La Natività di Lorenzo Lotto - “il pittore scruta quel che gli altri non vedono, per dare un volto ai pensieri dell’uomo e una forma alla segretezza delle cose” – nella catechesi
di d.Andrea Coldani

Mettiamo a disposizione on-line, per sua gentile concessione, un testo di d.Andrea Coldani, preparato per il ritiro di Natale dei catechisti di Sant’Angelo Lodigiano del 6 dicembre 2005.
Lorenzo Lotto visse nel difficilissimo passaggio storico che vide affrontarsi la Riforma protestante e la Riforma e la Controriforma cattoliche. Fu interprete originalissimo della spiritualità dell’epoca e le sue opere non finiscono di stupire per bellezza e novità. Basti citare La Trinità (ora nel Museo Adriano Bernareggi della Diocesi di Bergamo) dipinta per la Chiesa di Sant’Alessandro della Croce in Bergamo nel 1520 circa, la Madonna in trono con Santi della Chiesa di San Bernardino in Bergamo del 1521, gli affreschi del Cristo-Vite e le storie di Santa Barbara, di Santa Caterina d’Alessandria e di Santa Maria Maddalena dell’Oratorio Suardi a Trescore Balneario del 1524 – affreschi che affrontano esplicitamente in chiave cristologica ed ecclesiologica il tema dell’eresia - gli affreschi della Cappella della Vergine in San Michele al Pozzo Bianco in Bergamo del 1525, l’Annunciazione (ora nella Pinacoteca Civica di Jesi) del 1526, una seconda Annunciazione (ora nella Pinacoteca Civica di Recanati) del 1527, la Crocifissione di Monte San Giusto degli anni 1529-34, la Pala di Santa Lucia (ora nella Pinacoteca Civica di Jesi) del 1532, la Sacra Conversazione detta Pala dell’Alabarda del 1539 (ora nella Pinacoteca Comunale di Ancona).
Nel famoso Libro di spese diverse ci ha lasciato notizia della sua decisione di divenire, in tarda età, oblato della Vergine nella Santa Casa di Loreto: “Per non andarmi avolgendo più in mia vecchiaia, ho voluto quetar l’anima mia in questo santo locho”.
Pronunciò i voti a Loreto l’8 settembre 1554 dicendo: “Io Lorenzo Lotto di Thommaso Venetiano pittore... in questa santissima cappella della Madonna in ginocchione dinanzi al mio Signore Iddio Jesu Christo alla sua santissima madre et a voi monsignor reverendissimo messere Gaspare de Dotti governatore di questa santissima casa spontaneamente e perpetuamente offerisco, dò, dono e dedico la propria volontà il corpo e tutta la mia roba” (tratta dal testo dell’oblazione di Lorenzo Lotto presso la Santa Casa, in F.Caroli, Lorenzo Lotto e la nascita della psicologia moderna, Milano, 1980, 318-319). Lì dipinse le sue ultime opere, conservate ora nel Museo-Pinacoteca della Santa Casa, fra le quali Il Cristo e l’adultera e L’arcangelo Michele e Lucifero.

Il Centro culturale Gli scritti (10/4/2007)


Lotto, meraviglia e adorazione…

Lorenzo Lotto nato, si presume dal suo testamento, verso il 1480 e morto nel 1557. Veneziano di origini, appartiene alla grande generazione dei pittori veneziani quale Giorgione, Tiziano, Palma il Vecchio e Pordenone. Dopo un’iniziale apprendistato a Venezia svolse la sua attività in gran parte lontano dalla città natia: tra Treviso, Bergamo e le Marche. Il corpus dei suoi dipinti consta di oltre 130 pitture, per lo più pale d’altare, quadri devozionali, ritratti e 3 cicli di affreschi. Lotto è anche apprezzato disegnatore, realizzò una straordinaria serie di disegni per tarsie lignee, non possiamo non ricordare le tarsie lignee del coro della Chiesa di Santa Maria Maggiore a Bergamo.

Della sua personalità gli studiosi ci parlano di un uomo segnato da un’autentica inquietudine spirituale e da una profonda sensibilità. Pietro Aretino, suo contemporaneo e amico, così lo descriveva in una lettera dell'aprile 1548: «O Lotto, come la bontà buono e come la vertù vertuoso». Egli intendeva la sua professione quasi come una “vocazione”!! Per Lotto «il pittore scruta quel che gli altri non vedono, per dare un volto ai pensieri dell'uomo e una forma alla segretezza delle cose». Del Lotto i critici sottolineano un'insolita capacità di entrare in empatia con i santi che ritrae e una facilità a tradurre in immagini le tribolazioni che li dominavano: Bernard Berenson, che ha contribuito a fine Ottocento a farlo conoscere, gli riconosce un carattere indagatore e una sottile psicologia: due sensibilità che verranno sviluppate nei secoli successivi.

Lotto teneva un brogliaccio, il Libro di spese diverse, in cui registrava i contratti, i pagamenti effettuati e quelli da riscuotere, ma quelle pagine si trasformavano anche in una sorta di diario con sfoghi importanti per capire il peso quotidiano e le preoccupazioni materiali. Pietro Zampetti, che ha curato il volume e ha studiato nei minuti dettagli l'autore, tratteggia questo profilo: «Raramente un artista sente la creazione come totale impegno interiore, così come il Lotto. Uomo indubbiamente colto e soprattutto nelle cose di religione, il suo racconto non è soltanto fatto illustrativo, ma evento vissuto totalmente, come fenomeno della coscienza. La sua pittura ci viene incontro da sola, ci turba la serenità, ci pone dei problemi che sono vivi ed attuali. La sua arte è azione interiore, è impegno morale, senza soluzione temporale» . Possiamo quasi dire di essere davanti ad un “mistico della pittura” «il suo stile e la sua cifra pittorica non sono solo il frutto di un’arte somma, di una tecnica limpida e accattivante, ma il risultato di una vita realmente dedita alla contemplazione e alla preghiera». Lotto traduce meditazioni, preghiere e racconti evangelici in disegno e colore, producendo per i fedeli dipinti colmi di sentimenti e di moti dell’animo dei personaggi al punto tale da suscitare in noi un moto spontaneo che nasce dal cuore e ce li rende familiari.

Nel 1523 Lotto dipinge la Natività, una piccola tavola (cm 46 x 36) conservata alla National Gallery of Art di Washington. Stava per finire il soggiorno bergamasco, un periodo che occupa l'arco di anni compresi tra il 1512 e il 1525 e caratterizzato da un "misticismo affettivo" e da un senso magico infuso nelle opere grazie all'utilizzo della luce. Quella di Bergamo passa per una stagione serena, favorita anche da una committenza che gli chiede quadri con una forte carica religiosa come La Pala Martinengo (Madonna con Bambino e santi, Bergamo – Chiesa di San Bartolomeo) e le Nozze mistiche di santa Caterina (Bergamo – Accademia Carrara). Lotto, amico dei Domenicani, viene indotto a immergersi e a meditare ancora di più sulle verità di fede. I risultati si vedono. La Natività è destinata a un'abitazione privata come dicono le piccole dimensioni. È un quadro pensato per la devozione di una famiglia. L'incarnazione si sposta dal luogo di culto, dove ci si reca a pregare, alle stanze di un palazzo in cui la giornata vorrebbe essere illuminata dalla memoria di Cristo. Il mistero lo si vuole prossimo, dentro le mura domestiche.

Lorenzo Lotto, Nativita', 1523, Washington, National Gallery of Art
Lorenzo Lotto, Natività, 1523, Washington, National Gallery of Art

È il desiderio credente che abita il nostro cuore in questo tempo di Avvento, affinché si realizzi quello che la liturgia ci fa cantare “quell’ammirabile scambio che ci ha redenti”. Di fronte ad un’umanità che corre il rischio di essere vittima di se stessa perché ha la pretesa di far da sola, è la descrizione del profeta Isaia (64,5) «tutti siamo avvizziti come foglie, le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento», un fatto è accaduto nella storia: Dio ha visitato il suo popolo. Un fatto ci dice Isaia (64,3): «orecchio non ha sentito, occhio non ha visto che un Dio, fuori di te, abbia fatto tanto per chi confida in lui». Entriamo allora con Lotto in questo grande mistero della nostra salvezza, affinché tale mistero possa pervadere tutta la nostra vita.

Nel dipinto i santi personaggi sono collocati in primo piano, tanto da porre l’osservatore, meglio il fedele, in una posizione privilegiata, siamo nella stalla! Non guardiamo dentro da fuori, la scena è vista dall’interno; si dà una condizione di intimità del fedele con il mistero che si rivela.

Giuseppe

Guardiamo il quadro e lasciamoci istruire dal linguaggio del Lotto. Troviamo subito un'iconografia a noi familiare, la stessa che utilizziamo quando allestiamo il presepe. Maria e Giuseppe inginocchiati davanti alla culla con un Gesù sorridente che allarga le braccia. Un'immagine classica. Eppure rappresenta una novità. La tradizione vedeva Giuseppe solitamente in disparte, un passo arretrato rispetto all'avvenimento che aveva al centro la madre e il figlio. Nelle icone, ma anche in Giotto e in molta della scuola medievale, lo si trova addirittura collocato a un piano inferiore rispetto al centro della scena. Lontano e quasi escluso dal mistero. Una figura passiva che, accovacciata, reclina il capo e lo appoggia su una mano, in un gesto di meditazione. Qui, invece, prega e un sorriso muove il volto: c'è gioia e commozione, c'è adorazione. Quel bimbo lo sente suo, lo ha accolto dando compimento alle Scritture e se ne prende cura accompagnandolo nella crescita. Il suo silenzio così partecipe delinea una sua specifica personalità che acquista la statura di una figura teologica ben caratterizzata: è il testimone della verginità di Maria e con Dio condivide la paternità.

Giuseppe non ha dimenticato i giorni dello scombussolamento, quando fidanzato e prossimo alle nozze scopre Maria incinta per opera dello Spirito Santo. L'evangelista Matteo riporta i momenti del turbamento: «Il suo sposo Giuseppe, che era uomo giusto e non voleva esporla al pubblico ludibrio, decise di rimandarla in segreto. Ora, quando aveva già preso una tale risoluzione, ecco che un angelo del Signore gli apparve in sogno per dirgli: "Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa: ciò che in lei è stato concepito è opera dello Spirito Santo. Darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù; egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati". [...] Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con se la sua sposa; ma non si accostò a lei, fino alla nascita del figlio che egli chiamò Gesù». Questa sorta di rivalutazione della figura di Giuseppe sembra essere il frutto maturo del clima culturale e spirituale della Bergamo del tempo quando un frate servita, fra Girolamo Castro da Piacenza, aveva iniziato una serie di predicazioni tese alla rivalutazione della figura di Giuseppe tanto da far nascere la confraternita della Scuola di Giuseppe nella quale entrarono alcuni committenti del Lotto. Siamo invitati a pregare nella contemplazione di Giuseppe offrendo a Dio nella docilità tutte le fatiche, le prove e gli affanni quotidiani nella fiduciosa consapevolezza che Dio non ci abbandona.

La madre, il figlio e la culla

Lotto rompe gli schemi tradizionali e valorizza Giuseppe affiancandolo alla Madonna che ha gli occhi incollati su Gesù. Sono sgranati dalla meraviglia. Osserva il bambino che le sta parlando con lo sguardo, con il movimento delle labbra, con i piedini che scattano e con le mani che si muovono in uno slancio di affetto. Si vuole aggrappare, Lui che è Dio, a sua madre. Comportamenti naturali di ciascun neonato, si direbbe… è vero uomo! Ma in questa rappresentazione assumono sfumature e significati che superano la contingenza per inscriversi dentro il linguaggio dell'eterno entrato nel tempo. Lotto non suscita semplici e amorevoli sentimenti. Non coinvolge solamente con la trama degli affetti. Lavora sui pensieri che iniziano a scorrere dentro di noi. Risveglia il nostro profondo, invitando a fermarsi davanti alla capanna perchè quello è il mistero di Dio che si è fatto uomo. Non possiamo più ritrarci, siamo entrati anche noi nell'evento. È il dialogo di sguardi tra la Madonna e Gesù a incantare. Le braccia conserte svelano delle dita che fremono, l'inclinazione del busto comunica un'attrazione, appena trattenuta, di un'umanissima coscienza della sproporzione tra se, l'umiltà della serva e il miracolo, l'Emmanuele, il Dio con noi. Riappare la scena lontana della visita dell'angelo Gabriele: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio».

Tutto è compiuto. Ecco il Figlio dell'Altissimo, nudo e deposto sopra un cesto di paglia. Lì, per terra, a significare che è proprio venuto in questo mondo. La terra, che è madre perché nutre e veste la nostra permanenza, ora sostiene e mostra il senso ultimo della vita. L'incarnazione è una nascita in questo mondo e un'esistenza trascorsa su questa terra. La culla è un umile cesto perché Luca ricorda che il Figlio di Dio fu deposto in una mangiatoia. La tradizione artistica, soprattutto quella bizantina, ha rappresentato la culla come un elemento rigido e squadrato in modo da evocare il sepolcro scoperchiato con evidente richiamo alla risurrezione. Al Lotto basta richiamare l'essenzialità della culla, ma anche la provvisorietà. Appoggiate a essa si trovano un sacchetto di iuta annodato e una botticella. Il pane e l'acqua, quel poco che basta per sfamare chi dovrà presto mettersi in viaggio. Un rimando alla fuga in Egitto e al tipo di accoglienza che verrà loro riservata da Erode, il signore della Giudea. Ma anche una chiara allusione al messaggio di Cristo, segno di contraddizione: «È venuto tra i suoi, ma i suoi non lo accolsero».

Il crocefisso

La "sacra conversazione" nei pressi della capanna vibra animata da una luce che gioca a illuminare una serie di particolari, per niente casuali: il crocifisso appeso alla parete di sinistra, gli angeli, la scala, le tortore, l'asino e il bue in lontananza, quasi impercettibili, e la pialla o trappola per topi o semplice pezzo di legno da incastro nell'angolo a destra. Stupisce e balza immediatamente all'occhio il crocifisso. Perché? A esami attenti s'è scoperto che si tratta di un intervento successivo di datazione incerta.

La Natività, dicono i critici, ha comportato ripetuti aggiustamenti da parte del Lotto: ritocchi e inserimenti suggeriti più da una riflessione teologica in corso di definizione, che da una incertezza pittorica. Perché il crocifisso? Lotto opera un doppio gioco di significati. Da un lato è attento alla descrizione di una stalla con i simboli religiosi della nostra fede appesi alle pareti; dall’altro il pittore diviene fine teologo ed adombra nel mistero della nascita il mistero della croce. Questa contemporaneità ci mostra come la Natività di Lotto non cede ad un certo sentimentalismo tipico del Natale ma ci presenta la verità della rivelazione evangelica. Cristo nasce con il destino di annunciare la salvezza sconfiggendo la morte sul Calvario. L'uomo di fede quando è davanti alla culla riflette e gusta la gioia della venuta del Salvatore, ma deve anche sapere che l'annuncio verrà chiarito nei suoi contenuti e sarà ripetuto dall'alto della croce, «scandalo per i Giudei e follia per i pagani», come ricorda Paolo nella Prima lettera ai Corinzi. Una nascita porta sempre con se un disegno: quello di Cristo è chiaro, non nasconde nulla, anzi, meditandolo sarà più facile comprendere anche il nostro.

Gli angeli e la scala

Lorenzo Lotto sopra la scena ha posto tre angioletti che cantano esultanti, tenendo tra le mani un grande foglio di musica con visibile il pentagramma. Un modo molto umano per far partecipare anche le potenze celesti, cui in precedenza Dio era ricorso per portare l'annuncio a Maria. Non è l'angelo Gabriele nella sua maestosa personalità. Sono stati scelti invece degli angioletti, simili ad amorini, piccoli e nudi come Gesù. Un'ulteriore umanizzazione del grande evento che, tradotto in linguaggio comprensibile agli uomini, si riassume in una parola: amore. Cristo porta rapporti nuovi e rifonda l'amore, principio della vita. La lettura delle note musicali rammenta che i canti e la gioia celeste stanno scritti nella vita che è appena nata e per ripeterli basta seguirne le indicazioni.

Perché c'è quella scala appoggiata alla capanna? Niente di più naturale in un ambiente contadino. Sì, ma il Lotto non fa nulla a caso. Anch'essa ha un riferimento biblico. Ricorda l'episodio del sogno di Giacobbe. Una notte, mentre era in viaggio, vede in sonno una scala che unisce la terra al cielo. Su di essa salgono e scendono gli angeli. Ode poi la voce di Dio: «La terra sulla quale sei coricato, la darò a te e alla tua discendenza». Giacobbe svegliatosi di soprassalto esclama: «Quanto è terribile questo luogo! Questa è proprio la casa di Dio, questa è la porta del cielo». Lì costruisce un santuario.

Per i Padri della Chiesa la scala rappresenta la provvidenza di Dio che, attraverso i suoi angeli, fa conoscere il suo volere e sempre attraverso di loro accoglie le invocazioni e le suppliche degli uomini. Poi la scala è diventata anche simbolo che annuncia l'incarnazione di Cristo, unione della terra con il cielo.

Le tortore, l’asino e il bue

Anche i dettagli comunicano la verità. Ad essi Lotto affida il compito di completare l'annuncio evangelico. Sul dipinto appaiono come presenze discrete, al punto da non essere visti subito o di passare in secondo piano, quasi fossero state poste a corredo del lavoro finale. Eppure i particolari trasmettono concetti fondamentali. Prendiamo la coppia di tortore che sta appollaiata su di un bastone all'ingresso della capanna. Il loro inserimento pittoricamente dà una punta di luce, ma niente di più. Originale idea, potrebbe aggiungere qualcuno. Eppure non rientrano nella decorazione, sono lì perché nella simbologia cristiana medievale la tortora rappresenta l'emblema della Chiesa nei suoi rapporti con il suo Sposo divino. Testimonianza di fedeltà, perché, come i naturalisti antichi avevano osservato, essa non si riaccoppia quando resta "vedova". Ambrogio, vescovo di Milano, la cita come esempio in un sermone alle donne e la indica soprattutto alle vedove. La fedeltà si ammanta di altre qualità come la castità e la dolcezza.

La tradizione vuole l'asino e il bue. Lotto li colloca lontani, dentro la capanna e legati alla greppia. Le loro figure, di solito in primo piano, sono qui pressochè inesistenti. Sappiamo che il pittore era molto vicino ai Domenicani, un Ordine poco incline ai sentimenti e votato agli studi per affermare con gli strumenti della ragione i fondamenti della fede. Non solo, Lotto conosce la teologia: i due mansueti animali, associati alla bontà e al calore che infondono, non compaiono nelle prime iconografie del Natale. Sono un'aggiunta successiva e anche teologicamente esprimono poco. Da qui la loro presenza sfumata.

Pialla o trappola per topi o semplice pezzo di legno da incastro ?

Che cos'è quell'oggetto nell'angolo destro? Su di esso il Lotto ha apposto la propria firma, ma oltre a un tale escamotage che cosa rappresenta? La domanda ha tormentato a lungo i critici e li ha anche divisi. Per alcuni sarebbe una semplice pialla che ricorda la professione di falegname praticata da Giuseppe. Per altri, in particolare per Rusk Shapley, si tratterebbe di una trappola per topi. Per altri ancora un semplice pezzo di legno da incastro. Si sa che il Lotto ama le metafore e ha approfondito il linguaggio dei simboli, dandone uno straordinario saggio nella elaborazione e realizzazione delle tarsie per il coro di Santa Maria Maggiore a Bergamo.

Se avvaloriamo la tesi avanzata nel 1968 da Shapley, quella di una trappola per topi, essa accentuerebbe il messaggio sulla missione salvifica di Cristo. Un messaggio? Meglio sarebbe dire un ragionamento. Osserviamo la collocazione della trappola: si trova sul lato opposto del crocifisso, ma in diretta corrispondenza con esso quasi fossero congiunti da un filo invisibile. In mezzo a questi due elementi, la figura del bambino Gesù. L'iconografia della trappola è poco diffusa, ma di fonte molto autorevole: è sant'Agostino che, commentando la passione, afferma: «Il diavolo ha esultato quando Cristo è morto, ma per quella stessa morte di Cristo il diavolo è stato vinto, come la trappola prende l'esca. [...] La croce del Signore è la trappola del diavolo; la morte del Signore l'esca con la quale sarà preso».

Ma ancora: in un dipinto tutto dedicato all’umiltà del servizio silenzioso di Giuseppe e di Maria, Lotto pone la sua firma in modo da farci comprendere il ruolo dell’artista, egli scrive il suo nome su di un pezzo di legno con un incastro ad angolo retto frutto dell’arte di Giuseppe falegname. L’artista come Giuseppe nell’umiltà e nel silenzio del proprio lavoro contempla il mistero di Dio che si rivela, si lascia educare da esso e lo testimonia con il proprio lavoro. Nulla va escluso.

Incarnazione: il destino entra nella storia!

Davanti a Lotto tutto diventa più chiaro. Le intuizioni del pensiero sembrano prendere forma umana. Il cristianesimo entra nella storia dell’uomo e la scompagina. I discorsi filosofici sul destino non reggono alla novità. Ben altra promessa porta il Figlio di Dio. L’attesa cede il passo ad un rapporto concreto. «Non vi chiamo più servi perché il servo non sa quello che fa il suo padrone, ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi».

L'incarnazione ci appare per quello che è: un bambino che si stringe alla madre e che si muove sulla nuda terra. Piange, sbatte le palpebre e le labbra disegnano il linguaggio di ogni neonato. Quei movimenti esprimono tenerezza, risvegliando in ciascuno i sentimenti più profondi d'affetto e di gioia. La teologia dipinta fa parlare la verità e dà forma alle parole. Ma in quella adesione accurata al reale serpeggiano ovunque indizi, sfumature, particolari che segnalano la presenza del mistero. Il bambino, la madre, il padre sono come noi, eppure qualcosa li distingue.

Non lo nascondono, ci invitano a scoprirlo stando davanti a loro a guardare. Chiedono una compagnia. Il tempo speso insieme a loro non è mai perso, perché regala il silenzio che rappacifica, rasserena le inquietudini del cuore, insegna la saggezza del vivere. La natività offre ai nostri occhi l'umanità di Dio. L'Onnipotente si era manifestato "faccia a faccia" solo con Mosè. Nelle altre occasioni aveva fatto ricorso agli angeli e ai profeti per comunicare la sua volontà. Adesso decide diversamente. Lo fa con un gesto imprevedibile, una soluzione impensabile per l'uomo. Sceglie l'incarnazione nella storia, il Natale. È la misericordia che lo spinge a tanto. Il Padre decide di inviare sulla terra Gesù.

Il teologo Hans Urs von Balthasar ricorda che «l'Antico Patto è stato infranto mille volte. Nel Nuovo Patto, però, è stato raggiunto, non sappiamo come, uno stadio della storia in cui Dio può prendere su di se il destino del suo partner d'alleanza, l'uomo. La parola di Dio non oscilla più sospesa semplicemente al di sopra della carne, non abita più solo temporaneamente nella carne (come presso i profeti), ma diventa carne. Può prendere tutta la corporeità di una vita d'uomo come destino proprio, divino, e Dio può riconoscere ciò che un uomo, quest'unico uomo è e vive, come valida, reale e definitiva espressione della divina volontà salvifica sul mondo, più ancora: dell'essere divino, che si rivela e si dona alla creatura».

Dio si presenta come un bambino, un essere indifeso che chiede di essere vestito, preso tra le braccia, allattato, aiutato a crescere. Ogni bambino vuole crescere, è nato per crescere. Chi accoglie Cristo incontra una vita che cerca spazio per diventare grande con lui e in lui. Lo sguardo che si posa sulla mangiatoia scopre tanto affetto e avverte una domanda: che quei giorni di festa diventino la Festa dell'intera esistenza.

La teologia estetica di Lotto mostra, come pochi discorsi riescono a fare con altrettanta efficacia, la rivoluzione antropologica avvenuta quel giorno. La storia dell'umanità cambia. Un discrimine divide il tempo: ora che il mondo ha ospitato il Dio fatto uomo, nessuno potrà più ritrarsi. L'attesa è terminata, d'ora in poi si sarà con Cristo o lontani da Cristo.

L'umanità di questo quadro riassume l'esultanza di sant'Agostino: «Celebriamo oggi un giorno di festa, una solennità che ritorna ogni anno, il Natale del Signore nostro Gesù Cristo: la Verità è germogliata dalla terra (Salmo 84), il giorno da giorno è sorto nel nostro giorno: rallegriamoci ed esultiamo in esso (Salmo 117). La fede dei cristiani comprende quale vantaggio ci ha recato l'umiltà di un Dio così sublime, ma ciò è lontano dal cuore degli empi, poiché Dio ha tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le ha rivelate ai piccoli (Mt 11,25). [...] Esultino uomini e donne: Cristo è nato uomo, è nato da una donna: entrambi i sessi così sono stati onorati. Si trasformi dunque nel secondo uomo chi nel primo uomo, cioè Adamo, era stato precedentemente condannato. Una donna ci aveva indotti alla morte, una donna ci ha generato la vita. È nata una carne simile a quella del peccato, perchè da essa venisse purificata la carne del peccato. Non si condanni dunque la carne, ma, affinché la natura viva, muoia la colpa: egli infatti è nato senza colpa, perchè chi è stato nella colpa possa rinascere in lui».


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