La foto del Cenacolo vinciano con le diciture dei personaggi
è tratta dal sito ufficiale del Convento dei Domenicani di Santa Maria
delle Grazie in Milano, all’indirizzo www.grazieop.it
Le immagini dei disegni preparatori di Leonardo sono tratte dal sito
www.wga.hu
Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la loro messa
a disposizione on-line non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto.
Rimandiamo per le notizie storiche e iconografiche al testo di P.Angelo Maria
Caccin O.P., Santa Maria delle Grazie ed il Cenacolo Vinciano, Nicolini
editore, Gavirate, 1997 ed agli articoli dei padri Agostino Selva, Pietro Lippini,
Venturino Alce e Lorenzo D.M.Celeghin nella pubblicazione L’Ultima
Cena di Leonardo da Vinci. Una lettura storica, artistica e spirituale del grande
capolavoro, pubblicata dalla comunità dei padri domenicani di S.Maria
delle Grazie.
Per uno studio biblico sulle figure del traditore Giuda, della Maddalena
e del Cristo tradito vedi, nella sezione Approfondimenti, del nostro sito
www.gliscritti.it, i capitoli La passione preparata: il male personale,
La passione dell’amore non amato, la passione che opera la salvezza
dello studio Una introduzione
alla lettura continua del vangelo di Marco di d.Andrea Lonardo.
L’Areopago
Il Cenacolo di Leonardo da Vinci occupa uno dei due lati corti del
refettorio della comunità dei padri domenicani di S.Maria delle Grazie a Milano. Secondo
la tradizione dei frati dell’ordine di S.Domenico – ma, più in generale, di
tutti gli ordini religiosi cattolici - il luogo del pasto comune dei frati deve essere
affrescato con una crocifissione o con la scena dell’Ultima Cena del Signore, proprio
perché, anche nel momento del nutrimento e del piacere e del riposo che ne derivano, tutti
siano costantemente richiamati all’offerta che il Cristo fece di sé ed alla
fraternità che da lì è nata.
Leonardo fu invitato ad affrescare il Refettorio dal Duca di Milano, Ludovico il Moro, che era
molto amico della comunità ed, in particolare, del suo priore, al punto da spingerlo a
fare del convento il mausoleo di famiglia. Poiché sulla parete sud era già stata
affrescata la grande Crocifissione (da Giovanni Donato Monfortano, nel 1495), non rimase a
Leonardo che l’altro tema iconografico, quello dell’ultima cena. La presenza di
Ludovico il Moro come mecenate – ed anche come sincero credente cristiano – è
testimoniato, nel Cenacolo leonardesco dagli stemmi ducali che sono dipinti nelle tre lunette
che sovrastano l’ultima cena, ma anche dall’inserzione delle figure di Ludovico il
Moro con un figlio e di sua moglie Beatrice d’Este con una figlia – l’uno
alla sinistra e l’altra alla destra – nella crocifissione della quale abbiamo
appena parlato che preesisteva all’opera di Leonardo. Le quattro figure sono chiaramente
una aggiunta della sua mano, all’opera del Monfortano che è invece responsabile
dell’intero affresco.
La Crocifissione del Monfortano |
Se vogliamo trovare Maria Maddalena è proprio a questa parete che
dobbiamo guardare, volgendo le spalle all’Ultima Cena di Leonardo. Il Cristo si erge
solitario, nella croce centrale. Alla sua sinistra ecco il gruppo delle tre Marie che
sorreggono Maria, la Madre del Signore. Alla destra della croce troviamo Giovanni,
l’evangelista. Tra gli astanti tante figure della storia dell’ordine domenicano,
insieme ai presenti all’atto della crocifissione – commistione che indica la
contemporaneità di tutti i viventi all’opera salvifica del Cristo. La Maddalena
è là, ai piedi della croce. Non l’innamorata del Signore, ma colei che
abbraccia la croce del Figlio dalla quale il perdono stesso del Padre si riversa sul mondo.
Di fronte alla Crocifissione del Monfortano ecco l’Ultima Cena. Lo stato di
conservazione del dipinto è, come è noto, precario. Leonardo, per poter dipingere
alla sua maniera, per poter con pennellate successive rendere la sensazione viva
dell’aria che circonda ogni suo dipinto, non volle dipingere ad affresco, ma direttamente
sulla parete, per poter, appunto, stendere più mani di colore. Il colore non si
fissò, così, durevolmente, ma fu esposto, invece, più facilmente agli effetti
corrosivi del tempo. Inoltre due eventi contribuirono nel passato al deterioramento
dell’opera, oltre ad inopportuni restauri che seguirono ed al tentativo di
“strappo” per il trasporto in un luogo più adatto alla conservazione, negli
anni nei quali il restauro non conosceva ancora i canoni attuali, tesi alla preservazione e non
alla ricostruzione.
Durante la soppressione napoleonica del convento, il refettorio leonardesco fu, per ben tre
anni, adibito a scuderia dei soldati napoleonici. E’ solo nel 1911 che i domenicani
poterono rientrare ad abitare nell’annesso convento di S.Maria delle Grazie. Già
questo episodio basterebbe a sfatare le pretese ispirazioni anticattoliche dell’opera di
Leonardo. L’esercito francese di allora, uso ad una sistematica espropriazione di tutto
ciò che apparteneva alla Chiesa cattolica – e che sarebbe stato strumento potenziale
di una futura trasmissione del cristianesimo alle generazioni successive – non trovò
di meglio che trasformare in stalla, in segno di spregio, il refettorio dei frati.
Il secondo evento che il Cenacolo superò per arrivare fino a noi è
il bombardamento che si abbatté sul convento nella notte fra il 15 e 16 agosto 1943. Fu
p.Acerbi, allora Provinciale, a salvare ciò che restava del Cenacolo. Richiamò
personalmente da fuori Milano i frati più robusti dalla Provincia perché lavorassero
a ripulire il refettorio dalle macerie senza che i dipinti fossero ulteriormente danneggiati.
Si adoperò nella ricerca di un telone impermeabile, pur nell’emergenza bellica,
affinché fosse steso a protezione di una eventuale pioggia che potesse cadere
sull’edificio ormai scoperchiato. Si impegnò con tutte le forze perché
l’opera di Leonardo fosse protetta con sacchi di sabbia, a protezione del rischio di
futuri bombardamenti.
Queste note previe alla descrizione iconografica ci riportano alla cura con la quale la Chiesa
ha permesso che quest’opera giungesse fino a noi.
La coscienza del progressivo deterioramento del dipinto portò al fenomeno delle
molteplici copie dell’Ultima Cena. Possiamo qui citare la famosa copia ordinata dal card.
Federico Borromeo nel 1625 ed eseguita da Andrea Bianchi detto il Vespino (custodita ora nella
Pinacoteca Ambrosiana).
Per quel che riguarda, invece, l’iconografia del dipinto, sappiamo che Leonardo parlò a lungo con p.Vincenzo Bandello, il priore di allora, durante la lunga esecuzione che si protrasse per 3 anni (1495-1498)[1]. Padre Bandello fu priore delle Grazie dal 1495 al 1501 e vicino a Ludovico il Moro al punto da divenire suo esecutore testamentario. Fu, inoltre, amico di Donato Bramante – che, come ben sappiamo, gran parte ebbe nella progettazione architettonica della Chiesa del Convento stesso. Inoltre p.Vincenzo portò con sé alle Grazie il nipote Matteo Bandello, allora novizio domenicano, che, nelle sue novelle, descrisse il modo di lavorare di Leonardo alle Grazie.
Prima di Leonardo l’arte si era misurata spesso con la
rappresentazione dell’ultima cena. Di volta in volta l’accento era caduto
sull’istituzione dell’eucarestia, sulla lavanda dei piedi, o, ancora, sulla
comunione degli apostoli con Cristo con la sottolineatura della presenza di Giovanni con il
capo appoggiato sul petto di Gesù.
Per la prima volta Leonardo decide – e certamente i committenti con lui – di
rappresentare il momento nel quale Gesù annuncia che sarà tradito; è
l’attimo che precede la rivelazione dell’identità del traditore.
Così, concordemente con i sinottici, ci riferisce Gv 13, 21: “Gesù
dichiarò: In verità, in verità vi dico: uno di voi mi
tradirà”[2].
E’ il male più grande che mai la terra abbia conosciuto. L’evangelista
Giovanni sottolinea, a ragione, che è l’ora delle tenebre, l’ora del maligno,
che sfoga la sua rabbia contro il Figlio di Dio. Ma la realtà che il vangelo ci presenta
– ed il cenacolo vinciano ci pone innanzi – è la priorità
dell’offerta libera e cosciente del Signore sull’azione del male che si illude di
essere ancora una volta protagonista.
Il Cristo, "solo" al centro del dipinto, iscritto in un triangolo equilatero, con la mano destra in atto di prendere e la sinistra aperta in atto di abbandono |
Il Cristo, al centro, è iscritto da Leonardo in un triangolo equilatero
perfetto[3]. Tutto il disegno
del mondo si compie nel dono della sua vita. Tutte le linee della prospettiva del dipinto
partono da un punto situato nella tempia destra di Gesù.. Cristo accetta di essere
tradito. Se la sua mano destra – quella alla nostra sinistra – si prepara a
prendere il boccone che porrà in bocca all’ “amico” Giuda, l’altra
mano è aperta verso l’alto ed esprime l’abbandono al Padre. Solo la
prosecuzione ideale delle due mani ci fa raggiungere un bicchiere di vino ed uno dei pani posti
sul tavolo, segni appena accennati dell’eucarestia. I simboli eucaristici sono sfumati,
poiché ciò che è posto in risalto ed enfatizzato, rispetto ad altre
rappresentazioni dove il calice e la patena del pane sono in rilievo, è l’offerta
della vita stessa di Gesù, è la prefigurazione della croce, più che non la sua
continuazione sacramentale ed eucaristica.
Si sta compiendo il dono, il dono che poi – solo poi - sarà sempre presente.
In maniera acuta p.Venturino Alce O.P.[4] così parla della “solitudine” del Cristo nel
Cenacolo leonardesco: “Molti sono rimasti impressionati dalla solitudine,
dall’isolamento del Cristo, che sembra essere rimasto solo.
Credo che l’innegabile solitudine del Cristo sia in realtà la chiave
di lettura dell’Ultima Cena che Leonardo ha collegato con la Crocifissione di Donato
Monfortano. Naturalmente il termine solitudine va inteso nel senso proprio e
teologico di unicità. E’ la dottrina esposta da San Paolo nel capitolo
quinto della lettera ai Romani: noi abbiamo ricevuto la grazia e la giustificazione per mezzo
del solo Gesù Cristo (cfr. Rm5,17). Per l’obbedienza di uno solo, Gesù Cristo,
tutti saranno costituiti giusti (cfr.Rm5,19). E’ verità di fede che la redenzione
è stata compiuta dal solo Gesù Cristo, obbediente al Padre ed animato
dall’unico Spirito. A suo modo l’unicità del Redentore l’aveva
profetizzata il sommo sacerdote Caifa quando disse al sinedrio radunato per tramare la morte di
Gesù: E’ meglio che un uomo solo muoia per tutto il popolo (cfr.Gv11,50;18,14).
Osserviamo questo uomo solo nel compimento della sua opera”.
Pure una sfumatura va aggiunta a questa appropriatissima lettura del Cristo “solo”
di p.Alce: il Cristo è certo “solo”, ma Giovanni l’evangelista, il
discepolo che Gesù amava, comprende nella Cena leonardesca questa offerta, essendo
pienamente consapevole di ciò che il suo Signore sta compiendo.
Giovanni è la figura che vediamo alla sinistra di Gesù[5]. Il genio di Leonardo ha diviso i dodici apostoli a gruppi
di tre, ponendo i volti dei Dodici in un’articolazione ternaria[6]. Il gruppo più importante comprende
Giovanni, Giuda e Pietro.
Giovanni, Giuda e Pietro |
Pietro è il terzo, nell’ordine, ma il suo volto balza avanti
superando quello di Giuda, che, invece, si ritrae. Il dialogo fra Pietro e Giovanni segue
immediatamente l’annuncio del tradimento ed è descritto in Gv13,23-24: “Ora
uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù.
Simon Pietro gli fece un cenno e gli disse: Di’, chi è colui a cui si
riferisce?”.
Qui Leonardo si ferma. Non rappresenta la scena infinite volte posta sotto gli occhi del mondo
dai pittori di ogni secolo, quella di Giovanni con il capo sul petto del Maestro. Si arresta un
attimo prima. Giovanni fra poco si chinerà a chiedere ciò che Pietro vuole sapere.
Nel Cenacolo vinciano ci appare come colui che sa che non è importante il nome del
traditore, quanto l’evento dell’amore che si compie. Come scriverà Gv13,1:
“Prima della festa di Pasqua, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo
mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”.
Lo sguardo di Giovanni, con gli occhi socchiusi, le mani strette l’una all’altra,
sembra non partecipare dell’agitazione che turba gli altri. Nei suoi gesti cerca di
penetrare, di contemplare, di partecipare dell’amore con il quale il Signore ama fino
alla fine, fino all’estremo limite possibile, fino alla pienezza del dono di sé.
Forse proprio qui è da cogliere l’innovazione più significativa di Leonardo nella versione definitiva, diversa rispetto ai primi disegni che si sono conservati, anche se solo parzialmente. Ne possediamo una ventina dei moltissimi che sicuramente il maestro avrà disegnato. La maggior parte di essi sono conservati presso la Royal Library di Windsor in Inghilterra, altri all’Albertina di Vienna ed all’Accademia di Venezia. Due fogli – uno sicuramente attribuito al nostro autore, oggi in possesso della Royal Library, l’altro che potrebbe essere una copia di uno schizzo del maestro ad opera di un discepolo, oggi custodito all’Accademia di Venezia - ci testimoniano i primi schizzi per l’elaborazione dell’intera composizione. In entrambi Giuda è dall’altra parte del tavolo, secondo l’iconografia tradizionale. Non siede dalla parte di Gesù, come nella versione definitiva, ma è già altrove, distante, separato dallo spazio del tavolo della cena. Giovanni è, nel foglio schizzato direttamente da Leonardo con il capo sul petto di Gesù, secondo l’immagine più cara dell’apostolo e dell’amico.
Nel disegno più controverso quanto a paternità Giovanni è, invece, riverso sul tavolo – innovazione iconografica che sarà, comunque, scartata dalla versione finale. Evidentemente Leonardo rifletteva con attenzione sull’evangelista. Nel confronto fra questi disegni preparatori ed il Giovanni infine dipinto emerge ancor più la consapevolezza partecipe e amante di quest’ultimo.
Schizzo per le mani di Giovanni (Royal Library, Windsor) |
Si è conservato anche uno schizzo delle mani di Giovanni, con le dita
intrecciate, mani di una compostezza che medita, ben lontane dalla concitazione di tutte le
altre mani della tavola, ad eccezione di quelle del Signore[7].
Possediamo ancora i disegni delle teste di Giuda, di Giacomo il Maggiore, di Filippo, di
Andrea.
Nel dipinto Pietro scavalca Giuda e si avvicina a Giovanni. Vuole il nome,
vuole il colpevole. Con l’altra mano – mentre con la prima tocca la spalla
dell’evangelista – afferra un coltello con il quale sarebbe pronto ad uccidere il
traditore del Signore.
Non così Giovanni. A lui sembra non interessare questo nome –
nell’interpretazione che Leonardo ci dà del Cenacolo. Solo il Signore e la
libertà del suo dono brilla nei suoi occhi chiusi.
Giovanni è rappresentato secondo la più classica raffigurazione iconografica, come
il più giovane degli apostoli, con lineamenti quasi femminei, senza barba alcuna.
Il coltello del primo degli apostoli allude probabilmente anche al coltello con il quale poco
più tardi taglierà l’orecchio, nell’orto del Getsemani, a Malco, servo
del sommo sacerdote (Mt26,1).
Giuda si ritrae. Lui che è vicino, lui “che pone la sua mano sulla stessa
tavola” (cfr.Lc22,21), lui che è stato scelto, eletto, introdotto
all’intimità come gli altri, è ora in ombra, è fuori della linea di
comunione che unisce gli altri. Se con una mano tende al Cristo, con l’altra afferra la
borsa con il denaro. Per un niente, per un po’ di denaro, ha tradito il Figlio
dell’Uomo, poiché mai il male ha vero motivo di essere.
Giacomo il Maggiore, Tommaso, Filippo |
Il gruppo alla destra del Cristo comprende Tommaso, Giacomo il Maggiore e
Filippo. Tommaso è il secondo, ma, protendendosi in avanti, ha il viso più vicino a
Gesù da questa parte. Il dito che leva verso il Signore è lo stesso con il quale,
sette giorni dopo la resurrezione, quando arriverà nuovamente “il primo giorno dopo
il sabato”, toccherà le mani ed il costato del Signore per essere credente (Gv
20,26-29). Lui che già aveva protestato dicendo “Andiamo anche noi a morire con
lui” (Gv11,16), quando Gesù decise di recarsi dall’amico Lazzaro, sembra anche
ora opporsi alla notizia del tradimento.
Giacomo il maggiore, il fratello di Giovanni, figlio di Zebedeo, siede vicino a Gesù,
come il fratello dall’altra parte. Era stata loro richiesta (Mc10,37) – o, insieme,
della loro madre – quella di sedere alla destra ed alla sinistra della gloria del
Signore. Ora, con le braccia spalancate, sembra inorridito e incredulo.
Dietro di loro Filippo si porta le mani al petto. A lui sono attribuite da Leonardo le parole
riportate da Mt26,22: “Sono forse io, Signore?”
Andrea, Giacomo il Minore, Bartolomeo |
A sinistra della tavola stanno Andrea, Giacomo il Minore e Bartolomeo.
Bartolomeo, all’estremo limite del dipinto, si alza in piedi, scatta, con le mani
poggiate sul tavolo. Più vicino di lui a Gesù Giacomo il minore solleva la mano
destra in gesto di amara sorpresa, mentre con la sinistra raggiunge la spalla di Pietro.
Essendo chiamato dai vangeli il “fratello del Signore” – sappiamo che le
diverse tradizioni occidentali ed orientali interpretano questo come indice di una stretta
parentela con Gesù (poiché i cugini erano chiamati fratelli”) o come
discendenza da un primo matrimonio di Giuseppe, conclusosi in vedovanza prima del matrimonio
con Maria – viene ritratto da Leonardo con fattezze simili a quelle del Cristo.
Andrea, il primo di questo gruppo, dice con il gesto delle mani la sua estraneità, la sua
innocenza; anche il suo sconcerto - lui che aveva, con fiducia, portato Pietro a Gesù!
Matteo, Giuda Taddeo, Simone lo Zelota |
All’estrema destra vediamo invece Matteo, Giuda Taddeo e Simone Zelota
Simone lo Zelota, l’ultimo, attempato, sembra chiedersi se ha capito bene; così
dinanzi a lui Giuda Taddeo. I due sembrano così discutere insieme scossi
dall’annunzio di Gesù e desiderosi di vedere più chiaro. Matteo, più
giovane, secondo la tradizione il primo degli evangelisti, allunga le braccia verso il Signore
che ha annunciato il tradimento e verso il resto del collegio apostolico, invitando gli altri
due a considerare che solo dal Signore stesso è possibile avere chiarezza maggiore e
verità su ciò che hanno appena ascoltato.
Non sapremo mai, in terra, quale sia stato il rispettivo apporto in queste scelte
iconografiche del Duca Ludovico il Moro, del priore e consulente teologico padre Vincenzo
Bandello, di Leonardo stesso. Quali discussioni precedettero l’opera? Fece Leonardo, in
quegli anni milanesi, degli studi specifici sui singoli personaggi degli apostoli ed, in
particolare su Giovanni, per prepararsi a rappresentare l’Ultima Cena?
Ogni volta che un artista si misura con l’oggettività del cristianesimo - sia con
il dato dei vangeli, sia con la singolarità ed originalità storica degli apostoli da
Cristo scelti - si confrontano la realtà preesistente del dato di fede e la fecondità
dell’uomo creatore di arte.
Certo è che il Cenacolo sospende il tempo. Una volta che Gesù ha pronunciato le
parole del tradimento tutto si arresta. E se, in apparenza, sembra centrale il nome del
traditore, la questione di chi sarà l’esecutore del misfatto, ben più profonda
è la questione che Giovanni – e Leonardo con lui – hanno nel cuore: può
il Figlio di Dio, può l’Amore stesso essere tradito? Chi agisce veramente nella
storia dell’uomo: Dio o il maligno? Tutto è sospeso. Se tutto appare già deciso
– già il sinedrio ha preso la sua decisione, già Giuda ha orientato la sua
volontà – pure il mondo sta in attesa. E Giovanni, il discepolo amato, intuisce che
un’altra decisione è stata presa, un dono si sta consumando. Tutti gli altri –
e noi con loro – dobbiamo ancora attendere le ore della passione e della resurrezione
perché ci sia rivelato in pienezza ciò che il Cristo è e sa e che Giovanni,
unico, intuisce in lui.
Non il traditore occupa il tempo e lo spazio; sovrano è il Cristo, sovrana è la sua
libertà, regale il suo dono, l’offerta di sé, l’amore che, non amato,
vince il mondo.
[1] In uno dei quattro bassorilievi che ornano la statua di Leonardo in piazza della Scala a Milano, vediamo ritratto Leonardo che discute con due frati durante l’esecuzione del Cenacolo. Il monumento a Leonardo è del 1872.
[2] Nell’antica riproduzione dell’Ultima cena, una incisione su rame attribuita al cosiddetto Maestro del Libro d’Ore Sforza (XVI secolo, conservata nel British Museum di Londra) l’autore dell’opera, ben interpretando il momento, inserisce nella tovaglia la stessa espressione nel latino della Vulgata, allora di uso corrente: “Amen dico vobis quia unus vestrum me traditurus est”.
[3] Solo per inciso, ci permettiamo di rilevare che la lettura anche solo ipotizzata da Dan Brown della figura di Cristo nel triangolo come forma fallica – “Questo simbolo è l’icona originale di maschio. Un fallo rudimentale”, Dan Brown, Il Codice da Vinci, Mondadori, Milano, 2004, p.279 – è offensiva non tanto della fede cristiana, quanto della sensibilità artistica di ogni amante dell’arte di Leonardo. Nel pensare dunque al Cristo che viene tradito, Leonardo non sarebbe stato capace di altro simbolismo che quello fallico!
[4] P.Venturino Alce, L’Ultima Cena di Leonardo: lettura dell’immagine, in AA VV, L’Ultima Cena di Leonardo da Vinci. Una lettura storica, artistica e spirituale del grande capolavoro, pubblicato in proprio dal Convento domenicano di S.Maria delle Grazie di Milano, pag.24.
[5] Di nuovo a titolo di inciso, ci riesce veramente difficile comprendere se l’opera di Dan Brown voglia scientemente turlupinare il lettore, o sia piuttosto la crassa ignoranza del suo autore a fargli ritenere la sua ipotesi un colpo di genio. Alla meditazione del testo evangelico Dan Brown sembra preferire una ipotesi che elimina Giovanni dai presenti all’Ultima Cena, riduce ad Undici i Dodici, elimina conseguentemente il dialogo Pietro-Giovanni che è decisivo nello sviluppo del racconto evangelico rappresentato da Leonardo, infine, come chicca conclusiva, nuovamente - con evidente sensibilità artistica!? – collega la figura alla sinistra di Gesù alla “vulva femminile”!!! Così esplicitamente afferma uno dei personaggi del romanzo: “Il simbolo femminile, come si può immaginare, è il suo opposto... ha la forma del ventre femminile. Il simbolo comunica l’idea del ventre femminile, fertilità”, Dan Brown, Il Codice da Vinci, Mondadori, Milano, 2004, p.279. Neanche un dubbio sul fatto che sia la figura intera di Gesù ad essere fallica – nella “brillante” lettura del romanzo - mentre non è la figura dell’apostolo alla sinistra ad essere “a forma di ventre femminile”, ma lo spazio d’aria fra le due figure!!!
[6] Nuovamente, per inciso, appare evidente la banalizzazione della lettura ipotizzata dal Codice da Vinci che, disinteressandosi totalmente dell’insieme armonico della composizione leonardesca, con i 4 gruppi di 3 apostoli, si sofferma a ritagliare arbitrariamente il Cristo, lo spazio con il gruppo alla sua sinistra e d il primo gruppo di figure con Giovanni, Giuda e Pietro, affermando: “Se osserviamo Gesù e Maddalena – non la presunta Maddalena, ma l’intero gruppo dei tre, sic! - come elementi compositivi e non come persone, vediamo balzare fuori un’altra forma. Una lettera dell’alfabeto... (la) lettera M”, Dan Brown, Il Codice da Vinci, Mondadori, Milano, 2004, p.287.
[7] Se proprio ce ne fosse bisogno, possiamo rilevare che le mani di Giovanni sono mani d’uomo e non di donna, nel disegno preparatorio della collezione di Windsor.
Per altri articoli e studi sui rapporti tra arte e fede presenti su questo sito, vedi la pagina Arte nella sezione Percorsi tematici