La differenza fra le unioni civili e la famiglia nel ddl Cirinnà ed una proposta sulle “adozioni”, di Giovanni Amico

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 03 /02 /2016 - 11:38 am | Permalink | Homepage
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Mettiamo a disposizione sul nostro sito un articolo di Giovanni Amico. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per approfondimenti, vedi la sotto-sezione Famiglia, affettività e sessualità, omosessualità e gender nella sezione Carità, giustizia e annunzio. In particolare, cfr. Il ddl Cirinnà. Considerazioni giuridiche e non solo sulle unioni civili, di Andrea Lonardo e Dal ddl Cirinnà al Cirinnà bis. Dissimulare la questione delle adozioni è peggio: dall’articolo 14 al nuovo articolo 5, di Andrea Lonardo

Il Centro culturale Gli scritti (3/2/2016)

N.B. de Gli scritti Da più parti si è richiesta un’elaborazione propositiva e non solo critica sulla legislazione in merito alle unioni civili. Questo intervento provocatorio di Giovanni Amico, che mettiamo a disposizione su Gli scritti, intende essere non un testo definitivo, bensì uno stimolo ad aprire il dibattito in vista di scelte legislative aderenti alla vera condizione delle unioni civili e non, invece, ideologicamente condizionate.

La differenza fra le unioni civili e la famiglia nel ddl Cirinnà ed una proposta sulle “adozioni”, di Giovanni Amico

Non dobbiamo dimenticare che creando le unioni civili si intende creare dichiaratamente un istituto nuovo. Deliberatamente le unioni civili non sono famiglie. Se si fosse deciso di allargare il concetto di famiglia si sarebbe dovuto modificare l’articolo 29 della Costituzione. Si è scelto invece di avere da un lato la famiglia e dall’altro una nuova realtà: l’unione civile. Chiunque continua a ripetere che una volta che fosse approvato il ddl Cirinnà ci sarebbero diversi tipi di famiglie o non sa quello che sta dicendo o finge di non saperlo o ci sta dicendo che il governo ci sta deliberatamente prendendo per i fondelli.

Le unioni civili saranno, nel nostro ordinamento italiano, profondamente diverse dalle famiglie fondate sul matrimonio: lo si vede chiaramente, solo per fornire un esempio, dal loro essere proposte come qualcosa di light, di leggero, di non eccessivamente impegnativo, basato più sui diritti che sui doveri (e, quindi, conferenti poi minori diritti rispetto alla famiglia fondata sul matrimonio).

Si pensi, ad esempio, allo scioglimento delle unioni stesse. Mentre la costituzione di una famiglia è protetta da leggi più forti che prevedono che l’eventuale scioglimento non sia immediato, ma attraversi prima la separazione poi il divorzio, non così nel ddl Cirinnà, dove lo scioglimento delle unioni è molto più rapido.

Non solo l'eventuale scioglimento è più rapido, ma le responsabilità anche economiche in tal caso sono minori rispetto al matrimonio. Il ddl prevede che il mantenimento economico sia assicurato al partner dopo lo scioglimento per un “periodo determinato in proporzione alla durata della convivenza” (da stabilirsi da parte del giudice). La famiglia, invece, ha una diversa legislazione: immaginiamoci cosa succederebbe se si intendesse livellare l’istituto familiare sulle unioni e tutti i separati non dovessero essere più tenuti a sostenere economicamente la moglie – o viceversa  - se non solamente per un periodo determinato tanto più breve quanto più breve fosse stato il matrimonio.

Questo permette di ipotizzare una doverosa e diversificata legislazione sulla genitorialità, perché essa non sia ricalcata sul modello della famiglia, bensì aderisca alla realtà più leggera e comunque profondamente diversa delle unioni civili in relazione ai figli. Infatti, mentre nella famiglia un figlio è figlio parimenti di entrambi i coniugi e lo è senza alcuna distinzione fra i due anche se adottato: entrambi, infatti, lo adottano ed il bambino non è figlio naturale di nessuno dei due. Diversamente accadrebbe nelle unioni civili dove il figlio, secondo la proposta dell’articolo 5, sarebbe “figlio naturale” di uno e “figlio adottivo” dell’altro.

Sarebbe più corrispondente alla realtà una diversa denominazione che evitasse la terminologia di “figlio adottivo” e che chiamasse “padre” o “madre” il genitore biologico (sarebbe fra l’altro il genitore che dona il cognome) e conferendo un diverso nome alla seconda figura, quella detta impropriamente “adottante”: questo perché la relazione dei due contraenti l’unione con il figlio sarebbe diversa - e diversa anche rispetto alla famiglia basata sul matrimonio.

Potrebbe, ad esempio, essere chiamata “madre” la madre che ha portato nel grembo il figlio e “tutore materno” – o un termine equivalente - la compagna della madre. “Padre” potrebbe essere chiamato il padre che ha fornito al figlio il patrimonio genetico e “tutore paterno” il compagno del padre.

Una simile terminologia che non scimmiotti quella della famiglia sarebbe utile a tanti fini. Ne indichiamo qui due.

1/ In primo luogo aiuterebbe il figlio a situarsi. Il suo inconscio e via via la scoperta della somiglianza con il padre o con la madre reale gli permetterebbe di esprimere anche linguisticamente la maggiore rilevanza nella sua vita di una delle due figure che lo educheranno.

Al contempo, tale terminologia aiuterebbe il bambino a conserverà nella memoria che esiste realmente un padre o una madre dell’altro sesso, rispetto ai due con cui vive, anche se egli forse non potrà mai conoscere tale figura. Il racconto di diverse coppie omosessuali mostra che il bambino stesso desidera differenziare la terminologia con la quale si riferisce alle due persone che lo educano – non dimentichiamo mai che il bambino non è stupido e sa chi è il suo genitore reale e chi è il compagno del suo genitore. Solo per dare un esempio, conosciamo una situazione nella quale il figlio chiama “mamma” la madre nel cui grembo sa di essere stata portato e “mimì” la sua compagna.

La legge potrebbe riconoscere al partner che non è padre biologico un ruolo comunque importantissimo, riferendosi a lui come “tutore paterno” o “materno”, poiché la sua presenza in casa è un dato di fatto. Non si deve dimenticare che il fine della proposta legislativa sulle unioni civili è quello di regolarizzare la situazione, di conferire un orizzonte legislativo adeguato, di risolvere le questioni aperte con il realismo proprio del diritto, di indicare i comportamenti che debbono essere messi in opera. La legge deve così regolarizzare le situazioni già esistenti dove, talvolta, un figlio si trova già a vivere in casa con due uomini o con due donne e non si può fare finta che ciò non avvenga, pur senza mai scimmiottare l’istituto familiare.

La legge dovrebbe allora indicare i precisi diritti e doveri del “tutore”,  figura che sarebbe creata appositamente per il nuovo dispostivi legislativo delle unioni – garantendogli di intervenire in tutto ciò che riguarda il figlio come vero educatore del bambino insieme al genitore reale.

2/ La distinzione fra “tutore paterno” e “materno” sarebbe, in secondo luogo, di grande aiuto nei casi che si porranno certamente in essere di scioglimento delle unioni stesse, a volte anche con profonde liti e malumori. Una volta sciolto il vincolo, mentre le responsabilità economiche verso il figlio non cesserebbero da parte di nessuno dei due, è però giusto che la madre o il padre biologico abbiano un ruolo maggiormente significativo nella crescita del figlio.

Sarebbe assurdo, ad esempio, nel caso di uno scioglimento dell’unione avvenuto nei primissimi mesi di vita del bambino, pretendere che la madre che ha portato in grembo il figlio non abbia maggiori diritti (e doveri) rispetto alla sua compagna, con la quale ha interrotto il vincolo, e che è, però, “tutore materno” del figlio. Se le due donne avessero pari diritti, la madre non biologica potrebbe pretendere una relazone con il figlio assolutamente paritaria rispetto a colei che gli ha dato la vita. La libera scelta per il figlio di lasciare la madre biologica per il "tutore materno" potrebbe essere prevista solo dopo i 14 anni di età. Sotto i 14 anni, invece, una volta avvenuta una separazione, dovrebbe essere riconosciuta una maggiore responsabilità decisionale alla vera madre.

Il legislatore non si deve fare ingannare dai mielosi spot pubblicitari – vedi il recente Real Time – che vogliono con chiari intenti propagandistici presentare un’unione civile tipo “Mulino bianco”, con atmosfere da cuore-amore-batticuore. La vita di coppia, invece, è estremamente conflittuale, anche se appassionante, e così sarà delle unioni civili che non sono più pure di quelle familiari. Fra l’altro siamo a conoscenza di studi di avvocati che stanno già preparando giovani praticanti a rappresentare la parte omosessuale che chiederà un avvocato per difendere i propri diritti contro il compagno, una volta interrottasi l’unione civile.

Post scriptum

La diversificazione della terminologia proposta renderebbe più accettabile la situazione una volta che il Governo accogliesse ciò che da tante parti del paese si invoca e cioè un impegno convinto nella lotta contro la maternità surrogata, divenendo realmente un governo che lotta per i diritti dei più deboli e non un governo che difende implicitamente le multinazionali dell’industria scientifica produttrice di figli a scapito delle donne più povere del pianeta.

Se si passasse dalle parole ai fatti nella difesa dei diritti, come sta avvenendo in tante democrazie avanzate, l’aver avuto accesso alla maternità surrogata potrebbe diventare una condizione che potrebbe impedire dal punto di vista legislativo l’adozione. Chiamare “tutore paterno” il compagno del padre biologico, permetterebbe di avere a disposizione un escamotage per affrontare realisticamente la questione e non sottrarre un bambino ormai nato al padre biologico ed al suo compagno, come pure sarebbe teoricamente giusto fare da un punto di vista prettamente legislativo per il reato di grave entità compiuto dai due.

Post scriptum secondo

Ovviamente una tale revisione implicherebbe il ritiro del ddl Cirinnà ed una successiva rielaborazione dell’intera materia. La nostra proposta di revisione si basa ovviamente sulle parole pronunciate da diversi esponenti del governo in carica che hanno dichiarato più volte di non voler aprire la strada né all’adozione, né all’equiparazione delle unioni civili con il matrimonio.  Se tali parole dovessero invece rivelarsi false e, come molti sostengono, il ddl intendesse invece solo ingannare gli italiani per aprire un cuneo che poi permetta a ulteriore disegni di legge di equiparare famiglia e unioni, allora ogni discussione sarebbe inutile e resterebbe solo da trarre le conclusioni politiche di tale presa per i fondelli, prendendo le distanze dalla maggioranza di governo.