Dalla metà del XIII secolo, con un processo che abbraccia tutto il XIV “si passò dalla
raffigurazione del Crocifisso, intesa come celebrazione del mistero redentivo, della vittoria di Cristo sul
peccato e sulla morte, alla crocifissione come cronaca del supplizio cui fu sottoposto Gesù”.
Questa la tesi centrale – di grande interesse storico, iconografico e teologico – della mostra Arbor
Una Nobilis. Iconografia del Crocifisso, curata da Fred Licht e Carlo Rusconi[1], esposta alcuni anni fa nelle Marche.
L’interesse veristico viene in primo piano, dopo il 1250, ma portando con sé un impoverimento del
messaggio teologico.
E’ sintomatico in questo senso il fatto che, dal finire del ‘200, il Cristo sia sempre rappresentato
morto, al contrario di quanto era avvenuto sino ad allora, quando il Cristo sulla croce era raffigurato vivo,
con gli occhi aperti.
Le raffigurazioni precedenti operavano la loro scelta non per attenuare il realismo del dolore, ma per annunziare
già la realtà della vittoria sulla morte.
Di significato analogo è la scomparsa della raffigurazione del Risorto dalle croci. Essa era
presente o nella cimasa delle croci, oppure nel gioco del recto/verso dei crocefissi che rappresentavano da un
lato il Cristo sofferente e dall’altro il Risorto o il Cristo in gloria.
Ancora è significativa la presenza costante, prima della metà del ‘200, della figura del
Padre, in alto, nella cimasa. Egli benedice. Ed è la sua presenza a dare tutto il significato della
croce del Figlio, che obbedisce in totale comunione di amore al disegno paterno della salvezza del mondo.
Il crocifisso di S.Damiano, nella Basilica di S.Chiara in Assisi. Sulla cimasa della croce il Cristo risorto che sale al cielo, accolto dalla mano del Padre. |
Ma è soprattutto l’aspetto ecclesiologico del Crocifisso, che sembra come essere messo fra
parentesi, nell’evoluzione iconografica. Nelle Croci medioevali è manifesto che la salvezza giunge a
noi attraverso la Chiesa. Maria e Giovanni sono sempre ai lati del Cristo in croce, a rappresentare tutta
la Chiesa.
Al loro fianco la figura di una donna, la Chiesa stessa, che raccoglie in una coppa il sangue (è
l’ordine dei sacramenti, che nasce dal costato trafitto del Cristo, da cui sgorgano sangue e acqua,
eucarestia e battesimo). Quando il simbolismo passa in secondo piano, il sangue viene raccolto ormai da calici
tenuti da angeli (e portato verso il cielo) oppure scende semplicemente sul corpo del Trafitto e sul legno della
croce.
Dopo il 1250, potremmo dire, ognuno sembra accogliere singolarmente lo zampillo del sangue che sgorga. Maria e
Giovanni sono solo memoria di un dolore, non più inizio della Chiesa.
In maniera ancora più esplicita possiamo scorgere questo passaggio in alcune raffigurazioni della Croce di
ambiente protestante, come in una Crocifissione di Lucas Cranach, a Weimar, nella Chiesa dei SS.Pietro e Paolo.
Qui il sangue cade direttamente sulla testa del pittore stesso, che si è autoraffigurato fra il Battista e
Lutero. Ogni mediazione ecclesiologica è iconograficamente scomparsa.
Immutata ed immutabile resta, comunque, la rappresentazione dell’amore divino che si offre fino al morire.
Il crocifisso non è accentuazione indebita del dolore – come nei secoli qualcuno ha voluto a torto
ipotizzare – ma espressione dell’amore del Figlio che non si arresta dinanzi al rifiuto
dell’uomo.
L’uomo conosce naturalmente l’amore ricambiato, l’amore dell’amico. Da Cristo solo - e
dalla sua croce - apprende la notizia dell’amore divino che muore per salvare il colpevole; il Cristo
crocifisso è il giusto, l’unico che non conosce peccato, pure il solo che prende su di sé il
peccato del mondo.
[1] La mostra Arbor Una Nobilis. Iconografia del Crocifisso della Arcidiocesi di Urbino-Urbania-Sant’Angelo in Vado, in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici delle Marche, è stata esposta ad Urbino, nella Chiesa di San Benedetto, in data 1-31 agosto 1997.
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