Ripresentiamo on-line sul nostro sito un articolo di T.Verdon,
La “Disputa del Sacramento”, un manifesto in cui la Chiesa si
narra, apparso sul sito www.chiesa.espressonline.it
A sua volta il testo amplia l’articolo apparso su L’Osservatore Romano del 12
ottobre 2005. E’ un commento all’affresco dipinto da Raffaello per la Stanza della
Segnatura, su incarico di Papa Giulio II.
Le due immagini sono prese dal sito Web Gallery of Arts. Restiamo a disposizione per
l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito del testo o delle foto non fosse
gradita a qualcuno degli aventi diritto.
L’Areopago
Che cosa comunicava ai contemporanei quest’immagine incentrata
sull’eucaristia? La movimentata assemblea dipinta nel 1509 da Raffaello,
con al centro Cristo in gloria che mostra le piaghe, suscitava anzitutto il
ricordo iconografico del giudizio universale: il giorno in cui Cristo verrà
"sulle nubi e ognuno lo vedrà, anche quelli che lo trafissero, e tutte
le nazioni della terra si batteranno per lui il petto" (Apocalisse 1,7).
Per la sensibilità dell'epoca l'impatto immediato, il primo messaggio
dell'affresco, aveva un carattere escatologico. Faceva vedere chiaramente il
rapporto tra la Chiesa militante sulla terra e quella trionfante nel cielo.
Nell'apparente confusione della scena, poi, oltre alla strana piattaforma di
nuvole che divide la parete in senso orizzontale, lo spettatore avrebbe notato
l’asse verticale, definito da: Dio Padre, in alto; Cristo che mostra le
ferite, in mezzo; lo Spirito Santo in forma di colomba discendente, in un nimbo
di gloria sotto Cristo; e ancora sotto – sull'altare posto su tre gradini
al livello del pavimento – l'ostia eucaristica in un ostensorio.
Così, sulla prima impressione, genericamente escatologica, l'osservatore
attento avrebbe innestato riflessioni più specificamente teologiche,
persino dogmatiche: una struttura trinitaria centrale e il sacramento come estensione
visibile della vita delle tre persone divine, oggetto dell'attenzione dei personaggi
disposti attorno all'altare in basso.
La colonna portante dell'affresco, dal gruppo trinitario giù fino all'ostia,
sembra echeggiare le conclusioni del concilio ecumenico celebrato a Firenze
settant’anni prima, il cui decreto "Laetentur Caeli" esalta la reale presenza
del corpo di Cristo nell'ostia consacrata subito dopo aver definita "ragionevole
e lecita" l’aggiunta del “Filioque" nel Credo: e Raffaello in effetti
fa vedere lo Spirito che procede dal Padre “e dal Figlio”.
L’attualità di questi riferimenti come anche l’inclusione
di ritratti di personaggi dell’epoca tra quelli alla base dell'affresco
s'inseriscono tuttavia in un contesto che sottolinea il legame col passato.
I personaggi dell’epoca raffigurati – ad esempio Sisto IV, lo zio
di Giulio II, a destra dell'altare, in piedi – si mescolano con padri
e dottori della Chiesa primitiva e medievale, senza soluzione di continuità.
E la collocazione dello Spirito Santo sotto Cristo e direttamente sopra l'ostia
e l’altare evoca non solo l’affermazione del Concilio fiorentino,
ma anche l'antica formula dell’epiclesi eucaristica in cui il sacerdote
supplica Dio Padre di inviare lo Spirito santificatore affinché le offerte
diventino il corpo e il sangue di Cristo.
Inoltre, i quattro Vangeli che emanano dalle ali dello Spirito posto sopra l’ostensorio
alludono all’inscindibile rapporto tra la parola e il pane eucaristico,
come nella messa stessa, dove le letture ci orientano verso la pienezza delle
Scritture: Cristo incarnato e realmente presente nel sacramento dell’altare.
Per un visitatore dell’età del Rinascimento, quindi, la “Disputa”
doveva suggerire una situazione escatologica preannunziata dalla liturgia.
Anche la brillante costruzione prospettica, che nella Roma del primo Cinquecento
doveva destare ammirazione, porta l'occhio all'altare situato in uno spazio
delimitato dall'emiciclo di nubi su cui siedono Cristo e le altre figure del
primo ripiano. Questo spazio semicircolare sembra l'abside di una chiesa spirituale,
senza mura né tetto, in cui due assemblee, i cui membri hanno uguali
dimensioni e pari dignità, contemplano Cristo. L'assemblea terrena lo
vede nel mistero eucaristico, su cui essa ragiona, essendo ancora alla ricerca
del senso pieno del mistero. Quella celeste lo vede non più in segno
ma com’è ora nella gloria, assieme al Padre e allo Spirito.
Di fondamentale importanza è anche lo schema nascosto con il quale Raffaello
ha composto l’immagine: la grande croce costituita dalla linea orizzontale
dei santi, profeti e patriarchi sulle nubi, e da quella verticale del Padre,
Figlio, Spirito Santo, più l'eucaristia. Questa croce strutturante la
visione di gloria, sopra gli armadi di libri, suggeriva che “mentre i
Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo
crocifisso [...] potenza di Dio e sapienza di Dio” (l Corinzi 1, 22-24).
Ma c’è di più. La “Disputa” è la prima
immagine che uno vede entrando nella Stanza della Segnatura, ma non è
l'unica. Alle spalle del visitatore che varca la soglia per la porta all'angolo
Nord-Est , nel senso originario del percorso, vi è la “Scuola d'Atene”,
dipinta sulla parete della stanza dirimpetto alla “Disputa”.
È con quest’altro affresco che si coglie la logica globale del
programma suggerito a Raffaello.
Le due pareti principali sono infatti legate. “Scuola” e “Disputa”
costituiscono un’unica grande immagine in cui il visitatore stesso si muove.
Chi si colloca in mezzo alla Stanza vede avanzare, dalla profondità di un'aula
vastissima ancora in costruzione – nella “Scuola d’Atene” –
figure nobili tra cui si riconoscono i maggiori filosofi dell'antichità: al centro
Platone, che con la destra indica il cielo e porta nella mano sinistra il “Timeo”,
e Aristotele, che fa un gesto verso terra e porta la “Etica Nicomachea”. E poi
Socrate, Pitagora, Eraclito, Diogene, Euclide, Zoroastro, Tolomeo. Alcuni si sono messi in
gruppo e discutono animatamente, altri restano soli, sprofondati nei loro pensieri. L'intera
assemblea sembra avanzare verso lo spettatore: un'impressione, questa, generata da poche figure
ma rafforzata dall'imponente architettura prospettica.
Nella “Disputa” invece, dall'altra parte della Stanza, Raffaello ha creato
l'impressione opposta: i personaggi al piano terra sembrano allontanarsi dallo spettatore,
volgendosi all'altare nella profondità dello spazio liturgico definito dall'emiciclo di
nubi.
Chi si trova in mezzo alla Stanza ha quindi la sensazione di far parte di un movimento
collettivo che inizia nella “Scuola d'Atene” e termina all'altare della
“Disputa”.
La magnifica aula della “Scuola” ha poi un carattere architettonico specifico:
sembra la navata di una grande chiesa. Ha infatti le forme della nuova Basilica di San Pietro
disegnata dall'amico di Raffaello, Donato Bramante, e iniziata tre anni prima
dell’affrescatura della Stanza, nel 1506. Un visitatore del periodo familiare con la vita
della corte pontificia doveva già conoscere il progetto bramantesco, e sarebbe stato
perciò capace di identificare lo spazio architettonico della “Scuola” con la
progettata Basilica.
Ponendosi tra i due principali affreschi della Stanza della Segnatura, il visitatore
rinascimentale doveva quindi sentirsi come nel transetto dell’erigenda chiesa emblematica
della Chiesa universale, lungo la cui navata grandi pensatori del mondo antico avanzano verso
l'altare collocato nell'abside definito dalle nubi. Un cultore dell’Umanesimo poteva
sentirsi partecipe del millenario progresso dello spirito umano: dal paganesimo greco-romano,
attraverso il presente, verso l'eternità di Cristo già intravista, per la fede,
nel mirabile segno tenuto davanti all'uomo nella Chiesa, l'eucaristia.
Per il visitatore del primo Cinquecento – come anche per i cattolici credenti di oggi
– quel piccolo tondo bianco che Raffaello isola al centro dell'altare era dunque la
chiave di tutti i misteri della fede.
L'umanista cristiano vedeva nel pane di Dio non lo statico oggetto di devozione che
l'eucaristia era divenuta nel pietismo tardo medievale, ma una dinamica realtà di vita
di quell'unità di più membri che è la Chiesa. Donato Acciaiuoli, in un
sermone sull’eucaristia pronunciato nel 1468, elenca infatti come primo beneficio del
sacramento la comunione ecclesiale. Ma insiste anche sul fascino intellettuale che il mistero
ha sempre esercitato e continua ad esercitare sugli uomini. Nella “Disputa” di
Raffaello vediamo infatti non solo l’adorazione eucaristica – un atto puramente
religioso – ma una movimentata “scuola” di pensatori raggruppati attorno
all'altare, i quali si sforzano di penetrare il senso del mistero. Questi dottori cristiani
sono altrettanto animati nella ricerca della verità che i loro predecessori pagani,
nella “Scuola d'Atene” di fronte.
Per Giorgio Vasari, il primo commentatore della “Disputa” nel Cinquecento, questa
intensa attività intellettuale dipinta da Raffaello rappresenta un processo: stanno
“scrivendo la messa”, dice, “e sull'ostia che è sull'altare
discutono”. La messa, che ri-presenta in maniera incruenta il sacrificio di Cristo in
croce, è l'azione liturgica in cui, per opera dello Spirito Santo, la comunità
ecclesiale vive la sua piena configurazione a Cristo. “Scrivere” la messa implica
l'instancabile e secolare sforzo di capire, approfondire, vivere meglio il mistero di comunione
tra cielo e terra, tra Dio e uomo, affidato alla Chiesa.
Anche fuori della azione liturgica vera e propria l’ostia eucaristica rivelava agli
umanisti il corpo di Cristo: non solo come reliquia della passione ma anche e prima di tutto
come comunione, amicizia, Chiesa. Nell'affresco di Raffaello e nel commento fattone dal Vasari
assistiamo al riappropriarsi rinascimentale della visione eucaristica antica: la visione della
“Didaché” e di scrittori quale Gaudenzio di Brescia, per il quale il pane
“risulta da molti grani di frumento, e così anche il corpo mistico di Cristo
è unico, ma è formato da tutta la moltitudine del genere umano, portata alla sua
condizione perfetta mediante il fuoco dello Spirito”, e così anche per il sangue:
molti acini d’uva che diventano l’unico calice. Questo scrittore antico spiega
infine come l'unità eucaristico-ecclesiale viene compiuta: “Segue poi la pigiatura
sul torchio della croce. C'è quindi la fermentazione, che avviene, per virtù
propria, negli ampi spazi del cuore pieno di fede di coloro che l'assumono”.
Scorrendo nella “Disputa” con lo sguardo verso l'alto – dall'Eucaristia a
Cristo e al Padre – appare chiaro che l'unità della Chiesa in terra col suo Capo
in cielo, di cui l'eucaristia è segno, scaturisce proprio dal “torchio”
della grande croce nascosta che struttura l'intera composizione, e sul cui asse verticale
contempliamo la Trinità, mentre quello orizzontale ci rivela il nostro futuro in cielo
con Maria e tutti i santi.
Al punto d'incrocio, tenendo uniti gli uomini con Dio, vediamo Gesù Cristo, l'Uomo-Dio,
che troneggia sopra le due “Scuole”, quella dei santi dottori e quell'altra di
Atene, parte pure essa dell'assemblea cosmica.
Vediamo Cristo sull'invisibile croce della storia, come san Tommaso d’Aquino l'aveva
caratterizzata: “Crux non solum fuit patibulum patientis, sed et cathedra
docentis”. Una croce che, più che patibolo, diventa qui cattedra.
In questa prospettiva, la Stanza della Segnatura si presenta come un manifesto in cui,
all'alba dell'era moderna, la Chiesa si narra: una Chiesa veramente cattolica, veramente
universale.
Per il mistero della volontà divina, infatti, anche i pagani fanno parte della Chiesa,
inconsapevoli compagni del suo pellegrinaggio verso Dio. Nella loro ricerca di una sapienza
spirituale, e nel desiderio di risolvere la straziante divisione tra esperienza individuale e
destino comunitario dell'uomo, i pensatori antichi della “Scuola d’Atene”
gettarono fondamenta concettuali su cui la Chiesa avrebbe successivamente costruito. Pur
nell’inconsapevolezza, essi spinsero la storia verso colui che l’umanista Marsilio
Ficino chiama “libro vivente”, Cristo che insegna dalla croce.
Come i patriarchi e profeti d'Israele, anche i filosofi pagani sono pertanto antenati nella
fede. Nel transetto di questa chiesa che comprende tutta la storia, con gli antichi nella
navata e, davanti, nell'abside, la gloria futura, l'umanista credente del Cinquecento avrebbe
forse ricordato parole indirizzate ai pagani di Efeso agli albori della Chiesa:
“In Cristo Gesù, voi che un tempo eravate i lontani siete diventati i vicini
grazie al sangue di Cristo […]. Non siete più stranieri né ospiti, ma
siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e
dei profeti, e avendo come pietra angolare lo stesso Gesù Cristo. In lui ogni
costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo nel Signore; in lui anche voi, insieme
con gli altri, venite edificati per diventare dimora di Dio per mezzo dello Spirito”
(Efesini 2, 13-15. 19-22).
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