Quello che i bambini domandano alla vita e a Dio. Tre volumi scritti da due sacerdoti di Roma, di Elisa Calessi

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 16 /06 /2019 - 14:19 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo dal quotidiano Libero del 9/6/2019 un articolo di Elisa Calessi. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Le domande grandi dei bambini.
Per i file audio degli incontri, cfr.

Il Centro culturale Gli scritti (16/6/2019)

Se Dio ha creato il mondo, chi ha creato Dio?”. “Dio sa il mio nome?”. “Dov’ero quando tu, papà, eri piccolo?”. “Perché c’è l’universo?”. “Se Dio è amore perché ha mandato a morire suo figlio e non è venuto lui?”. “Che differenza c'è tra l'uomo e la scimmia?”. “Ma Gesù come fa a sentirmi quando gli parlo, se il cielo è lontanissimo?”.

Queste sono solo alcune delle centinaia di domande fatte da bambini che due sacerdoti di Roma, padre Maurizio Botta e don Andrea Lonardo, hanno raccolto negli anni. Raccolto letteralmente, dentro una scatola, durante gli incontri del catechismo. Da quelle migliaia di foglietti sono nati tre volumi: “Le domande grandi dei bambini”, edizione Itaca.

Si parla di fede e delle grandi questioni della vita. Dalla morte all'universo, dal dolore alla felicità. Sempre partendo dalle domande dei bambini. Vere, non inventate. Padre Maurizio, che incontriamo, ci tiene a sottolineare questo punto: “Ho voluto lasciare anche piccoli errori di grammatica o ripetizioni, proprio per mantenere la freschezza di chi le ha scritte”.

I tre volumi - il primo sul nocciolo della fede, il secondo sul bene e sul male fino alla Confessione, il terzo un percorso verso la Comunione - hanno venduto decine di migliaia di copie.

Poi sono arrivati gli incontri. Perché da quando è uscito il primo libro, nell'agosto 2016, i due autori sono stati invitati da genitori, educatori, movimenti, vescovi, per spiegare come raccontare la fede ai bambini. E ieri a Roma c'è stato il primo convegno nazionale dedicato a chi ha incominciato a usare questi libri e vuole capirne di più. Educatori, genitori. Sono arrivate più di duecento persone da tutta Italia.

Un successo sorprendente. Tutto, però, ricorda padre Maurizio, prefetto dell’Oratorio secolare di San Filippo Neri, a Roma, e viceparroco della Chiesa di Santa Maria in Vallicella, dove è custodito il corpo del santo, è cominciato da quella scatola di cartone. E da una intuizione: bisogna smetterla di trattare i bambini in modo ‘infantile’.

Basta spiegare la fede come fosse una favoletta. «Nella Chiesa», ci spiega, «spesso assistiamo a quella che io definisco una disneyzzazione della fede. La si racconta come fosse un cartone animato, pensando che così arrivi meglio. Mentre in questo modo si falsifica la fede, oltre a renderla non interessante. I bambini non sono mai infantili. Sono molto seri. E vogliono essere trattati con serietà. È sufficiente leggere le domande che abbiamo raccolto. Sono molto profonde, sia dal punto di vista intellettuale che teologico. I bambini hanno un innato senso metafisico. E va preso sul serio. Io mi arrabbio sempre quando gli adulti ridono di una domanda di un bambino».

Un altro puntiglio di padre Maurizio sono le immagini usate in tanti libri religiosi per bambini. «Trasformano Gesù in un pupazzo, allontanandosi del tutto dal Gesù dei Vangeli». Mentre i bambini, «pur esprimendosi secondo la loro età, hanno una profondità che non bisogna ridurre».

Gli chiediamo come è nata l'idea di questi libri. «In un incontro con un gruppo di scout. Avevo iniziato a raccogliere le loro domande. E mi sono reso conto che non si incrociavano con i testi per il catechismo. Per esempio in tanti non si tiene conto che i bambini vanno a scuola e quindi affrontano temi che riguardano la scienza, la storia. Non si può ignorare il contesto in cui vive un bambino, non si può aver paura di questo».

E così è partito da lì. «Ad esempio in pochissimi sanno che la teoria del Big Bang è stata proposta per primo da Georges Edouard Lemaître, un padre gesuita. Quando i bambini lo scoprono, subito viene risolto il problema rapporto tra scienza e fede. Hanno bisogno di avere le ragioni per credere. E sono molto interessati quando si affrontano questi temi».

Del resto, osserviamo, il fatto di trattare i bambini come se vivessero in un eterno parco giochi è un problema in generale degli adulti. «Sì e io credo che ci sia stato un notevole peggioramento in questo senso, nonostante oggi i bambini siano iperstimolati e oggetto di mille attenzioni. Basta guardare la scrittura o le illustrazioni dei libri di fiabe. Quelle di una volta avevano una grande ricchezza lessicale e cura delle immagini. Oggi spesso sono scritti male, con illustrazioni mediocri».

Nei tre libri, infatti, hanno curato in modo particolare le immagini, in parte affidandole a un illustratore, Andrea Pucci, in parte cercando foto di grandi opere d'arte. «Le immagini devono essere evocative, aprire al mistero. Se sono banali, non passa il senso della grandezza e del mistero che stiamo trasmettendo».

Gli chiediamo perché, secondo lui, c'è questo infantilismo culturale nella letteratura per l'infanzia. «Perché rispecchia l'atteggiamento degli adulti: i bambini oggi sono trattati come dei peluche. Non sono mai responsabilizzati, non gli si chiede niente. Mentre a quell'età, penso alla scuola elementare, hanno una generosità pazzesca. Non vedono l'ora di svolgere un lavoro che un adulto gli chiede. Naturalmente se è stimolante. Eppure non gli si chiede niente. Oggi i bambini vengono iper-accuditi, ma senza mai chiedergli niente».

Insistiamo: perché? Come mai ai nostri figli diamo tutto e non chiediamo niente? «Perché affidare una piccola responsabilità o rispondere alle domande è faticoso. Ci vuole umiltà, tempo, dedizione, fatica. Ci vuole passione per l'educazione. E oggi non c'è».

Quali sono le domande più frequenti tra i bambini? «“Se Dio ha creato il mondo, chi ha creato Dio?”. Oppure quella su Adamo, un classico: “È esistito veramente?”». E la domanda che lo ha più colpito? «Quella di una bambina di 8 anni, la ricordo perfettamente: “Perché quando sono felice, mi sento triste?”. È la mia preferita, perché è la domanda che abbiamo tutti, che ho io stesso. E, come si diceva, è di una profondità assoluta».