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Gli affreschi del Perugino, nel Collegio del Cambio di Perugia, hanno una data precisa, il 1500. Essi ci indicano chi sia l'uomo "virtuoso", chi sia l'uomo tout court, secondo la concezione Rinascimentale. Riteniamo che questa visione, impregnata di umanesimo e di cristianesimo, che non solo non si oppongono, ma anzi prendono rilievo proprio l'uno a fianco dell'altro, abbia molto da dire per una sintesi sulla vita morale, sulla vita "buona e bella", al tempo odierno come ad ogni generazione. Vogliamo altresì mostrare come questa visione non sia esclusivamente rinascimentale, ma si radichi essenzialmente nella tradizione cristiana.
La tradizione cattolica ha sviluppato una visione dell'uomo "virtuoso" intorno all'idea di
"habitus". Perché ci sia una vita buona e bella non è sufficiente un singolo gesto (che giustamente
può essere definito "virtuoso" o "cattivo"), ma un atteggiamento, una "abitudine" (nel suo significato
più bello), che riconduce il singolo gesto che l'uomo compie al suo cuore, alla sua condotta costante, ai
valori nei quali è cresciuto e che strutturano la sua vita, dandole forma e prospettiva.
I primi due affreschi del Perugino, nel Collegio del Cambio, raffigurano le Allegorie della Prudenza e della
Giustizia e della Fortezza e della Temperanza. Queste quattro virtù vengono dette dalla tradizione cristiana
"cardinali", perché sono come dei "cardini" nella identità della persona buona.
Esse appaiono insieme, per la prima volta, nel libro della Sapienza che così dice: "La sapienza ho amato e
ricercato fin dalla mia giovinezza, ho cercato di prendermela come sposa, mi sono innamorato della sua bellezza. Essa
manifesta la sua nobiltà, in comunione di vita con Dio, perché il Signore dell'universo l'ha amata.
Essa infatti è iniziata alla scienza di Dio e sceglie le opere sue. Se la ricchezza è un bene
desiderabile in vita, quale ricchezza è più grande della sapienza, la quale tutto produce? Se
l'intelligenza opera, chi, tra gli esseri, è più artefice di essa? Se uno ama la giustizia, le
virtù sono il frutto delle sue fatiche. Essa insegna infatti la temperanza e la prudenza, la giustizia e la
fortezza , delle quali nulla è più utile agli uomini nella vita. Se uno desidera anche
un'esperienza molteplice, essa conosce le cose passate e intravede le future, conosce le sottigliezze dei discorsi e
le soluzioni degli enigmi, pronostica segni e portenti, come anche le vicende dei tempi e delle epoche" (Sap 8,
2-8).
L'autore della Sapienza, l'ultimo libro in ordine cronologico dell'Antico Testamento, descrive l'amore per la
sapienza come l'amore per una sposa. Alcuni esegeti sono arrivato a parlare, per il testo della Sapienza, di un vero
e proprio celibato per amore della sapienza. L'autore, che identifica se stesso con la figura dell'antico re sapiente
Salomone, vuole che il lettore intuisca che ogni cosa deve essere lasciata per il possesso ed il raggiungimento della
sapienza. Essa è identica con la conoscenza di Dio, poiché Dio l'ha creata e da Lui proviene. Non
esiste, per l'autore, una sapienza a prescindere dalla fede.
E' la sapienza ad insegnare agli uomini "la temperanza e la prudenza, la giustizia e la fortezza, delle quali nulla
è più utile agli uomini nella vita" (Sap 8, 7). Da questo testo deriva così l'elenco delle 4
virtù, Temperanza, Prudenza, Giustizia e Fortezza, che troviamo nelle due lunette del Collegio del Cambio,
come in tutta la tradizione cristiana.
Già il primo libro in ordine cronologico del Nuovo Testamento, la 1 Tes, ci presenta, invece, le tre
virtù che la tradizione cristiana chiama "teologali": la fede, la speranza e la carità. Così
Paolo scrive ai Tessalonicesi: " Ringraziamo sempre Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere,
continuamente memori davanti a Dio e Padre nostro del vostro impegno nella fede, della vostra operosità
nella carità e della vostra costante speranza nel Signore nostro Gesù Cristo " (1 Tes 1, 2-3). E'
dalla rivelazione del Figlio di Dio incarnato che nascono le virtù "teologali", divine. Nella 1 Cor Paolo
dirà ancora: "Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma
di tutte più grande è la carità !" (1 Cor 13, 13).
Tommaso d'Aquino aveva scritto: "Gratia supponit naturam et perficit eam", "La grazia presuppone la natura e la
porta a compimento". Questa circolarità non possiamo trascurare nell'osservazione della virtù. Le
virtù della "natura" (ma esiste poi una natura senza grazia, per il cristianesimo, o, poiché tutto
è grazia, già la natura appare segnata dalla grazia?), la temperanza, la prudenza, la giustizia e la
fortezza, sono presupposte dalle virtù teologali. Chi vuole possedere le virtù divine non può
trascurare le altre. D'altro canto solo nella fede, nella speranza e nella carità le virtù umane sono
veramente possibili, sensate e hanno pienezza.
Questa armonia ci testimonia l'iconografia degli affreschi del Collegio del Cambio.
Il Collegio del Cambio è, in Perugia, il luogo di riunione dell'Associazione dei cambiavalute che, nella città medioevale, assume una importanza crescente, man mano che si sviluppa l'identità della Città Comunale. Al Collegio del Cambio erano sottoposti tutti i provvedimenti riguardanti la monetazione. La più antica notizia di esso, in Peugia, è in una "riformanza" del 1259. Nel 1303 viene istituita la magistratura dei Priori, ed, in essa, l'associazione del Cambio è seconda solo a quella dei Mercanti (i soli ad avere di diritto un membro nel Consiglio dei Priori). Nella Perugia medioevale sono documentate ben 44 corporazioni di arti e mestieri. In cima ad esse per importanza sono i Mercanti ed il Cambio.
Il Collegio del Cambio chiese al Perugino di affrescare la sala. E' ormai certo che, nella scelta iconografica dei soggetti, Perugino fu guidato dall'umanista Francesco Maturanzio. Il Maturanzio tornò a Perugia fra il 1497 ed il 1498, dopo aver studiato a Vicenza e Venezia. In un manoscritto conservato nella Biblioteca Augusta di Perugia sono stati rinvenuti poesie ed epigrammi dell'umanista perugino che illustrano le 4 virtù cardinali e la figura di Catone. Le sue fonti letterarie debbono essere state i Factorum et dictorum memorabilium libri di Valerio Massimo - un centone di età augustea di episodi esemplari ben noti nell'umanesimo e nel Rinascimento - il De officiis di Cicerone e le Divinae Institutiones di Lattanzio (per quel che riguarda i cartigli dei profeti e delle Sibille). Nell'allegoria delle virtù cardinali troveremo sempre due personaggi romani ai lati ed un personaggio greco al centro.
Autoritratto del Perugino, nel Collegio del Cambio |
Il Maturanzio dettò anche la frase latina dipinta sotto l'autoritratto del Perugino: "Pietro Perugino, pittore insigne. Se era smarrita l'arte della pittura, egli la ritrovò. Se non era stata ancora inventata, egli la portò fino a questo punto".
Allegoria della Prudenza e della Giustizia |
Perugino dipinge l'allegoria delle quattro virtù cardinali in due lunette. L'Allegoria
della Prudenza è rappresentata da una figura che regge in mano lo specchio a cui è arrotolato un
serpente. Lo specchio è una immagine tradizionale dell'attenzione rivolta non solo in avanti, ma anche a
ciò che si ha dietro le spalle. Il serpente è una citazione evangelica dalle parole di Gesù:
"Siate semplici come le colombe e prudenti come i serpenti". Un pannello, che figura a lato di ogni virtù,
recita in latino: “Che cosa procuri al genere umano, o dea? Orsù, dillo! Procuro che tu non compia cose
di cui, compiute in fretta, ti possa dolere; insegno a ricercare la verità e le cause nascoste, né per
mezzo mio nulla potrà essere fatto se non rettamente”.
I tre personaggi del mondo classico, evocati come immagini ed exempla della virtù della Prudenza sono:
1/ Socrate, al centro, interpretato a partire dalle parole di Cicerone, nel De officiis, "interiore indagatio atque
investigatio veri", "l'interiore ricerca e investigazione del vero"
2/ Fabio Massimo, detto il Temporeggiatore, colui che, temporeggiando, salvò lo Stato
3/ Numa Pompilio, colui che attese segni divini per accedere al trono e dalla religione imparò la prudenza e,
con essa, la insegnò al popolo.
Ecco che la Prudenza è vista allora non solo come l'atteggiamento di chi è circospetto e non
frettoloso, ma soprattutto come la virtù di chi cerca la verità, sapendo che in essa non
fallirà.
L'allegoria della Giustizia che le sta al fianco è rappresentata da una figura che ha in mano la bilancia e
la spada. La bilancia è immagine del saper soppesare, la spada del saper discernere il bene dal male, con un
taglio che penetra nel profondo e non si arresta alla superficie. Così si esprime la lettera agli Ebrei: "
Infatti la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra
fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i
pensieri del cuore. Non v'è creatura che possa nascondersi davanti a lui, ma tutto è nudo e scoperto
agli occhi suoi e a lui noi dobbiamo rendere conto" (Eb 4, 12-13). Il pannello latino reca la scritta: “Se i
giusti dei creassero tutti simili a questi tre (qui dipinti), in tutto il mondo non esisterebbe più né
delitto, né male. Quando io sono onorata i popoli fioriscono sia nella pace, sia durante la guerra, e senza di
me ciò che fu grande cade in rovina”.
I tre personaggi dell'antichità raffigurati sono:
1/ Pittaco di Mitilene al centro (che fu insieme a Solone, il legislatore, uno dei sette Sapienti), che, sospettato
di voler signoreggiare la città, lasciò l'incarico
2/ Furio Camillo che, nell'assedio di Falerii, rifiutò il tradimento di un maestro che gli offriva i suoi
alunni come ostaggi
3/ Traiano, secondo la tradizione umanistica, il miglior imperatore, uomo della pace, che punì con la morte
un soldato per aver ucciso ingiustamente il figlio di una donna Dacia; è citato anche da Dante, nel Purgatorio
al canto X; secondo la tradizione cristiana, papa Gregorio intercedette per lui e lo salvò, sebbene fosse
pagano, con la sua preghiera di intercessione per i morti
Allegoria della Fortezza e della Temperanza |
L'allegoria della Fortezza è rappresentata con scudo e mazza. Lo scudo è strumento
di difesa e, iconograficamente, ci richiama alla virtù come capacità di non abbattersi, di non crollare
al momento della prova, di avere quella solidità che resiste anche alla critica, all'insuccesso, che permette
di non scoraggiarsi nel bene. La mazza indica la capacità di colpire, non nel senso di fare il male, quanto
nell'aspetto virile della capacità di decidere, di essere responsabile, di assumere realtà,
atteggiamenti, posizioni che vanno ad incidere, a segnare la realtà e le persone con cui l'uomo è in
rapporto. Il cartiglio recita, sempre in latino: “Come grandi prove che ogni cosa cede sconfitta e abbattuta
dai miei muscoli, basterebbero questi tre uomini (qui dipinti). Io non temo nulla quando difendo la patria e i cari
parenti; e la morte che atterrisce gli altri, mi giunge gradita”.
La virtù è poi esemplificata, al centro, da:
1/ il greco Leonida, spartano, che combatté alle Termopili contro i persiani, con i suoi 300, resistendo a
lungo e permettendo al resto dell'esercito di salvarsi. A fianco troviamo
2/ Lucio Sisinnio Dentato, che combatté ben 20 battaglie, secondo la tradizione, e non cedette né al
furore della plebe, né alla potenza dei patrizi
3/ Orazio Coclite che difese il Ponte Sublicio in legno, solo, mentre gli altri lo tagliavano, per impedire agli
etruschi di attraversarlo
L'allegoria della Temperanza miscela un liquido con due ampolle. La riflessione cristiana su questa virtù ha
sempre attirato l'attenzione sul fatto che si può peccare per eccesso, ma anche per difetto. Una persona
può essere intemperante perché troppo accesa dalla passione o dall'ira, ma può anche,
all'opposto, non essere virtuosa perché incapace di provare passione, di amare, fino al punto da essere allora
indifferente, indolente, accettando senza segnare col proprio desiderio la propria vita. La miscela può
difettare per il troppo o per il troppo poco! Il cartiglio dice: “Dimmi, o dea, qual'è la tua
prerogativa? Regolo i costumi e modero le passioni dell'animo e, quando voglio, rendo gli altri uomini simili a
questi. Seguimi e ti insegnerò il modo di superare te stesso con la ragione. Per quanto tu valga, ci
sarà una vittoria più grande?”
I personaggi paradigmatici sono:
1/ Il greco Pericle, descritto come incorruttibile; richiamò il concittadino Cimone, che era stato suo
avversario, che era stato cacciato dalla polis.
2/ Scipione Maggiore, detto l'Africano (235-183), immagine dell'equilibrato rapporto con il potere; secondo la
tradizione, rifiutò di prendere come bottino di guerra in Spagna una giovane già promessa sposa
3/ Cincinnato, che per ben due volte ritornò ai suoi campi come agricoltore, dopo aver calcato altrettante
due volte l'agone politico, poiché il bene pubblico aveva richiesto la sua presenza nel governo della res
publica
La fede |
Dalla Rivelazione, e non dal pur straordinario sentire umano, procedono invece le virtù
teologali.
La fede è, in modo apparentemente inaspettato, rappresentata dal Perugino nell'affresco della
Trasfigurazione. La fede, infatti, non è un moto dell'anima che nasce dall'interno, senza provocazione
esterna. La fede cristiana è risposta. I teologi usano due espressione antiche, straordinariamente vere, per
aiutarci a comprendere cos'è la fede. Dicono che essa ha due aspetti: la "fides quae" (la fede che è
creduta, il contenuto della fede) e la "fides qua" (la fede con la quale io credo, l'abbandono e la fiducia che io
ripongo in Dio, affidandomi a lui). Non avrebbe senso credere se non ci fosse la realtà di colui in cui si
crede. L'affresco mostra Gesù che appare nello splendore della sua luce (Gesù non è un
"illuminato", come amano dire sincretisti apparentati alla New Age, ma è la "luce stessa", come dice il Credo
della Chiesa, è "luce da luce") e si ode la voce dal cielo: "Questo è il mio Figlio, il Diletto". La
fede è credere che Gesù è il Figlio di Dio. Non esiste una fede che non abbia un contenuto.
Sarebbe pura illusione ed emozione fuggevole. Io credo, precisamente perché Gesù è il Figlio.
Ogni esperto della Scrittura riconosce altresì l'echeggiare nella voce del Padre del riferimento
all'unicità del figlio di Abramo, Isacco: "Prendi il tuo figlio, il tuo unico figlio, quello che ami". La
Chiesa crede precisamente perché ha incontrato l'unico Figlio del Padre. Ecco la "fides quae", il contenuto
della fede.
Ma, d'altro canto, a cosa servirebbe la professione della verità se essa non diventasse allora la fiducia che
noi riponiamo in Dio, proprio perché è presente in mezzo a noi il Figlio? Poiché costui è
il "diletto" di Dio, ecco che noi pendiamo dalle sue labbra, vogliamo dimorare con lui, seguirlo. Il Perugino
trascrive le parole evangeliche: "Signore, è bello per noi essere qui". Ecco la "fides qua", la vita che
"nell'obbedienza della fede tutta intera si abbandona a Dio, prestandole il pieno ossequio dell'intelletto e della
volontà" (Dei Verbum 5)
L'Antico Testamento, rappresentato da Mosè e da Elia, il Pentateuco ed i Profeti, si inginocchia dinanzi al
Figlio. Lo sguardo dei tre apostoli, condotti sul monte da Gesù, si solleva a guardare Lui.
La carità |
a virtù teologale della Carità ci appare nell'affresco della Natività.
L'amore non è innanzitutto l'opera dell'uomo, ma l'opera di Dio. "In questo sta l'amore, non siamo stati noi
ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi" (1Gv 5, 10). Tutti sono qui non più rivolti con lo sguardo in
alto, come nell'affresco della Trasfigurazione, ma inginocchiati dinanzi al bambino, con lo sguardo che discende su
di lui. E' la discesa, l'incarnazione del Figlio, la kenosis, l'abbassamento. Ed è il bambino che guarda noi,
che rivolge il suo sguardo verso gli spettatori dell'affresco.
"Gloria nell'alto dei cieli" recita la scritta cantata dagli angeli, ma anch'essi guardano in basso, perché
la gloria celeste di Dio rifulge in "quel" bambino posto in mezzo agli uomini. Come dice la II lettera
dell'evangelista Giovanni: " Poiché molti sono i seduttori che sono apparsi nel mondo, i quali non riconoscono
Gesù venuto nella carne. Ecco il seduttore e l'anticristo! Fate attenzione a voi stessi, perché non
abbiate a perdere quello che avete conseguito, ma possiate ricevere una ricompensa piena. Chi va oltre e non si
attiene alla dottrina del Cristo, non possiede Dio. Chi si attiene alla dottrina, possiede il Padre e il Figlio" (2Gv
7-9). Lo scandalo e la dolcezza cristiana ci appaiono innanzi. Tutto l'amore di Dio si incontra in quel bambino,
nella carne del bambino Gesù. Non nei nostri pensieri o nei nostri sogni su Dio, non nell'emozione o
nell'immediatezza dell'esperienza, ma nell'incontro con il Bambino Gesù incarnato.
E' per questo che la virtù della carità sarà poi il chinarsi su ogni vita, su ogni storia
umana, nella sua unicità, come è unica la presenza del Figlio di Dio nell'Incarnazione.
L'infinita cura nell'accogliere il Bambino Gesù diviene l'altrettanto totale dedizione alla
sacralità della vita umana, annunciata dall'Incarnazione dell'unico Figlio del Padre.
La speranza |
Anche la virtù della Speranza, come la Fede, ha un contenuto. Non si spera "in generale",
si spera nel Padre che ha promesso il suo Figlio, il suo amore. E' la promessa di Dio il fondamento della speranza,
come ci mostra l'ultimo affresco del Perugino. Al centro, in alto, vediamo rappresentato Dio Padre, che tiene in mano
la sfera dell'universo, circondato dagli angeli santi.
In basso i messaggeri della promessa divina, a sinistra i Profeti e a destra le Sibille. I profeti hanno un
cartiglio con una citazione che prefigura la venuta del Salvatore. Ecco Isaia che dice: "Ecco la vergine
concepirà", poi Mosè - "Nascerà una stella da Giacobbe" - Daniele - "Vedrò" - Davide -
"La verità è sorta dalla terra" - Geremia, senza cartiglio, Salomone - "E' stato trafitto". E' la
parola biblica veterotestamentaria, riletta alla luce della chiave delle Scritture che è il Cristo. Tutto,
nell'Antico Testamento, parla di Lui. Una volta che Egli è venuto, i Profeti "appaiono nella loro gloria",
come dice S.Luca nella Trasfigurazione. Il Figlio è il compimento, l'Amen di Dio, a tutte le sue promesse.
L'affresco umanistico-rinascimentale del Perugino va oltre: non solo la parola biblica veterotestamentaria ha
parlato già di Cristo, ma anche la sapienza umana classica ha ricevuto in dono da Dio i "semina Verbi", alcuni
semi del Verbo che, misteriosamente, lo hanno prefigurato. Ecco allora i testi delle Sibille - storicamente veri o
presunti che siano: la Sibilla Eritrea, che dice: "Tutto facendo con il Verbo, con la Parola", la Sibilla Persica -
"Sballottato dai flutti" - la Sibilla Cumana - "Resurrezione dei morti" - la Sibilla Libica - "Fiorirà" - la
Sibilla Tiburtina - "Simile a cinque pani" - la Sibilla Delfica - "Giudicherà i morti".
Il Perugino pone dinanzi ai nostri occhi, per via iconografica, l'alleanza che sussiste fra il
cristianesimo e l'affermazione della dignità dell'uomo. In un luogo di scambi economici, come il Collegio del
Cambio - dove, come dice la raffigurazione di Catone, sempre opera del Perugno: " Chiunque tu sia, che ti alzi a
pronunciare un discorso con parole solenni, o ti appresti a rendere giustizia al popolo, deponi gli affetti privati.
Chi ha il cuore turbato dall'amore o dall'odio, non può seguire la retta via" - la Fede, la Speranza e la
Carità non sono affetti privati, ma possono, anzi debbono, essere sotto gli occhi di tutti a fondamento del
retto giudicare. Ma, certo, le virtù teologali camminano a fianco del grande esempio della sapienza classica,
delle Virtù minori della Prudenza, della Temperanza, della Fortezza e della Giustizia. Chi volesse vivere la
laicità solo nella Fede, nella Speranza e nella Carità, senza le altre quattro, verrebbe a mancare
parimenti di ciò che è altrettanto essenziale.
Vogliamo riportare, a conclusione di questo breve scritto, le importanti parole pronunciate dal card. Ruini nel
presentare la "questione antropologica" ed additarla alla Conferenza Episcopale Italiana come uno dei punti
determinanti nel futuro del nostro Paese.
Il card. Ruini, " riprendendo un'affermazione del filosofo e storico ebreo tedesco Karl Löwith, che risale
al 1941 ma che rimane veramente emblematica: "Il mondo storico in cui si è potuto formare il
«pregiudizio» che chiunque abbia un volto umano possieda come tale la «dignità» e il
«destino» di essere uomo, non è originariamente il mondo, oggi in riflusso, della semplice
umanità, avente le sue origini nell'«uomo universale» e anche «terribile» del
Rinascimento, ma il mondo del cristianesimo, in cui l'uomo ha ritrovato attraverso l'Uomo-Dio, Cristo, la sua
posizione di fronte a sé e al prossimo" (Da Hegel a Nietzsche. La frattura rivoluzionaria nel pensiero del
secolo XIX, p.482)" ha così proseguito: "Questo riconoscimento del valore del "volto umano" va dunque
detto "cristiano" anzitutto in senso storico, in quanto cioè formatosi e affermatosi nel "mondo del
cristianesimo" e in virtù dell'evento centrale e fondante dell'annuncio cristiano, il farsi carne del Figlio
di Dio. Molto preciso e significativo è però anche il verbo "ha ritrovato", che Löwith adopera per
indicare il ruolo del cristianesimo nell'affermarsi del valore del soggetto umano: in effetti, non si tratta di un
valore creato dal cristianesimo e attribuito all'uomo in maniera alla fine arbitraria, ma piuttosto di un valore che
l'uomo "ritrova" e che il cristianesimo ha reso manifesto, proprio perché esso, di per sé, appartiene
all'uomo intrinsecamente: è la realtà, o verità, dell'uomo stesso. Questo riconoscimento della
dignità e del destino di chiunque abbia un volto umano non è mai stato del tutto incontestato e
tranquillo, anche all'interno delle civiltà che hanno la loro matrice nel cristianesimo. In proposito è
però di nuovo assai pertinente la valutazione di Löwith (ibidem): "soltanto con l'affievolirsi del
cristianesimo è divenuta problematica anche l'umanità". Avvertiamo tutti come una simile diagnosi
sembri trovare un riscontro e una conferma particolarmente rilevanti in ciò che sta accadendo in questi ultimi
decenni".
Per altri articoli e studi sui rapporti tra arte e fede presenti su questo sito, vedi la pagina Arte nella sezione Percorsi tematici