cappella Contarelli, di Andrea Lonardo.

Il Centro culturale Gli scritti (29/3/2020)

A Sara Magister, che ha pubblicato l’anno scorso Caravaggio. Il vero Matteo e che è una delle più acute interpreti contemporanee del Merisi e del suo tempo, abbiamo chiesto di sintetizzare in un’intervista i motivi della sua tesi che propone di identificare l’apostolo chiamato dal Cristo, nella tela della Vocazione di San Matteo nella Cappella Contarelli, non nell’uomo barbuto che si erge al centro del tavolo, bensì nel giovane ancora chino sui soldi che è alla sinistra del tavolo.

Intanto vorrei ringraziare mons. Andrea Lonardo per la sua stima, e per il suo interesse sulla questione. Concordo pienamente con lei sul fatto che Caravaggio sia stato uno dei più profondi interpreti della Chiesa Tridentina, e che è proprio grazie a questa Chiesa se sono stati prodotti i migliori capolavori dell’arte del suo tempo, inclusi i suoi. Sono quindi ben contenta di aver contribuito con nuove argomentazioni e prove concrete al sostegno di questa tesi, perché studiando il contesto e le motivazioni per cui fu realizzato il ciclo Contarelli, è emersa la volontà di fare dell’esemplare vita di Matteo una potente pastorale per immagini, destinata soprattutto ai pellegrini del Giubileo del 1600, e incentrata sui temi nodali della fede cattolica: la conversione, il perdono dei peccati, la sacralità della Bibbia, la centralità dei sacramenti nella salvezza. E così, per coinvolgere al meglio gli spettatori in questi significati, e per farli sentire vicini alla figura di Matteo, Caravaggio ha trasportato la vicenda del santo nelle strade della Roma del suo tempo, e soprattutto ha orientato la composizione delle sue storie in diagonale, per raggiungere anche chi le guarda dal di fuori della cappella. Che è poi la gran parte del pubblico, essendo quella una cappella privata.

Lei ha indagato innanzitutto sul fatto che Caravaggio rompa con una visione centralizzata del dipinto, anticipando così le modalità dell’arte barocca che stava nascendo in quegli anni. Ci può spiegare meglio?

In effetti l’orientamento diagonale che spesso Caravaggio conferisce alle sue composizioni è un tema nodale, e fondamentale per la comprensione della loro sequenza narrativa, della funzione e identità dei personaggi messi in campo, e quindi del loro significato. Ma questa strategia comunicativa non è stata ancora presa in sufficiente considerazione dalla critica, con conseguenze interpretative non irrilevanti. Forse perché la gran parte della critica è abituata a studiare le opere con l’ausilio delle fotografie - che sono ovviamente tutte prese da una posizione frontale e centrale rispetto alle tele – senza guardarle in loco. O forse anche perché siamo talmente abituati a vedere i quadri nei musei, che ci aspettiamo automaticamente una loro organizzazione compositiva classica, centralizzata sul centro geometrico dello spazio pittorico. Ma le cose non stanno sempre così, specie per l’arte barocca.

Di fatto Caravaggio orienta sempre le sue tele tenendo in considerazione lo spazio, l’illuminazione e soprattutto il punto di osservazione reale del pubblico per il quale erano destinate. Le opere pubbliche del Merisi furono tutte realizzate per essere collocate in cappelle private. Ma chi poteva entrare in quelle cappelle? Solo poche persone, come gli eredi del personaggio lì seppellito, e solo saltuariamente. Ma allora, se quelle tele dovevano anche essere funzionali al pubblico generico che le guardava dal di fuori della cappella, come coinvolgerlo nelle storie raccontate? La soluzione del Merisi fu geniale, e in effetti anticipa l’arte Barocca, anche se ha autorevoli precedenti nei grandi del Rinascimento (cfr. la volta della cappella Sistina di Michelangelo): orientare le sue composizioni in diagonale, verso il punto di osservazione reale e non ideale dello spettatore. Anche se non è un punto di vista “comodo”.

Questo è il motivo per cui le due tele laterali Contarelli realizzate tra il 1599 e il 1600, ossia la Vocazione e il Martirio di Matteo, hanno due orientamenti compositivi e luministici opposti. La Vocazione procede secondo un’azione che parte da destra, ossia da Gesù che è al limite destro della tela, e si conclude sul lato opposto, ossia sul ragazzo chino sui soldi, che è poi quello più vicino al lato dello spettatore. Il Martirio invece piomba tutto da sinistra verso destra e, per quanto il martire Matteo sia più o meno al centro della tela, in realtà l’azione si conclude nella figura di spalle nell’angolo a destra in basso, spinto verso l’esterno del quadro proprio nel lato della tela più vicino allo spettatore che la guarda dalla balaustra. La pala d’altare, realizzata nel 1602 invece ha una composizione ovviamente frontale e centralizzata, ma vista dal sotto in su, perché è sopraelevata rispetto all’occhio dello spettatore che la guarda da una posizione più bassa.

Anche la luce principale che illumina le tre tele segue lo stesso andamento appena espresso. Nella Vocazione, ha origine dal lato di Gesù e, dopo essersi aperta un varco tra tutti gli altri personaggi, si va a incuneare proprio sulla mano, sulla fronte e sulle spalle del ragazzo chino sui soldi. Nella pala d’altare invece la luce procede da sinistra verso destra, per poi continuare con lo stesso andamento nel Martirio. In questa maniera i tre momenti della storia sono collegati tra di loro, e le opere sembrano volere fuoriuscire dallo spazio a loro riservato, per andare incontro allo spettatore generico, che non ha il privilegio di entrare nell’area privata della cappella. A riprova di quanto dico, posso testimoniare che guardando invece le tele dal centro della cappella, come mi è stato concesso di fare, scompaiono completamente la percezione della profondità e delle proporzioni messe in atto dal Merisi, che si possono apprezzare a pieno solo se si torna nella posizione visiva da lui prevista, ossia quella dall’esterno della cappella.

Il comprendere l’importanza dell’orientamento di queste e altre tele pubbliche del Merisi fa molto la differenza nella loro interpretazione, perché quello che ci aspettiamo essere al centro della storia, spesso non è al centro della tela, perché magari è invece sul lato. Perché, in una tela pensata per essere vista in diagonale, non è il suo centro geometrico, ma il suo lato, a essere il centro della narrazione! Sembra un gioco di parole, ma se si va a vedere la Vocazione in loco guardandola in quest’ottica, lo si capisce subito. D’altra parte anche Gesù, che è il vero motore di quell’azione, sembra essere posto a “lato”, ma in realtà è all’inizio di una narrazione che genera da lui e termina sul margine opposto della tela, su quel ragazzo chino, il cui silenzio parla più di chiunque altro, e che, di fatto, si trova più vicino allo spettatore.

Questa lettura narrativa della Vocazione di San Matteo appare con evidenza anche in relazione alla prima versione del Martirio di San Matteo così come è possibile ricostruirla dalle radiografie, a motivo della peculiare collocazione della tela nella Cappella?

Sì, grazie alle indagini diagnostiche operate già qualche anno fa e più di recente da Marco Cardinali e Beatrice De Ruggieri, sì è potuta meglio studiare la genesi e il processo creativo di quelle tele, in particolare di quella del Martirio. Perché sotto questa tela, dalla quale il Caravaggio aveva iniziato la sua impresa, c’è in realtà un’altra opera ben diversa, e già quasi conclusa: molto più affollata, con figure dalle proporzioni più piccole, e soprattutto tutta orientata secondo lo schema compositivo classico rinascimentale, ossia verso il centro geometrico della tela.

Evidentemente questo tipo di composizione a un certo punto fu oggetto di rivalutazione da parte dell’artista, e della sua committenza, perché di fatto si decise di rifarla completamente al di sopra di quella “vecchia”, diminuendo il numero delle figure, ingrandendone le proporzioni per adeguarle alle dimensioni “naturali” della Vocazione, inserendo la vasca battesimale in primo piano – che non era presente nella prima versione e nemmeno nelle specifiche richieste del cardinale Contarelli -, vestendo molti personaggi alla moderna e, soprattutto, cambiandone completamente l’orientamento, che da centralizzato divenne fortemente diagonale. È chiaro che non si trattò di modifiche solo estetiche ma anche contenutistiche, il che fa intuire una forte partecipazione della committenza alla decisione finale.

Questo ci fa anche capire che la geniale intuizione di orientare le tele in diagonale non è venuta subito, ma è stato il risultato di un lungo processo ideativo, volto a cercare la migliore soluzione per raggiungere il fine principale di quelle opere: far sentire la vita di Matteo, sia in senso fisico che spirituale, vicina a tutti gli spettatori, anche a quelli fuori della cappella. Questa ricerca trasformerà lo stesso Caravaggio, perché da quel momento in poi attuerà le stesse strategie comunicative a tutte le sue opere pubbliche.

Anche altre opere del Merisi pensate per le chiese debbono essere comprese in questa stessa prospettiva, ad esempio quelle della Cappella Cerasi?

Decisamente sì. Anzi le tele Cerasi ne sono l’esempio più lampante. Poste come sono in una collocazione “infelice” per essere notate, ossia nelle pareti laterali dello spazio più stretto, quello che ospita l’altare, della cappella funeraria del Tesoriere del papa, fu proprio l’idea di orientarle in scorcio fortemente diagonale, a salvarle dal rischio di non essere notate da chi non può entrare in quello spazio.

Il loro orientamento fortemente scorciato serve anche a collegarle tra loro e con la pala d’altare di Annibale Carracci. E si adatta al movimento di uno spettatore che, visitando la chiesa di S. Maria del Popolo, approccia la cappella venendo dal lato dell’altare maggiore. Compare quindi ai suoi occhi innanzitutto la Crocifissione riversa di s. Pietro, che è orientata da sinistra verso destra, per poi proseguire con la vista della pala d’altare, orientata dal sotto in su, e infine con la Conversione di Saulo, che è orientata da sinistra verso destra, per spingere la figura di Saulo verso lo spettatore. Come un semicerchio, che da Pietro spinge verso l’altare per poi uscire di nuovo verso lo spettatore con Saulo. Di contro, la percezione errata di queste tele, porta a interpretazioni distorte del loro significato, e del peso da dare a determinati elementi in scena.

Ad esempio, se si guarda la Conversione di Saulo da una posizione frontale, l’elemento che spicca subito all’occhio è il retro incombente del cavallo, mentre Saulo sembra quasi al margine. Se invece la guardiamo dal punto di vista previsto dall’artista, spicca subito all’occhio il capo di Saulo, i suoi occhi accecati dalla luce divina, e i suoi gesti di resa, mentre il cavallo è sullo sfondo. Come deve essere d’altra parte. Il che cambia tutto, nel significato della storia raccontata.

Matteo/Levi era un esattore: perché i gesti e gli oggetti caratterizzerebbero come tale il personaggio a sinistra?

Il ragazzo chino sui soldi nella scena della Vocazione Contarelli è l’unico che di fatto sta raccogliendo i soldi, versati sul tavolo dal nobile barbuto che gli sta seduto accanto. Quindi è lui il gabelliere in scena, e come tale siede giustamente a capotavola del bancone di raccolta delle tasse. Tra l’altro è vestito in maniera ben diversa dagli altri nobili avventori, piuttosto come un truffatore di strada. E infine nasconde anche un bel sacchetto di soldi sotto il braccio, - nascosto alla vista degli altri avventori ma non a quella dello spettatore attento – che è oltretutto l’attributo tradizionale di san Matteo, essendo il segno della sua passata avidità per i beni del mondo.

In questa interpretazione dell’azione messa in campo ci soccorrono anche i documenti, perché il cardinale Contarelli nelle disposizioni testamentarie aveva lasciato una descrizione dettagliata di quello che lui voleva fosse raffigurato. E aveva lasciato l’opzione se raffigurare “San Matteo […] in atto d’haver riscosso qualche somma o, come meglio parerà, dal qual banco san Matteo […] si levi con desiderio per venire a nostro Signore”. Ebbene, qui nessuno si sta alzando per seguire il Signore - o meglio non ancora - mentre c’è qualcuno che sta invece raccogliendo una somma, versata da qualcun altro. E quello è proprio il giovane ancora ricurvo sui soldi, Matteo appunto, che raccoglie la tassa pagata dal nobile barbuto, nascondendogli una parte del suo illecito guadagno.

In che maniera anche la luce che cade sul giovane intento a contare il denaro sottolinea che è lui il “vero” Matteo?

N.B. Le foto sono tratte dal volume stesso della Magister, scattate da Mauro Coen e lavorate graficamente. Ovviamente si rimanda all'originale per goderne l'effetto, mentre qui sono state fotografate dal volume stesso

Nella Vocazione in realtà le fonti di luce sono due. Quella che cade dall’alto è molto più grigia e fredda, e corrisponde al prolungamento della luce naturale, che effettivamente entra nella cappella dalla finestra sopra la pala d’altare. Questa luce disegna una linea che a un certo punto si sfuma, ma che, se prolungata idealmente, va a finire proprio sul ragazzo chino sui soldi. Questi sarebbe rimasto in realtà in un’ombra fumosa, se non fosse improvvisamente entrata nella sala un’altra luce, molto più calda e intensa che, aprendosi un varco tra tutti, scorre sul piano del tavolo per puntare dritta proprio su di lui. La sua fonte è più bassa ed esterna al quadro, e la si può collocare nell’area dell’altare della cappella, inoltre compare improvvisamente insieme a Gesù, e proprio nel profondo cono d’ombra nera creato nell’angolo destro della tela. Il suo significato simbolico ce lo spiega Caravaggio stesso: se la luce sopra viene da una fonte “reale” – la finestra -, e questa invece viene dall’altare e compare con Gesù, allora la si deve intendere non in senso fisico ma metafisico: è la luce della Grazia, che squarcia il buio della vita di Matteo e gli offre un varco, un “buco nella rete”, per dirla con Montale.

Ma il personaggio al centro, quello con la barba, non sta indicando se stesso, secondo le letture più note dell’opera?

Questo è uno dei maggiori errori di lettura compiuti finora dalla critica, ma già dall’epoca del Bellori. Basta infatti osservare l’immagine con un poco più di luce, e in loco, per capire che il gesto che il barbuto compie con la sua mano sinistra non stia a indicare se stesso, ma il ragazzo chino che gli sta seduto accanto. Lo confermano la postura del braccio e della mano, e la linea di luce che scorre dritta e senza curve dalla piega del gomito fino alla punta del dito indice. Mentre chi vuole indicare se stesso deve per forza fare una rotazione del polso a 90° verso il centro del proprio petto. Persino le indagini diagnostiche confermano che la mano del barbuto era originariamente ancora più protesa verso il ragazzo chino. Tanto che quei pittori che hanno voluto citare la Chiamata Contarelli, ma per cambiarne il significato, hanno dovuto modificare forzosamente quel gesto, rendendolo del tutto diverso rispetto all’originale.

Chi sta guardando il Cristo nella tela?

Ecco, anche questa è una domanda che paradossalmente si sono fatti in pochi. Tutti si concentrano su chi sia Matteo, ma nessuno si chiede: dove guarda Gesù? Fatto è che Cristo guarda e punta il suo gesto d’invito proprio verso il giovane Matteo, ancora chino sui soldi. Pochi notano, ad esempio, che Gesù in realtà non sta entrando in scena da una porta, ma proviene letteralmente dalla parete di fondo della sala, proprio da quel cono d’ombra scurissimo – la sua d’altra parte è un’apparizione – e che, mentre continua a camminare verso l’esterno della scena, come dimostra la posizione dei suoi piedi, improvvisamente compie una torsione con il suo capo e il suo busto, per indicare verso chi gli sta al lato opposto del tavolo. Ormai i tre personaggi tra la parete e il tavolo - il ragazzo piumato, il barbuto, l’anziano con gli occhiali - sono dietro le sue spalle. La sua chiamata invece giunge dritta proprio verso chi gli è più lontano, ma il più vicino allo spettatore.

Ci confermano tutto questo anche le radiografie della tela, che hanno dimostrato che originariamente l’apostolo Pietro non era stato incluso, mentre al suo posto era invece Gesù. Questi era ancora più avanzato verso il margine esterno della tela, e dava ancora di più le spalle ai personaggi seduti tra il tavolo e la parete di fondo. E con un gesto perentorio e molto più angolato verso il basso puntava ancora più chiaramente verso il ragazzo chino sui soldi. Successivamente si decise di aggiungere Pietro, di arretrare la figura di Gesù e di cambiarne il gesto, da un ordine perentorio a un invito più morbido e accogliente. Un gesto che lascia al convocato la possibilità di scelta.

Quindi, chi vuole identificare Matteo con il barbuto, a questo punto deve spiegare come mai Gesù guarda da un’altra parte. Un racconto, per filare liscio, deve essere coerente in tutte le sue parti. E questo lo è, se lo guardiamo dall’ottica corretta. Peraltro non ci sono fonti dell’epoca che lamentano eventuali ambiguità narrative, che peraltro non sarebbero mai state permesse in quel tempo. Mentre alcuni testi poetici contemporanei leggono quella tela proprio in questi termini. Gli errori interpretativi sono emersi dopo…

La sua identificazione dell’apostolo nel giovane alla sinistra della tela potrebbe avere anche un preciso significato negli anni in cui il calvinismo negava l’esistenza del libero arbitrio?

Quelle tele furono realizzate per la chiesa rappresentante della Chiesa di Francia a Roma e all’epoca non erano poi così semplici i rapporti tra la Francia e il papa Clemente VIII – che ebbe peraltro un ruolo diretto nella gestione del cantiere della cappella Contarelli. Nel 1599 era stato reso esecutivo l’editto di Nantes e il papa temeva una sempre maggiore influenza dei protestanti calvinisti in quelle terre.

Dal momento che i temi che avrebbero toccato le tele Contarelli - la conversione dei peccati, l’importanza dei Sacramenti – erano già oggetto di accesi dibattiti tra protestanti e cattolici, e che la chiesa di S. Luigi sarebbe stata visitata da francesi magari confusi tra le due dottrine, si decise, a quanto pare, di cogliere l’occasione per mettere il punto su alcune questioni, anche a costo di cambiare la tradizione iconografica di certi soggetti, cosa assai eccezionale per quel tempo.

Il soggetto tradizionale della Vocazione di Matteo, infatti, presenta di solito il santo nel momento in cui risponde attivamente alla chiamata di Gesù, lasciando i soldi sul banco. Nella tela Contarelli, invece, è raffigurato il momento prima della risposta - anche se questa è già prefigurata dalla gamba illuminata di Matteo e dalla sedia già girata verso l’esterno. Perché?

Perché la scena è incentrata sulla decisione che Matteo deve compiere: i soldi o Gesù? E io credo che questa scelta anomala, di presentare questo momento della storia piuttosto che un altro, fu presa dalla committenza per porre al centro il ruolo del libero arbitrio nella conversione, la responsabilità che noi stessi abbiamo nel determinare l’orientamento da dare alla nostra vita. La luce di Dio illumina la mente del peccatore, ma occorre anche il suo consenso, il coraggio di lasciare tutto e cambiare vita. Per i calvinisti valeva invece la predestinazione, è Dio che decide a priori chi dannare e chi salvare. A salvarci basta la Grazia insondabile di Dio, non servono altre scelte o altri gesti concreti da parte dell’uomo.

I predicatori cattolici dell’epoca erano chiari, e il pubblico capiva benissimo: “Che basti la Gratia senza libero arbitrio, questo è Manicheo, e lo segue Calvino […]”, “Dona Iddio la sua Gratia, ma vi richiede il consenso della nostra volontà mossa da Iddio. Ove non concorre il nostro volere non s’acquista lode”. Così diceva il principe dei predicatori della Chiesa tridentina, Francesco Panigarola.

Torniamo a parlare dell’utilizzo della luce che appare la vera, grande obiezione alla sua tesi. Nelle opere di Caravaggio generalmente la luce illumina il divino o ciò che entra in contatto con la grazia. La luce che entra in diagonale sembrerebbe a prima vista illuminare il personaggio barbuto e non il “suo” Matteo: forse dobbiamo allargare lo sguardo sull’utilizzo della luce nel Merisi?

La luce entra nella scena in diagonale e, infatti, non viene dal centro della tela. Il barbuto sarebbe il centro dell’illuminazione solo se la tela fosse organizzata in maniera centralizzata, e se fosse illuminata da una fonte proveniente dal centro della cappella. Ma abbiamo visto che non è questo il caso, perché il percorso della luce salvifica inizia invece dal margine destro della tela e finisce sul margine sinistro, non al suo centro geometrico. Il barbuto ci sembra al centro della composizione e della luce, ma il suo volto è colpito dalla luce solo perché lo ha girato lui verso Cristo. C’è qualcun altro invece che quella luce ce l’ha, o ce l’avrebbe, dritta negli occhi.

La luce calda che entra insieme a Gesù agisce infatti come un cuneo: scorre sulla superficie del tavolo, si apre un varco tra i due giovani piumati, colpisce il volto del barbuto, ma solo perché questi si è girato verso Gesù. Ma non è lì il suo punto di arrivo, perché continua la sua corsa, innanzitutto puntando sulle due diverse mani sui soldi, per terminarla dritta sulla testa, e sulle spalle del ragazzo chino. Solo Matteo avrà la luce dritta in faccia, nel momento in cui alzerà quella testa. Quella luce è soprattutto per lui. Ma anche per noi, perché superando le spalle di Matteo e, uscendo idealmente dal quadro, la luce della Grazia investe anche lo spazio dello spettatore dietro di lui. La chiamata è anche per noi.

Caravaggio usa la luce per guidare i nostri occhi verso il significato più profondo delle sue opere. Spesso la modula in maniera non naturalistica. Infatti, tutti i tentativi di riprodurre dal vivo i suoi eventuali studi luministici sono andati finora falliti. Di fatto, dove lui pone la luce, anche dove in teoria non ci dovrebbe essere, allora lì c’è qualcosa che dobbiamo notare. Occorre tempo per leggere le tele del Merisi, e per andare oltre la prima apparenza. Questa tela insegna, fra l’altro, che la Grazia di Dio illumina tutti. Ma non tutti la capiscono, o la vogliono capire. L’anziano con gli occhiali sceglie di guardare i soldi. I due giovani piumati reagiscono mollemente all’arrivo di Gesù. Il barbuto si scandalizza che Cristo voglia proprio il peggiore tra tutti, come nel vangelo avevano fatto i farisei con Gesù. Ma nel ciclo Contarelli capiamo che è proprio quell’infame peccatore, Matteo, messo all’angolo da tutti, ma non da Dio, che diventerà il testimone per eccellenza della salvezza operata dal Signore, come apostolo, evangelista, martire.

***

È appena uscita la seconda edizione di Caravaggio. Il vero Matteo. I capolavori per San Luigi dei Francesi a Roma. Storia e significato di Sara Magister, per i tipi di Campisano Editore, Roma, 2020.