JEAN VANIER, Meditazione sul brano della samaritana nel vangelo di Giovanni e successiva testimonianza (tpfs*)


Buon giorno! Scusate se non parlo italiano. Ma sono contento che don Andrea è lì per tradurre e sono molto emozionato che mi ha domandato di prendere la parola.
L'incontro di Gesù con la donna samaritana è un passaggio molto bello del Vangelo di Giovanni. Voi sapete perché Giovanni ha scritto il suo vangelo: è perché noi possiamo conoscere meglio Gesù, perché noi comprendiamo meglio Gesù. Tutto ciò, conoscere Gesù ed amarlo, ha come scopo arrivare a non avere più paura di Gesù. Io vedo molte persone che hanno paura di Dio. Pensano che Lui è là in alto e, se non obbediamo, Lui ci manda qualcosa e ci colpisce. Si tratta per tutti noi allora di comprendere qual'è il suo rapporto con ciascuno di noi.
Questa storia è molto commovente. Gesù deve andare dalla Giudea alla Galilea, due o tre giorni di cammino a piedi. Gesù ha cominciato probabilmente all'alba, ha camminato tutto il giorno sotto il sole e, a mezzogiorno, è stanco. Anche voi di tanto in tanto siete stanchi, non è vero? Anch'io lo sono! Questa mattina ero a Bologna, ho preso l'aereo alle 7, ho volato da Bologna a Roma. Sono un po' stanco. Gesù è stanco, è seduto sul bordo di un pozzo. E poi arriva una donna che viene a prendere dell'acqua. Si scopre che è una donna di Samaria. I samaritani voi certo non li conoscete bene, ma erano un popolo molto piccolo, che viveva in mezzo al popolo ebraico e li si disprezzava. Gli ebrei non mangiavano mai con i samaritani. I bambini degli ebrei non dovevano mai giocare con i bambini dei samaritani. I samaritani non erano brava gente. Si potrebbe dire, in un linguaggio odierno, che erano una setta.
Sapete che in ogni paese ci sono dei gruppi di persone che vengono rifiutati. Sono il capro espiatorio. E' loro la colpa se tutto va male. Non conosco troppo bene l'Italia per sapere qual'è il gruppo etnico che viene rigettato, forse gli zingari, forse persone che vengono dai Paesi dell'Est, forse persone che sono prese dalla droga. Ci sono sempre dei gruppi che vengono rifiutati: "Non voglio che i miei figli giochino con i loro figli". C'è un muro fra i giovani ben pensanti e gli altri che non lo sono.
E non è soltanto una samaritana, cioè appartenente ad un gruppo marginalizzato, rifiutato. Scopriamo pian piano che è una donna che ha avuto cinque mariti e quello con cui vive adesso non è suo marito. Qualche anno fa sono stato in Rwanda, poco tempo dopo la guerra civile, e ho dato un piccolo ritiro nella cattedrale della capitale. C'erano molte donne venute dai villaggi intorno e molte donne portavano i loro bambini con un handicap. "Cosa succede? - mi domandavo - Perché siete tutte donne che andate a cercare l'acqua ad un pozzo? Anche voi cercate l'acqua all'alba?" Capita sempre che siano le donne ad andare a prendere l'acqua perché, non so se succeda così anche in Italia, ma spesso gli uomini sono pigri. Le donne sono intorno al pozzo e, come sapete, parlano molto. E di cosa parlano? Del loro marito che è andato a ubriacarsi, del loro figlio che è malato. Ed ho domandato loro: "Che cosa succede se arriva una donna di cattiva fama? Qual'è il vostro atteggiamento?" E c'è stato un grande silenzio. Poi qualcuna ha cominciato a scuotere la testa: "La si rigetta; è una donna di cattiva fama."
Ecco la domanda più forte del Vangelo: la donna è stata rigettata dalla maggior parte degli ebrei, rigettata dagli stessi samaritani, cosa farà Gesù? Gesù la guarda con amore e dice: "Ho bisogno di te". Non dice subito: "Bisogna che tu cambi vita, tu sei cattiva, tu sei colpevole". Non è così Gesù. Gesù rivela il suo amore e l'aiuta a scoprire che questa donna ha qualcosa di bello in sé. "Tu sei capace di fare qualcosa per me: mi vuoi aiutare?"
Gesù ci insegna come incontrare le persone povere. Non dall'alto, dicendo: "Io sono bravo e voi non lo siete." Gesù si mette in basso e dice a questa donna che è molto ferita, a questa donna che probabilmente si sente in colpa, a questa donna povera: "Ho bisogno di te".

Voi sapete che quando ci si sente poveri, quando ci si sente colpevoli, si perde fiducia in se stessi. E Gesù è lì per aiutarci a ritrovare fiducia in noi stessi. Gesù ama questa donna samaritana, come Gesù ama ciascuno di noi. Questa donna è molto speciale per Gesù e ciascuno di noi è molto speciale per Gesù. Gesù vuole aiutare questa donna a ritrovare fiducia in se stessa. Qualche volta anche noi perdiamo fiducia in noi stessi. Abbiamo l'impressione che non possiamo fare delle cose belle, siamo pieni di angoscia , di sensi di colpa.
Gesù è evidentemente ebreo, ha l'accento di Galilea. La donna è stupefatta: " Ma come, voi, un ebreo, parlate con me, una donna samaritana?" Dobbiamo anche considerare che, a quell'epoca, nessun uomo poteva parlare ad una donna sola. Gesù le dice: "Se tu sapessi il dono di Dio, chi è colui che ti parla e ti domanda da bere! Saresti stata piuttosto tu a domandare dell'acqua e ti avrei dato l'acqua viva, fiumi di acqua viva."
In fondo, nessuno di noi conosce il dono di Dio. Nessuno di noi è cosciente fino in fondo che Dio ci ha creato e che noi siamo degli uomini e delle donne pieni di vita, che noi siamo liberi. Ma liberi da cosa? Liberi dalle nostre paure, liberi dai nostri pregiudizi, liberi dal nostro bisogno di provare che io sono meglio di te. Il problema di ciascuno di noi è che abbiamo molta paura. Paura di che cosa? Paura di essere rifiutati, paura di non essere amati, paura della sofferenza e della morte, paura dello scacco. Tutto questo è all'interno di ogni essere umano. C'è molta paura, ci sono molti pregiudizi in noi: "Io sono migliore, tu non sei adatto." Ciascuno di noi ha dei pregiudizi. E poi ciascuno vuole provare che lui ha ragione e l'altro ha torto. In questo modo siamo delle persone che non sono libere. Chi è governato dalla paura non è libero. Per questo una delle parole che ricorre di più nel Vangelo è: "Non aver paura. Io sono con te, io ti amo. Non ti preoccupare, ti darò una forza nuova, ti darò il mio Spirito Santo".
E allora Gesù dice: "Se tu sapessi il dono di Dio!" Lo dice a noi, a ciascuno di noi: "Se tu sapessi quanto sei amato! Se tu sapessi la tua vocazione di essere umano, la tua vocazione di cristiano, chiamato a creare famiglie e famiglie amanti, chiamato a far parte di una parrocchia, ma di una parrocchia amante, a far parte di una comunità di Fede e Luce, dell'Arca o di altre forme di comunità, chiamato ad essere un uomo o una donna pronto ad annunciare il Vangelo!" Questo è un dono!
Voi sapete che in un altro passo del Vangelo, Gesù è nel Tempio e grida "Chi ha sete, venga a me e beva". Che cosa vuol dire allora abbeverarsi a Gesù? Gesù ha un amore così grande nel suo cuore che vorrebbe donarlo, ma noi abbiamo un po' paura. Che peccato aver paura di Gesù, perché tutto ciò che Gesù vuole, è darci la sua pace. Gesù vuole dirci: "Tu sei importante per me!". Quando Gesù dice "Chi ha sete venga a me e beva", sta dicendo: "Chi è pieno di angoscia, chi si sente in colpa, chi sta male dentro se stesso, venga ed io gli darò la vita."
Abbiamo bisogno di una forza nuova: è questa l'acqua che Gesù promette. E' la promessa dello Spirito Santo, perché abbiamo bisogno di una forza nuova. Non si può vivere tutto il tempo nella paura. Ho bisogno di una forza nuova che mi aiuti a non essere più paralizzato dalla paura.
E Gesù continua e rivela qualcosa di straordinario a questa donna: "Se tu cerchi l'acqua che sta nel pozzo, tu avrai ancora sete, ma colui a cui io darò dell'acqua non avrà più sete. Perché l'acqua che io ti donerò diventerà una sorgente zampillante di vita eterna. Lo Spirito Santo prenderà dimora dentro di te e non avrai più bisogno di cercare un nutrimento fuori di te, lo avrai dentro di te, perché lo Spirito Santo abita in te." Domenica prossima qui ci saranno dei battesimi. Il battesimo dona che lo Spirito Santo abiti in te. Risveglia lo Spirito Santo, lascia che lo Spirito Santo si riveli in te, perché tu abbia fiducia nella vita, fiducia nell'amore, perché tu non sia paralizzato dalla tristezza e dalla depressione! E' sempre Gesù che ci chiama ad essere persone pronte, gioiose, libere di non essere manipolati dalla paura, ma libere perché sappiamo che Gesù ci ama ed è venuto a noi.
Gesù è venuto a dire a questa donna, la più ferita: "Io ti amo." Sapete, ognuno di noi è ferito, ognuno di noi è fragile, ognuno di noi ha una parte in sé che è depressa. E Gesù dice a ciascuno di noi: "Dammi da bere, ho fiducia in te, tu sei chiamato ad essere una donna, un uomo resuscitato per essere segno dell'amore sulla terra."
Vedete come questo Vangelo ci dice molte cose su Gesù. Gesù è stanco, si sente povero. Un povero si avvicina a Gesù e Gesù gli domanda qualche cosa. E poi rivela progressivamente a questa donna che è bella, che è importante. E veramente per trovare la vita, ella ha bisogno di trovare una relazione di amore e di amicizia con Gesù. Ed è questo che Gesù e Giovanni vogliono che noi sappiamo oggi: che Gesù è vicino a noi. Egli dice a ciascuno di noi: "Ho bisogno di te, ho bisogno del tuo cuore, perché ho desiderio di mettere la mia vita nel tuo cuore, perché tu sia felice, vivo e che tu, a tua volta. possa amare."

Testimonianza

Abbiamo appena letto il Vangelo in cui Gesù e Giovanni hanno raccontato la storia di una donna ferita. Anch'io voglio raccontarvi una storia. E' la storia di Mosè, ma non il grande Mosè dell'Esodo. Il Mosè di cui vi parlo è un bambino che ha un handicap molto grave e che è stato trovato per strada in un paese molto lontano dall'Italia, lo Zimbabwe, dove ci sono già molte comunità di Fede e Luce ma non ci sono comunità dell'Arca. Allora questo Mosè è diventato il fondatore della comunità dell'Arca in quel paese. Non sappiamo nulla né di suo padre, né di sua madre. Solamente sappiamo che, probabilmente, i suoi genitori soffrivano molto e sapevano che non potevano tenere il bambino con loro. Allora, durante la notte, l'hanno lasciato per strada, sperando che qualcuno lo trovasse e lo portasse all'ospedale.

Voglio parlarvi di cosa succede in un piccolo bambino come Mosè, un piccolo bambino con un handicap molto grave, quando sente di non essere amato. Cosa ci succede quando ci accorgiamo che non siamo amati? Perché molti fra noi hanno dei momenti, durante i quali ci sentiamo isolati e abbiamo l'impressione che non siamo preziosi per nessuno. La prima cosa quando ci sentiamo soli è che proviamo angoscia. Non è mai facile sentirsi soli e non amati. C'è l'angoscia, c'è la tristezza, e qualche volta la paura. Ma c'è un'altra cosa che succede, che è molto difficile da sopportare: se io non sono una gioia per qualcuno, se non sono amato, se non sono amabile - è molto profondo questo - se non sono amabile vuol dire che sono cattivo e questo porta ad una forma di colpevolezza, di senso di colpa.

Io incontro molti giovani che si sentono tristi, che hanno l'impressione di non esser amati. Mia madre è morta circa dieci anni fa. Era molto avanti con l'età, aveva 92 anni. Durante gli ultimi anni della sua vita aveva momenti di depressione e diceva: "Io sono un peso per tutti". C'era un certo senso di colpa. Lei pensava di non poter essere amata da nessuno così com'era nella sua vecchiaia.

Ed è ciò che pensa Mosè che si sente solo. Posso dire lo stesso di molte persone, avanti nell'età, che sentono che non hanno più un posto nel mondo, nella vita. Anche la gente che vive senza fissa dimora e altre persone in difficoltà possono sentirsi colpevoli di esistere, quando uno manca di fiducia in se stesso e pensa di non essere buono a niente. Qualche volta io domando ai giovani: "Tu hai coscienza che sei molto importante per Gesù? Che tu sei prezioso per Gesù?" E molti giovani dicono: "No. Dio non può amarmi, ho un cattivo carattere, ho difficoltà a perdonare." Molti giovani hanno perduto la fiducia di essere amabili. Allora quando abbiamo questi sentimenti di angoscia, di senso di colpa, qualche volta sale in noi il desiderio di morire, di morte: "Non posso vivere." Ci sono molti giovani così. "Non posso vivere. La vita non ha alcun senso per me."

Ero in Brasile, ho visitato un ospedale dove c'erano molti bambini portatori di handicap. C'era una sala dove c'erano ottanta bambini, quaranta letti da una parte e quaranta letti dall'altra. Alle dieci del mattino sono entrato in questa sala e non c'era nessun rumore. Mi chiedevo: "Come è possibile che avvenga questo, ottanta bambini insieme e nessuno che parli o pianga? Non è normale!" I bambini gridano anche durante la messa. E' normale. Un bambino non può stare silenzioso, mettersi in ginocchio e dire le preghiere. Il bambino si esprime attraverso il grido. E lì c'erano ottanta bambini che non gridavano. Che cosa era successo? Credo di avere la risposta: "Non si grida se non c'è qualcuno che risponde." Non vale la pena di gridare se so che non c'è nessuno che risponderà. Si grida verso qualcuno. Se sono sicuro che sono completamente solo e che nessuno si interessa a me, non grido più, perché gridare è anche affaticarsi. C'erano ottanta bambini depressi e quando qualcuno è in depressione non grida più. La vediamo la persona depressa, ha il viso triste. E lì c'erano ottanta bambini che non gridavano più.

Mosè è stato portato all'ospedale e quando la gente che ha fondato l'Arca l'ha trovato, ha trovato un piccolo bambino completamente rinchiuso in se stesso. Aveva paura, aveva paura di tutti. L'ospedale è un buon posto, ma non è una famiglia. Ci sono delle persone che ti portano al bagno, che ti vestono, ti danno da mangiare, ma nessuno che ti dice: "Tu sei mio." Nessuno che ti dice: "C'è un legame fra me e te." Allora, l'ospedale andava bene per Mosè, ma si sentiva sempre completamente solo.

Quando sono andato nello Zimbabwe per l'apertura del Foyer, c'era molta gente. Molti amici di Fede e Luce erano venuti per la festa. Erano passati circa quattro mesi dall'arrivo di Mosè in comunità - era una piccola comunità, perché l'Arca crea delle piccole famiglie - e l'ho trovato che cominciava a ridere. Non si nascondeva più, rinserrato su se stesso. Cominciava ad aprirsi ed a sorridere.

Ecco allora la grande domanda. Che cosa fa sì che un bambino che desidera morire, vuole vivere? Cosa fa sì che un bambino che ha un'immagine ferita di sé, che pensa di non essere buono a niente, scopra un'immagine positiva di se stesso? Che cosa permette la trasformazione? Cosa fa sì che qualcuno rinserrato nella tristezza, chiuso nella sua collera, con il sentimento che nessuno lo può amare, diventi un bambino, certo sempre con un handicap forte, ma felice? Che cosa fa avvenire questa trasformazione? E' molto semplice. Lui ha scoperto di essere amato. E che cosa vuol dire amare? Non c'è bisogno di dire a voi che questo è il cuore del messaggio di Gesù. E' il comandamento di Gesù: "Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati." E l'evangelista Giovanni nella sua lettera dice così: "Amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore viene da Dio e colui che ama è nato da Dio e conosce Dio."

La nostra fede cristiana è semplicemente incentrata sull'amore. Se Gesù è venuto sulla terra è per rivelare che noi siamo amati E' Gesù che ci chiama ad amare a nostra volta. Allora, cosa vuol dire amare? Amare innanzitutto non è fare qualcosa per qualcuno, ma è rivelare qualche cosa. Amare è rivelare. E cosa io rivelo quando amo qualcuno? Rivelo che tu sei importante, che tu sei prezioso, che la tua vita ha un senso. Tu sei importante per la società, per Dio, per la chiesa. Tu sei prezioso. E' questo che è importante: di rivelare a qualcuno che ha un valore. Allora, come si rivela questo? Con tutto il nostro atteggiamento dinanzi a lui, con il modo con cui lo ascoltiamo, per il modo con cui ascoltiamo le sue difficoltà, le sue sofferenze, per il tono della voce, per tutto il nostro atteggiamento davanti a qualcuno. Voi sapete che c'è un modo di ascoltare che vuol dire: "Quello che tu dici è importante." E c'è anche un modo di ascoltare con cui io dico che tu non dici niente di importante.

Si rivela l'amore attraverso la tenerezza, l'ascolto, con tutto il nostro corpo. Il profeta Isaia quando parla dell'amore di Dio per il popolo - che non è solo per il popolo, ma per ognuno di noi - dice: "Non aver paura, io ti ho liberato, ti ho chiamato per nome, proprio tu, e tu mi appartieni. C'è un legame fra me e te. Se tu passerai attraverso i fiumi io sarò con te. Se tu passerai fra le acque, tu non sarai sommerso. Se passerai per il fuoco non sarai bruciato. Se tu passerai per la fiamma, non sarai consumato. Io sarò sempre, sempre vicino a te, per proteggerti." Poi continua: "Perché tu sei prezioso ai miei occhi ed io ti amo. Io voglio che tu sappia che tu sei importante."

Amare è rivelare. Certo rivelando attraverso le cose che si fanno, con la nostra vicinanza, con la nostra tenerezza.

Amare è anche comprendere. E' molto importante che noi ci comprendiamo gli uni gli altri. Comprendere la sofferenza di qualcuno come Mosè. Non giudicare, non condannare, ma comprendere. Il nostro pericolo è spesso quello di giudicare e di condannare le persone, al posto di comprendere.

Un po' di tempo fa ho parlato con dei giovani in un liceo francese ed uno dei giovani liceali mi ha detto: "Ci sono dei buoni studenti e dei cattivi studenti." E allora io ho domandato: "Chi è un cattivo studente?" "E' uno che fa baccano in classe, che non lavora bene." E io ho risposto: "Certo, ti comprendo. Ma ti faccio una domanda: se presso di te c'è un cattivo studente, che non lavora, che fa stupidaggini, se tu scopri che questo cattivo studente ha vissuto un dramma nella sua famiglia la notte scorsa e che il suo papà è un alcolizzato, che picchia sua moglie, se tu scopri che questo studente ha passato tutta la notte con molta angoscia e che quando è arrivato non aveva dormito ed era tutto sconvolto ed era incapace di sedersi e seguire la lezione di matematica, cosa fai? Mi domando quale atteggiamento avreste voi dinanzi a questo studente. Io avrei voluto aiutarlo. Bisogna comprendere le persone, bisogna comprendere la sofferenza delle persone, bisogna comprendere l'angoscia delle persone. C'è così tanta gente che si sente sola, che ha il cuore ferito. Molto spesso si giudica e si condanna: "Tu non sei adatto, tu sei cattivo." Non è vero, tu non sei cattivo, tu sei un essere sofferente, tu hai sofferto, tu hai bisogno di un amico.

Qualche anno fa abbiamo accolto in una comunità una donna piuttosto grassa, aveva un braccio paralizzato, una gamba paralizzata, era epilettica, aveva 26 anni. Aveva molta rabbia, gridava, rompeva i piatti. E' vero, è molto difficile vivere con chi ha molta violenza dentro! E poi, a poco a poco abbiamo cominciato a comprendere. Sua sorella aveva tre bambini e lei era gelosa di sua sorella. Anche lei avrebbe voluto avere un bambino, ma non poteva avere un bambino, e allora era molto arrabbiata con se stessa, con Dio, con la vita. E' normale che una ragazza di 26 anni voglia avere un bambino. E' normale che esprima una frustrazione, è normale che soffra. Di che cosa aveva bisogno? Di qualcuno che le dicesse: "Ti comprendo. Non è facile. Comprendo la tua sofferenza. Tu avresti voluto avere un bambino, ma forse puoi esprimere la tua collera in un altro modo. Non spaccando i piatti, non gridando contro gli altri. Esiste un altro modo di esprimersi." Infatti, quando ha scoperto di essere compresa, la violenza è cessata. Aveva bisogno che qualcuno le dicesse: "Io comprendo la tua sofferenza."

Amare è comprendere. Amare è anche rispondere ai bisogni i più profondi. Che cosa succede a Mosè, quando scopre che è amato ed è compreso? Una cosa molto, molto importante: non è più rinchiuso in se stesso, ha fiducia in qualcuno. La fiducia è qualcosa di straordinario; non sono più rinchiuso nelle mie sofferenze e nelle mie difficoltà, c'è qualcuno che mi comprende e che mi ama. Questo cambia la vita. Posso avere fiducia in qualcuno, non sono più solo nella vita. Ah, la nascita della fiducia! C'è qualcuno in cui voi avete veramente fiducia? Non c'è più bisogno allora di essere forti, capaci. La fiducia è il legame che si stabilisce fra le persone.

Il responsabile della comunità dello Zimbabwe si chiama Gérard. Quando Gérard ha cominciato a comprendere che Mosè aveva fiducia in lui, lui aveva ancora più fiducia in Mosè. Cosa succede quando due persone hanno fiducia l'una nell'altra? Non c'è niente di più bello sulla terra: due persone che hanno fiducia l'una nell'altra. E' la comunione dei cuori. L'amore, la comunione dei cuori non è possedere qualcuno. Non si tratta di possedere, di possedere Mosè.

Amare qualcuno vuol dire aiutare una persona a divenire se stessa, a divenire libera. I genitori non sono liberi di possedere i loro figli. I genitori sono lì per donare la vita e dare la vita vuol dire anche dare la libertà di crescere, di essere al servizio dell'umanità, di Dio, di divenire quelli che noi siamo chiamati ad essere.

E' questa infine la comunione dei cuori. E infine l'amore è il perdono. Che lo si voglia o no, ci si ferisce. Io ti ferisco, tu mi ferisci, perché non posso ogni giorno rispondere a tutti i tuoi bisogni. Una mamma non può rispondere a tutti i bisogni di tutti i suoi figli. Un parroco di una parrocchia non può rispondere a tutti. Delle volte vedo io stesso che non ascolto a sufficienza alcune persone. Le ferisco, non vorrei ferirle, ma di fatto le ferisco. Per questo l'amore è perdono. Io ti accetto come tu sei e tu mi accetti come sono. Non sono Dio, sono un essere umano, con le mie povertà, le mie debolezze. Cerco di fare il mio meglio. Ma neanche tu sei Dio! Tu anche hai le tue ferite, le tue debolezze, le tue fragilità, ma noi entriamo in comunione gli uni con gli altri in questa mutua accettazione. Tu sei tu ed io sono io. Cresciamo nell'amore insieme.

Abbiamo aperto da poche settimane una comunità in Messico - ci sono già molte altre comunità di Fede e Luce in Messico, c'era già una grande comunità nella Città del Messico. Abbiamo cominciato una piccola comunità in una città a 300 chilometri dalla capitale, un grande edificio con molti bambini con handicap. La responsabile della comunità si chiama Maria Josè Ha accolto una bambina con un handicap che si chiama Regina. Poi ha accolto un bambino che si chiama Juan e che viveva per la strada. Maria Josè ha ascoltato il grido di Regina, ha ascoltato il grido di Juan, ed è nata una piccola comunità.

Una delle cose che mi colpisce molto dell'incontro di Gesù - ne ho parlato prima e ne parlo ancora - con la samaritana è questo: la samaritana è una donna depressa. Non domanda niente a Gesù. Nel V capitolo di San Giovanni noi veniamo a conoscere qualcosa di straordinario. Gesù entra in quello che era l'ospizio di Gerusalemme. Era un posto che si chiamava Betesda, dove c'erano cinque portici. C'era una moltitudine di poveri, di ciechi, di paralizzati che stavano stesi per terra. Gesù entra lì per incontrare la gente più reietta e trova un uomo che stava seduto lì da 38 anni. Gesù lo guarda e gli chiede "Vuoi guarire?" Non è l'uomo che chiede di guarire. E' troppo depresso e gli dice: "Sono qui da 38 anni e nessuno mi aiuta." E' straordinario come Gesù va verso coloro che non hanno fiducia in se stessi e non hanno più desiderio di vivere. Ma non siate stupefatti. Quando incontrate delle persone chiuse in se stesse nella tristezza che non hanno più fiducia nella vita e in se stessi, ricordate che Gesù va verso di loro e rivela loro che li ama. Credo sia la nostra missione come discepoli di Gesù: non solo amare le persone che stanno bene, ma amare anche le persone depresse.

In questo modo noi rispondiamo a questo desiderio di Gesù che è stato espresso in maniera così forte dal Vangelo dell'evangelista Giovanni: "Amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è la vita e colui che ama è nato da Dio e conosce Dio."


Testi dello stesso autore presenti sul nostro stesso sito www.gliscritti.it


[Torna all'inizio | Approfondimenti]