La Biblia Pauperum di Sant’Angelo in Formis, di Antonio Pitta

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 11 /06 /2017 - 22:11 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo da A. Ianniello (a cura di), Biblia picta. Le icone di Sant’Angelo in Formis come iniziazione al mistero cristiano, Napoli, Luciano Editore, 2005, pp. 47-54, un articolo di Antonio Pitta. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Arte e fede.

Il Centro culturale Gli scritti (11/6/2017)

Soltanto in alcuni film di Walt Disney o di fantascienza è possibile assistere a surreali inserimenti di persone umane in libri giganteschi, attraverso una vera e propria full immersion. Eppure tale percezione doveva produrre in quanti, durante il Medioevo, cominciavano a frequentare la Basilica Benedettina di Sant'Angelo in Formis: un enorme libro dal quale essere rapiti e nel quale essere immersi per contemplare la storia della salvezza ivi raffigurata[1].

La Biblia Pauperum aveva la funzione fondamentale di catechizzare i credenti non tanto attraverso la lettura delle pagine bibliche tramandateci per iscritto, quanto attraverso la visione delle raffigurazioni pittoriche che istoriavano le cattedrali medievali, a causa dell'analfabetismo diffuso nei ceti popolari della società del tempo[2]. In tal senso nessuna raffigurazione è posta a caso, ma segue una logica interna di decisiva rilevanza, altrimenti si rischia di smarrirsi in un dedalo, senza alcuna via d'uscita.

Qual è l'ordito pittorico di Sant'Angelo in Formis? Quale la logica che ha guidato i maestri medievali che si sono succeduti nel suo completamento[3]? E quale il messaggio fondamentale che tale ciclo pittorico intende veicolare ai visitatori di ogni dimensione spazio-temporale[4]? Cercheremo di rispondere a tali questioni, pur nel limite relativo ai pannelli che ci sono pervenuti, così da seguire un ideale "filo di Arianna" che nella Basilica segue un percorso originale ma complesso, nello stesso tempo, dall'inizio alla fine.

1. Le coordinate spazio-temporali

Non si può negare che in tutta la Basilica, la S. Scrittura occupa non solo la parte principale ma quella dominante e quasi esclusiva: soltanto alcune raffigurazioni o ritratti di alcuni personaggi richiamano il contesto storico medievale durante il quale questa Biblia Pauperum è stata rappresentata. Per il resto, è la Parola di Dio che si va snodando in questa splendida Basilica, attraverso l'intreccio storico dell'Antico e del Nuovo Testamento.

1.1. Da dove partire?

La prima questione che è invitato a porsi chi visita la Basilica è: da dove partire? Altrimenti sarebbe come entrare in una sala cinematografica a film iniziato, lasciando nello smarrimento e nella ricerca della naturale domanda su dove ci troviamo: il primo o il secondo tempo? Il ciclo pittorico di Sant'Angelo segnala, con sufficiente evidenza, quale debba rappresentare l'inizio dell'itinerario da compiere: l'abside con la figura gigantesca del Gesù Cristo Signore in trono. Per questo, il visitatore non deve cedere allo smarrimento, girovagando attraverso le navate interne ed esterne della Basilica, ma è chiamato a puntare subito il proprio sguardo sull'abside centrale occupata, in gran parte, da Gesù Cristo. Di fatto è lui la "chiave" che permette di entrare nel labirinto di Sant'Angelo ed è, nello stesso tempo, il motivo di svolta che invita a contemplare tutte le raffigurazioni riportate nella Basilica.

Dal versante dello scritto, si può rilevare che sono scarse le iscrizioni poste a didascalia delle raffigurazioni: pur tuttavia, quelle presenti risultano di fondamentale importanza. Fra queste è significativa l'iscrizione posta nel libro aperto che il Signore sorregge con la mano sinistra: «Ego sum alfa et o(mega) prim(us) et novissimus».

L'iscrizione riprende alla lettera la citazione biblica di Ap 22,13 che così recita nella versione latina della Vulgata,il testo biblico utilizzato in epoca medievale: «Ego sum A et W [omega], primus et novissimus...». Il Signore, seduto sul trono della gloria, è riconosciuto non soltanto come il primo e l'ultimo, come recita l'inizio di Apocalisse 1,8 («principium et finis»), bensì come il "primo e il nuovissimo" che, con la propria signoria, inaugura "cieli nuovi e terra nuova".

L'iscrizione ha la funzione non soltanto di attestare una professio fidei dei credenti, in epoca medievale, ma anche di segnalare la prospettiva principale dalla quale bisogna contemplare la Bibbia raffigurata a Sant'Angelo: quella apocalittica ed escatologica, ossia la presenza di Cristo nella storia, a partire dall'Antico Testamento sino alla sua presenza nella comunità dei credenti (prospettiva apocalittica), per proiettarsi verso i "novissimi", vale a dire verso il giudizio finale della storia e della vicenda umana (prospettiva escatologica).

Tuttavia, a riguardo è bene precisare che questi due orizzonti della storia della salvezza non sono scissi o separati ma posti, come vedremo, in continua tensione, per cui da una parte, l'orizzonte apocalittico della signoria di Cristo è teso verso quello escatologico o finale; e quest'ultimo è anticipato nella storia attuale dei credenti.

Intorno al Signore che troneggia, al centro dell'abside, sono raffigurati i simboli dei quattro evangelisti: secondo l'ordine che procede da sinistra verso destra e dal basso verso l'alto, sono rappresentati il bue alato (Matteo) e il leone alato (Marco), l'angelo alato (Luca) l'aquila (Giovanni); l'impostazione corrisponde all'ordine canonico dei vangeli, come sono riportati nel Nuovo Testamento. Tale disposizione pone in evidenza che per conoscere e contemplare Gesù Cristo è necessario leggere e fare proprio il messaggio dei vangeli, perché è di Lui che essi parlano ed è a lui che conducono.

Nel piano inferiore dell'abside sono rappresentati i tre arcangeli Raffaele, Michele e Gabriele (sempre da sinistra verso destra). Anche in questo caso la disposizione pittorica non è casuale: l'arcangelo Michele occupa la posizione centrale giacché la basilica è dedicata proprio a lui. D'altro canto, il culto di S. Michele è particolarmente diffuso in epoca medievale, ad opera dei Longobardi: si pensi alla Basilica di S. Michele Arcangelo sul Gargano, mèta obbligata dei pellegrini che partivano alla volta dell'Oriente.

I tre arcangeli sono collocati per esprimere il trisagion (tre volte santo) che i credenti sono invitati ad attribuire a Gesù Cristo, il Signore della storia: il motivo risale sino alla visione di Is 6,3: «Santo, santo, santo...». Così l'autore del ciclo pittorico introduce uno dei motivi principali raffigurati nella Basilica: l'angelologia o la visione degli angeli che occupa tanto spazio nella pietà medievale[5].

Prima di voltarsi verso l'interno della Basilica, a partire dall'abside, è importante non dimenticare il simbolo collocato al vertice dell'intronizzazione: la colomba che richiama lo Spirito Santo. Il particolare non è irrilevante giacché è lo Spirito che permette, da una parte, la trasformazione della S. Scrittura in Parola di Dio e, dall'altra, è colui che guida i credenti alla comprensione della "Verità tutta intera" che è Gesù Cristo. Dunque ci troviamo di fronte ad una prospettiva cristologica e pneumatologica dalla quale è opportuno intraprendere l'ideale viaggio catechetico che offre la Basilica di Sant'Angelo.

1.2. Dove arrivare?

L'inizio e la fine di un film o di un racconto sono, com'è noto, le parti più importanti che un regista e un narratore sono chiamati a curare con particolare diligenza: un epilogo trascurato, rispetto ad un ottimo intreccio, produce comunque delusione nei presenti o nei lettori. Per questo, senza voler svelare il tutto sin dall'inizio poiché, come abbiamo segnalato, l'ordito di Sant'Angelo è quanto mai complesso, dobbiamo cercare l'epilogo o la mèta del ciclo pittorico. Dopo aver contemplato il maestoso abside e una volta giunto all'abside, il visitatore è costretto, di fatto, a voltarsi; e senza lasciarsi accattivare dalle raffigurazioni riportate nelle navate, deve fissare lo sguardo verso l'ingresso della Basilica. Se non si è lasciato cogliere dalla tentazione di entrare nella Basilica, senza voltarsi indietro né a destra o a sinistra, si troverà improvvisamente di fronte alla parete d'ingresso, occupata dal giudizio finale della storia che, nella mandorla centrale, presenta nuovamente l'intronizzazionedi Gesù Cristo il Signore.

Anche in questa raffigurazione sono importanti le iscrizioni riportate nei cartigli degli angeli: «Venite benedicti Patris mei», «Ite maledicti in ignem aeternum». Le citazioni bibliche sono mutuate dalla narrazione del giudizio finale, riportata nel vangelo di Mt 25,31-16 e, in particolare, dal v. 34 e dal v. 41: sono le sentenze giudiziarie pronunciate per le "pecore" e i "capri" che hanno riconosciuto o ignorato Gesù Cristo nei poveri, nei carcerati e negli affamati. Per questo, nella parte inferiore della parete, l'umanità è distinta in beati e dannati o, secondo il linguaggio apocalittico, in salvati e persi[6].

Fra i limiti pittorici che abbiamo evidenziato, si snoda tutta la vicenda umana, ossia tra la Signoria apocalittica o attuale, dalla morte e risurrezione di Cristo sino ad oggi, e quella escatologica o finale di Cristo. Il confronto tra l'abside e la parete d'ingresso intende, pertanto, veicolare un messaggio dalle grandi istanze etiche: come entrare a far parte di quanti sono benedetti e non di coloro che sono maledetti? Se attualmente, attraverso il discernimento interiore si comprende di non operare secondo la legge dell'amore ma per forme diverse di egoismo, che cosa bisogna compiere?

Così il visitatore di Sant'Angelo non è invitato soltanto a contemplare le raffigurazioni interposte fra l'abside e la parete d'ingresso, bensì ad entrare in se stesso e a valutare le proprie opzioni fondamentali e categoriali a partire dalla Parola di Dio che non soltanto ascolta durante la celebrazione eucaristica ma che ha la fortuna di vedere con i propri occhi affinché s'imprima nella propria memoria e lo induca alla conversione profonda del cuore. In tal senso, la Basilica di Sant'Angelo anticipa la portata performativa della Parola di Dio che non si limita ad educare alla fede bensì a cambiare il cuore umano.

2. Quale prospettiva ermeneutica?

Il XX secolo è stato quello dell'ermeneutica filosofica e letteraria; ma la preoccupazione ermeneutica, ossia della ricerca del senso è molto più antica di quanto si pensi. In questa complessa scienza occupa un posto privilegiato l'ermeneutica biblica; e già in epoca patristica si tendeva a semplificare tale processo di relazione con l'oggetto da valutare attraverso la tipologia o l'allegoria[7].

Nel primo caso, si assiste ad una corrispondenza tra un typus ed un antitypus,vale a dire tra un personaggio, un evento, un tema dell'Antico ed uno del Nuovo Testamento, o secondo il linguaggio patristico, tra l'ombra e la realtà. Nel secondo caso, lo stesso personaggio o evento storico dell'Antico Testamento cresce di significati e perviene alla sua massima espressione o rivelazione nel Nuovo Testamento.

Così recita l'assioma medievale dei quattro sensi della Scrittura:

«Littera gesta docet, quid eredas allegoria,
moralis quid agas, quo tendas anagogia»
[8].

Già nel Nuovo Testamento sono diffusi esempi di tipologia, come il confronto tra Adamo e Gesù Cristo, delineato da Paolo nella Lettera ai Romani (cf Rm 6,1-14); e non mancano esempi di allegoria, come quello della Gerusalemme terrena che, progressivamente, cede il posto a quella celeste e futura, ripreso nella Lettera ai Galati (cf GaI 4,21-24) e nell'Apocalisse di Giovanni (cf Ap 21,1-27). Questi due modi d'interpretare la S. Scrittura erano diffusi in epoca medievale e caratterizzavano non soltanto la predicazione dei pastori ma anche la lettura dei credenti e, di conseguenza, i cicli pittorici delle Chiese.

Nella Basilica di Sant'Angelo risalta subito il processo tipologico o di corrispondenza tra l'Antico e il Nuovo Testamento, contro forme di marcionismo tese a deprezzare il Primo Testamento a favore del Nuovo Testamento. Così il motivo tipologico principale che attraversa gran parte delle raffigurazioni, scelte dagli autori, è quello del sacrificio.

Dall'Antico Testamento sono rappresentati il sacrificio di Caino e Abele (cf Gen 4,3-4)[9]; quello di Noè, dopo il diluvio (cf Gen 8,20)[10], quello di Gedeone (cf Gdc 6,18-24)[11] e soprattutto quello di Isacco narrato in Gen 22,1-19[12]. Nella pietà medievale si assiste ad una particolare rilettura tipologica tra il sacrificio d'Isacco e quello di Cristo; così recita la bellissima e diffusa preghiera di S. Tommaso d'Aquino per il Corpus Domini: «...In Isacco dato a morte».

Il motivo sacrificale corrispondente del Nuovo Testamento che catalizza tutta l'attenzione è quello della croce di Cristo, al quale è dedicato un ampio spazio nella navata centrale della Basilica, parete sinistra. La scena della crocifissione è rappresentata con grande solennità: ai piedi della croce si trovano la madre di Gesù e il discepolo che Gesù amava; ai lati da una parte, a sinistra, si trova la folla delle donne piangenti e dall'altra, a destra, la schiera dei giudei, preceduta dai soldati che tirano a sorte la tunica del crocifisso. Si può notare come la famosa iscrizione "I.N.R.I." è assente nella crocifissione di Sant'Angelo, mentre è sostituita dal cartiglio sottostante in cui è scritto: «Morti vita datur, sed mors mori ente necatur».

La nuova iscrizione permette di cogliere l'inscindibile relazione tra la morte e risurrezione di Cristo: egli è crocifisso ma porta i segni della risurrezione. Per questo manca nella nostra crocifissione la corona di spine, sostituita dall'aureola; e dato ancora più rilevante, non c'è alcun segno di spargimento di sangue, come invece in altre raffigurazioni. Per inverso, in alto, accanto ai simboli della luna e del sole, sono raffigurati due angeli: sono gli angeli della risurrezione che attestano l'inscindibile mistero della morte e risurrezione di Gesù Cristo.

Pertanto la scena, anche se può essere ricondotta a tutti gli evangelisti che raccontano la morte di Gesù in croce, richiama in modo particolare la narrazione del vangelo di Giovanni che catalizza l'attenzione sull'ultima volontà testamentaria di Gesù, durante la quale egli affida la madre al discepolo e viceversa (cf Gv 19,17-27). Potremmo sostenere che la scena non è soltanto di rilevanza cristologica ma anche ecclesiologica: la Chiesa nella sua unità minimale e basilare della madre e del discepolo, e raffigurata, in forma simbolica, dalla tunica indivisa, sulla quale si può soltanto tirare a sorte.

Tuttavia inquieta il dato che in una Biblia pauperum in cui il motivo dominante è quello del sacrificio, proprio nella scena sacrificale per eccellenza, appunto quella della croce, venga a mancare il segno più visibile dello spargimento di sangue: perché tale silenzio?

La motivazione si trova nelle scene che fronteggiano, sulla parete destra, quella della croce: sono tutte scene eucaristiche. Di fatto, in corrispondenza con la croce, si trova l'episodio dell'ultima cena, presentata in due fasi: quella di Gesù a tavola e quella della lavanda dei piedi. Anche in questo caso se, da una parte, i vangeli sinottici raccontano le parole dell'istituzione eucaristica (cf Mc 14,22-25 e paralleli), dall'altra, soltanto Giovanni sostituisce tale istituzione con il gesto simbolico della lavanda dei piedi (cf Gv 13,1-20).

Pertanto, tale corrispondenza sembra evidenziare che il valore sacrificale della morte di croce di Cristo trova comprensione soltanto nell'eucaristia, dove il sacrificio della croce è inteso a nostro favore o vantaggio. Dunque non soltanto la crocifissione di Cristo è praticamente incruenta, a Sant'Angelo, giacché porta i segni della risurrezione, tratto tipico della pietà bizantina, ma riscontra il suo senso più profondo nell'eucaristia e nel gesto della lavanda dei piedi: un gesto di comunione e di servizio per l'umanità.

L'importanza dell'eucaristia è confermata dal pannello, purtroppo in gran parte perduto, relativo alla moltiplicazione dei pani e dei pesci, che si trova ancora nella parte destra della navata centrale. D'altro canto la stessa istituzione eucaristica è anticipata, ancora in forma tipologica, dal pannello dedicato a Melchisedek, il sacerdote di Salem che offre non sacrifici di animali e cruenti, bensì pane e vino[13]. Il riferimento biblico è a Gen 14,17-20, con la narrazione dell'incontro tra Abramo e Melchisedek, ripreso in particolare dall'autore della Lettera agli Ebrei, per stabilire una relazione tipologica con il sacerdozio nuovo di Gesù Cristo: «Egli (Melchisedek) è senza padre, senza madre, senza genealogia, senza principio di giorni né fine di vita, fatto simile al Figlio di Dio e rimane sacerdote in eterno» (Eb 7,2-3).

Sino ad ora abbiamo evidenziato alcuni motivi tipologici che relazionano le scene dell'Antico a quelle del Nuovo Testamento. Tuttavia, proprio il motivo del sacrificio, costituisce nello stesso tempo la tematica allegorica principale che attraversa l'Antico Testamento per giungere al suo pieno significato nella cena del Signore. Si procede così dal sacrificio di Caino e Abele (cf Gen 4,1-4) a quello di Gedeone (cf Gdc 6,11-24)[14], dal sacrificio di Noè (cf Gen 9,1-17) a quello di Abramo (cf Gen 15,1-21)[15], dalla moltiplicazione dei pani (cf Gv 6,1-15 e paralleli)[16] all'ultima cena di Gesù che illumina il valore sacrificale della crocifissione[17] e che, a loro volta, rappresentano il livello più alto della visione sacrificale nella Bibbia.

L'ordito delle raffigurazioni sacrificali sembrano comunicare ai visitatori che, nel sacrificio di Cristo si adempiono, in pienezza, tutti i sacrifici dell'Antico Testamento. Forse è bene ricordare che ci troviamo in un periodo, lìquello Medievale, in cui si assiste ai grandi dibattiti teologici sul valore reale e sacrificale dell'eucaristia.

3. Quando e come visitare Sant'Angelo?

Nella scelta dei pannelli è possibile stabilire, a nostro avviso, anche il periodo privilegiato durante il quale visitare la nostra Basilica; per cogliere tale dimensione è necessario aver presente il ciclo liturgico della Parola di Dio.

Di fatto, non è un caso che occupino un posto di rilievo, nella navata centrale parete sinistra, il battesimo di Gesù (cf Mc 1,9-11), le tre raffigurazioni delle tentazioni di Gesù (cf Lc 4,1-13), la trasfigurazione (cf Lc 9,28-36), gli episodi pasquali dei discepoli di Emmaus (cf Lc 24,13-35) e l'apparizione del Cristo al lago (cf Gv 21,1-23), mentre nella parete destra della stessa navata siano rappresentate la samaritana (cf Gv 4,1-42), il cieco nato (cf Gv 9,1-41) e la risurrezione di Lazzaro (cf Gv 11,1-44). Durante le domeniche di Quaresima, corrispondenti al periodo privilegiato per l'iniziazione cristiana al battesimo, alla cresima e all'eucaristia, e di Pasqua, durante le quali occupano un posto privilegiato le catechesi mistagogiche o di approfondimento sul mistero cristiano, questi eventi non sono soltanto ascoltati ma diventano visibili per coloro che li celebrano.

Oggi siamo abituati a visitare Sant'Angelo quando siamo liberi da impegni: dovremmo visitarla soprattutto durante le domeniche di Quaresima, sino al Triduo pasquale, e in quelle del tempo di Pasqua, perché è soprattutto per questo periodo centrale dell'anno liturgico che è stata istoriata per educare alla fede e all'iniziazione cristiana i credenti.

Per questo, se non si può negare che gli episodi ritratti si riferiscano a tutti i vangeli, tenendo fede alla loro rappresentazione simbolica nell'abside della navata centrale, la magna pars di Sant'Angelo è occupata dal vangelo di Giovanni: quello più simbolico che educa i credenti a non leggere i bruta facta bensì a cogliere, in e per mezzo di essi, l'interpellante vicenda della storia della salvezza.

Di fatto, soltanto il quarto vangelo racconta gli episodi delle nozze di Cana, della samaritana al pozzo, del cieco nato, della risurrezione di Lazzaro, della lavanda dei piedi dei discepoli durante l'ultima cena, e della pesca miracolosa dopo la Pasqua. D'altro canto, abbiamo già evidenziato le connessioni tra la crocifissione di Sant'Angelo e la narrazione della morte di Gesù soprattutto in base alla narrazione del vangelo di Giovanni.

Un altro motivo dominante che attraversa e accomuna tutte le raffigurazioni di Sant'Angelo è quello degli “occhi”: si può notare come gli occhi di tutti i personaggi risultino sproporzionati rispetto alle altre parti del corpo. Sono occhi sereni, come quelli del crocifisso, ed occhi piangenti, come quelli delle pie donne, durante la passione; occhi interroganti, come quelli della samaritana ed occhi che riacquistano la vista, come quelli del cieco di Gerico; occhi socchiusi, come quelli dei discepoli nell'orto degli Ulivi, e spalancati come quelli di quanti partecipano alla risurrezione di Lazzaro.

L'insistenza sul motivo degli occhi segnala lo stupore o la meraviglia con cui si dovrebbe partecipare all'itinerario biblico di Sant'Angelo: è con gli occhi della fede che il filo conduttore del sacrificio eucaristico dovrebbe essere contemplato, altrimenti non diventa comprensibile alcuna transustanziazione o trasformazione del pane nel corpo di Gesù Cristo.

4. Conclusione

Una teologia simbolica è quella che l'ordito pittorico di Sant'Angelo propone ai visitatori: dove il simbolismo non astrae dalle vicende umane ma si va delineando attraverso la storia della salvezza. La teologia simbolica riscontra il suo centro focale nell'eucaristia, intesa come offerta di Cristo per noi, che illumina il valore sacrificale della morte di Gesù in croce.

D'altra parte, la stessa eucaristia, contemplata e vissuta attraverso la carità per gli altri, rappresenta il viatico o il pane del cammino di cui ci si dovrebbe nutrire, durante l'esistenza terrena per non essere collocati tra i malvagi bensì fra i giusti del giudizio finale della storia. Qui, troviamo la chiave di volta del ciclo pittorico di Sant'Angelo: la Parola contemplata, diventa pane spezzato per noi ed esige che, a nostra volta, diventiamo pane spezzato nel servizio per il prossimo.

L'intenzione ultima del ciclo consiste nell'educare alla fede, soprattutto attraverso l'ingresso strabiliante degli occhi, nel mistero: un mistero che ci unisce non alla divinità, sino a confonderci con essa, come nei culti misterici di Mitra o del mondo antico, bensì che ci unisce al corpo di Cristo e alla sua morte e risurrezione. La storia della salvezza, nella sua fondamentale unità dei due Testamenti, Antico e Nuovo, svolge il ruolo principale rispetto all'immersione dei credenti nei divini misteri.

Una catechesi in atto o visibile è quella di Sant'Angelo: e una catechesi per l'iniziazione e la mistagogia cristiana che riscontrano nell'eucaristia e nel battesimo i loro cardini principali. In tale istanza cogliamo la grande attualità del ciclo pittorico: i principali e recenti documenti della Chiesa italiana insistono, in particolar modo sulla "nuova evangelizzazione", attraverso l'iniziazione cristiana o la mistagogia. Forse si pretende troppo se si dà appuntamento a Sant'Angelo durante il periodo quaresimale e pasquale: non abbiamo molto tempo! Tuttavia, quando ci è dato di visitarla, non dimentichiamo che è per noi ed a noi, alla nostra fede e al senso dell'esistenza umana che la Basilica intende comunicare i misteri divini e, in particolare, il valore sacrificale e reale della morte e risurrezione di Gesù Cristo per noi.

Note al testo

[1] Per le questioni storiche e architettoniche della Basilica di Sant'Angelo in Formis sono molto utili gli Atti della I giornata di Studi 2001, raccolti da A. Ianniello (a cura di), Misteri e presenze. La civiltà di Sant'Angelo in Formis, Luciano, Napoli 2002. Per un'introduzione generale cf il bel volume con diverse riproduzioni pittoriche ad opera di G.M. Jacobitti-S. Abita, La Basilica benedettina di Sant'Angelo in Formis,ESI, Napoli 1992.

[2] Cf G. De Jerphanion, Le cycle iconographique de Sant'Angelo in Formis,in Le voix des Monuments,Paris 1930, 261-280.

[3] Cf V. Bindi, Sant'Angelo in Formis presso Capua e i suoi illustratori,in «Rassegna dell'arte» 17 (1917),12-24.

[4] Sull'ordito pittorico di Sant'Angelo in Formis resta valido e istruttivo il bel contributo di J. Wettstein, Sant'Angelo in Formis et la peinture médiévale en Campanie,Droz, Genéve 1960.

[5] Sull'angelologia di Sant'Angelo cf il contributo di F. Duonnolo, S. Angelo in Formis. Il tempio...la basilica...gli angeli. La Bibbia che parla attraverso le immagini,Lavieri, Aversa 2004.

[6] Cf C. Matarazzo, Il problema degli angeli e dei demoni nell'orizzonte filosofico-teologico del Medioevo. A margine del ciclo pittorico di Sant'Angelo in Formis,in A. Ianniello (a cura di), Misteri e presenze,cit., 69-104.

[7] Per un'introduzione all'ermeneutica biblica resta sempre valido il contributo di L. Alonso Schökel, Il dinamismo della tradizione,Paideia, Brescia 1970; cf anche H. De Lubac, La Sacra Scrittura nella Tradizione,Morcelliana, Brescia 1969.

[8] Riportato in Alonso Schökel, Il dinamismo della tradizione, cit., 23, insieme all'altro assioma sui quattro sensi: «Historia est fundamentum, allegoria aedificat fidem, tropologia aedificat mores, anagogia aedificat spem».

[9] Parete di fondo lato destro.

[10] Navata laterale: parete sinistra.

[11] Parete di fondo, lato destro.

[12] Navata laterale, parete sinistra.

[13] Navata laterale, parete sinistra.

[14] Parete di fondo della navata laterale, lato destro.

[15] Navata laterale, parete sinistra.

[16] Navata centrale, parete sinistra.

[17] Navata centrale parete destra.