N.B. Una prima bozza di questo testo era già apparsa su www.gliscritti.it Le riflessioni ed i contributi che ci sono pervenuti ci hanno permesso di approfondire lo studio dell’immagine della Chiesa-sposa nell’iconografia medioevale, precisando la paternità delle opere e la loro cronologia.
L’iconografia medioevale occidentale ha voluto rappresentato l’immagine di Maria-Chiesa come sposa
del Cristo, radicata nella riflessione dei teologi del Medioevo che hanno compreso e annunziato la
centralità di questo aspetto della rivelazione cristiana. La relazione fra il Cristo e la Chiesa è,
infatti, descritto nella Bibbia, come un amore sponsale. Il Signore Gesù offre la sua vita per la Chiesa,
poiché la ricolma di amore forte, fedele e tenero, fino a morire per lei; la Chiesa gli risponde catturata
dall’amore con cui è amata.
I profeti avevano prefigurato questa relazione sponsale, il Nuovo Testamento lo proclama presente (vedi, fra i
numerosissimi testi possibili, le nozze di Cana, l’annuncio di Efesini 5, la scena finale
dell’Apocalisse).
Soprattutto la lettura e la meditazione del Cantico dei Cantici ha nutrito questa spiritualità, lungo tutto
il Medioevo. Chi sono lo sposo e la sposa del Cantico? Certo, ad un primo livello di lettura due esseri umani,
certo ad un secondo livello di lettura spirituale Dio e l’anima dell’uomo, ma, ultimamente, il Cristo
e la Chiesa tutta. Numerosi autori hanno attestato che commentare il Cantico è possibile solo al cristiano
maturo, giunto quasi al limitare della vita, ricco di una lunga esperienza spirituale, perché in esso si
racchiude tutto il senso della storia della salvezza: l’amore che si scambiano il Signore e la sua Chiesa
è la realtà escatologica, che, però, riempie di sé tutto il creato e la storia, perché
è il senso di tutto ciò che esiste.
Questa profonda comprensione del mistero dell’amore si è intrecciato con la riflessione teologica su
Maria. La fede della Chiesa ha sempre creduto che in Maria è prefigurata tutta la Chiesa. Ciò che a
Maria, in modo singolare, è dato anticipa la grazia di cui è colmata la Chiesa intera. Ecco che la
Chiesa è madre come Maria, ecco che la Chiesa è colei che genera Cristo nel tempo, ecco che la Chiesa
vive della speranza e dell’attesa di essere lei pure assunta in cielo, alla resurrezione dei morti.
Ma lo scambio avviene anche inversamente. Poiché la Chiesa è la Sposa del Signore Gesù, ecco che
si può parlare anche di Maria come della Sposa. Essa, che è Madre e Figlia del suo Figlio, è amata
anche di quell’amore con il quale il Cristo ha dato la sua vita per la sua Sposa, per renderla santa e
immacolata nell’amore. La Madre di Dio ci appare allora, nella teologia medioevale e nella conseguente
iconografia, anche come Sposa del Signore.
Il capitolo dedicato dalla Legenda aurea di Jacopo da Varagine [1]
all’Assunzione di Maria ci mostra la presenza delle parole e delle tematiche del Cantico dei Cantici, nella
descrizione della liturgia funebre dedicata a Maria dagli apostoli, con la presenza dello stesso Cristo che
interviene:
Come si siano celebrate le esequie lo si legge nel già citato libretto di Giovanni. Il primo a iniziare
fu proprio Gesù e disse:
“Vieni, mia favorita, e ti porrò sul mio trono, perché ho desiderio della tua
bellezza”.
“Il mio cuore è pronto – gli rispose Maria – il mio cuore è pronto”.
Si levò allora dolcemente il canto di tutti quelli che erano venuti con Gesù:
“E’ lei che ha mantenuto il suo talamo casto, e avrà il suo premio alla mensa delle anime
sante”.
Il giorno stesso la Vergine cantò:
“Tutte le genti mi dicono beata, perché il Potente ha operato per me cose grandi. Santo è il
suo nome!”
Allora il cantore intonò per tutti e disse con voce chiarissima:
“Vieni dal Libano mia sposa, vieni dal Libano e sarai coronata”...
Poi quelli che erano rimasti in cielo, ascoltando il canto di quelli che salivano, accorsero loro incontro, e
vedendo che il loro re teneva fra le braccia l’anima di una donna che s’appoggiava a lui, stupiti
esclamarono:
“Chi è costei che sale dal deserto e s’appoggia sopra il suo amato?”
Quelli che le erano accanto risposero loro:
“Eccola, è lei la bella fra le figlie di Gerusalemme, come l’avete vista piena di amore e di
carità”.
E così è accolta gioiosa in cielo e viene collocata a destra del Figlio sul trono di gloria
[2] .
Possiamo contemplare l’espressione pittorica di questo, innanzitutto, in Cimabue, nell’abside della Basilica Superiore di Assisi [3] .
Nonostante la sua opera, come è noto, abbia perso parte dello splendore originario, a causa dell’ossidazione della biacca usata dal pittore, le immagini restano leggibili e trasparenti. Vediamo una a fianco dell’altra, da sinistra a destra, le quattro immagini dell’Assunzione di Maria. Nella prima Maria, alla quale è stata annunciata la fine della vita terrena, raccoglie intorno a sé tutti gli apostoli, miracolosamente avvertiti del fatto. Nella seconda contempliamo la Dormitio Mariae, con il Cristo che la solleva dal letto di morte, tenendola come una piccola fra le sue braccia per portarla in cielo. Nella quarta vediamo Cristo su di un ampio trono e, sullo stesso, Maria al suo fianco. La terza scena è quella che più ci interessa, nella sua originalità: è appunto il tenero abbraccio dello Sposo e della Sposa, nella mandorla dell’eternità, circondata da angeli e contemplata da tutti i santi. In molti studi viene chiamata semplicemente “Assunzione di Maria”, ma potremmo altrettanto bene definirla “Le nozze di Cristo e della Chiesa”.
Ritroviamo lo stesso soggetto nel coro della Chiesa di Monteluce in Perugia [4] , che, un tempo, apparteneva al monastero delle clarisse, forzatamente soppresso
all’Unità d’Italia.
Anch’egli rappresenta Cristo e Maria teneramente abbracciati l’uno all’altra, racchiusi nella
Mandorla. Angeli musicanti fanno da corteo nuziale all’evento.
Queste immagini si equivalgono iconograficamente all’immagine più tradizionale dell’Incoronazione della Vergine, nella quale il Cristo impone la corona a Maria. L’Incoronazione, infatti, aveva anch’essa una sua valenza sponsale. Ricordava la liturgia antica nella quale la sposa era incoronata nella celebrazione del matrimonio; così Maria è a fianco di Gesù come colei che da Lui riceve la corona. Il suo essere Regina è proprio caratterizzata dall’amore che riceve e dona al Re, lo Sposo, il Cristo. E’ in questo amore finalmente scambiato in totalità che sta la sua regalità.
Tale valenza matrimoniale dell’Incoronazione ci appare chiaramente, per citare solo un esempio, nel mosaico dell’abside della Basilica di S.Maria in Trastevere in Roma, databile intorno al V decennio del XII secolo [5] .
In esso il Cristo mostra il libro aperto che dice: "Veni electa mea et ponam in te thronum meum" (Vieni mia eletta e porrò in te il mio trono). Maria, che ha già la corona sul capo, gli risponde con le parole del Cantico dei Cantici (Ct 2, 6): "Leva eius sub capite meo et dextera illius amplexabitur me" (La sua sinistra è sotto il mio capo e la sua destra mi abbraccerà) [6] .
L’autore dell’affresco del coro della Chiesa di Monteluce, come Cimabue, non sente il bisogno di
rappresentare la corona, ma manifesta immediatamente il carattere sponsale, attraverso il gesto tenero
dell’abbraccio del Cristo e della sua Sposa.
Viene indicato dalla critica recente appunto come Maestro dei Dossali di Subiaco [7] , seguace di Meo di Siena [8] , con
derivazioni da Pietro Lorenzetti e dai giotteschi di Assisi.
E’ operante appunto a Perugia e Subiaco. La sua opera è databili alla prima metà del XIV secolo.
Alcuni tratti stilistici di derivazione senese sono indubitabili, come le mani e gli occhi affusolati dei
personaggi.
Ritroviamo ancora la stessa iconografia nella Cappella della Madonna, nel Sacro Speco di Subiaco.
Qui l’affresco, che è nella lunetta di sinistra della Cappella, combina la presenza della mandorla con quella dell’unico trono su cui seggono, affiancati, il Cristo e Maria, il Cristo e la Chiesa. Gli studi recenti attribuiscono l’intera decorazione pittorica della cappella all’ambito del “Maestro trecentesco” del Sacro Speco. La collocazione cronologica ipotizzata è quella degli anni dell’abate senese - ma che aveva successivamente condotto vita monastica a Perugia – Bartolomeo (abate negli anni 1362-1369). Il Maestro trecentesco del Sacro Speco sarebbe l’autore sia delle Storie neotestamentarie, nella chiesa superiore, sia del Trionfo della morte, nella Scala Santa, sia delle Storie di Maria, nella Cappella della Madonna [9] . Qui, finalmente, lo stato di buona conservazione dell’affresco, pur nella diversa qualità pittorica, permette di contemplare in intero la scena dell’amore dello Sposo e della Sposa. Fanno da corona all’amore celebrato angeli musicanti in festa, disposti tutt’intorno alla Mandorla.
[Nota 1] Come è noto il testo di Jacopo da Varagine (o Iacopo da Varazze), uno dei testi più letti nel Medioevo, raccoglie le tradizioni relative ai santi, disposte secondo il calendario liturgico di allora, invitando appunto alla lettura di questi episodi di vita cristiana (“Legenda” nel senso etimologico di “testo che deve essere letto”). Jacopo (1228 ca.-1298), che nel 1292 divenne vescovo di Genova, non è il creatore di tali racconti, ma, appunto, uno dei testimoni più autorevoli e completi di ciò che la tradizione medioevale ha creduto delle vite dei santi più venerati.
[Nota 2] Iacopo da Varazze, Legenda aurea, Einaudi, Torino, 1995, pagg. 634-635.
[Nota 3] Cfr. su questo dipinto di Cimabue, L.Bellosi, Cimabue, Federico Motta editore, Milano, 2004, pp.207-210. Egli indica altre testimonianze dell’iconografia Maria-Sposa a fianco di Cristo-Sposo: l’affresco del Maestro del Trittico di Perugia in Santa Giuliana in Perugia ed il Centro del Dossale del Maestro di Cesi ora nel Museo Ile-de-France a St. Jean-Cap-Ferrat. Per la datazione degli affreschi di Cimabue in Assisi, il Bellosi riprende quella proposta da Cesare Brandi che privilegia gli anni 1288-1292, cioè quelli del primo papa francescano Niccolò IV, rispetto all’altra datazione proposta dalla critica e cioè gli anni 1277-1280, durante il pontificato di papa Niccolò III.
[Nota 4] Il monastero delle clarisse di Monteluce è il secondo fondato in
ordine di tempo dopo San Damiano, vivente ancora S.Francesco, e risale al 1218. La parete sulla quale è
dipinto l’affresco è divisoria fra la Chiesa ed il coro. Tale parete non è originaria, ma sarebbe
stata realizzata nei primi del '300. L’affresco non si è conservato integralmente; soprattutto la
parte sinistra è abrasa, con la scomparsa degli angeli musicanti. E’ stato pubblicato nel 1983 il
Memoriale di Monteluce. Cronaca del monastero delle clarisse di Perugia dal 1448 al 1838, ed. Porziuncola,
Assisi, testo base per la ricostruzione delle vicende del complesso monastico di Monteluce e della vita di cui fu
testimone. Attualmente le clarisse, dal tempo della requisizione degli edifici, si trovano, invece, presso
S.Erminio, mentre la sola Chiesa di S.Maria Assunta in Monteluce, restituita alla Diocesi di Perugia, è ora
parrocchia.
La copia della nostra immagine nella nicchia ricavata nella base del campanile è stata dipinta da d.Nello
Palloni, su richiesta dell'attuale parroco mons.Luciano Tinarelli, nel 1983, proprio per valorizzarla anche
all’esterno.
Un grazie particolare vogliamo esprimere alle suore pastorelle (della Congregazione di Gesù Buon Pastore),
che vivono nella parrocchia di Monteluce. E’ la loro ospitalità che ci ha permesso di conoscere
l’affresco di Monteluce ed è grazie a loro che abbiamo potuto avere le prime informazioni storiche e
teologiche su di esso.
[Nota 5] Così A.Tomei, Pietro Cavallini, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo-Milano, 2000, pag.34, che esclude anche, a partire dall’intervento conservativo degli anni 1990-1991, l’ipotizzato “restauro cavalliniano” del volto della Vergine.
[Nota 6] L’iconografia bizantina manifesta la stessa spiritualità nella rappresentazione del Nymphios (in greco “lo sposo”). E’ l’icona di Cristo morto che fuoriesce dal sepolcro, immagine già della resurrezione. L’icona viene portata in processione nei primi tre giorni della settimana santa, durante i Mattutini, e viene da tutti baciata, proprio ad esprimere le nozze fra Cristo e l’umanità. In alcune sue varianti - e particolarmente nel modello “Non piangermi, Madre” ed “Il Figlio unigenito” della tradizione russa - il Figlio è abbracciato da tergo dalla Madre. E’ lei a presentare il Figlio per le nozze, ma è lei stessa che lo abbraccia, proprio come la Sposa stessa delle nozze. Il Figlio poggia il suo capo al capo di Maria-Chiesa-Sposa. Le nozze sono consumate sul “talamo” della croce, che appare sullo sfondo, perché sulla croce il Cristo ha donato tutto se stesso per amore alla sua sposa.
[Nota 7] Così, nel suo repertorio della pittura umbra, Filippo Todini, La pittura umbra, Longanesi, Milano, 1989. Ovviamente opere di autori “minori” come il nostro si prestano ancor più a differenti identificazioni rispetto ai dipinti dei grandi del tempo. Rosaria Mencarelli, in una tesi di diploma diretta da L.Bellosi presso la Scuola di specializzazione in Archeologia e Storia dell’arte dell’Università di Siena, nell’anno accademico 1994-1995, dal titolo Meo di Siena e alcuni aspetti della pittura perugina della prima metà del Trecento, identifica - lei pure - l’autore del coro di Monteluce e quello della Cappella della Madonna del Sacro Speco di Subiaco che fra poco incontreremo; cfr. su questo L.Bellosi, Cimabue, Federico Motta Editore, Milano, 2004, pag.144.
[Nota 8] Meo di Siena ottenne la cittadinanza perugina nel 1319 (due sue Madonne con Bambino ed un Polittico sono tutt’oggi conservati nella Galleria Nazionale dell’Umbria a Perugia) ed alla sua scuola si sarebbe appunto formato il nostro autore.
[Nota 9] Cfr. Maria Laura Cristiani Testi, Gli affreschi del Sacro Speco, in AA.VV., I monasteri benedettini di Subiaco, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo-Milano, 2002, pp.95-202. La Cristiani Testi non pone il problema dell’identità o della differenza del “Maestro trecentesco” rispetto all’autore degli affreschi del coro di Monteluce.
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