Aquileia, la sua basilica e la Südhalle: il fraintendimento del catecumenato antico negli studi sul più antico complesso basilicale ancora esistente, di Andrea Lonardo

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 10 /09 /2017 - 14:10 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito uno studio di Andrea Lonardo. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Arte e fede, Liturgia e Catecumenato.

Il Centro culturale Gli scritti (10/9/2017)

1/ Una visione del catecumenato che rende incomprensibile ciò che gli scavi di Aquileia hanno portato alla luce

Mosaico con il pavone, simbolo di immortalità, 
che era nell'atrio della Südhalle

La recente risistemazione della cosiddetta Südhalle, ovvero la grande aula adiacente al battistero che è dinanzi alla basilica di Aquileia, decorata con un pavimento a mosaico impreziosito dalla raffigurazione di tante “pecorelle”, ha obbligato archeologi e architetti a domandarsi quale potesse essere il suo utilizzo: dalle loro parole è evidente che le risposte sono state cercate in dialogo con liturgisti, catecheti e patrologi. Eppure esse non soddisfano.

Blason Scarel scrive:

«Chi da catecumeno […] vi fosse transitato in processione per raggiungere la vasca ottagonale, nella quale immergersi con altri neofiti, avrebbe proiettato se stesso in ciascuna di quelle pecore, sereno nel suo “cammino” di salvezza, e ormai pronto […] nel propri percorso verso l’altare, ad accogliere l’eucarestia»[1].

La studiosa spiega che, anche se non è possibile essere del tutto sicuri della finalizzazione dell’aula[2], tuttavia la sua presenza deve essere legata alla «necessità di sviluppare spazi che segnassero stadi di avanzamento progressivo e graduale nella liturgia relativa al sacramento battesimale, cui i catecumeni sarebbero stati ammessi dopo una lunga preparazione, che poteva variare da due a tre anni, fino al raggiungimento della classe dei competentes, ossia di coloro che avrebbero ricevuto il battesimo la Pasqua seguente. La fase iniziale del rituale prevedeva che il vescovo si accostasse ai competentes, toccando loro orecchie e narici»[3] [ecc. ecc.].

La Südhalle come si presenta oggi nel recupero architettonico moderno

In maniera divulgativa, ma esprimendo la stessa visione degli studi scientifici appena citati, Bellavite nella Storia  immaginaria di Ponziano[4], un racconto creato ad hoc per trasmettere empaticamente al visitatore di Aquileia i sentimenti di coloro che frequentavano quei luoghi preparandosi al battesimo, fa raccontare all’immaginario catecumeno Ponziano delle celebrazioni presiedute dal vescovo Teodoro, colui che costruì le prime due aule del complesso, la più famosa delle quali abbellì con il pavimento attualmente visitabile nella basilica stessa dove è raffigurato il ciclo di Giona: «Teodoro […] cominciò a parlare del mondo, di Giona, di Gesù, del battesimo, della chiesa e il cuore ci ardeva nel petto mentre il desiderio di essere battezzati bruciava come fuoco nel profondo… Finita la cerimonia il vescovo, i presbiteri e molti altri si incamminarono attraverso il corridoio per raggiungere l’altra aula della chiesa: volevamo seguirli, ma un diacono dal fare deciso ci disse: “Adesso, fuori i catecumeni!”. Per partecipare ai misteri che si celebravano nell’altra aula bisognava aspettare ancora…»[5].

Giunta finalmente la notte di Pasqua, il racconto immaginario di Bellavite narra dell’ingresso in chiesa del catecumeno Ponziano: «Finalmente ci fu detto che eravamo ammessi all’aula che fino a quel momento avevamo potuto soltanto sognare: quale meraviglia di colori, quali opere d’arte, pavimenti a mosaico, pareti sontuosamente affrescate, un fiume di bellezza si riversava improvvisamente su di noi»[6].

Sia Blason Scarel che Bellavite, insomma, affermano che l’accesso alla chiesa vera e propria fosse interdetto ai catecumeni e che essi vi giungessero, infine, solo dopo aver ricevuto il battesimo e la confermazione – ipotizzando così che invece le aule annesse al battistero servissero per i riti pre-battesimali o per la crismazione – di modo che solo dopo tali riti i catecumeni si potessero incontrare stabilmente con la comunità cristiana dei già battezzati: quest’ultima, secondo l’interpretazione dei due studiosi, si sarebbe limitata invece a nominare un’équipe di catechisti che li seguisse a parte con l’intervento occasionale del vescovo.

I due studiosi riducono così l’utilizzo di tali aule accessorie alla chiesa e al battistero a semplici luoghi di passaggio processionale o di celebrazione di determinati riti.

Lo schema mentale con i quale i due autori citati cercano di individuare il collegamento fra il gruppo di chi chiedeva il battesimo e i luoghi stessi emersi dagli scavi archeologici di Aquileia è lo stesso, anche se i due autori si riferiscono ovviamente a due stadi diversi del complesso basilicale.

Blason Scarel fa riferimento alla terza tappa di sviluppo del complesso, quando, probabilmente fra la fine del IV secolo e gli inizi del V venne costruito il nuovo battistero – dove è attualmente – con le due aule annesse dette oggi Südhalle e Nordhalle.

Nella piantina la Südhalle recentemente 
risistemata per le visite è l'aula
rettangolare al fianco destro del battistero.

Il nuovo battistero vene realizzato «non prima del periodo compreso tra gli ultimi anni del IV e l’inizio del V secolo […] fu attuata un’operazione di livellamento dell’area che è logico riferire alla costruzione del nuovo nucleo battesimale»[7].

Il rinvenimento di monete e l’analisi del materiale ceramico riporta le due aule allo stesso periodo del battistero: «I saggi effettuati hanno fatto emergere alcuni elementi che sembrano confermare l’inquadramento cronologico della Südhalle  (e in generale il rinnovamento architettonico del complesso episcopale paleocristiano di Aquileia tra la fine del IV secolo e gli inizi del V, piuttosto che a un momento successivo all’invasione attiliana della metà del V secolo [che distrusse l’intero complesso], come sosteneva Luisa Bertacchi»[8].

Blason Scarel, quindi, ipotizza che nella notte di Pasqua i battezzandi avrebbero attraversato l’odierna Südhalle per entrare nel battistero e poi recarsi per la prima volta nella basilica stessa, per celebrare per la prima volta l’eucarestia.

Bellavite, invece, ipotizza un analogo uso per le due aule del primo complesso basilicale, costruito dal vescovo Teodoro subito dopo la pace costantiniana del 313 (o subito prima di essa)[9]. Il suo racconto del catecumeno Ponziano ipotizza che la preparazione al battesimo avvenisse nelle case e che il vescovo incontrasse i catecumeni nei giorni immediatamente precedenti al battesimo nell’antica aula meridionale, diversa dalla Südhalle: tale antica aula meridionale, senza alcun dubbio dal punto di vista archeologico, corrisponde alla parte anteriore della basilica attuale di Aquileia ed aveva per pavimento quello riscoperto dagli scavi con le storie di Giona. Bellavite immagina, come si è visto,  il vescovo Teodoro, lo stesso che lo realizzò, che spiega ai battezzandi le immagini a mosaico oggi nuovamente visitabili.

L'aula meridionale e settentrionale di cui parla Bellavite. 
Si vede come su quella meridionale insista l'attuale basilica,
mentre quella settentrionale sia stata riscoperta
negli scavi realizzati intorno al campanile di Aquileia

Il pavimento a mosaico riporta tuttora l’iscrizione dedicatoria che recita: “Theodore feli[x] / [a]diuvante Deo / omnipotente et / poemnio caelitus tibi / [tra]ditum omnia / baeate fecisti et gloriose / dedicasti”[10], cioè “O beato Teodoro, con l’aiuto di Dio Onnipotente e del gregge a te affidato dal cielo, hai potuto felicemente fare tutte queste cose e gloriosamente dedicarle”.

L'iscrizione dedicatoria del vescovo Teodoro

L’aula venne, quindi, eretta durante l’episcopato di Teodoro, che fu vescovo – si ritiene – dal 308 al 319[11]. Gli autori ritengono la costruzione post-costantiniana, poiché ignorano che esistevano basiliche già precedenti al 313: la costruzione potrebbe, quindi, essere anteriore al 313 ed essere uno dei pochi edifici superstiti precedenti alla svolta costantiniana, insieme alla piccola chiesa di Dura Europos[12].

Secondo Bellavite l’aula per la celebrazione eucaristica sarebbe stata, ai tempi di Teodoro, quella settentrionale, oggi visitabile con ingresso dalla porta all’inizio della navata sinistra della basilica attuale, della quale gli archeologi hanno potuto riportare alla luce anche qui il pavimento originario, ad eccezione della zona sulla quale si sono poi poggiate le fondamenta del successivo campanile.

Le due aule, quella meridionale e quella settentrionale, sono riconosciute coeve  dagli archeologi e hanno posto perciò la questione del perché esistessero due edifici simmetrici e quale dei due fosse la chiesa vera e propria o se lo fossero entrambi. Ovviamente al presente non esiste una risposta assoluta, poiché nessuna epigrafe specifica il rispettivo uso – da parte nostra propendiamo a pensare che l’aula per la celebrazione eucaristica fosse quella meridionale, data l’iconografia su cui si tornerà a breve..

Si vede, comunque, che Bellavite ripete lo stesso duplice cliché già presente negli studi più scientifici: la sua convinzione è che chi non era ancora battezzato non aveva accesso all’aula della celebrazione eucaristica, mentre, d’altro canto nella sua prospettiva, l’altra aula era concepita solo come aula di passaggio in occasione dell’immediata preparazione al battesimo.

2/ L’apporto che una visione corretta del catecumenato può apportare all’archeologia nel caso di Aquileia

I moderni studi sul catecumenato rivelano, invece, che chi chiedeva il battesimo nella chiesa antica non iniziava a partecipare alla liturgia domenicale al termine del cammino, bensì dal momento dell’ammissione stessa al catecumenato (come d’altronde avviene anche oggi). Questa ammissione nell’ordo dei catecumeni non deve essere assolutamente identificata con l’ingresso nel gruppo degli eletti nella prima domenica di Quaresima.

Certo l’ingresso nel gruppo degli “eletti” era importante. Anticamente, infatti – e così avviene ancora oggi –, nella prima domenica di Quaresima il vescovo di ogni chiesa “eleggeva” coloro che sarebbero stati battezzati al termine della Quaresima stessa, nella notte di Pasqua – la Quaresima stessa è stata inventata dalla chiesa proprio per accompagnare le ultime settimane di preparazione dei catecumeni (i già battezzati rivivono, invece, in tale periodo la loro preparazione al battesimo).

Ma, ben prima dell’elezione, i catecumeni celebravano – e celebrano ancora adesso – il “rito dell’ammissione al catecumenato”. In quel rito venivano - e vengono - segnati con il segno della croce ed ammessi a partecipare alla prima parte della liturgia eucaristica che oggi si chiama “liturgia della parola”. Tale ammissione avveniva – e avviene – almeno un anno prima dell’elezione.

Da quel momento i battezzandi partecipavano – e partecipano – tutte le domenica alla celebrazione eucaristica, anche se solamente per la prima parte della messa: essa comprende la proclamazione della Scrittura, il suo commento nell’omelia che la rende parola viva per l’oggi, le preghiere, i canti e tutti i gesti, fino all’offertorio, prima del quale i catecumeni venivano – e vengono – congedati. Ma tale congedo non era un rimandarli nelle loro case, bensì un benedirli perché potessero partecipare alla catechesi a loro riservata che avveniva contemporaneamente alla prosecuzione per i già battezzati della liturgia eucaristica.  

Ecco allora che era necessaria un’aula a fianco della chiesa stessa, riservata ai catecumeni appena usciti dalla chiesa per ricevere la catechesi domenicale. Ecco allora il giusto schema del catecumenato antico che permette una nuova ipotesi sul ruolo delle aule annesse al complesso basilicale di Aquileia: i catecumeni iniziavano la domenica insieme ai già battezzati nell’unica chiesa dove si celebrava l’eucarestia, ma ne uscivano prima dell’offertorio ed avevano bisogno di un’aula annessa alla chiesa. In essai catechisti proseguivano la catechesi mentre i fedeli celebravano la seconda parte della messa, quella che oggi si chiama “liturgia eucaristica”, nell’aula della celebrazione.

I battezzandi avevano, quindi, un’aula loro dedicata, che si potrebbe chiamare oggi “catecumeneo”, vicinissimo alla chiesa, in maniera da non perdere tempo negli spostamenti: ricevuta la catechesi che prolungava spesso l’omelia stessa da loro ascoltata in chiesa, battezzati e battezzandi si ritrovavano insieme nel quadriportico della chiesa per salutarsi e darsi l’appuntamento alla settimana successiva.

Per questo doveva essere normale che l’aula per l’eucarestia avesse immagini tali da richiamare il battesimo e la salvezza, perché tali immagini parlavano al cuore di chi si preparava a ricevere la salvezza nel battesimo e di chi l’aveva già ricevuta.

L’aula dei catecumeni, invece, non era utilizzata solo in occasione delle processioni per i diversi riti pre-battesimali e poi battesimali, bensì era l’aula delle catechesi domenicali che seguivano la prima parte della messa.

Di modo che si deve immaginare un itinerario abituale domenicale per il quale il catecumeno entrava in chiesa, vi stava fino al termine dell’omelia e ne usciva per poi recarsi nell’aula dei catecumeni. Solo nella notte di Pasqua l’ordine processionale variava, poiché questa volta non si partiva dalla chiesa, bensì dal catecumeneo, per raggiungere la chiesa solo dopo il battesimo e restarvi fino al termine della liturgia.

Questa visione storicamente corretta del catecumenato permette di ipotizzare allora la funzione “liturgica” della Südhalle di Aquileia. Essa sarebbe immediatamente a fianco del battistero non semplicemente a motivo dell’itinerario processionale pasquale che andava da quella sala al battistero e poi alla chiesa, bensì anche per le celebrazioni domenicali dell’intero anno liturgico che precedevano il battesimo, con itinerario inverso: dalla chiesa, dove i catecumeni erano già ammessi, al catecumeneo dove proseguivano la preghiera e la catechesi già iniziata nella celebrazione.

Il complesso basilicale di Aquileia rielaborato al computer: 
si vede chiaramente la Südhalle immediatamente alla destra del battistero

Si può dire, in questa visione scientificamente corretta delle modalità del catecumenato antico, che l’eucarestia non seguiva il battesimo e la confermazione, ma anzi precedeva lo stesso battesimo – ovviamente non nel senso che si ricevesse la comunione dell’eucarestia, ma nel senso che già si partecipava alla prima parte della messa, che è parte integrante dell’eucarestia stessa. Solo alla consacrazione e alla comunione si aveva accesso dopo il battesimo, ma l’ingresso nell’assemblea eucaristica avveniva già un anno prima del battesimo stesso. 

Per esemplificare quanto detto vale la pena ricordare che Agostino, non ancora battezzato, si convertì ascoltando le omelie di Ambrogio che lo convinsero della possibilità di superare il manicheismo[13]. Egli , insomma, già partecipava alla liturgia, come è evidente anche dal racconto che egli fa di quando si commuoveva al sentire i cristiani cantare nelle chiese nel periodo dell’occupazione degli edifici cristiani per paura che essi fossero requisiti dagli ariani[14]. Agostino, cioè, non si limitava ad avere “riunioni” catechistiche, bensì partecipava alla vita liturgica della comunità cristiana alla quale apparteneva Monica, sua madre[15].

Se allora «sarà necessario proseguire nella riflessione per comprendere appieno la specifica funzione della Südhalle»[16], una più precisa conoscenza delle modalità del catecumenato antico sarà comunque di giovamento[17].

3/ L’iconografia cristiana colta nella sua fase ancora germinale

L’antichissimo complesso basilicale di Aquileia permette poi di comprendere meglio la genesi dell’iconografia cristiana ed il suo progressivo differenziarsi da quella pagana.

Le aule più antiche, quelle dette “meridionale” – quella con il mosaico di Giona – e “settentrionale” – quella con le raffigurazioni animali, come la tartaruga e il gallo – rientrano perfettamente nel quadro già noto da tempo per le decorazioni catacombali.

Nei sarcofagi come negli affreschi catacombali cristiani più antichi di età pre-costantiniana emergono pian piano, a partire dal 250 circa, le prime raffigurazioni neotestamentarie o veterotestamentarie, accompagnate però da motivi già noti all’arte pagana: i primi decenni dell’arte paleocristiana si caratterizzano così per una commistione di motivi espressamente cristologici con immagini che esprimevano già a loro modo un desiderio di salvezza nel paganesimo e con immagini lussureggianti di piante e animali a dire la ricchezza del creato e la certezza di una vita eterna che superasse addirittura la bellezza della creazione stessa.

Le stesse immagini del pastore o dell’orante non sono di per sé cristiane poiché esse già erano presenti nelle rappresentazioni pagane: nondimeno esse acquistano un significato nuovo a partire dall’annunzio di  Cristo come buon pastore e della preghiera cristiana carica della certezza di una grazia ricevuta dal Dio che si rivela in Cristo[18].

Non ha senso allora, cercare di decifrare ogni singola immagine delle due aule più antiche, quasi che ogni simbolo dovesse avere necessariamente un’evidenza cristiana.

Certamente il ciclo di Giona è, fin dalle parole stesse di Gesù, immagine della sua morte (rappresentata dal pesce che inghiotte il profeta) e della sua resurrezione (nel simbolo del pesce che rigetta l’uomo di Dio a cui viene restituita la vita.

Scene di pesca a significato battesimale con l'iscrizione del vescovo Teodoro 
Il ciclo di Giona inserito fra scene di pesca a significato battesimale 
Giona rigettato dal pesce, simbolo della resurrezione di Crstso 
Giona sotto il ricino

Nel sarcofago detto “di Giona”, oggi a i Musei Vaticani, probabilmente realizzato intorno al 275 d.C. – e quindi precedente la pace costantiniana di alcuni decenni – la scena biblica è attorniata da scene di pesca. Tale pesca rappresenta paradossalmente non la morte dei “pesci” (delle “anime”), bensì l’essere sottratti alla morte rappresentata dal mare – si pensi all’invito di Gesù ad essere pescatori di uomini. Inoltre sono ritratte nello stesso sarcofago insieme alle scene bibliche scene a carattere battesimale, a motivo dell’acqua consacrata dallo Spirito che dona la vita, oltre a scene marine lussureggianti, a dire l’abbondanza e la fecondità della vita che nasce dal Cristo[19].

Nell’aula settentrionale, in una prospettiva ancora più arcaicizzante, i diversi animali possono indicare anche solamente l’abbondanza della vita e la lotta contro il male che ogni uomo deve sempre di nuovo combattere. Ma, a fianco di queste, certamente l’immagine del buon pastore indica già un utilizzo cristiano di una simbologia precedente. Il riquadro poi con la Vittoria indica chiaramente una rilettura cristologica dell’antico simbolo.

Il buon pastore nell'aula settentrionale del tempo del vescovo Teodoro

Un salto di qualità evidente dal punto di vista iconografico è invece reperibile nella Südhalle: nel passaggio fra il IV e il V secolo i simboli sono ormai tutti chiaramente cristiani. Le “pecorelle” di cui il pavimento musivo è disseminato rimandano agli uomini condotti ai pascoli della vita dal buon pastore (iconografia che ben si sposa con l’ipotesi di un luogo per la riunione domenicale dei catecumeni appena usciti dalla chiesa – in questo caso l’aula meridionale -, dopo aver partecipato alla prima parte della liturgia eucaristica). Anche il pavone, simbolo di immortalità, che era nell’atro della Südhalle, ben si inserisce in questo simbolismo cristiano ormai più sicuro di sé.

Note al testo

[1] S. Blason Scarel, Rispetto delle tradizioni e nuove sollecitazioni simboliche nei mosaici della Südhalle e dell’abside meridionale dell’atrio della basilica di Cromazio, in L. Fozzati (a cura di), L’aula meridionale del battistero di Aquileia. Contesto, scoperta, valorizzazione, Milano, Electa, 2015, p. 37.

[2] «Il modo in cui le due Hallen [le due aule, la Südhalle e la corrispettiva Nordhalle che, pur essendo scomparsa quasi totalmente, era stata costruita in parallelo dall’altra parte del battistero] dialogassero liturgicamente, allo stato attuale delle ricerche, permane purtroppo soltanto ipotizzabile» (S. Blason Scarel, Rispetto delle tradizioni e nuove sollecitazioni simboliche nei mosaici della Südhalle e dell’abside meridionale dell’atrio della basilica di Cromazio, in L. Fozzati (a cura di), L’aula meridionale del battistero di Aquileia. Contesto, scoperta, valorizzazione, Milano, Electa, 2015, p. 34). Sulle diverse ipotesi di localizzazione dell’aula dei catecumeni, cfr. anche F. Placida, Aspetti catechistico-liturgici dell’opera di Cromazio di Aquileia, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2005, p. 54.

[3] S. Blason Scarel, Rispetto delle tradizioni e nuove sollecitazioni simboliche nei mosaici della Südhalle e dell’abside meridionale dell’atrio della basilica di Cromazio, in L. Fozzati (a cura di), L’aula meridionale del battistero di Aquileia. Contesto, scoperta, valorizzazione, Milano, Electa, 2015, p. 34.

[4] A. Bellavite (a cura di), La Basilica di Aquileia. Tesori d’arte e simboli di luce in duemila anni di storia, di fede e di cultura, Portogruaro, Edicicloeditore, 2017, pp. 233-245.

[5] A. Bellavite (a cura di), La Basilica di Aquileia. Tesori d’arte e simboli di luce in duemila anni di storia, di fede e di cultura, Portogruaro, Edicicloeditore, 2017, p. 242.

[6] A. Bellavite (a cura di), La Basilica di Aquileia. Tesori d’arte e simboli di luce in duemila anni di storia, di fede e di cultura, Portogruaro, Edicicloeditore, 2017, p. 244.

[7] F. Maselli Scotti – C. Tiussi – L. Villa, La ricerca archeologica: le recenti indagini della Soprintendenza, in L. Fozzati (a cura di), L’aula meridionale del battistero di Aquileia. Contesto, scoperta, valorizzazione, Milano, Electa, 2015, p. 79. O. Brandt, Il battistero “cromaziano”, in “Antichità Altoadriatiche”, 69-I, 2010, pp. 323-376, ricorda che quello è il terminus post quem, ma di per sé la costruzione potrebbe essere anche successiva. Cfr. sul terzo battistero, in chiave più divulgativa, anche A. Bellavite (a cura di), La Basilica di Aquileia. Tesori d’arte e simboli di luce in duemila anni di storia, di fede e di cultura, Portogruaro, Edicicloeditore, 2017, p. 52.

[8] F. Maselli Scotti – C. Tiussi – L. Villa, La ricerca archeologica: le recenti indagini della Soprintendenza, in L. Fozzati (a cura di), L’aula meridionale del battistero di Aquileia. Contesto, scoperta, valorizzazione, Milano, Electa, 2015, p. 79. Il riferimento è a L. Bertacchi, La basilica postattiliana di Aquileia. Relazione preliminare dei recenti scavi, in “Aquileia nostra”, 42 (1971), cc. 15-56 e L. Bertacchi, Architettura e mosaico, in Da Aquileia a Venezia. Una mediazione fra l’Europa e l’Oriente dal II secolo a.C. al VI secolo d.C., Milano, 1980, pp. 97-336. La Südhalle viene spesso ricondotta all’episcopato di Cromazio che andò dal 387/8 al 407/8: a lui vengono attribuiti grandi lavori di ampliamento del complesso basilicale, per cui è d’uso parlare di “complesso cromaziano”, anche se il suo nome non è stato rinvenuto in nessuno dei reperti riscoperti.

[9] Gli studiosi connettono all’ipotesi che l’aula meridionale e quella settentrionale siano coeve anche il dato dell’iscrizione dell’aula settentrionale che potrebbe rimandare al vescovo Teodoro, anche se è mutila proprio nel nome:  “[…]re felix hic crevisti, hic felix”, “beato Teodoro (?), qui cresciuto, qui felice”.

[10] Testo in G. Cuscito, Origine e sviluppo dell’insula episcopalis di Aquileia, in L. Fozzati (a cura di), L’aula meridionale del battistero di Aquileia. Contesto, scoperta, valorizzazione, Milano, Electa, 2015, p. 27.

[11] Cfr. su questo G. Cuscito, Origine e sviluppo dell’insula episcopalis di Aquileia, in L. Fozzati (a cura di), L’aula meridionale del battistero di Aquileia. Contesto, scoperta, valorizzazione, Milano, Electa, 2015, p. 26.

[12] Cfr. sulla interessantissima questione degli edifici cristiani pre-costantiniani e delle basiliche antecedenti al 313, A. Lonardo, L’utilizzo delle fonti letterarie, in P. Filacchione – C. Papi (edd.), Archeologia cristiana. Coordinate storiche, geografiche e culturali (secoli I-V), Roma, LAS, 2015, pp. 47-54. Costantino, comunque, si costruì un palazzo imperiale ad Aquileia e vi soggiornò più volte, come dimostrano gli editti da lui emanati proprio ad Aquileia nel 318, 320, 324, 326, 333, 337 (cfr. G. Marini (a cura di), La Basilica patriarcale d’Aquileia, Monfalcone, Fondazione Società per la conservazione della Basilica di Aquileia, 1994, p. 9).  

[13] «Ogni domenica lo ascoltavo [Ambrogio] mentre spiegava rettamente la parola della verità in mezzo al popolo, confermandomi sempre più nell'idea che tutti i nodi stretti dalle astute calunnie dei miei seduttori a danno dei libri divini potevano sciogliersi» (Agostino di Ippona, Confessioni VI 3.4). E ancora: «Gioivo pure che la lettura dell'antica Legge e dei Profeti mi fosse proposta con una visuale diversa dalla precedente, la quale me li faceva apparire assurdi, mentre rimproveravo ai tuoi santi una concezione che non avevano; e mi rallegravo di sentir ripetere da Ambrogio nei suoi sermoni davanti al popolo come una norma che raccomandava caldamente: “La lettera uccide, lo spirito invece vivifica”. Così quando, scostando il velo mistico, scopriva il senso spirituale di passi che alla lettera sembravano insegnare un errore, le sue parole non mi spiacevano, benché ignorassi ancora se erano veritiere» (Agostino di Ippona, Confessioni VI 4. 6).

[14] Agostino ricorda ciò che provava quando sentiva cantare inni nelle chiese di notte, dopo che vennero ritrovate le reliquie dei santi Gervasio e Protasio, mentre era in atto l’azione anti-cattolica dell’imperatrice Giustina e degli ariani con lei: «Non da molto tempo la Chiesa milanese aveva introdotto questa pratica consolante e incoraggiante, di cantare affratellati, all'unisono delle voci e dei cuori, con grande fervore. Era passato un anno esatto, o non molto più, da quando Giustina, madre del giovane imperatore Valentiniano, aveva cominciato a perseguitare il tuo campione Ambrogio, istigata dall’eresia in cui l’avevano sedotta gli ariani. Vigilava la folla dei fedeli ogni notte in chiesa, pronta a morire con il suo vescovo, il tuo servo. […] Fu allora, che s’incominciò a cantare inni e salmi secondo l’uso delle regioni orientali, per evitare che il popolo deperisse nella noia e nella mestizia, innovazione che fu conservata da allora a tutt’oggi e imitata da molti, anzi ormai da quasi tutti i greggi dei tuoi fedeli nelle altre parti dell'orbe. […] Di qui il moltiplicarsi delle mie lacrime durante il canto dei tuoi inni. Un tempo avevo sospirato verso di te; finalmente respiravo la poca aria che circola in una capanna d’erba» (Agostino di Ippona, Confessioni IX,7.15-16).

[15] Agostino ricordando, fra l’altro, come fosse colpito dall’insieme della comunità cristiana e non dai suoi catechisti, quando era catecumeno a Milano: «Vedevo la Chiesa popolata di fedeli che avanzavano, l’uno in un modo, l’altro in un altro; invece mi disgustava la mia vita nel mondo» (Agostino di Ippona, Confessioni VIII 1.2). Solo in una visione sacramentaria estremamente restrittiva, ridotta al minimo comune multiplo, l’Eucarestia può essere individuata solo nella materia e nella forma del Sacramento. Tutta la sacramentaria moderna, invece, insiste sul fatto che è l’intera celebrazione ad essere liturgica:  una nuova comprensione del catecumenato è richiesta anche da tale nuova visione del rito valorizzata innanzitutto da autori come R. Guardini (R. Guardini, Lo spirito della liturgia, Brescia, Morcelliana, 1930; R. Guardini, La formazione liturgica, Milano, OR, 1988; R. Guardini, Lettera sull’atto di culto e il compito attuale della formazione liturgica, in “Humanitas” 20 (1965), pp. 85-90), per essere poi ripresa da studiosi come A.N. Terrin a partire da una prospettiva di antropologia teologica (A.N. Terrin, Il rito. Antropologia e fenomenologia della ritualità, Brescia, Morcelliana, 1999 e A.N. Terrin, Nuovo tentativo di fondazione della liturgia pastorale in rapporto alle scienze umane, in Idem, Leitourgia: dimensione fenomenologica e aspetti semiotici, Brescia, Morcelliana, 1988, pp. 13-40) e come C. Valenziano, in chiave di comprensione teologico-spirituale e teologico-estetica (C. Valenziano, L’uomo nella liturgia, in A. Grillo – C. Valenziano, L’uomo della liturgia, Assisi, Cittadella, 2007, pp. 77-127). Per una bibliografia aggiornata sul tema, cfr. gli studi recenti di A. Grillo che si muove nella stessa prospettiva, indagando la liturgia come linguaggio (A. Grillo, Grazia visibile. Grazia vivibile. Teologia dei sacramenti «in genere ritus», Padova, EMP, 2008; A. Grillo, Introduzione alla teologia liturgica. Approccio teorico alla liturgia e ai sacramenti cristiani, Padova, EMP, 2011; A. Grillo, Teologia fondamentale e liturgia. Il rapporto tra immediatezza e mediazione nella riflessione teologica, Padova, EMP, 1998; più divulgativo, A. Grillo, La forma rituale della fede cristiana. Teologia della liturgia e dei sacramenti agli inizi del XXI secolo, Trapani, Il pozzo di Giacobbe, 2011), di L. Girardi (L. Girardi, «Conferma le parole della nostra fede». Il linguaggio della celebrazione, Roma, CLV, 1998 e L. Girardi, Liturgia e partecipazione. Forme del coinvolgimento rituale, Padova, EMP, 2013) e di L.-M. Chauvet (L. Chauvet, Della mediazione. Quattro studi di teologia sacramentaria fondamentale, Assisi-Roma, Cittadella-Pontificio Ateneo Sant’Anselmo, 2006 e L.-M. Chauvet, L’umanità dei sacramenti, Magnano, Qiqajon. Comunità di Bose, 2010). La catechesi dei catecumeni aveva così come pilastro la liturgia, ben prima del rito dell’elezione, e non solo riunioni di approfondimento, anzi queste erano strettamente legate all’eucarestia domenicale stessa. La catechesi – fatto di un importanza assoluta - avveniva sempre di domenica e non nei giorni feriali. I catecumeni, partecipando alla Liturgia della Parola, facevano già esperienza della forza dello Spirito che agisce nella proclamazione liturgica della Parola e nell’omelia. Come spiega bene Sacrosanctum concilium, Cristo non è presente solo nel sacramento dell’altare, ma anche nell’assemblea radunata, nella Parola proclamata, nel presbitero che presiede la liturgia (SC 7). A fianco della catechesi ecco che essi già vivevano l’“esperienza” dell’incontro con Dio. Esiste, infatti, un’“esperienza” di Dio che nessun altra forma esperienziale umana permette di fare ed è quella di “sperimentare” la sua presenza nella Chiesa che celebra i sacramenti, visitata realmente dal Cristo che la presiede. In questa maniera partecipavano anche della comunione con i fratelli: tutti conoscevano i catecumeni, pregavano per loro e si ricongiungevano a loro al termine della celebrazione. Inoltre tale legame fra catechesi e liturgia faceva sì che le persone non ancora battezzate già vivessero i tempi del digiuno e della carità, impegnandosi con i fratelli nell’elemosina e nel servizio. Il vivere con la comunità cristiana e al suo ritmo faceva sì che la catechesi catecumenale fosse un’esperienza. La Chiesa li introduceva domenica dopo domenica in maniera sempre più viva nella celebrazione dell’anno liturgico, eppure essi non erano ancora battezzati.

[16] F. Maselli Scotti – C. Tiussi – L. Villa, La ricerca archeologica: le recenti indagini della Soprintendenza, in L. Fozzati (a cura di), L’aula meridionale del battistero di Aquileia. Contesto, scoperta, valorizzazione, Milano, Electa, 2015, p. 85.

[17] Fra l’altro anche l’affermazione che il battesimo dei bambini si sia affermato tardivamente - «Fino al IV secolo il battesimo viene amministrato generalmente agli adulti» A. Bellavite (a cura di), La Basilica di Aquileia. Tesori d’arte e simboli di luce in duemila anni di storia, di fede e di cultura, Portogruaro, Edicicloeditore, 2017, p. 52 – è fuorviante: fin dall’età apostolica infatti, gli adulti che si battezzavano battezzavano anche i loro figli. Cfr. su questo A. Lonardo, Il battesimo dei bambini nella chiesa delle origini. Appunti su di un volume di Joachim Jeremias, on-line su www.gliscritti.it.   

[18] Cfr. su questo, U. Utro, La Bibbia nelle rappresentazioni dei sarcofagi paleocristiani del Museo Pio Cristiano (Musei Vaticani): un itinerario di visita, disponibile on-line su www.gliscritti.it.

[19] Cfr. su questo, U. Utro, La Bibbia nelle rappresentazioni dei sarcofagi paleocristiani del Museo Pio Cristiano (Musei Vaticani): un itinerario di visita, disponibile on-line su www.gliscritti.it.