“Bisogna desiderare di fare cose grandi per servizio di Dio e non contentarsi di una bontà mediocre”.
Filippo Neri nasce a Firenze il 21 luglio 1515. Compie gli studi presso i domenicani del convento di S.Marco, dove era ancora vivo il ricordo di Savonarola. Non ha ancora 18 anni quando si trasferisce a S.Germano vicino Montecassino, per apprendere da un ricco zio l'arte del commercio.
Questa attività non lo soddisfa e, ancora in dubbio sulle sue scelte
di vita, decide di spostarsi a Roma dove un fiorentino, Galeotto Caccia, gli
offre l'alloggio in cambio dell'educazione dei figli. Completa la sua formazione
alla “Sapienza” dedicandosi alla preghiera, alla penitenza, alla
visita alle Sette Chiese e alla cura degli ammalati.
Spesso si reca in visita alle catacombe di S.Sebastiano, dove, il giorno di
Pentecoste del 1544, riceve lo Spirito Santo sotto forma di globo di fuoco.
Nel 1548, ancora laico, fonda la confraternita della SS.Trinità dei pellegrini
e convalescenti, che diventa ben presto una scuola di volontariato per molti
collaboratori dediti alla cura degli ammalati e all'accoglienza dei pellegrini,
in particolare durante l'anno santo del 1550. Nel 1551 Filippo è ordinato
sacerdote. Da quel giorno abita a S.Girolamo della Carità, dove molte
persone si riunivano ogni giorno accanto a lui per la celebrazione dell'Eucarestia
e per la spiegazione delle Sacre Scritture. Particolare importanza ha per lui
il sacramento della confessione e la proposta della direzione spirituale. Nasce
così, dalla pratica quotidiana, l'oratorio.
Negli anni del Concilio di Trento la sua vita ed il suo apostolato costituiscono
un contributo concreto al rinnovamento della chiesa cattolica. Da sempre Filippo
dimostra la sua particolare predilezione verso i fanciulli e i giovani, facendosi
“fanciullo coi fanciulli, sapientemente”, divenendo loro amico e
compagno di giochi. Non apre scuole e non traccia programmi teorici di insegnamento,
ma organizza “liete brigate”. “State allegramente, che così
mi contento, né altro voglio da voi, se non che non facciate peccati”.
Poiché la malinconia è cattiva consigliera, mette la gioia al
primo posto, accanto alla semplicità e alla dolcezza. Per questo è
anche chiamato “il santo della gioia”. Nel 1563 è nominato
rettore della chiesa di S.Giovanni dei Fiorentini, pur continuando a vivere
a S.Girolamo della Carità. Nel 1575 papa Gregorio XIII gli assegna la
chiesa di Santa Maria in Vallicella, ove fonda la nuova congregazione dei preti
e chierici secolari.
Filippo si trasferisce alla “chiesa nuova” solo nel 1583, rimanendovi
fino alla sua morte, avvenuta il 26 maggio 1595. Le spoglie di S.Filippo sono
conservate nella cappella, a lui dedicata, alla sinistra del presbiterio della
Chiesa Nuova. Sotto l'altare, in una teca di cristallo riposa il corpo del santo,
mentre alle pareti della cappella, in un ciclo di 10 tele, sono rievocati i
momenti della vita di S.Filippo, i suoi miracoli ed i suoi gesti di carità.
Sull'altare è raffigurato S. Filippo in contemplazione della Vergine.
Il quadro, in mosaico, è copia dell'originale di Guido Reni che si trova
nell'appartamento del Santo.
S. Filippo nel suo apostolato prima come laico, poi come sacerdote visse ed
operò in molte chiese romane. Qui di seguito tracceremo un itinerario
di questi luoghi
S.Eustachio
In un appartamento nei pressi della chiesa, Filippo Neri vive, esercitando
il mestiere di precettore dei due figli di Galeotto Caccia (dei quali uno diverrà
prete e l'altro monaco).
SS.Trinità dei Pellegrini
Legata alla fondazione dell'Arciconfraternita dei Pellegrini e dei
convalescenti, istituita da S.Filippo nel 1548 e avente finalità di accoglienza
dei pellegrini, soprattutto durante gli Anni Santi, legata alla rinascita religiosa
che si avverte a Roma dopo il “sacco” del 1527. La Confraternita
si incaricava dell'ospitalità dei pellegrini giunti a Roma. Nobili e
gentildonne, guidati da S.Filippo, prestavano la loro opera caritatevole. Questa
Chiesa era tra le più antiche di Roma. Venne ricostruita nel 1603-16
dal Maggi. L'Ospizio che si apre a fianco della Chiesa venne eretto nelle forme
attuali in occasione del Giubileo del 1625. In questi locali, usati come infermeria
durante l'assedio del 1849, morì Mameli. Da notare due acquasantiere
poste all'esterno che servivano per farsi il segno della croce prima di entrare
ed uscire dall'Ospizio.
S.Giovanni in Laterano
D.Persiano Rosa, suo padre spirituale, che risiede all'epoca a S.Girolamo della
Carità, lo guida a divenire sacerdote.
Nella Basilica di S.Giovanni, Filippo Neri viene ordinato diacono il 29 marzo
1551.
S.Tommaso in Parione
Nella chiesa di S.Tommaso in Parione, vicino piazza Navona, Filippo viene ordinato
sacerdote il 23 maggio 1551.
S.Girolamo della Carità
Dal 1551 Filippo Neri per ben trentadue anni è ospite della Chiesa
di S.Girolamo della Carità. Trova infatti congeniale al suo spirito l'ordine
spontaneo che regna nel convento. Accetta la vita comune del clero, vivendo
nella stessa comunità in cui abita il suo padre spirituale, insieme al
altri sacerdoti. S.Girolamo della Carità nel Cinquecento è un
centro poco frequentato, ma con l'arrivo di Filippo diventerà la meta
più ricercata dalla popolazione, richiamata dalla sua personalità
piena di fascino. A quell'epoca la Chiesa presentava un orientamento perpendicolare
a quello attuale (quindi parallelo al corso del Tevere) con l'ingresso su piazza
S.Caterina della Rota. Dell'edificio originale, distrutto da un incendio nel
1631 non rimane nessun reperto a causa della totale ricostruzione avvenuta durante
il XVII secolo. L'interno è di Domenico Castelli la facciata di Carlo
Rainaldi. Di particolare suggestione le stanze disposte su tre piani che contengono
i ricordi di S.Filippo.
S.Giovanni dei Fiorentini
S.Filippo, nel 1564, divenne rettore della Chiesa. Qui avviene la grande
azione della apostolato di “Pippo il buono”: accoglienza di laici
e religiosi con i quali S.Filippo prega nella semplicità a lui congeniale.
Fu papa Leone X a volere la chiesa Al progetto lavorarono in successione Sangallo
il giovane, Baldassarre Peruzzi e Michelangelo. La cupola viene realizzata da
Carlo Maderno nel 1602 e la facciata, del 1734, è opera di Alessandro
Galilei. L'interno a 3 navate, a croce latina, è riccamente decorato
con affreschi legati alle tematiche del Concilio di Trento (anche se parzialmente
modificati successivamente).
S.Maria in Vallicella
Gregorio XIII affida a Filippo, nel 1575, l'antica chiesa. Essa è
ridotta in rovina e per metà interrata. Scartata l'idea di restaurarla,
i padri optano per la sua demolizione e ricostruzione. I lavori hanno inizio
immediatamente, secondo un progetto di Matteo da Castello. La fede e la tenacia
di Filippo riescono a superare le molte difficoltà e controversie. Egli
afferma infatti che, secondo un suo patto con la Vergine, la chiesa sarebbe
sorta prima della sua morte. Nel 1577 la chiesa è dotata di copertura
lignea ed i preti possono stabilirvisi. L'interno è progettato dall'architetto
Martino Longhi, con la collaborazione di Giacomo della Porta. La chiesa viene
solennemente consacrata nel 1599.
L'Oratorio dei Filippini
La consapevolezza di dover affrontare il problema della formazione
cristiana degli uomini del suo tempo lo aveva portato a dar vita agli incontri
che chiamerà “l'oratorio”, incentrati su di una educazione
alla fede cristiana, attraverso la conoscenza e la meditazione delle vite dei
santi alternata ad orazioni e canti, dando a tutti i partecipanti la possibilità
di intervenire e di dibattere su questioni di varia natura. L'Oratorio divenne
sede della riforma musicale, avvenuta proprio in questo luogo. Lentamente, infatti,
le laudi monodiche si trasformarono in composizioni a più voci (ad “Oratorio”).
Il più noto compositore, amico di Filippo Neri è Giovanni Animuccia.
Gli incontri dell'oratorio avvennero nelle stesse stanze delle chiese dove Filippo
abitò. L'attuale edificio viene, invece, costruito da Francesco Borromini,
dopo la morte di S.Filippo, dal 1638 al 1640 e si affianca alla facciata della
Chiesa di S.Maria in Vallicella, alla quale rimane subordinato per altezza e
per il materiale usato (in mattoni), con elementi decorativi in travertino.
La facciata con andamento leggermente concavo, vuole raffigurare l'abbraccio
cordiale dei Filippini. L'interno è concepito in funzione della grande
sala dell'Oratorio, dove, nelle pareti ad intonaco, vengono ripetute le tipologie
esterne e con l'utilizzazione della pianta ellittica si viene a creare una nuova
concezione di sala dove tutti potessero vedersi mentre pregano, cantano o parlano.
Oltre a questo spazio centrale esistono altri ambienti, come la biblioteca,
legati alla vita quotidiana dei Filippini.
Sull'amore a Cristo e a Dio
A questo fine diceva spesso che non si cercasse altro che Christo, dicendo spesso:
Chi vuol altro che Christo non sa quel che vole, e chi vuole altro che Christo
non sa quel che domanda. Diceva ancora: Vanitas vanitatum et omnia vanitas,
se non Christo (ricordo n.45 del Maffa)
Di più diceva che era tanto utile e necessario questo staccamento dalle
cose terrene per servire a Dio, che se havesse avuto diece persone veramente
staccate e che non volessero altro che Christo, gli bastava l'animo di convertir
tutto il mondo (ricordo n.49 del Maffa)
Se l'anima ha da Dio l'esser perfetto,
sendo, com'è, creata in un istante,
e con mezzo di cagion cotante
come vincer la dee mortal oggetto?
Là 've speme, desio, gaudio e dispetto
la fanno tanto da se stessa errante,
sì che non veggia, e l'ha pur sempre innante,
chi bear la potria sol con l'aspetto.
Come ponno le parti esser rubelle
ala parte miglior, né consentire?
e quella servir dee, comandar quella?
Qual prigion la ritien, ch'indi partire
non possa, e alfin col pie' calcar le stelle;
e viver sempre in Dio, e a sé morire?
Et per instruir meglio i suoi figlioli spirituali nello stato della discrezione, dicea che non bisognava fare ogni cosa in un giorno, et che non si diventa santo in quattro dì, ma a poco a poco, di grado in grado. (ricordo n.14 del Maffa)
Essortava ancora a fugire ogni sorta di singularità e voler mostrare di essere e fare di più degli altri, e per questo diceva spesso che non gli piacevano queste estasi o ratti in pubblico, come cosa pericolosissima, e che chi vole volare senza ale bisogna pigliarlo per i piedi e tirarlo in basso. (ricordo n.25 del Maffa) Come lei sa la poesia è faticosa alla testa e per conseguenza non può partorire sanità, generando humore malenconico et altri mali quali detto Padre dice havere cognosciuto in molti che hanno atteso a simile esercitio… (parole riportate da p.Fedeli, portavoce di S.Filippo Neri presso Giovenale Ancina, convalescente da una grave malattia)Io Filippo Neri sopraintendente affermo non solo quanto di sopra, ma è molto più bisognerà crescere nelle spese, accrescendo il popolo e la divotione (lettera nell'Archivio di S.Giovanni dei Fiorentini con cui Filippo chiede più soldi alla “nazione fiorentina”).
E' proverbiale l' episodio nel quale una madre porta a S.Filippo Neri la figlia che afferma di vedere i santi e la Madonna; S.Filippo la guarda negli occhi ed esclama: “Che si sposi!”
Non giudico atto a questo offitio il p.Giovanni Francesco Bordini, quale, se bene ha di molte belle parti e virtù, che ne deve rendere gratie a Nostro Signore Iddio, l'ho trovato sempre duro et di proprio parere, monstratolo in particolare nel volere vencere di comprare le case delle monache contro mio volere et senza necessità; il che, oltra al havere comprato case vecchie et muraglie fracide…
(inoltre a S.Giovanni dei Fiorentini) si stava colle porte aperte, de sorte che la chiesa era impraticabile et a forestireri et a noi di casa, pel freddo grande et vento che entrava per tutto. Si che, non havendo imparato, tra l'altre virtù ch'ha, d'obedire et de credere troppo al suo parere et giudicio, non è atto a comandare né governare…
Né meno reputo atto a questo governo il p.Antonio Talpa, che anco egli è troppo affetionato alle sue opinioni, senza cedere all'altrui quantunche migliore siano: come mostrò per voler fare un disegno de cavar acqua, quando si incomenzò a fabricare, nel che nacque et spesa et inconvenienti in casa… (dalle Disposizioni del 1585, quando era stata da poco annessa l'Abbazia di S.Giovanni in Venere e si stava per aprire la filiale di Napoli)
Sul rapporto con i Papi
Il signor Cardinale si fermò poi sino a doi hore di notte, e disse tanto bene di vostra Santità, più di quello che mi pareva, essendo ella Papa, dovrebbe essere l'istessa humiltà. Christo, a sett'hore di notte, si venne a incorporare con me, e vostra Santità guarda che la venisse, pur una volta nella nostra chiesa. Christo è huomo et è Dio, e mi viene, ogni volta che io voglio, a visitare; e vostra Santità è huomo puro, nato d'un huomo santo e da bene; esso nato da Dio Padre. Vostra Santità nato dalla signora Agnesina, santissima donna; ma esso nato dalla Vergine delle Vergini. Harei che dire, se volessi secondare la collera che ho. (dalla lettera che Filippo malato scrisse negli ultimi anni al Papa Clemente VIII, rimproverandolo di non essere ancora venuto a trovarlo; il Papa, suo carissimo amico, mandò a rispondere, fra l'altro: “Del non essere venuta a vederla, dice che Vostra Reverentia non lo merita, poiché non ha voluto accettare il cardinalato, tante volte offertoli… Et quando Nostro Signore la viene a vedere, lo preghi per lui et per i bisogni urgenti della Christianità”)
Sull'amore ai fratelli
Per questo diceva spesso che il lasciare i suoi gusti per aiuto del prossimo, cioè spirituali, era atto di gran perfezione et era lasciar Christo per Christo (ricordo n.53 del Maffa)
Soleva dire alle persone che andavano a servir gli infermi degli hospedali o a far altra simil opera di charità che non bastava far il servitio semplicemente a quello infermo, ma che bisognava, per farlo con maggior charità, imaginarsi che quello infermo fosse Christo e tener per certo che quello che faceva a quell'infermo lo faceva all'istesso Christo e così si faceva con amore e maggior profitto dell'anima (ricordo n.40 del Maffa)
…diceva che per essere perfetto non basta a obedire et honorare i superiori, ma bisognava honorare gli uguali et inferiori (ricordo n.24 del Maffa)
Sulla graziaSignore, non aspettar da me se non male e peccati; Signore, non ti fidar di me, perché cadrò al certo, se non m'aiuti (ricordo n.42 del Maffa)
Sull'umiltà
Diceva ancora che per arrivare alla perfettione della vita spirituale e per acquistare perfettamente il dono dell'humiltà sono necessarie quattro cose, cioè: spernere mundum, spernere nullum, spernere se ipsum, spernere se sperni (ricordo n.3 del Maffa)
Sulla gioia
Voleva ancora che le persone stesser alegre dicendo che non gli piaceva che stessero pensose e malinconiche, perché faceva danno allo spirito, e per questo sempre esso beato Padre, ancora nelle se gravissime infermità, era di viso gioviale et allegrissimo, et che era più facile a guidare per la via dello spirito le persone alegre che le malinconiche (ricordo n.33 del Maffa)
Non gli piacevano gli scrupoli, come cose che inquietano assai la conscientia, et per questo molte volte da chi gli voleva dire in confessione, non voleva sentirle (ricordo n.35 del Maffa)
Raccomandava a tutti la quiete della conscientia e per questo a un certo suo proposito disse una volta che quando la persona volesse fare qualche voto cercasse di farlo condizionato: se potrò, se mi si ricorderà, o in altro simil modo (ricordo n.34 del Maffa)
Diceva ancora che doppo le tentationi non bisognava starvi a discorrere se la persona haveva consentito o no, perché molte volte per simili pensieri solevano tornare le medesime tentazioni (ricordo n.91 del Maffa)
Amo, e non posso non amarvi, quando
resto cotanto vinto dal desio
che 'l mio nel vostro, e 'l vostro amor nel mio;
anzi ch'io 'n voi, voi 'n me ci andiam cangiando.
E tempo ben saria veder il quando
ch'alfin io esca d'esto carcer rio,
di così folle e così cieco oblio,
dov'io mi trovo, e di me stesso in bando.
Ride la terra e 'l cielo e l'ora e i rami,
stan quieti i venti, e son tranquille l'onde,
e 'l sol mai si lucente non apparse.
Cantan gli augelli: Chi dunc'è che non ami
e non gioisca? Io sol, che non risponde
la gioia alle mie forze inferme e scarse.
Sulla preghiera
Diceva ancora che non si domandasse mai al Signore una gratia assolutamente, come la sanità o altra simil cosa, ma sempre con conditione se gli piace o se è per il meglio (ricordo n.36 del Maffa)
Sulle virtù e i vizi
Essortava tutti spessissime volte con infocati raggionamenti alla virtù della castità, dicendoli: Si guardino li giovani dalla carne e li vecchi dall'avaritia (ricordo n.64 del Maffa)
Sulla preghiera e il padre spirituale
…diceva che non ci era cosa che il demonio havesse più a male quanto l'oratione (ricordo n.74 del Maffa)
Diceva anche che non bisognava mai fidarsi di se stesso, ma consigliarsi sempre con il padre spirituale e raccomandarsi all'oration di tutti (ricordo n.85 del Maffa)
Diceva poi a tutti quelli che desideravano la salute dell'anima loro che avanti si eleggessero un confessore ci pensassero bene, ma poi che l'havessero preso non lo lasciassero mai e gl'havessero grandissima fede, conferendogli ogni minima cosa, perché il Signore non lo lascerà mai errare in cosa che fusse per la salute dell'anima loro (ricordo n.109 del Maffa)
Sulle sofferenze altruiAvvertiva ancora che quando una persona andava a visitare un infermo non facessi del profeta con dire che l'infermo morirebbe overo non morirebbe, perché diceva che vi erano state persone che havevano detto che un infermo sarebbe morto, e poi quando guariva gli rincresceva che fusse guarito perché la profezia non era riuscita (ricordo n.107 del Maffa)
Diceva anche che quando si andava a raccomandar l'anima di alcun moriente che un bonissimo aiuto era a pregar per quell'anima e che bisognava dile poche parole et di raro (ricordo n.139 del Maffa)
Sull'ariditàDiceva ancora che le persone spirituali dovevano esser designate tanto a sentire i gusti di Dio come a stare in aridità di spirito et della devotione tutto quello tempo che piace a Dio, non si lamentando mai di cosa alcuna (ricordo n.139 del Maffa)
Sui sacerdoti
Consigliava alli sacerdoti, massime che vivono in comune, che cercassero in quanto fusse possibile di non haver niente in particolare in sacrestia e gli diceva che non havessero mai hora particolare, né altare, né altra cosa, ma che dicessero la messa quando erano chiamati e dove erano mandati (ricordo n.106 del Maffa)
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