Telemann & Brockes, Passione visionaria, di Alessandro Beltrami

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 20 /03 /2016 - 17:06 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo da Avvenire dell’11/3/2016 un articolo di Alessandro Beltrami. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sotto-sezione Musica classica nella sezione Arte e fede.

Il Centro culturale Gli scritti (20/3/2016)

Francoforte, 10 aprile 1716. Venerdì Santo. Fuori dalla Barfüsserkirche, la chiesa dei carmelitani scalzi, c’è una lunga fila di persone. Hanno tutti in mano un libretto di una ventina di pagine, stampato – con una cura tipografica esemplare – nei consueti caratteri gotici. All’ingresso due guardie ne verificano il possesso, come un moderno biglietto di ingresso. Il volume è la Passione di Cristo descritta nei versi di Barthold Heinrich Brockes, dentro li aspetta la traduzione in musica di Georg Philipp Telemann.

È una data importante sotto molti punti di vista. Non solo è uno dei primi concerti pubblici a pagamento, e forse anche il primo evento musicale caritativo della storia: i proventi, infatti, erano destinati al sostegno dell’orfanotrofio cittadino (dove era stata programmata l’esecuzione, spostata poi nella chiesa per l’afflusso di persone). Ma soprattutto è la data di nascita di un capolavoro, uno dei più grandi successi dell’epoca, replicato per anni in molte città della Germania: anche, almeno in parte, dallo stesso Bach a Lipsia. In Italia non è mai stato eseguito. Trecento anni dopo la Brockes Passion di Telemann risuonerà il prossimo 17 marzo a Milano, sotto le volte della chiesa di San Marco, grazie a Simone Toni, la sua orchestra Silete Venti! e le voci, tra le altre, di Miriam Feuersinger, Dan Norman, Raffaele Pe, Mauro Borgioni e Riccardo Pisani.

«Non è possibile disgiungere la musica di Telemann dalle parole di Brockes» spiega Simone Toni, che ha voluto il grande affresco come terza tappa del suo Progetto Passioni, che nei due anni scorsi ha portato a San Marco la Passione secondo Giovanni di Bach e il Messiah di Haendel (mentre una “digressione” discografia è costituita dalla recente pubblicazione dello Stabat Mater di Pergolesi per la Bottega Discantica). «La Passione di Brockes, pubblicata per la prima volta nel 1712, ha avuto un impatto impressionante sui musicisti. Sono stati almeno in quindici a musicarla: e tra i primi furono Telemann e Haendel, nello stesso anno. In area tedesca il testo è stato uno dei più musicati in assoluto. Il successo fu tale che nelle chiese di Amburgo, dove il poeta viveva, nelle Settimane Sante del 1718 e del 1719 ne vennero eseguite quattro diverse versioni in quattro diverse serate».

Lo stesso Telemann, nella sua autobiografia, ricorda che il libretto era «considerato dagli esperti come insuperabile». «È un testo di una potenza e di una violenza inaudite. Telemann ne è come soggiogato. E lo dice esplicitamente introducendo la sua partitura: se le lacrime che io verso leggendo questo testo, scrive l’autore, potessi trasformarle nelle lacrime di molti con la mia musica, se fossi capace di trasformare la parole di tuono in un suono di tempesta, non sarebbe merito mio ma merito della poesia di Brockes». Anche per questo Simone Toni ha voluto che il recupero “italiano” della Brockes Passion fosse completo, chiedendo a Quirino Principe di approntarne la prima traduzione, pubblicata per l’occasione.

Le Passioni bachiane, nel corso della storia, hanno schiacciato le altre, eseguite in occasione del Triduo pasquale nelle chiese della Riforma. «Eppure questa di Telemann è una vetta con pochi rivali. È una continua tempesta di suoni, che corrisponde alla tempesta delle immagini. Per questo era fondamentale tradurre anche il testo. In entrambi troviamo un approccio che stimola la nostra empatia. La musica è un susseguirsi di sconvolgimenti emotivi, capaci di portarti al pianto, di farti salire la rabbia, di svuotarti per la disperazione, di farti sciogliere per la dolcezza ». I personaggi dell’oratorio sono quelli dei Vangeli, con l’evangelista a narrare i fatti, a cui si affiancano, come un commento, le figure simboliche della figlia di Sion e l’anima credente.

«Telemann usa la timbrica orchestrale per colorare e far vibrare simbolicamente i diversi passaggi. Così accade nel momento in cui Pietro rinnega Gesù, o nelle arie di Giuda, o ancora nel miracolo sonoro quando, alla morte di Cristo in croce, si oscura. È uno spirito estremo che non troviamo – sostiene Toni – nelle passioni bachiane». Ed è un’impronta che si avverte subito. «La sinfonia si apre con delle note lunghe, dolorosissime, dell’oboe, che poi si trasformano in rabbia. C’è un Telemann devastato perché ha preso coscienza che il mondo ha ucciso il suo Dio. Mentre in Bach hai l’impressione che inizi un racconto, questa sinfonia sembra scritta a posteriori: come in un flashback, guardando la storia dal sepolcro».

Georg Philipp Telemann, contemporaneo di Johann Sebastian Bach, fu il musicista di maggior successo della sua epoca. Il suo nome oggi è conosciuto anche tra chi non è un esperto, eppure la sua musica non la si ascolta facilmente. «All’epoca era il musicista che incarnava la modernità. È stato un grande imprenditore: era anche editore, ha inventato una rivista musicale in cui ogni mese pubblicava un movimento di una sonata, di un quartetto, di suite per ensemble: così tu dovevi comprare il numero successivo per vedere come andavano a finire. Era il romanzo di appendice in partitura». Nella sua vita ha scritto migliaia e migliaia di pezzi. Solo i brani per la chiesa ammontano a circa tremila. Il catalogo strumentale è sterminato. «Ha scritto moltissima musica per così dire di consumo, per gli amateur. Lui sapeva scrivere per dare il piacere di suonare. In numeri così alti perdi il potere delle singole cose, e il mestiere vince. Ma nella Brockes Passion Telemann si trasforma. È un pezzo fuori da ogni schema, in cui emerge il genio. A fronte di una quotidianità che fruttava ma disperdeva il talento, qui nulla è comune, nulla è ridotto a mestiere. Un’opera visionaria».