La creazione (Genesi 1-3) nella catechesi, di Andrea Lonardo

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 14 /10 /2012 - 15:00 pm | Permalink | Homepage
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Presentiamo sul nostro sito tre testi di Andrea Lonardo, scritti per aiutare i catechisti a presentare Dio Creatore e Padre nella catechesi a partire da Genesi 1-3.

Il Centro culturale Gli scritti (14/10/2012)

Indice

1/ Presentare la storia della salvezza ai bambini: piacque a Dio rivelare se stesso

Prima di presentare ai bambini le singole tappe della storia della salvezza, se ne presenterà il significato e le sue tre tappe più importanti, in questo modo.

Si sottolineerà innanzitutto che l’uomo ha sempre cercato di conoscere Dio. L’uomo vuole “bucare” le nubi. Vuole sapere se esiste una speranza, se Dio esiste e qual è il suo volto. Per questo l’uomo, unica fra le creature, cerca Dio con la sua libertà. Attraverso la scienza, la filosofia, la poesia, l’arte, cerca di conoscere la verità su Dio e sulla vita. Dall’uomo preistorico, passando per le civiltà dei grandi popoli antichi (egizi, assiro-babilonesi, greci, etruschi, romani), arrivando a tutti i popoli a noi contemporanei, noi vediamo questa ricerca propria dell’uomo.

Ma l’uomo si è presto accorto che, con tutta la sua sapienza, non riesce a conoscere Dio. Perché anche Dio è libero. Solo Lui può rivelarci se stesso. Noi non possiamo conoscerlo, se Egli non si fa vicino a noi.

Ma a Dio “piacque” venirci vicino e rivelare se stesso. Egli scelse di rivelarsi al più piccolo dei popoli della terra, al popolo ebraico. E poi di farsi carne in Gesù, perché noi potessimo vedere il suo volto. Ci rivelò così che tutta la storia è stata da Lui voluta perché gli uomini potessero divenire suoi amici.

Per capire il suo disegno di amore si presenteranno ai bambini innanzitutto i tre momenti essenziali di questa storia, per approfondirli nei particolari solo successivamente.

Primo momento: la creazione.

Dio ha creato il mondo e l’uomo. Se l’uomo non fosse stato voluto e pensato da Dio fin dal principio, non avrebbe senso parlare di storia della salvezza. La Chiesa ama la scienza e le sue scoperte. Moltissimi scienziati sono cristiani. Ma la Chiesa ha saputo per la rivelazione stessa di Dio attestata nelle Scritture che è stato Lui stesso a dare all’energia ed alla materia quelle leggi che le governano e che hanno permesso lo sviluppo del cosmo intero.

Secondo momento: l’Incarnazione.

Dio ha voluto, dopo aver preparato nella storia del popolo ebraico questo momento, venire personalmente in mezzo a noi. Noi abbiamo visto il suo volto, noi lo conosciamo. Perché in Gesù noi scopriamo l’amore stesso di Dio. Solo Gesù ci mostra il vero Dio. Ma questa verità non ci spaventa perché Egli è il Dio che si fa bambino e che si lascia crocifiggere per amore.

Terzo momento: la parusia.

Con l’Incarnazione la storia non si è arrestata. Dio ha voluto che Gesù desse inizio alla sua Chiesa perché attraverso di essa e attraverso i suoi sacramenti ogni uomo potesse incontrare il Signore risorto e vivente. La storia cammina, quindi, ora verso la parusia, cioè verso la venuta definitiva di Cristo. Quel giorno il male sarà definitivamente vinto e con esso la morte. Per questo viviamo il presente con fiducia, sapendo che tutto ciò che viene fatto nel tempo in comunione con l’amore di Cristo sarà salvato nel giorno della sua venuta: quel giorno si rivelerà che Egli è stato presente in ogni istante della storia.  

Solo la presentazione congiunta di questi tre momenti aiuterà i bambini a comprendere che il tempo ha un significato, che non veniamo dal nulla, che non andiamo verso il nulla e che Dio si è ormai rivelato. Si passerà poi ad approfondire i singoli momenti. Ma, nel presentarli, si tornerà a questo schema, di modo che i bambini possano abituarsi ad esso e interiorizzarlo.

N.B. Per ulteriori approfondimenti su questo, vedi l’articolo La storia della salvezza nella catechesi. Rileggendo Sofia Cavalletti, di Andrea Lonardo.

2/ Dio Creatore perché Padre (per la formazione dei catechisti)

I testi di Genesi sono i più belli ed importanti che siano mai stati scritti prima dei Vangeli. Perché la creazione è il primo pilastro della storia della salvezza. Senza la creazione l’Incarnazione e la salvezza non avrebbero alcun significato. Dovunque si è rappresentata nei secoli la storia di Cristo al suo fianco è stata rappresentata la storia di Adamo, a partire dalle parole di Gesù e dall’insegnamento di San Paolo. È sommamente importante oggi tornare a far risplendere nella catechesi i testi di Genesi, perché l’uomo possa ricevere l’annunzio del Dio Creatore e Padre, senza il quale non potrà mai capire chi è Gesù Cristo.

1/ Dio è Creatore e Padre perché ha creato l'uomo molto buono

Dio è Creatore e Padre perché ha voluto l'uomo sommamente differente da tutte le altre creature. Il testo ebraico lo sottolinea innanzitutto mettendo in rilievo il posto dell'uomo nel progressivo “sviluppo” della sua opera creatrice.

Nel primo capitolo l'uomo è creato per ultimo: egli viene all'esistenza dopo che tutte le altre creature già sono state create, nel sesto giorno. Solo dell'uomo e di nessuna altra creatura si dice che era “molto buono” - si potrebbe tradurre l'ebraico tov meod anche con “molto bello” e non solo “molto buono”.

Nel secondo capitolo, invece, si dice che l'uomo è stato creato per primo, prima delle piante e prima degli animali, come prima creatura. Dio lo vuole prima di tutto.

Ora questa apparente opposizione[1] - l'ultima delle creature, la prima delle creature - insegna innanzitutto che già il popolo ebraico, conservando i due capitoli uno dopo l'altro, era consapevole, ben prima delle moderne scoperte scientifiche, che Genesi non intendeva fornire una descrizione scientifica dell'origine dell'uomo, altrimenti uno dei due racconti sarebbe stato eliminato.

Le due opposte presentazioni di Genesi sono state conservate perché hanno il fine di sottolineare, ognuna a suo modo, la straordinarietà dell'uomo. Anche nella vita quotidiana si presenta, talvolta, per ultimo ciò che è più bello e atteso: si preparano, ad esempio, tanti doni per un bambino e quello che desidera di più glielo si offre per ultimo, perché si meravigli. Oppure si lascia l'angolo più saporito di un cibo alla fine, perché lasci più a lungo il suo gusto.

Altre volte, invece, si mostra subito la cosa più bella, ad esempio, portando da un viaggio il regalo che si sa gradito a chi si ama o si telefona per comunicare la notizia più bella di una nuova nascita non appena si riesce a comunicare con l'altro.

Genesi 1 e 2 vogliono affermare non un mito, bensì una verità per immagini: l'uomo è la creatura più bella, più buona che Dio Creatore e Padre ha voluto. L'ha amata da sempre, tutto ha voluto in vista di lei: essa è il culmine del creato.

Il messaggio biblico su Dio mostra qui la sua novità proprio al nostro contemporaneo che non crede più nella bellezza unica dell'uomo. Trova Dio nella natura, ma non nel viso di un uomo o di una donna. L'uomo ha difficoltà, soprattutto, a credere alla propria bontà e bellezza. Ed, invece, egli è un capolavoro. Dio «ci ha scelti - afferma la lettera agli Efesini - prima della creazione del mondo» (Ef 1,4)!

2/ Nella rivelazione ebraica Dio è Creatore e Padre perché forma l'uomo con il suo corpo

Uno dei drammi della cultura contemporanea è la riduzione dell'uomo alla sua dimensione animale - è uno degli aspetti della cosiddetta questione antropologica. Si ipotizza infatti che l'uomo sia solamente un animale molto complesso ed evoluto, ma pur sempre una “macchina” sottoposta a leggi deterministicamente stabilite. Si pensi a quanto è frequente leggere sui quotidiani che l'affettività umana sottostà come quella degli animali ad un istinto o a meccanismi che lo portano dopo un determinato numero di anni a lasciare il coniuge per una nuova avventura. Il contesto odierno permette ancor più di far risaltare il messaggio che il popolo ebraico, ispirato da Dio, ha voluto trasmettere al mondo.

Certo, gli autori ebrei di Genesi non nascondono che l'uomo è radicato nella materia. Il primo capitolo di Genesi non stabilisce per l'uomo nemmeno un giorno proprio: l'uomo è, per certi aspetti, talmente simile agli animali, da non avere un giorno proprio di origine. Nel sesto giorno egli viene creato insieme agli altri animali.

La stessa sottolineatura è offerta dal secondo capitolo di Genesi: lì l'uomo è tratto dalla polvere - Adam, tratto dall'adamah, la terra, la polvere, il fango, vuol dire propriamente “terroso”, “polveroso”, “fangoso”.

Questa verità risplende nella necessità dell'uomo di prendere cibo ogni giorno: egli non ha la vita una volta per sempre, ma deve riceverla ogni giorno di nuovo, bevendo e mangiando. Basta così poco a se stesso che se smettesse di alimentarsi giungerebbe in brevissimo tempo alla morte. Allo stesso modo l'amore fra creatura e creatura passa attraverso la cura del corpo, del cibo, della salute, della formazione: un uomo ed una donna non possono dire di amarsi se non si curano della bontà della cucina o della qualità del luogo in cui vivono.

Dio è Creatore e Padre innanzitutto perché ha creato l'uomo nella sua vita materiale, sempre bisognoso della divina provvidenza e dell'intera creazione per continuare a vivere.

3/ Dio è Creatore e Padre perché dona all'uomo di poter dialogare con lui: gli dona un'anima

Questa grandezza dell'uomo consiste proprio nella capacità che egli ha di dialogare con Dio, di cercarlo, di volerlo incontrare ed amare.

Genesi 1 esprime questa unicità dell'uomo affermando che solo egli è fatto ad immagine e somiglianza di Dio.

Genesi 2 la esprime dicendo che solo nell'uomo Dio soffiò il suo “spirito”. A sua volta la tradizione cristiana ha cercato di rappresentare in modo unitario questa natura spirituale dell'uomo: in maniera insuperabile, come il migliore commento a Genesi che sia mai stato scritto su questo punto, Michelangelo ha rappresentato la creazione dell'uomo nel gesto di Dio che con il suo dito comunica ad Adamo la vita umana, quasi sfiorando la sua mano.

Noi possiamo intuire cosa sia questo principio spirituale che chiamiamo “anima” alla nascita di un bambino. Quante volte i genitori, prendendolo in braccio per la prima volta, esclamano: “Come è possibile che lo abbiamo fatto da soli?”, avvertendo che Dio stesso era presente al momento del suo concepimento.

Anche nel ricordo dei nostri morti, la nozione di anima ci soccorre: essi, pur in attesa della resurrezione del loro corpo, sono vivi in Dio, per la loro anima, e possono pregare per noi e noi per loro.

Ma è l'intera vita umana che fa sorgere continuamente la consapevolezza che l'uomo non è solo materia, proprio perché Dio è Creatore e Padre di ogni singolo uomo.

L'uomo è costitutivamente “capax Dei”, cioè fatto per Dio, desideroso di giungere alla verità ed all'amore, anche se non può darsi tutto questo da solo, ma deve attendere che sia Dio stesso a fargli dono di Se stesso. L'uomo è l'unica creatura terrena che può adorare o bestemmiare. È l'unica che chiede il perché ed il senso di ogni cosa. È l'unica creatura libera che può amare chi la odia ed odiare chi la ama. L'uomo è come un pesce che vive nell'acqua, ma al contempo si solleva sull'acqua e si osserva mentre nuota domandandosi che senso abbia quel nuotare!

Non è vero che c'è un anello piccolissimo fra noi e l’ultima delle scimmie. È vero piuttosto che c'è un anello mancante immenso fra noi e le scimmie, mentre l'anello che divide noi dall’uomo primitivo è piccolissimo: anch'egli, infatti, piangeva i suoi morti e pregava per loro, anch'egli cercava con l'arte ed il pensiero di “bucare le nubi” e conoscere la verità ed il senso della vita.

Guardando all'uomo ed alla sua vita spirituale si comprende che cosa vuol dire che Dio è suo Creatore e Padre.

4/ L'uomo è fatto per Dio: il riposo del sabato

Che l'uomo sia fatto per Dio emerge anche dalla scansione di Genesi 1 che si basa sullo schema settenario dei giorni. La creazione non si arresta all'uomo, ma giunge al “riposo”!

Il rito, il tempo liturgico è - si potrebbe dire - la prima cosa che la Bibbia sottolinea, fin dal suo inizio: non viene dopo, al momento dell'ingresso nella Terra Santa o quando viene eretto il Tempio. No, la liturgia è la prima cosa. Perché l'uomo, tramite il rito, può trovare Dio. L'uomo non è fatto solo per essere compartecipe della creazione con Dio, l'uomo non è solo fatto per il lavoro, bensì è fatto per la lode, per il ringraziamento.

Dio crea, ma soprattutto gode di ciò che ha creato. Egli si “ferma” per contemplare l'opera sua e trovarla buona e gioirne. Dicono i maestri ebrei che proprio qui si manifesta la suprema libertà di Dio che non è solo quella di “fare”, ma anche quella di “cessare” per gioire.

All'uomo, immagine di Dio, è dato di potersi riposare a somiglianza del suo Creatore. Ed il riposo non è semplice cessazione del lavoro per una distrazione effimera e passeggera. Molto più è riscoperta, attraverso il rito celebrato nella fede, che niente di ciò che è fatto secondo la volontà di Dio andrà perduto, perché la provvidenza divina è in grado di far fruttificare nel centuplo e per l'eternità il bene.

La Chiesa, istruita dalla resurrezione di Gesù, ha compreso che il sabato trova il suo compimento nel “giorno del Signore”: il giorno di Pasqua diviene evidente che tutto ciò che esiste non è fatto per la morte, ma per l'eternità di Dio. Quel giorno redime e conferisce significato a tutte le fatiche dell'uomo sulla terra. Per questo se ci si dimentica di “santificare le feste”, si cade in peccato mortale: regna la morte, infatti, dove la speranza della fede non illumina più il cammino. 

5/ Dio è Creatore e Padre dell'uomo e della donna

La Bibbia mostra inoltre l'enorme dignità dell'essere uomini o donne, chiamati ad amarsi. Genesi 1 e 2 ne parlano in maniera simmetrica e complementare.

Nel primo capitolo si dice che Dio «maschio e femmina li creò». La dignità dell'identità sessuale e della corporeità maschile e femminile è stata voluta da Dio stesso. Egli ci ha voluto maschio o femmina, perché amassimo noi stessi e perché amassimo l'altro esattamente così come è.

Il secondo capitolo afferma che non è bene per l'essere umano essere solo: la solitudine è esattamente la condizione nella quale l'uomo non può vivere bene! Fra tutti gli animali l'uomo non trovò nessuno che gli fosse simile.

Allora Dio fece addormentare l'uomo. È proprio l'esperienza di ogni amore vero: esso è sempre uno stupore. È come se fossimo destati da un torpore. La presenza dell'altro ci stupisce, perché non siamo stati noi a generare l'altro. L'amore può essere inteso solo come miracolo. L'altro mi ama liberamente, senza che sia io a “costruire” il suo amore: quell'amore posso solo accoglierlo e rendere grazie all'altro che mi vuole bene.

Genesi 2 prosegue affermando che la donna fu tratta dalla costola dell'uomo. I rabbini ebrei, grandi interpreti della Scrittura, hanno insegnato alla Chiesa a leggere correttamente questo passo, spiegando: «Perché Dio plasmò dalla costola e non dalla testa? Per evitare che la donna dominasse l’uomo. Perché non dal piede? Per evitare che l’uomo la dominasse. Dalla costola, perché avessero pari dignità».

Infatti in ebraico il termine tzelà non vuol dire solo costola, ma anche fianco. Mentre Dio ed i suoi angeli stanno al di sopra dell'uomo e gli animali sono inferiori all'uomo, ecco che solo la donna sta al suo fianco. L'uomo e la donna, fianco a fianco, camminano amandosi.

Proprio per questo il rapporto con la donna, una volta che avverrà il peccato, sarà anche così difficile oltre che tanto desiderato. È molto più facile, infatti, avere un rapporto con qualcuno che ci è inferiore, come un animale, ma la donna è per l'uomo - e viceversa - qualcuno che lo tocca nel fianco, che lo tocca nel vivo della sua carne e del suo cuore.

6/ Genesi demitizza testi precedenti e spalanca la via alla scienza

Genesi non è un testo mitologico, bensì un testo de-mitologizzato. Gli autori dei racconti della creazione si espressero utilizzando immagini che erano abituali al loro tempo – si pensi all'Epopea di Gilgamesh o all'Enuma Elish, poemi di origine mesopotamica nei quali si narra in modo mitologico la creazione di tutto ciò che esiste – ma le spogliarono dei riferimenti al politeismo di quei popoli, per rileggerle alla luce della fede nell'unico Dio.

La diversità dei due racconti di Genesi 1 e 2 aiuta a comprendere che già il popolo ebraico non lo prendeva alla lettera, altrimenti avrebbe omesso una delle due versioni così diverse: l'insistenza su alcuni aspetti dimostra come Israele ha sempre ritenuti veri quei testi, capaci di dire la verità su Dio, sulla creazione e sull'uomo, attraverso immagini teologiche e poetiche. Sant'Agostino diceva che non gli interessava tanto ciò che dice l'ebraico, l'aramaico e o il greco, bensì se Dio avesse creato veramente il mondo: «Fammi udire e capire come in principio creasti il cielo e la terra. Così scrisse Mosè, così scrisse, per poi andarsene, per passare da questo mondo, da te a te. Ora non mi sta innanzi. Se così fosse, lo tratterrei, lo pregherei, lo scongiurerei nel tuo nome di spiegarmi queste parole [...] Dentro di me piuttosto [...] la verità, non ebraica né greca né latina né barbara, mi direbbe, senza strumenti di bocca e di lingua, senza suono di sillabe: "Dice il vero". E io subito direi sicuro, fiduciosamente a quel tuo uomo: "Dici il vero". Invece non lo posso interrogare; quindi mi rivolgo a te, Verità, Dio mio, da cui era pervaso quando disse cose vere; mi rivolgo a te: [...] concedi anche a me di capirle» (Confessioni XI,3.5).

Genesi invita a pensare la creazione non come un atto semplicemente puntuale. Da un lato Dio ha creato tutto dal nulla, come specificherà ulteriormente il secondo libro dei Maccabei (2 Mac 7,28). Ma dall'altro, Dio è Creatore anche perché Egli tiene sempre l'intero creato nelle sue mani. Egli crea continuamente e governa tutto con la sua provvidenza. Egli è Creatore perché Padre, Egli crea perché ama e, per questo, non abbandona mai l'uomo a se stesso ed ai suoi errori.

Se Dio non fosse il Creatore, il mondo non potrebbe che essere legato solo a fredde leggi meccaniche, oppure nelle mani del cieco caso: tutto si svilupperebbe senza significato e sarebbe destinato a tornare nel nulla: nessuna esistenza individuale avrebbe ultimamente alcun significato, bensì sarebbe irrilevante.

Il Dio Creatore e provvidente, invece, non esclude l'evoluzione della materia e delle forme di vita che la scienza sempre più rivela. Anzi proprio il cristianesimo è all'origine della ricerca scientifica, grazie alla de-mitizzazione degli antichi testi mitologici che ha operato.

Ed, in effetti, molti degli scienziati che hanno fatto storia sono stati cristiani. Si pensi a Copernico, a Galilei e a Newton, tutti cristiani. Lo stesso Darwin non era ateo, ma in talune versioni della sua L’origine della specie si dichiarò credente, in altre agnostico, sempre però affermando che la sua tesi scientifica non escludeva l'esistenza di Dio (cfr. Darwin stesso non riteneva la teoria dell’evoluzione una prova contro la fede, di A.L.).

D'altro canto fu un monaco cattolico, Mendel, a spiegare come si trasmettessero geneticamente i caratteri evolutivamente vincenti. Anche l'ipotesi di un'originaria concentrazione dell'energia da cui si sarebbe sviluppato poi l'universo fu formulata da un sacerdote cattolico, Georges Édouard Lemaître: il termine Big Bang fu inventato per deridere la sua ipotesi che ora è, invece, la più accreditata in materia.

Ma, soprattutto, Dio non solo crea dal nulla, bensì mantiene in esistenza tutte le cose, come afferma Dei Verbum 3: Dio, «il quale crea e conserva tutte le cose per mezzo del Verbo». Tutto continua ad esistere perché Egli attualmente lo pensa: niente potrebbe mantenersi nell'essere, se Egli non lo volesse. È straordinario rendersi conto che tutto ciò che esiste intorno a noi, così come la nostra stessa persona, è attualmente pensata da Lui e tenuta nelle sue mani.

Per questo non si dà vera fede nella creazione che non sia insieme fede nella provvidenza divina. Ed anche la fede nell'esistenza degli angeli - di cui Genesi 1 e 2 non parlano - trova qui il suo senso: attraverso i suoi angeli Dio accompagna la storia di ogni uomo. Come dice San Tommaso d’Aquino, «fra le verità che i fedeli devono credere, la prima è quella di credere che esiste un solo Dio. Ma, considerando che il nome di Dio non vuol dire altro che reggitore e provveditore di tutte le cose, crede davvero che Dio esiste solo chi crede che tutte le cose di questo mondo sono governate da lui e tutte soggiacciono alla sua Provvidenza. Chi  perciò credesse che tutte le cose sono frutto del caso, di fatto non crederebbe all' esistenza di Dio»[2].

7/ Dio è Creatore e Padre perché tutto è stato da Lui creato, compresa la concatenazione degli eventi che la scienza sapientemente studia

Ma come mettere insieme la creazione e la scienza che ci parla di uno sviluppo successivo di tutto ciò che esiste? Rispondiamo mostrando che tutto ciò che avviene ha delle con-cause, ognuna vera al suo livello.

Se pensiamo alla nascita di un bambino si può dire certamente che egli viene alla luce per una complessa fisiologia che porta ogni 28 giorni un ovulo nel corpo di sua madre a maturare e che lo fa incontrare con uno dei milioni di spermatozoi fuoriusciti dal corpo di suo padre, permettendo ai due patrimoni genetici dei genitori di fondersi a generare il bambino. Ma si potrebbe dire con altrettanta verità che quel figlio è nato dall'amore di quell'uomo e quella donna e dalla loro disponibilità a generare quella vita.

San Tommaso d'Aquino, nella sua saggezza, ha parlato di due tipi di cause, le cause prime e le cause seconde. Il mondo si è sviluppato così come è per una serie di eventi fisico-chimici che ne hanno segnato la storia - le cause seconde - ma insieme perché Dio lo ha creato e voluto nelle sue tappe successive. D'altronde la stessa filosofia si pone da sempre la domanda: perché c'è qualcosa anziché il nulla? Da dove trae origine l'intero processo di sviluppo del tutto?

Non solo, ma gli scienziati riconoscono con meraviglia che esiste una misteriosa corrispondenza fra le leggi matematiche che la mente umana partorisce e gli eventi del cosmo che vi corrispondono.

Albert Einstein disse una volta: «Quello che c’è, nel mondo, di eternamente incomprensibile, è che esso sia comprensibile» (“The Journal of the Franklin Institute”, vol. 221, n. 3, marzo 1936). Da dove viene allora questa sua comprensibilità? Ebbene Genesi ci rivela che esiste qualcosa anziché il nulla, perché Dio, nella sua libertà, ha voluto così. Egli è Creatore perché Padre. Egli non è una potenza impersonale che emana, senza averne coscienza, l’universo. Piuttosto Egli crea perché ama, perché desidera l'amicizia dell'uomo, Egli liberamente crea dal nulla e tutto accompagna con la sua provvidenza.

Il testo ebraico di Genesi ha illuminato la Chiesa a riconoscere con meraviglia il Dio Creatore, origine di tutte le sue creature. Fra gli altri ne è testimone San Francesco d'Assisi che compose non un cantico della natura, bensì molto più profondamente un Cantico delle creature che si apre con la lode di Dio stesso:

«Altissimu, onnipotente bon Signore,
Tue so' le laude, la gloria e l'honore et onne benedictione.
Ad Te solo, Altissimo, se konfano,
et nullu homo ène dignu te mentovare.
Laudato sie, mi' Signore cum tucte le Tue creature».

E vede in ogni realtà un “segno” che rimanda alla suprema bellezza di Dio, come dice, ad esempio, parlando del sole:

«Laudato sie, mi' Signore cum tucte le Tue creature,
spetialmente messor lo frate Sole,
[...]
de Te, Altissimo, porta significatione».

Dal punto di vista filosofico è noto che la grande domanda che ogni pensatore si pone è perché esista qualcosa anziché il nulla. Ciò che è limitato non può essersi dato l’esistenza da solo: da dove viene tutto ciò che esiste? Può esistere da sempre, essendo origine di se stesso?

8/ Con il peccato il male è entrato nel mondo

Solo una realtà non è stata direttamente voluta e creata da Dio: il male. Anche questo annuncia Genesi. Il cardinale Newman disse una volta in maniera straordinaria: il peccato è «l’unica cosa al mondo che l’offenda, l’unica cosa che non sia sua».

Se Dio è all'origine di tutto e tutto è bene, cosa è il male per la fede cristiana? È l'assenza di bene, anzi il rifiuto stesso del bene, il rifiuto stesso di Dio (cfr. su questo Paolo e il cuore diviso dell’uomo: la rivelazione divina concorda con la stessa esperienza umana, di Andrea Lonardo e Il peccato e la grazia, di Andrea Lonardo). Tutto è buono, ma se si voltano le spalle a Dio, ecco che ci si ritrova senza Dio, contro di Lui, senza la vita, contro la vita.

L'Apocalisse identifica il serpente antico che tentò il primo uomo: è Satana (Ap 12,9). Lo si potrebbe definire come l'essere personale che non è persona. Il diavolo è persona, perché cerca singolarmente ognuno: è quell'angelo decaduto che cerca l'uomo per farlo cadere, per allontanarlo da Dio, per dividerlo dai fratelli. Ma poiché l'essere persona è esattamente l'avere relazioni di amore, egli è anche non personale perché non vi è nessuno che ami: egli cerca tutti, senza amare nessuno.

Ecco il male: il male non è Dio. Per il cristianesimo non si dà alcun dualismo, poiché solo Dio è Creatore, essendo origine di tutto. Lo spazio del male si crea, quando si rifiuta Dio. Ed in questo spazio entra anche l'uomo, quando sceglie di rinunciare a Dio, lasciandosi tentare a pensare che Dio non voglia la felicità dell'uomo, che Dio voglia impedire all'uomo di divenire simile a lui.

Per un misterioso legame spirituale che esiste fra tutti gli uomini, quel primo peccato - “originale” perché primo e perché modello di ogni altro peccato – ha contagiato ogni uomo.

Ne è prova e traccia la divisione del cuore umano che sperimentiamo in noi, come afferma il Concilio Vaticano II: «Quel che ci viene manifestato dalla rivelazione divina concorda con la stessa esperienza. Infatti l'uomo, se guarda dentro al suo cuore, si scopre inclinato anche al male e immerso in tante miserie, che non possono certo derivare dal Creatore, che è buono. Così l'uomo si trova diviso in se stesso. Per questo tutta la vita umana, sia individuale che collettiva, presenta i caratteri di una lotta drammatica tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre» (Gaudium et Spes, 13).

9/ L'immagine di Dio è Cristo

Dio è Padre. Lo è innanzitutto perché è da sempre Padre del Figlio suo Gesù Cristo. Dio si rivela come amore proprio perché è da sempre Padre, Figlio e Spirito Santo. Dio non diventa Padre al momento della creazione del mondo: Egli è da sempre Padre perché dona da sempre tutto se stesso al Figlio. Ed è proprio Gesù a rivelarcelo, quando afferma che tutto ha ricevuto dal Padre suo.

Questa è la novità della rivelazione cristiana. Dio non è solo, perché è Padre, Figlio e Spirito Santo. L'incarnazione ci rivela allora il significato più pieno della creazione: se l'uomo è stato creato ad immagine di Dio, l'immagine più piena di Dio è proprio il Figlio suo Gesù Cristo (Rom 8,29; Col 1,15). Per questo noi uomini siamo così bisognosi di essere amati e di amare, per questo siamo sommamente liberi, per questo la nostra vita è preziosa e benedetta: perché il Padre ci ha creati guardando al Figlio suo.

E noi troviamo pienamente noi stessi solo conformandoci al vangelo del Signore Gesù: quel vangelo non è un'imposizione che ci raggiunge dall'esterno, bensì, solo contemplandolo, possiamo ritrovare noi stessi e la nostra vera “forma”.  

10/ Antologia di testi

da Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali
[23] PRINCIPIO E FONDAMENTO.
L'uomo è creato per lodare, riverire e servire Dio nostro Signore, e così raggiungere la salvezza; le altre realtà di questo mondo sono create per l'uomo e per aiutarlo a conseguire il fine per cui è creato. Da questo segue che l'uomo deve servirsene tanto quanto lo aiutano per il suo fine, e deve allontanarsene tanto quanto gli sono di ostacolo. Perciò è necessario renderci indifferenti verso tutte le realtà create (in tutto quello che è lasciato alla scelta del nostro libero arbitrio e non gli è proibito), in modo che non desideriamo da parte nostra la salute piuttosto che la malattia, la ricchezza piuttosto che la povertà, l'onore piuttosto che il disonore, una vita lunga piuttosto che una vita breve, e così per tutto il resto, desiderando e scegliendo soltanto quello che ci può condurre meglio al fine per cui siamo creati. 

da J. Ratzinger, Introduzione al cristianesimo, Brescia, 1974
Possedere un anima spirituale vuol dire precisamente essere tassativamente voluti, individualmente conosciuti ed amati da Dio; avere un anima spirituale significa essere creatura chiamata da Dio ad un perenne dialogo con lui, una creatura quindi capace a sua volta di conoscere Dio e di rispondergli... (Ciò) viene espresso mediante un linguaggio più spiccatamente storico ed attuale mediante la frase essere un interlocutore di Dio... L’immortalità dell’uomo si fonda sulla di lui dialogica polarizzazione su Dio, il cui amore è l’unica forza capace di accordare la vita eterna... Non è possibile in definitiva fare una netta distinzione fra naturale e soprannaturale. 

dall’intervista rilasciata da Benedetto XVI a Radio Vaticana ed a tre televisioni tedesche il 13 agosto 2006
Abbiamo il nostro compito di mettere meglio in rilievo ciò che noi vogliamo di positivo. E questo dobbiamo anzitutto farlo nel dialogo con le culture e con le religioni, poiché il continente africano, l’anima africana e anche l’anima asiatica restano sconcertate di fronte alla freddezza della nostra razionalità. E’ importante dimostrare che da noi non c’è solo questo. E reciprocamente è importante che il nostro mondo laicista si renda conto che proprio la fede cristiana non è un impedimento, ma invece un ponte per il dialogo con gli altri mondi. Non è giusto pensare che la cultura puramente razionale, grazie alla sua tolleranza, abbia un approccio più facile alle altre religioni. Ad essa manca in gran parte “l’organo religioso” e con ciò il punto di aggancio a partire dal quale e con il quale gli altri vogliono entrare in relazione. Perciò dobbiamo, possiamo mostrare che proprio per la nuova interculturalità, nella quale viviamo, la pura razionalità sganciata da Dio non è sufficiente, ma occorre una razionalità più ampia, che vede Dio in armonia con la ragione, dobbiamo mostrare che la fede cristiana che si è sviluppata in Europa è anche un mezzo per far confluire ragione e cultura e per tenerle insieme in un’unità comprensiva anche dell’agire. In questo senso credo che abbiamo un grande compito, di mostrare cioè che questa Parola, che noi possediamo, non appartiene – per così dire – ai ciarpami della storia, ma è necessaria proprio oggi.

da «L’uomo supera infinitamente l’uomo». Breve riflessione sul transumano, di Fabrice Hadjadj (anche su www.gliscritti.it)
L’essere umano è l’animale che si meraviglia di esistere. Siamo delle scimmie evolute, dei primati giunti al culmine della perfezione? Dubito che sia così. Perché il culmine della perfezione per il primate sta nell’agilità suprema con la quale spostarsi dal ramo o nella facilità assoluta di procurarsi delle banane. Essa non sta in questa capacità di meravigliarsi, in questa facoltà che vi lascia gli occhi sgranati, stupefatti, indifesi di fronte alla vertigine di essere vivi. Essa non sta in questa inclinazione alla contemplazione che, ad esempio, vi fa provare una tale meraviglia di fronte al manto striato della tigre che vi dimenticate di proteggervi contro i suoi graffi.
Alcuni dicono che l’affermazione dell’uomo, nel corso dell’evoluzione, sarebbe dovuta alla sua maggiore capacità di adattarsi al mondo. Eppure l’uomo sembra, al tempo stesso, un grande disadattato: invece di vivere pacificamente secondo l’istinto, cerca un senso, decifra il mondo come se fosse una foresta di simboli, desidera un al di là, un al di là non necessariamente come un altro mondo, ma come un modo di penetrare nel segreto di questo mondo, di intenderlo nel suo mistero, di bere alla sua fonte.
Noi tutti, quindi, ministri o agenti di polizia, ci sentiamo come dei passeggeri o dei passanti. Non solamente perché siamo mortali, ma anche perché nella nostra stessa vita desideriamo un superamento, non necessariamente un superamento verso un altrove (perché questo non sarebbe che turismo, e il turismo, nella spiritualità, è più frequente di quanto si immagini). Noi desideriamo piuttosto un superamento nell’intensità del nostro modo di essere qui e ora, gli uni verso gli altri, cercando infine di essere, gli uni con gli altri, senza ipocrisia, in una verità e in una amicizia profonda (confessiamolo, grattando un po’ la vernice del decoro: siamo ancora lontani da questa verità e da questa amicizia, perché queste presupporrebbero che la caduta di tutte la maschere e la messa a nudo del nostro spirito). [...] Quando si pretende di fondare l’umanesimo sull’uomo stesso accade la medesima cosa che si verifica quando si pretende di erigere un edificio senza alcun appoggio esteriore: l’edificio crolla. Per elevare un palazzo, c’è bisogno di un terreno. Affinché l’uomo si elevi, ha bisogno di un Cielo. Per Cielo intendo una speranza. Gli altri animali si generano attraverso l’istinto. L’uomo ha bisogno di ragioni per dare la vita. Senza queste ragioni, senza una speranza, certamente egli non si suiciderà – perché vi è in lui questa forza d’inerzia che lo spinge a continuare la sua corsa, come un solido nello spazio vuoto –, ma quantomeno non donerà più la vita, perché non vede la ragione di fare figli, se tutto è destinato alla putrefazione. La speranza non è una ciliegia sulla torta, essa deve dichiararsi alla nostra stessa carne, al nostro stesso sesso. Gli Ebrei lo sanno bene: è nel loro sesso che essi trovano il segno dell’Alleanza con l’Eterno, perché, se io non credo in questa Alleanza, per quale ragione continuare l’avventura umana, per quale ragione ostinarsi ad alimentare il carnaio? Ecco ciò che caratterizza l’uomo tra tutti gli animali: egli deve elevarsi verso il Cielo prima di poter dormire con la sua donna.
È in questo – molto semplicemente – che l’uomo supera infinitamente l’uomo. Egli cerca le ragioni per vivere al di là di se stesso. Egli aspira a una gioia che non possiede ancora veramente e di cui attende il compimento in qualche cosa – diciamolo – di «soprannaturale». Noi possiamo riprendere qui un verbo inventato da Dante, e dire che l’uomo è fatto per «trasumanarsi».

dalle conferenze sulla catechesi tenute il 15 ed il 16 gennaio 1983 a Lione e Parigi dell’allora cardinal Joseph Ratzinger (su www.gliscritti.it )
Di tanto in tanto compare il timore che una troppo forte insistenza su tale aspetto della fede [il Dio creatore] possa compromettere la cristologia. Considerando qualche presentazione della teologia neoscolastica, questo timore potrebbe sembrare giustificato.
Oggi, tuttavia, è il timore inverso che mi sembra giustificato. La emarginazione della dottrina della creazione riduce la nozione di Dio e, di conseguenza, la cristologia. Il fenomeno religioso non trova, allora, altra spiegazione al di fuori dello spazio psicologico e sociologico; il mondo materiale è confinato nel campo di indagine della fisica e della tecnica. Ora, soltanto se l’essere, ivi compresa la materia, è concepito come uscito dalle mani di Dio e conservato nelle mani di Dio, Dio è anche, realmente, nostro Salvatore e nostra Vita, la vera Vita. 

dal Midrash Rabbà, al capitolo 8 di Genesi Rabbà (ca. metà V sec.; edizione di Venezia, 1545)
È però scritto: «YHVH... prese una delle sue costole (tzelà)»! (Gen.2:21) Rabbi Shemuel bar Nachman rispose: "Una delle sue costole" significa "uno dei suoi lati", secondo le parole «e per la costola (tzelà) del Tabernacolo» (Esodo 26:20) che il traduttore in aramaico rende con "e per il lato del Tabernacolo". 

da D. Lifschitz (a cura di), Uomo e donna immagine di Dio. Il sabato. L’Aggadah su Genesi 2, Ediz. Dehoniane Roma, Roma, 1996, p. 73
La figlia di Rabbi Gamaliel disse: «Se Adamo avesse visto Eva mentre veniva creata, sicuramente l’avrebbe disprezzata». Perciò il Santo, benedetto sia, nella sua grande saggezza, fece cadere un sonno profondo su Adamo, poi modellò il corpo di Eva, diverso da quello di Adamo, dandole la meravigliosa capacità di dare alla luce dei figli.
Eva, la donna destinata a diventare la vera compagna dell’uomo, fu tratta dal corpo di Adamo perché «solo quando uno è unito ad un suo simile, l’unione è indissolubile».
Perciò è detto: «Il Signore Dio plasmò, con la costola che aveva tolto all’uomo, una donna e la condusse all’uomo».
Perché plasmò dalla costola e non dalla testa? Per evitare che la donna dominasse l’uomo. Perché non dal piede? Per evitare che l’uomo la dominasse. Dalla costola, perché avessero pari dignità.

da Andrzej Jawien - Karol Wojtyla, La Bottega dell'orefice, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 1979
(ANDREA)
Le fedi che stanno in vetrina
ci dicono qualcosa con strana fermezza.
Per ora sono solo oggetti di metallo prezioso
ma lo saranno soltanto fin quando
io ne metterò una al dito di Teresa
e lei metterà l'altra al mio.
Da quel momento saranno loro a segnare il nostro destino.
Ci faranno sempre rievocare il passato
come fosse una lezione da ricordare,
ci spalancheranno ogni giorno di nuovo il futuro
allacciandolo con il passato.
E insieme, in ogni momento,
serviranno a unirci invisibilmente
come gli anelli estremi di una catena.

Dunque non siamo entrati subito. Il simbolo prese la parola.
Lo abbiamo capito insieme nello stesso momento.
Guardando le fedi
nuziali ci ha colto una commozione silenziosa.
È questo che ci ha fermato davanti al negozio.
Rimandavamo il momento.

Mi sono accorto solo che Teresa serrò più forte
il mio braccio ... e questo era il nostro oggi:
l'incontro del passato con il futuro.
Ecco noi due spuntati da tanti momenti strani
come dall'abisso di fatti semplici e consueti.
Ecco noi due insieme. Ci uniamo segretamente
grazie a queste due fedi.

Qualcuno alzò la voce dietro le nostre spalle.

(QUALCUNO)
Guarda la bottega dell'orefice. Che arte singolare.
Fare oggetti capaci
di provocare riflessioni sulla sorte umana. [...]

(ADAMO)
Proprio questo mi costringe a riflettere sull'amore umano. Non esiste nulla che più dell'amore occupi sulla superficie della vita umana più spazio, e non esiste nulla che più dell'amore sia sconosciuto e misterioso. Divergenza tra quello che si trova sulla superficie e quello che è il mistero dell'amore — ecco la fonte del dramma.

Certe volte la vita umana sembra essere troppo corta per l'amore. Certe volte invece no — l'amore umano sembra essere troppo corto per una lunga vita. O forse troppo superficiale. In ogni modo l'uomo ha a disposizione una esistenza e un amore — come farne un insieme che abbia senso?

da Isidor Grunfeld, Lo Shabbath
Il lavoro può rendere liberi, ma si può anche esserne schiavi. È detto nel Talmud che quando Dio creò il cielo e la terra, essi continuarono a girare senza posa come due rocchetti di filo, sino a quando il Creatore ordinò: "Basta".
L'attività creativa di Dio fu seguita dallo Shabbath, allorché deliberatamente Egli cessò la Sua opera creatrice. Questo fatto, più di ogni altra cosa, ci presenta Dio come libero creatore, che liberamente controlla e limita la creazione da Lui attuata secondo la Sua volontà.
Non è quindi il lavoro, ma la cessazione del lavoro che Dio scelse come segno della Sua libera creazione del mondo. L'ebreo, cessando il suo lavoro ogni Shabbath, nel modo prescritto dalla Torah, rende testimonianza della potenza creatrice di Dio.
E, inoltre, rende manifesta la vera grandezza dell'uomo. Le stelle e i pianeti, una volta iniziato il loro moto rotatorio che durerà in eterno, continuano a girare ciecamente, senza interruzione, mossi dalla legge naturale di causa ed effetto. L'uomo invece può, con un atto di fede, porre un limite al suo lavoro, affinché non degeneri in una fatica senza senso.
Osservando lo Shabbath, l'ebreo diviene, come dissero i nostri Saggi, simile a Dio stesso. Similmente a Dio, egli è padrone del suo lavoro, non schiavo di esso. 

da J. Ratzinger, Il dialogo delle religioni ed il rapporto tra ebrei e cristiani, in La Chiesa, Israele e le religioni del mondo, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, 2000, pagg.72-73
Karl Barth ha operato una distinzione nel cristianesimo tra religione e fede. Ha avuto torto a voler separare del tutto queste due realtà, considerando positivamente la fede e negativamente la religione. La fede senza la religione è irreale, essa implica la religione, e la fede cristiana deve, per sua natura, vivere come religione. Ma ha avuto ragione ad affermare che anche fra i cristiani la religione può corrompersi e trasformarsi in superstizione, ad affermare, cioè, che la religione concreta, in cui la fede viene vissuta, deve essere continuamente purificata a partire dalla verità che si manifesta nella fede e che, d'altra parte, nel dialogo fa nuovamente riconoscere il proprio mistero e la propria infinitezza.  

da Liquidazione del diavolo, ripubblicato in J. Ratzinger, Dogma e predicazione, Queriniana, Brescia, 1974, pp. 189-197
Il pensiero moderno mette a disposizione, mi sembra, una categoria che ci può aiutare a comprendere di nuovo e con più esattezza la potenza dei demoni, la cui esistenza è di certo indipendente da tali categorie. Essi sono una potenza del «rapporto», col quale l'uomo è confrontato ad ogni pié sospinto, senza che egli lo possa arrestare. Paolo intende esattamente questo quando parla dei «signori di questo mondo tenebroso»; quando dice che la nostra lotta è diretta contro di essi, contro le potenze celesti del male, non contro la carne e il sangue (Ef 6,12). Essa si dirige contro quel «rapporto» saldamente stabilito, che lega gli uomini l'uno all'altro e nello stesso tempo li separa uno dall'altro, che usa loro violenza mentre fa da preludio alla loro libertà. Qui si chiarifica una particolarità tutta specifica del demoniaco, cioè la sua assenza di fisionomia, la sua anonimità. Quando si chiede se il diavolo sia una persona, si dovrebbe giustamente rispondere che egli è la non-persona, la disgregazione, la dissoluzione dell'essere persona e perciò costituisce la sua peculiarità il fatto di presentarsi senza faccia, il fatto che l'inconoscibilità sia la sua forza vera e propria. In ogni caso rimane vero che questo rapporto è una potenza reale, meglio, una raccolta di potenze e non una pura somma di io umani. La categoria dell'intermedio, che ci aiuta così a ricomprendere l'essere del demonio, si presta inoltre per un altro servizio parallelo; rende possibile spiegare meglio la vera potenza opposta, che diventa anch'essa sempre più estranea alla teologia occidentale, lo Spirito Santo cioè. Noi potremmo dire, partendo da quella categoria, che egli è quell'intermediario, nel quale Padre e Figlio costituiscono una cosa sola, l'unico Dio; nella forza di questo intermediario il cristiano si pone di fronte a quell'intermediario demoniaco, che sta ovunque «fra mezzo» ed ostacola un'unità.

dall’Epopea di Gilgamesh, Tavola I. La reazione di An è conservata in una tavoletta da Nippur contenente un esercizio scribale di epoca medio-babilonese (XIV-XIII sec. a.C.). Il testo integrale della tavola medio-babilonese è in Geo 1999, p. 127
[...] La dea Aruru [...]
diede vita al pensiero di An.
La dea Aruru lavò le sue mani,
prese un grumo di argilla, lo gettò nella piana.
Nella piana lei creò Enkidu, l'eroe,
creatura del silenzio, reso forte da Ninurta.
Tutto il suo corpo è coperto di peli,
la chioma fluente come quella di una donna,
i capelli del suo capo crescono come orzo.
Ma non conosce né la gente né il Paese;
egli è vestito come Sumuqan.
Con le gazzelle egli bruca l'erba,
con il bestiame beve nelle pozze d'acqua.
con le bestie selvagge si disseta d'acqua.
Shamkat lo vide, l'uomo primordiale,
il giovane la cui selvaggia virilità viene dal profondo
della steppa.
Il cacciatore disse: "È lui, o Shamkat, denuda il tuo seno,
allarga le tue gambe perché egli possa penetrarti.
Non lo respingere, abbraccialo forte,
egli ti vedrà e si avvicinerà a te.
Sciogli le tue vesti affinché egli possa giacere sopra di te;
dona a lui, l'uomo primordiale, l'arte della donna.
Allora il suo bestiame, cresciuto con lui nella steppa,
gli diventerà ostile,
mentre egli sazierà le sue brame amorose".
Shamkat denudò il suo seno, aprì le sue gambe
ed egli penetrò in lei.
Essa non lo respinse, lo abbracciò fortemente,
aprì le sue vesti ed egli giacque su di lei.
Essa donò a lui, l'uomo primordiale, l'arte della donna,
ed egli saziò con lei le sue brame amorose.
Per sei giorni e sette notti Enkidu giacque con Shamkat
e la possedette.
Dopo essersi saziato del suo fascino,
volse lo sguardo al suo bestiame:
le gazzelle guardano Enkidu e fuggono,
gli animali della steppa si tengono lontani da lui.
Enkidu era diverso, una volta che il suo corpo
era stato purificato:
le sue gambe, che tenevano il passo delle bestie,
erano diventate rigide;
Enkidu non aveva più forze, non poteva più correre
come prima;
egli però aveva ottenuto l'intelligenza; il suo sapere
era divenuto vasto.
Egli desistette e si accovacciò ai piedi della prostituta.
La prostituta lo guardò attentamente,
e ciò che gli diceva la prostituta egli andava ascoltando
attentamente.
Ella, allora, parlò a lui, a Enkidu:
"Tu sei divenuto buono, o Enkidu, sei diventato simile
a un dio.

3/ Presentare la creazione ai bambini tramite gli affreschi della Sistina di MIchelangelo Buonarroti

Dio Creatore e Padre potrà essere presentato ai bambini tramite la visione ed il commento dei riquadri dipinti da Michelangelo nella Cappella Sistina.

Si avrà cura di preparare in anticipo dei grandi cartelloni con fotocopie a colori dei riquadri per poterli poi commentare.

Si potrà iniziare ogni volta con domande del tipo: «Che cosa è raffigurato in quest’opera? Quali personaggi rappresentano le diverse figure?». Seguirà poi la catechesi a partire dalla traccia sviluppata più avanti. Si suggerisce che i testi di Genesi non siano letti interamente. Si preferirà piuttosto la lettura di qualche versetto e  il racconto a voce delle altre parti.

Infine, si potrà proporre una attività perché i bambini si approprino più profondamente di quanto hanno visto ed ascoltato. Potranno, ad esempio, disegnare ciò che più li ha colpiti di ogni riquadro. Oppure accordarsi per comporre un’unica opera a più mani o ancora costruire un grande cartellone nel quale ognuno ridipingerà uno solo dei 6 affreschi da comporre insieme ai restanti dipinti da altri.

Si avrà cura di non mostrare nuovamente gli affreschi nel momento in cui i bambini li dovranno dipingere, per lasciare più spazio alla loro fantasia.

Si chiederà poi ai bambini di commentare i loro dipinti.

Primo affresco: La separazione della luce dalle tenebre

Nel riquadro Michelangelo ha dipinto Dio unico Creatore che divide la luce dalle tenebre. Si vede in alto il buio, mentre in basso appare la luce.

Nel commentare il riquadro si sottolineerà che Genesi è un testo ebraico. La Chiesa riceve la fede nel Dio Creatore dal popolo ebraico e la condivide da sempre con Israele. Gli antichi scrittori di quei capitoli amavano la scienza, studiavano le stelle, riflettevano come filosofi, ma non avevano ancora le nozioni scientifiche che abbiamo noi. Giunsero, però, lo stesso a capire che il mondo non era stato fatto in un solo momento, bensì che tutto il processo di sviluppo dell’universo era stato guidato da Dio.

Egli è all’origine dell’energia e della materia. Gli ebrei credono, infatti, insieme ai cristiani che tutto è stato fatto dal nulla. Anche la filosofia che i bambini studieranno da grandi si pone questa domanda: come mai esiste qualcosa anziché il nulla? I filosofi, infatti, si accorgono che tutto ciò che esiste non può essersi fatto da sé. Ma la fede ebraica e cristiana crede non solo che Dio ha fatto tutto dal nulla, ma anche che, con la sua provvidenza, conserva e fa maturare tutto ciò che esiste. Noi esistiamo perché in questo momento Dio ci sta pensando.

Ecco perché questo riquadro, così come gli affreschi successivi, rappresentano Dio che sempre agisce. In particolare, l’affresco mostra qui che Dio ama e crea dividendo, separando, dando ad ogni cosa la sua propria identità. La creazione è bella, in essa tutto si manifesta con chiarezza. Esistono il giorno e la notte, esistono la luce e le tenebre.

La creazione ci invita così anche ad uscire dalla confusione. Per amare è necessario uscire dalla confusione. L’uomo pensa talvolta di riuscire ad amare di più restando nascosto, non facendo capire cosa pensa, pensando di apparire così più accettabile: si ama invece solo venendo alla luce, solo prendendo una forma, solo separando il bene dal male.

Secondo affresco: La creazione del sole, della luna e della vegetazione

Se si domanda ai bambini chi sia rappresentato nell'affresco, essi arrivano presto a capire che Dio è rappresentato due volte, una volta dinanzi ed una volta di spalle, come in un fumetto, dove la stessa persona appare più volte.

A destra Dio con un’espressione che indica la sua forza, la sua onnipotenza - Egli può tutto, Egli è il Creatore dell’immensità dell’universo, talmente grande che non riusciamo nemmeno ad immaginare - crea con una mano il sole e con l'altra la luna. Il gesto forte e creativo delle mani è meno noto di quello famosissimo della creazione di Adamo che sarà presentato successivamente, ma è simile.

A sinistra, di spalle, Dio crea, sulla terra, la vegetazione. Di nuovo l’affresco mostra come Dio non solo crea, ma anche conserva tutto ciò che esiste e lo conduce a divenire sempre più bello.

Genesi ricorda: «Dio disse: “Ci siano fonti di luce nel firmamento del cielo, per separare il giorno dalla notte; siano segni per le feste, per i giorni e per gli anni e siano fonti di luce nel firmamento del cielo per illuminare la terra”. E così avvenne. E Dio fece le due fonti di luce grandi: la fonte di luce maggiore per governare il giorno e la fonte di luce minore per governare la notte, e le stelle» (Gen 1,14-16).

Si può sottolineare che il sole e la luna illuminano l’uno il giorno e l’altro la notte. Che la luna ci riflette di notte la luce del sole e che la luna è come la Chiesa che riflette su di noi l’unica vera luce che è quella di Cristo, il vero sole.

Si potrà sottolineare anche come Genesi, affermando che le stelle ed i pianeti sono opera di Dio, ha mostrato agli uomini che essi non sono divinità. Gli altri popoli contemporanei ad Israele, come gli egiziani, ritenevano che il sole, la luna e le stelle fossero divinità. Anche chi crede nei segni zodiacali e negli oroscopi afferma, di fatto, che noi non siamo nelle mani di Dio, bensì dipendiamo dalle stelle. Genesi ha liberato l’uomo da queste false credenze. Gli scienziati hanno dimostrato oggi che la luce della stella più vicina a noi dopo il sole, Sirio, impiega otto anni ad arrivare sulla terra e ben più tempo impiegano le stelle delle costellazioni zodiacali. Inoltre la volta stellata si è traslata notevolmente nei 2600 anni trascorsi dall'invenzione dei segni zodiacali ad oggi e nessuno nasce più sotto la costellazione di cui porta il nome (su questo si può vedere on-line “Il falso zodiaco degli oroscopi”). Dipendiamo, invece, profondamente dal sole e dalla luna: dall’alternarsi di giorno e notte dobbiamo imparare l'equilibrio necessario per vivere bene.

Si potrà sottolineare anche la bellezza della rappresentazione di Dio. Mentre esistono religioni che sono iconoclaste, che ritengono cioè una bestemmia la rappresentazione di Dio, il cristianesimo afferma invece che, dal momento che Dio stesso si è reso visibile in Gesù, l’uomo manifesta il suo amore per Lui proprio rappresentandolo: i Concili affermano anzi che è un obbligo dei cristiani fare delle rappresentazioni di Dio, anche se potrebbero apparire sconvenienti, come qui il Padre rappresentato nel suo posteriore..

Terzo affresco: Dio separa il cielo, la terra e le acque e benedice

Il terzo riquadro rappresenta Dio che separa la terra dalle acque e pone acque al di sopra del cielo, perché vi sia pioggia. Si vedono come tre fasce orizzontali di colore ad indicare questo.

Ma il gesto di Dio Padre e Creatore è anche un gesto di benedizione. Egli stende le mani e vede la bontà di ciò che ha fatto e benedice tutto. Più volte Genesi dice: «E Dio vide che era cosa buona».

La fede ebraica e cristiana afferma che tutto è buono, perché uscito dalle mani di Dio. In particolare, il cristianesimo è la religione che riconosce che si può mangiare ogni cibo, perché tutto è uscito dalle mani buone del Padre.

A partire da questo affresco, si può approfondire anche il tema del sabato, del settimo giorno. Per la prima volta nella storia dell’umanità, Israele ha imparato a riposare ogni sette giorni - sabato vuol dire proprio “riposo”, “cessazione”. Precedentemente, l’uomo lavorava sempre e non aveva un giorno di riposo settimanale.

Genesi ha, invece, sottolineato che Dio non solo crea ed opera, ma gode anche di ciò che ha fatto. Egli si ferma, perché sa che è buona l’opera che ha fatto. Da questa gioia di Dio, l’uomo impara che la vita non è fatta solo per lavorare, ma anche per fermarsi a ringraziare di tutto ciò che si è fatto e di tutto ciò che si riceve. Dio è libero perché crea, ma sopratutto perché gode di aver creato: così anche l’uomo è libero perché partecipa con Dio della creazione, ma anche perché ringrazia di tutto nel giorno del Signore.

È importante che i bambini possano comprendere questo: vivere non è solo fare tante cose, ma fermarsi a ringraziare per esse - per usare un'espressione di Sant’Ignazio di Loyola, si tratta di arrivare a “gustare interiormente le cose”. In casa tutto cambia se ci si ringrazia e ci si ascolta, se si smette di lavorare per stare insieme: questo ringraziamento diviene completo e pieno quando insieme si loda Dio per la vita che abbiamo ricevuto e lo si ascolta per vivere sempre meglio il tempo che ci affida. E, soprattutto, si scopre di poter vivere tutto in comunione con Lui, certi che tutto ha un senso se viviamo nella sua volontà e non nel peccato.

Quarto affresco: Dio dà vita all'uomo

Il quarto affresco è il più noto fra quelli della volta della Sistina. Nel riquadro, Dio ha già plasmato il corpo dell’uomo, ma esso è ancora senza anima, senza vita spirituale. C'è un salto di qualità nella creazione quando appare l'uomo: in questo salto, ci dice la rivelazione ebraica, Dio interviene direttamente. In tante maniere diverse il libro della Genesi lo ricorda: l’uomo è creato come ultima delle creature nel primo racconto e come prima delle creature nel secondo, proprio a dire che l’uomo è la più bella delle creature.

Inoltre nel primo racconto solo dell’uomo si dice che venne creato a immagine e somiglianza di Dio e nel secondo racconto si dice che solo nell’uomo Dio soffiò un “alito di vita”. Michelangelo rappresenta tutto questo quasi come se passasse una corrente fra l’uomo ed il suo Creatore.

Si può vedere la verità di questa affermazione nel fatto che solo l’uomo può pregare. Nessun animale prega. Solo l’uomo si domanda il perché di tutto e vuole conoscere la verità. Solo l’uomo può perdonare o portare rancore. Egli è libero, a differenza degli animali.

Non solo il primo uomo è diverso da tutti gli altri animali, ma anche ogni bambino che nasce è così:

Dio, infatti, interviene direttamente ogni volta che un essere umano appare sulla terra. Genesi ci dà la certezza che ogni uomo è pensato, voluto e amato direttamente da Dio. Anche se ci fossero genitori che hanno avuto un figlio senza volerlo: Dio lo stesso lo ha desiderato ed ha preparato per lui un disegno di bene.

Quinto affresco: Dio fa sorgere la donna dall'uomo

Nel quinto riquadro, Michelangelo rappresenta Dio che trae la donna dal fianco di Adamo addormentato. Dio la guarda e le dice di sollevarsi, di stare in piedi dinanzi a Lui, segno della dignità della figura femminile.

Si potrà spiegare che il racconto ebraico utilizza un termine che viene tradotto abitualmente con “costola”, ma che in realtà vuol dire anche “fianco”, “lato”. Si vede proprio nell’affresco Eva che esce dal fianco dell’uomo. Il racconto di Genesi narra la creazione della donna a partire dall’affermazione di Dio: «Non è bene che l’uomo sia solo». È bene spiegare ai bambini che la solitudine è il grande dramma dell’uomo. L’uomo è fatto per amare e per essere amato e per questo la condizione di solitudine è la più contraria alla sua natura. Veramente la solitudine non è buona, vivere soli fa star male. Dio – racconta Genesi – creò allora gli animali, ma anche con essi l’uomo si sentiva solo, non trovava nessuno «che gli corrispondesse».

Si ricordi ai bambini che qui gli animali vengono creati dopo l’uomo, segno che per l’autore di Genesi, come si è già detto, non era tanto importante la sequenza cronologica. Certo l’uomo può amare gli animali, come avviene nella vita anche di molti bambini. Eppure, proprio perché agli animali manca l’anima, manca la libertà, manca quell’immagine di Dio che è impressa nell’uomo, l’uomo non può vincere il suo desiderio di comunione stando con gli animali.

Dio allora fece addormentare l’uomo e dal suo fianco/costola trasse la donna. Si può ricordare qui ai bambini che noi leggiamo i racconti biblici aiutati anche dalla sapienza dei maestri di Israele. Ebbene alcuni rabbini hanno detto: «Perché plasmò dalla costola e non dalla testa? Per evitare che la donna dominasse l’uomo. Perché non dal piede? Per evitare che l’uomo la dominasse. Dalla costola, perché avessero pari dignità».

La donna e l’uomo camminano fianco a fianco, mentre gli angeli stanno al di sopra dell’uomo e gli animali stanno al di sotto di lui. E proprio per questo è così difficile il rapporto di amore fra l’uomo e la donna, perché è più facile rapportarsi con chi non è pari a noi! La donna è come una spina nel fianco per l’uomo e l’uomo è come una spina nel fianco della donna, eppure essi desiderano amarsi.

Anche l’immagine del sonno è molto bella e vera. Ci ricorda che l’altro che amiamo non l’abbiamo inventato noi. È Dio che gli ha dato vita e ci ha donato di incontrarlo. Avviene la stessa cosa con i nostri amici. Li scopriamo ed è come se ci svegliassero dal sonno. Scopriamo con meraviglia che tutto è più bello quando loro ci sono. Le persone sono sempre un dono per l’uomo e mai un possesso.

Sesto affresco: Il peccato originale

Il sesto affresco mostra due volte Adamo ed Eva, l’uomo e la donna: a sinistra prima del peccato, a destra dopo il peccato. A sinistra Michelangelo li ha dipinti molto belli, mentre dopo il peccato appaiono imbruttiti, sfigurati.

Al centro appare il serpente sull’albero che invita Adamo ed Eva a mangiare il frutto dell’“albero della conoscenza del bene e del male”. Alla destra dell’albero l’angelo che, scacciando l’uomo dal Paradiso terrestre, rivela in realtà che la vita con il peccato non ha più la bellezza che aveva in precedenza. Ma l’albero con la figura dell’angelo e con il ramo di sinistra nasconde già il simbolo della croce.

Michelangelo descrive il peccato originale, senza il quale non è possibile capire come mai l’uomo sia anche capace di cattiveria. Questa è la grande questione: se per Israele – e per la Chiesa – tutto è stato creato buono da Dio, da dove viene allora il male?

La novità della rivelazione cristiana appare innanzitutto nell’affermazione che il male non è una divinità, non ha lo stesso potere di Dio. Infatti viene solo dopo, in una creazione che è tutta buona. Per la fede c’è, infatti, un solo Dio buono e non due divinità, una del bene ed una del male.

Cosa è allora il male? Il male è l’assenza di Dio, anzi il rifiuto di Dio. Se Lui è il bene e la vita, l’uomo, rifiutandolo, si trova senza il bene e senza la vita. Questo è proprio ciò che fece il primo uomo: non ebbe fiducia in Dio, anzi sospettò di Lui e Lo rifiutò, voltandogli le spalle. Si ritrovò così lontano dalla vita, senza il bene. Mangiare del frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male è un’immagine fortissima e vera: ci racconta che l’uomo disse a Dio che non si fidava di Lui e che anzi, orgogliosamente, voleva fare di testa sua. Ma camminando lontano dalla via indicata da Dio si ritrovò lontano dal bene e dalla vera vita.

Questo è il peccato originale: è il modello di ogni altro peccato ed, insieme, quel primo peccato reale che è entrato nel cuore di ogni uomo dopo Adamo. Come ha potuto entrare anche in noi? Perché noi uomini ci comunichiamo gli uni gli altri la grazia ed il peccato. Lo si vede bene nei Santi che, con le loro opere buone, con i loro meriti e le loro preghiere, ci fanno del bene senza che noi lo sappiamo. Allo stesso modo il primo uomo ha ferito la nostra umanità. Ancor più Cristo ci guarisce con la sua morte per amore.

Quello che noi possiamo vedere del peccato originale è la sua conseguenza in noi: essa è visibile nel fatto che il nostro cuore è diviso. Se guardiamo in noi stessi, noi scopriamo di essere fatti per il bene, ma ci accorgiamo anche che in noi c’è qualcosa che ci invita a fare il male. L’esperienza del male in noi è così universale che uno scrittore inglese, G.K. Chesterton, ha detto che il peccato originale è quel dogma della Chiesa che si può dimostrare!

Per questo per essere felici e per vivere una vita buona non basta seguire il nostro cuore, perché il nostro cuore è diviso. Nel cuore parlano la voce del bene e la voce del male e bisogna saperle distinguere, per seguirne una e rifiutare l’altra.

Ma Genesi ci dice che l’uomo, nel peccato originale, non fu solo, ma venne tentato dal diavolo. Il serpente antico, infatti, come insegna l’Apocalisse è il maligno. Egli è un angelo che ha detto di “no” a Dio, che non ha voluto seguirlo e, per questo, si è ritrovato anche lui senza la vita, senza il bene. Per questo egli non ama ormai nessuno e, se cerca qualcuno, non lo cerca per amarlo, ma per creargli problemi.

Michelangelo ce lo mostra, ma ci mostra anche che il male sarà sconfitto. Dipinge, infatti, come una croce che illumina la scena del peccato. Ci vuole dire che certamente il peccato è entrato nel mondo, ma che il peccato, non provenendo da Dio, avrà un giorno termine. Se anche il male talvolta sembra più forte, in realtà sarà sconfitto dalla croce di Cristo. Per questo noi non abbiamo paura del male, perché sappiamo che la croce dell’amore di Cristo ci proteggerà.

Note al testo

[1] Si propone qui per l’utilizzo di Genesi 1-3 in catechesi, come sarà sottolineato più volte, di presentare contemporaneamente Genesi 1 e 2, cogliendone le analogie, pur nella diversità delle immagini. Scegliere solo uno dei due testi - o peggio ancora contrapporli - impoverisce la presentazione catechetica del racconto della creazione.

[2] Tommaso d’Aquino, Commento al Simbolo degli Apostoli, ESD, Bologna, 2012, p. 24.