Edoardo Rialti spiega Tommaso Moro

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 24 /03 /2013 - 14:13 pm | Permalink | Homepage
- Tag usati:
- Segnala questo articolo:
These icons link to social bookmarking sites where readers can share and discover new web pages.
  • email
  • Facebook
  • Google
  • Twitter

Riprendiamo sul nostro sito il video – con una nostra libera trascrizione – dell’intervento con il quale il prof. Edoardo Rialti presenta la mostra “Il sorriso della libertà. Tommaso Moro, la libertà e il bene comune”. Il video tratto da YouTube reca la data del 9/1/2012 e la paternità della Fondazione Costruiamo il Futuro. La mostra è stata esposta a Milano, presso la Pinacoteca Ambrosiana. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (24/3/2013)

 

Tommaso Moro 
(Holbein il giovane, 1527)

Sono molto contento come curatore della mostra “Il sorriso della libertà: Tommaso Moro, la politica e il bene comune” di darvi una sorta di introduzione generale. Per vostra fortuna è anche breve.

La mostra è strutturata fondamentalmente intorno a un concetto, a un’esperienza, un’espressione fondamentale che è la parola “amicizia”. Se voi percorrerete la mostra, noterete che è la parola con la quale s’introducono le tre sezioni fondamentali della mostra: la prima che si chiama “L’amico del mondo”, la seconda che si chiama “L’amico del re” e la terza che si chiama “L’amico di Dio”. Questi tre cerchi concentrici sono i tre grandi ambiti della vita e dello sguardo di Tommaso Moro.

Tommaso è stato sempre e anzitutto un amico, un amico del suo tempo ed è questo quello che noi vogliamo raccontare nella prima parte della mostra: la sua formazione, la sua cultura, i suoi studi a Oxford, il suo diventare avvocato, giudice commissario di pace, brillante commentatore di grandi testi che intrecciavano con sapienza la politica, la filosofia e la teologia, come la Città di Dio di Agostino, il fondamentale testo con il quale la cristianità ha discusso del rapporto tra la città degli uomini, il vivere insieme, e la città di Dio; il rapporto che c’è tra il tempo e l’eternità; tra le aspirazioni degli uomini e la loro declinazione nella vita di tutti i giorni.

Nella prima parte raccontiamo come Tommaso Moro è stato padre di famiglia affettuoso, esigente e contemporaneamente dolcissimo e molto avanti con i tempi rispetto alla cultura nella quale si trovava. Pensate, Tommaso ha voluto che tutte le sue figlie, anche le ragazze, imparassero non soltanto il latino, ma il greco; che tutti i suoi figli studiassero astronomia e li ha seguiti con dedizione, amore e contemporaneamente il costante senso dell’umorismo che ha caratterizzato tutta la sua vita. Questa parola “umorismo” è qualcosa sulla quale poi voglio spendere qualcos’altro in conclusione.

Raccontiamo nella prima parte l’inizio della sua vita pubblica e il suo rapporto con Erasmo da Rotterdam, l’altro grande umanista convinto e desideroso di riformare la Chiesa dall’interno stesso della Chiesa, non con drammi e con lacerazioni esterne. Tommaso, che fu un umanista a tutto tondo, come Erasmo era convinto che la conoscenza del greco, un approfondimento filologico, l’incontro con le nuove discipline, i nuovi metodi della critica, potessero essere soltanto a favore anche di una ri-sottolineatura maggiore di quanto era già stato ribadito nei secoli precedenti dalla grande cultura cristiana. Tommaso è stato un uomo integrale, ma non è stato un integralista.

Egli, nel momento in cui Erasmo da Rotterdam fu accusato da molti teologi del suo tempo perché diceva che non si può fare critica e studiare la Sacra Scrittura senza conoscere il testo originale, a sua volta ribadirà una frase veramente importante: «Anch’io preferisco discutere basandomi sulla ragione, piuttosto che sull’autorità». Tommaso non ha mai rifuggito i dibattiti del suo tempo. È stato appunto un umanista a tutto tondo.

Nella prima parte poi raccontiamo anche il suo diventare giudice di pace, vicesceriffo di Londra trovandosi in una delle fondamentali caratteristiche di tutta la sua vita: contemporaneamente a essere mediatore tra il popolo e il re. Fu lui, infatti, che si trovò a dover fronteggiare la rivolta dei londinesi contro i mercanti stranieri. Shakespeare che collaborò ad una tragedia su Tommaso Moro, di cui noi abbiamo qui riproposto alcuni versi ritraducendoli, immagina il momento in cui Tommaso ferma la folla ebbra di sangue con la frase che è la frase fondamentale da sempre per il superamento dell’odio nell’immedesimazione con l’altro: «Provate per un istante a diventare i vostri nemici!».

Questo è quello che il Tommaso Moro di Shakespeare chiede alla folla: provate per un attimo ad essere voi coloro che state perseguitando. E contemporaneamente, oltre ad aver placato la folla, Tommaso si trovò a implorare clemenza da parte del re. Sono gli stessi anni nei quali Tommaso compie uno dei gesti fondamentali della sua attività come uomo politico. Chiede espressamente al re che chiunque nella Camera dei Comuni si troverà a parlare con lui possa esprimere liberamente il proprio parere senza temere ripercussioni. È la prima, fondamentale attestazione in epoca moderna della libertà di parola. Ancora oggi, stiamo vivendo sull’onda d’urto di questa straordinaria e fondamentale conquista politica e culturale.

Nella seconda parte raccontiamo lo stringersi del rapporto tra Tommaso e il suo re. Enrico VIII che non era assolutamente il satiro tenebroso degli ultimi anni della sua vita con la gamba gonfia per la sifilide in suppurazione, dopo una serie di matrimoni uno più farsesco dell’altro. Enrico quando diventa re, succedendo al fratello che muore improvvisamente, era veramente la speranza del suo tempo. Era poliglotta, colto, straordinario musicista.

Se dovessi indicare il cuore visivo della mostra è uno dei pannelli centrali: quello che racconta il rapporto fra Tommaso e il re. Questo re che lo vuole prima nel suo consiglio privato e poi, addirittura, lo vorrà cancelliere d’Inghilterra.

Il genero di Tommaso racconta che a fine giornata di lavoro il re chiamava di nuovo Tommaso e insieme andavano sulle terrazze a guardare insieme le stelle, a chiacchierare e a discutere. Non si vede la tragicità, la grandezza e il dramma della loro vicenda se non si vede, innanzitutto, un giovane re che la sera dopo cena si trova con un amico sotto le stelle a parlare. Perché questo è quello che in fondo Tommaso ha sempre fatto con tutto e con tutti. È stato un uomo che ha invitato gli altri a tenere lo sguardo alzato.

Questo è quello che ha fatto nei dibattiti culturali del suo tempo nei quali lui si è gettato a capofitto, convinto che non ci sia interrogativo reale, che non possa incontrare la verità, se la verità c’è ed è più grande di noi; la capacità che ha avuto di gettarsi nell’agone politico con una dedizione costante e al tempo stesso uno straordinario senso dell’umorismo.

Quando diventò uno degli uomini nel consiglio privato del re e il genero parlò con lui commentando la sua fortuna gli disse: «Stai pur tranquillo che se la mia testa dovesse servire al re per conquistare un castello il re la farebbe cadere tranquillamente!» Come si può così tanto sorridere su di sé?

L’umorismo, che era una caratteristica assolutamente british e Tommaso era un uomo fondamentalmente “britannico” in tutti i sensi, però risiede in una profondità che non è soltanto caratteriale, ma mi verrebbe da dire è proprio conseguenza dello sguardo culturale e filosofico di Tommaso. Tommaso sapeva bene che si può sorridere di sé e degli altri soltanto nella misura in cui respiriamo una misura più grande di noi stessi. E allora possiamo anche prenderci in giro, come se uno fosse un asteroide che ruota intorno a un pianeta, ma bisogna che ci sia uno spazio più grande del pianeta perché qualcosa possa girarci attorno.

La parte conclusiva della mostra racconta gli anni drammatici del divorzio di Enrico VIII da Caterina d’Aragona, per poter avere finalmente un erede maschio dalla sua nuova amante Anna Bolena. Tommaso, che accompagna il re all’inizio in quella che veniva chiamata la “grande questione del divorzio”, gli dice che in coscienza lui non è d’accordo, non può accompagnarlo in quella che per lui è una menzogna: se la Chiesa Cattolica, nella figura del papa, non concede il divorzio, separarsi da Roma. Tommaso dice: «Questa è una strada nella quale io non ti posso seguire».

Enrico inizialmente gli dirà: «Io ti chiedo di essere fedele servitore mio, ma di Dio prima di me. Quindi io non ti chiederò più, non ti turberò più su questa cosa. Ti chiedo soltanto di non contrastarmi pubblicamente». Ma, nel momento drammatico poi dello scisma, quando Tommaso rassegna le sue dimissioni, apparentemente  per salute, ma proprio per tutelare la sua coscienza e contemporaneamente non seguire il re in quello che per lui è una strada sbagliata, il silenzio di Tommaso si farà sempre di più clamore insopportabile.

Dovete capire due cose importanti. La prima è che questo è un passo drammaticamente sinistro. Socrate fu processato per quello che aveva detto. Chi di voi fa storia della filosofia lo conosce bene. Tommaso Moro è stato processato per il suo silenzio. È come se il potere aggravandosi, ampliandosi, diventando assoluto - come di fatto diventò assoluto il potere di Enrico VIII che diventò una vera e propria teocrazia, non c’è più la separazione fra Cesare e Dio, Cesare diventa di nuovo Dio o diventerà rappresentante di Dio sulla terra, per essere più precisi - non tollera più neanche più il silenzio.

Tommaso viene processato perché deve assolutamente firmare, come tutti gli altri inglesi, l’atto di successione, l’atto di supremazia nei quali non soltanto si ribadisce la legittimità dalla prole avuta dalla nuova regina Anna Bolena, ma si riconosce che il re è il capo supremo della Chiesa in Inghilterra, è il papa in Inghilterra. Tommaso non firma e contemporaneamente si rifiuta di dire perché non vuole firmare fino al momento nel quale processato e accusato con un processo farsa nel quale verranno tirate fuori delle testimonianze che erano menzognere, condannato a morte dirà quello che pensa.

Questo è un momento significativo perché Tommaso dice due cose: l’atto del parlamento, con il quale il re viene proclamato capo supremo della Chiesa, è in contrasto con le leggi della Chiesa. E fin qui questa potrebbe essere la posizione di un cattolico come Tommaso su cui uno può essere d’accordo o non d’accordo. Ma poi lui fa un altro passo e aggiunge: «E oltretutto è assolutamente contraria alle leggi costituzionali del nostro paese, alla Magna Carta, quella che era stata strappata a Giovanni Senzaterra, nella quale una delle grandi conquiste del diritto britannico inglese si era stabilito che la Chiesa Anglicana deve essere libera: “quod Anglicana ecclesia libera sit”».

Quello che Tommaso dice è che l’atto che Enrico sta compiendo è un atto che va contro la tradizione più schiettamente britannica del suo stesso paese. È questa la posizione di Tommaso, che sarà un uomo che si contrapporrà in maniera sempre ferma senza odiare nessuno.

Tommaso non ha mai odiato il suo re. Lo ha amato e lo ha cercato di servire fino alla fine. Talmente tanto che morendo dirà ai suoi avversari e ai suoi giudici: «Io mi sento come santo Stefano che muore martire nel momento in cui Paolo di Tarso teneva i mantelli, essendo d’accordo con coloro che lo stavano lapidando, assistendo all’esecuzione. E adesso, dopo tanti anni, tutti e due sono santi insieme in Paradiso. Così anche io mi auguro che voi giudici della mia condanna possiate un giorno essere con me in Paradiso e fare festa assieme». Tommaso non ha odiato neanche coloro che lo hanno condannato a morte.

Quando salirà sul patibolo dirà, dopo avere ancora una volta sorriso con la libertà misteriosa che gli era propria, salì i gradini del patibolo, fu sorretto da una guardia perché inciampò e disse: «Grazie, poi a scendere purtroppo ci penso da solo!» E poi aggiunse: «Io muoio da fedele servitore del re, ma di Dio prima di lui». Ricordando al re la frase con la quale il re gli aveva garantito la libertà di coscienza quando era diventato cancelliere d’Inghilterra.

Quel colpo d’ascia doveva essere la fine. Tommaso doveva morire come tutti gli altri. La sua testa fu esposta sul ponte di Londra, quello stesso ponte di cui lui si era occupato del mantenimento come vice-sceriffo tanti anni prima. E invece paradossalmente la sua voce ha continuato a crescere: è stato come un sasso gettato in uno stagno. Talmente tanto che addirittura è diventato patrono dei politici e degli statisti per la Chiesa Cattolica. Beato per la stessa Chiesa Anglicana che aveva così fortemente contrastato nel suo nascere e ha riscosso l’ammirazione di personalità straordinarie della politica contemporanea.

Uno dei documenti più importanti, che vi consiglio di considerare attentamente nel catalogo, è quello che [riporta quanto] Winston Churchill, l’uomo che ha tenuto testa a Hitler e ha permesso di fatto all’Inghilterra di non essere invasa dall’invasione nazista, ha detto di Tommaso, lui che non era assolutamente un cattolico, ma che ha riconosciuto nella posizione di Tommaso, nella sua dedizione come statista e nella sua fermezza su alcuni principi irrinunciabili contro lo stato assoluto, degli elementi fondamentali sui quali vale la pena continuare a riflettere.