Dall’indifferenza religiosa alla polemica anti-cristiana? La complessa situazione dell’Italia di oggi dinanzi alla fede cristiana: due articoli di Ernesto Galli della Loggia e di Davide Rondoni

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 03 /06 /2010 - 13:08 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo dal Corriere della Sera del 21 marzo 2010 l’editoriale di Ernesto Galli della Loggia, giornalista e professore ordinario di Storia contemporanea presso l'Istituto Italiano di Scienze Umane e da Avvenire del 23 marzo 2010 un articolo di Davide Rondoni che lo commenta e che  riteniamo non contrapposto, bensì complementare al primo. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (28/5/2010)

 

 

1/ Atteggiamenti anticristiani. Quando l'illuminismo diventa chiacchiera da bar, di Ernesto Galli della Loggia 

Sempre più di frequente il discorso pubblico delle società occidentali mostra un atteggiamento sprezzante, quando non apertamente ostile, verso il Cristianesimo. All'indifferenza e alla lontananza che fino a qualche anno fa erano la regola, a una secolarizzazione per così dire silenziosa, vanno progressivamente sostituendosi un'irrisione impaziente, un'aperta aggressività che non è più solo appannaggio di ristrette cerchie di colti, come invece avveniva un tempo.

Il bersaglio vero e maggiore è nella sostanza l'idea cristiana nel suo complesso, come dicevo, ma naturalmente, non foss'altro che per ragioni numeriche e di rappresentanza simbolica, sono poi quasi sempre il cattolicesimo e la sua Chiesa a essere presi in special modo di mira. Dappertutto, ma, come è ovvio, in Italia più che altrove.

Il celibato, il maschilismo, la pedofilia, l'autoritarismo gerarchico, la manipolazione della vera figura di Gesù, l'adulterazione dei testi fondativi, la complicità nella persecuzione degli ebrei, le speculazioni finanziarie, il disprezzo verso le donne e la conseguente negazione dei loro "diritti", il sessismo antiomosessuale, il disconoscimento del desiderio di paternità e maternità, il sostegno al fascismo, l'ostilità all'uso dei preservativi e dunque l'appoggio di fatto alla diffusione dell'Aids, la diffidenza verso la scienza, il dogmatismo e perciò l'intolleranza congenita: la lista dei capi d'accusa è pressoché infinita, come si vede, e se ne assommano di vecchi, di nuovi e di nuovissimi.

Ma da un po' di tempo vi si aggiunge qualcosa che contribuisce a dare a quelle imputazioni un peso e un senso diversi, un impatto più largo e distruttivo, finendo per unirle tutte nel segno di un attacco solo complessivo. Questo qualcosa è un radicalismo enfatico nutrito d'acrimonia; è, insieme, una contestazione sul terreno dei principi, un chiedere conto dal tono oltraggiato e perentorio che dà tutta l'idea di voler preludere a una storica resa dei conti.

Ciò che più colpisce, infatti, della situazione odierna - e non solo immagino chi è credente ma pure, e forse più, chi come il sottoscritto non lo è - è soprattutto l'ovvietà ideologico-culturale della posizione anticristiana, la sua facile diffusione, oramai, anche in ambienti e strati sociali non particolarmente colti ma "medi", anche "popolari". Ai preti, alla Chiesa, alla vicenda cristiana non viene più perdonato da nessuno più nulla. Si direbbe - esagero certo, ma appena un poco - che ormai nelle nostre società, a cominciare dall'Italia, lo stesso senso comune della maggioranza stia diventando di fatto anticristiano. Anche se esso preferisce perlopiù nascondersi dietro la polemica contro le "colpe" o i "ritardi" della Chiesa cattolica.

Tra i tanti e assai complessi motivi che stanno dietro questa grande trasformazione dello spirito pubblico del Paese ne cito tre che mi paiono particolarmente significativi.

Al primo posto l'ingenuità modernista, l'illuminismo divenuto chiacchiera da bar. Ci piace pensarci compiutamente moderni, e modernità sembra voler dire che gli unici limiti legittimi siano quelli che ci poniamo noi stessi.

Le vecchie autorità sono tutte morte e al loro posto ha diritto di sedere solo la Scienza. Siamo capaci di amministrarci finalmente da soli, non c'è bisogno d'alcuna trascendenza che c'insegni dov'è il bene e dov'è il male. Che cosa c'entrano dunque la religione con i suoi comandamenti, i preti con i loro divieti? Accade così che ogni cosa che getta ombra sull'una o sugli altri ci appaia allora come la rassicurante conferma della nostra superiorità: alla fin fine siamo migliori di chi pure vorrebbe farci continuamente la lezione.

E poi - ecco un secondo motivo - la Chiesa e tutto ciò che la riguarda (religione inclusa) ricadono nella condanna liquidatoria del passato, di qualsiasi passato, che in Italia si manifesta con un'ampiezza che non ha eguali. Il che significa non solo che tutto ciò che è antico, che sta in una tradizione, è perciò stesso sempre più sentito come lontano ed estraneo (unica eccezione l'eno-gastronomia: l'ideologia dello slow food è la sola tradizione in cui gli italiani di oggi si riconoscono realmente), ma significa anche, questa messa in mora del passato, che il pensare in termini storici sta ormai diventando una rarità. Sempre più diffusi, invece, l'ignoranza della storia, dei contenuti reali delle questioni, e l'antistoricismo, l'applicazione dei criteri di oggi ai fatti di ieri: da cui la ridicola condanna di tutte le malefatte, le uccisioni e le incomprensioni addebitabili al Cristianesimo, a maggior gloria di un eticismo presuntuoso che pensa di avere l'ultima parola su tutto.

E da ultimo il cinismo della secolare antropologia italiana, e cioè il fondo limaccioso che si agita al di sotto dell'appena sopraggiunta ingenuità modernista. Il cinismo che sa come va il mondo e dunque non se la beve; che appena sente predicare il bene sospetta subito il male; che ha il piacere dello sporco, del proclamarne l'ubiquità e la forza. Quel feroce tratto nazionale che per principio non può credere in alcuna cosa che cerchi la luce, che miri oltre e tenga lo sguardo rivolto in alto, perché ha sempre bisogno di abbassare tutto alla sua bassezza.
(©L'Osservatore Romano - 22-23 marzo 2010)

 

2/ La presunta Italia «anticristiana», la realtà della Chiesa, di Davide Rondoni

Ha ragione Galli della Loggia sul Corriere della Sera. Ma non del tutto. In un editoriale di domenica sosteneva che l’Italia sta diventando sempre più anticristiana. E passava in rassegna le accuse che, spesso con argomenti da bar, si rivolgono alla Chiesa, concludendo che questo fenomeno si registra non più solo a livello delle classi colte e intellettuali, ma largamente anche tra le cosiddette fasce popolari.

Certo, Galli non può non vedere quanto un’élite culturale accanita e spregiudicata stia usando i mezzi di comunicazione di massa per inculcare sentimenti anticristiani tra il popolo.

In questo uso fazioso e molto spesso banale dei mezzi che parlano a tutti ci sono responsabilità gravi anche tra coloro che si etichettano come cattolici o amici della Chiesa magari per ottenere un ruolo di comando in quei media. Ci sono avversari travestiti da colombe, e come diceva Eliot, serpenti sui gradini di casa.

Dunque Galli sa e potrà con coraggio, dalla platea di cui dispone, indicare modi e responsabilità di questo continuo attacco che viene portato ogni giorno da élite che pretenderebbero loro d’essere, invece di Dio, la salvezza della vita.

La costruzione di idoli, per quanto grotteschi e fatui, continua a pieno regime, e il tentativo di far fuori Dio dalla scena della vita eliminandone i segni di presenza storica è più violento e ha più munizioni di ieri. Il rivolgimento in senso anticristiano d’Italia, a dire dello storico, va di pari passo con altri, come ad esempio la perdita di rispetto e di onestà nel valutare il passato. In altre parole, il preteso distacco dalla Chiesa e dal cristianesimo s’accompagnerebbe a una maggiore superficialità di giudizio.

Questa discussione procede da molto tempo. Già Charles Péguy avvertiva i francesi, nel 1910, che quella generazione era la prima che viveva in una società che veniva "dopo" il cristianesimo. In una società non più cristiana. E furbescamente, violentemente anticristiana.

Quindi Galli ha delle ragioni. Del resto la storia di Gesù mostra che a livello di consenso popolare non gli andò benissimo nell’ora della crocifissione. Il cristianesimo non è innanzitutto una cultura o un certo tipo di società. La fede, come ci testimoniano oggi tanti, troppi fratelli martiri, splende in società anche violentemente contrarie all’annuncio cristiano. Nella storia dei santi il cui volto la Chiesa ci invita a guardare tutti i giorni si trova la gioia di vivere e testimoniare la fede tra gli altri uomini, non necessariamente in una "società cristiana". Anche perché l’aggettivo "cristiano" applicato sociologicamente non è risolutivo. Non ci si salva l’anima e non si vive il gusto del centuplo quaggiù per il fatto di vivere in una "società cristiana". Ma per amore sperduto e contento di Gesù.

E qui forse il ragionatore del Corriere della Sera fallisce il passo. Proprio questa tendenza a misurare la fede sociologicamente (presente fuori, ma anche tra le fila di uomini di Chiesa) rischia di non farci vedere come e quanto la gente del nostro Paese vive e cerca la fede. Molti segni tra il nostro popolo ci mostrano – se vogliamo vedere davvero – che la Chiesa resta e anzi aumenta come riferimento positivo per la vita reale delle persone. Nonostante i giudizi anche taglienti e critici su di essa. Un libro del cardinal Biffi si intitola "La Sposa chiacchierata".

Gli italiani, si sa, sono campioni mondiali di pettegolezzo e di maldicenza. Quindi magari ne parlano male o così così, poi la amano. E con gesti, con parole imparati da questa strana madre si rivolgono al Dio dei cieli e al suo Figlio bellissimo perché siano vicini, in vita e nell’ora della nostra morte. La Chiesa sa di essere anche il volto pieno di sputi di Gesù all’inizio della via Crucis. La sua gloria no, non è come quelle del mondo.