27/7 VIII meditazione di Neri, nella Basilica della Natività, a Betlemme


Credo che, con santo, legittimo, e gradito a Dio ardimento, possiamo chiedere che queste rievocazioni del mistero della salvezza che noi stiamo rivisitando nelle sue tappe fondamentali, non siano soltanto un richiamare alla mente ciò che tante volte per dono del Signore e con quale consolazione e commozione abbiamo meditato o abbiamo proposto ai nostri fedeli, ma siano anche un passo avanti nella comprensione di questo mistero, siano un realizzarsi, parziale, di quel crescere sempre più nella sapienza di Dio che Paolo auspica e che Paolo vuole che i suoi fedeli desiderino e chiedano e che egli stesso implora per i santi. Cresce nella conoscenza del mistero, non soltanto attraverso un dilatarsi ed un accendersi più fervido del nostro amore, un farsi più fermo della nostra speranza, ma anche attraverso un illuminarsi più nitido della nostra fede, che ci dia di comprendere in modo più pieno, più forte, più profondo che cos’è il mistero della nostra salvezza, che cos’è questo Evangelo di grazia, che noi crediamo, che noi professiamo e che noi anche, per dono del Signore, annunciamo.

Anche questa pagina del Vangelo che ora è stata di nuovo proclamata e che ci ricorda con tanta dolcezza, tante notti o tante aurore del giorno di Natale che abbiamo celebrato come presbiteri o come semplici fedeli, anche questa pagina deve oggi dirci qualche cosa di più. In breve - siamo sempre forse utilmente sollecitati dall’impressione di una Messa che deve seguire - in breve cerchiamo di vedere che cosa dice.

Prima di tutto, mi pare, che meriti una grandissima attenzione, anche per il solo fatto di essere visibilmente e dichiaratamente una interpretazione autentica dell’evento che si è compiuto, di un evento così misterioso che solo gli angeli possono capirlo. L’angelo spiega. Ieri vedevamo insieme come l’angelo spiega il saluto che egli stesso ha dato a Maria, spiega il senso di quelle parole che erano “gioisci, piena di grazia, il Signore è con te”, perché la Madonna gliene chiede la spiegazione. Qui è l’angelo che spiega ai pastori. Lo annuncia, ma lo annuncia con una densità tale di proposizione, con una tale forza di penetrazione che veramente ne dà una interpretazione capitale, fondamentale, divina, veramente angelica. Solo gli angeli possono conoscere, solo intelletti illuminati da Dio, le prime luci illuminate dalla luce fondamentale e fontale che è il Signore, possono trasmettere tale luce di conoscenza agli uomini.

E l’interpretazione angelica del fatto non è soltanto l’annuncio “oggi è Natale”, è qualche cosa di molto di più. Che cosa dice dunque l’angelo, interpretando autenticamente e messaggero da parte di Dio, diretto - senza nessun rischio che una mediazione appesantisca, ispessisca od oscuri la trasmissione di questo messaggio - che cosa dice dunque l’angelo da parte di Dio riguardo a ciò che si è compiuto? Dice che l’evento è la realizzazione delle Scritture e il compimento dell’attesa nella città di Davide, che l’evento consiste nella venuta del Messia che è - si precisa - il Salvatore. E’ importantissimo. Certo, lo si era detto, ma l’angelo rievoca le Scritture concentrando la sua lettura in modo fortissimo, singolare su questo elemento del Messia: è il Salvatore. Non è la prima volta che l’angelo fa così. “Lo chiamerai Gesù, perché egli salverà il suo popolo dai suoi peccati”. Il Messia è il Salvatore, è colui che ci salva. Certo colui che trionfa, certo colui che dà libertà, certo colui che sa, certo colui che vince, ma vince ciò che si pone come ostacolo alla nostra salvezza. Un termine che noi non potremo mai rimpicciolire, racchiudere in una nostra interpretazione parziale perché è la salvezza totale, la vita totale, è la gioia totale, è la salus, la sotiria, la salvezza. Salvatore!

Questo Messia, che secondo le Scritture è venuto e che è il Salvatore, è il Kyrios, è il Signore, Cristo Signore. E’ molto di più che Messia, molto di più che - come potrebbe anche intendersi in modo più limitato, come di persona alla quale Dio ha affidato una missione, certo importante, salvifica, e che Dio fa oggetto di un amore privilegiato - figlio di Dio, che è suscettibile anche di interpretazione limitante. E’ Signore, qui non c’è equivoco possibile. E’ il Kyrios - “disse il Signore al mio Signore” - è Signore. Quella parola tremenda che attribuisce a colui che è venuto nel tempo oggi, la qualifica dell’essere l’eterno e l’infinito, l’adorabile. Quella parola che solo nello Spirito si può pronunciare, perché solo nello Spirito Santo si può dire: “Gesù è il Signore”, come ci ricorda San Paolo nella I Lettera ai Corinti. Dunque è il Kyrios, il Signore. Poco sarebbe se fosse un uomo che ci salva da tutto anche, se ancora non fosse come ieri ancora riconsideravamo “Dio con noi”, con noi il Signore. E ancora che questo Messia che è venuto, che è il Salvatore, che adempie nella sua venuta tutte le Scritture e che è conforme a tutte le promesse in modo che nulla di ciò che Dio aveva fatto sperare sia manifestato vano, è “uomo”. E’ nato - ha detto la traduzione - è stato partorito. Il testo propriamente è proprio così, è stato partorito, “uomo” in tutta la concretezza della sua umanità, uomo che non è passato soltanto attraverso il seno di Maria in modo quasi da non attingerla, ma uomo che si è fatto carne nelle sue viscere e che è stato da lei realmente partorito, uomo in tutto simile a noi, come noi, fuorché nel peccato perché ha rivestito la nostra forma, la forma dello schiavo, uomo Cristo Gesù. Ecco l’evento. Che è tutta una professione di fede. C’è tutto in queste parole, c’è praticamente tutto il nostro credo cristologico enunciato da un angelo. Come è bello che quello che noi diciamo nel nostro Credo sia garantito da questa professione di fede angelica, da questo canto degli spiriti celesti e che al di là di quello che gli uomini pure santificati dalla grazia di Dio, assistiti dallo Spirito, hanno detto nei loro concili, nei loro decreti, nelle loro definizioni, ci sia prima ancora questo canto puro di angeli, dei quali la nostra fede è eco perfetta, semplice, trasparente, luminosa.

E ci dice anche quali sono le dimensioni di questo evento, che cosa questo evento provoca, che cosa fa. Ci dice tutto di nuovo, con pochissime parole. Prima di tutto “gloria a Dio”. E’ importante che sia gloria a Dio, ma è importante anche che sia prima di tutto gloria a Dio. Quanto la nostra teologia, quanto la nostra mentalità tenta di ridurre la portata dell’evento del Cristo alla sua dimensione antropologica, a ciò che ne viene a noi, a ciò che ne viene al mondo, a ciò che ne viene per la storia! E allora che succede? Ma prima di tutto è gloria di Dio. Dio ha fatto questo per lode della sua gloria. Non tanto perché la sua gloria sia da noi lodata, quanto piuttosto perché risalti, si manifesti, risplenda, si proclami da sé. La lode della sua gloria. Perché il suo nome sia annunciato, perché la sua bellezza trapeli, perché la sua luce si irradi. Gloria a Dio! La dimensione prima dell’evento del Cristo, dell’evento dell'incarnazione, dell’evento della salvezza è la gloria di Dio. Il primo risultato è che Dio ne è glorificato perché come appare buono, come appare santo, come appare sapiente, come appare potente, come appare infinito, come appare incomprensibile, come appare dolce il nostro Dio, il Cristo!

Gloria a Dio! E pace, pace - come pochi istanti fa ci è stato detto - quella pace oggettiva, la riconciliazione, la riunificazione del mondo, dell’umanità, della creazione disgregata dal peccato e ricondotta alla comunione con il suo creatore, sorgente incessante di vita e di gioia. Pace. L’oggettività della comunione e della riconciliazione. Pace a chi? Agli uomini, a tutti gli uomini che Dio ama. Ah - dice - c’è un’eccezione! Al contrario, al contrario! Gli uomini che Dio ama - non come è ovvio, come è noto da tanto tempo e come grazie a Dio è stato anche corretto nel testo “agli uomini di buona volontà” perché altrimenti io avrei paura tante volte di sentirmi escluso perché non garantisco di avere tutti i giorni tanta buona volontà, né garantisco meno che mai di averla nella continuità della mia vita. Povero me se la pace fosse data agli uomini di buona volontà! Che triste annuncio diventerebbe il Vangelo! Pace agli uomini di cui Dio si compiace, agli uomini che Dio ama. Quali uomini Dio ama? Nessuna delle creature Dio ha fatto se non per amore, non le avrebbe create se non le avesse amate. Noi rievocavamo questo testo anche insieme pochi giorni fa, ma ci fa capire questa formula mirabile e stupenda che più universale di così non potrebbe essere, il perché di questa pace, da dove deriva. E appare ancora di più universale: “dalla pura grazia”, perché Dio si è compiaciuto, perché a lui è piaciuto di fare così, secondo l’eudokia, secondo il compiacimento, secondo il beneplacito. Ecco donde deriva ogni bene. Non è una specie di concorso fra la nostra buona volontà e la buona volontà di Dio, un po’ condizionata dal nostro buon volere. E’ la pura effusione della “bona voluntas salvandi, beatificandi, glorificandi Dei, bona voluntas Dei”. C’è tutta la dottrina della grazia, c’è tutta la dottrina della salvezza e della redenzione qui dentro. Gioia per tutto il popolo. Dunque, il popolo è il popolo nuovo ormai, non è più soltanto l’Israele, perché è data la pace agli uomini che Dio ama, quindi è il momento in cui quell’amore privilegiato di Dio che in preparazione dell’adempimento pieno del disegno salvifico s’era posato su Israele come singolo, ora rompe i confini, dilata, trabocca a quanto è grande, a misura di quanto è grande l’amore di compiacimento di Dio per la sua creatura in Cristo. E tutto questo, vedete, è più che detto, manifestato in un’altra dimensione anche, che acquista l’evento in un altro effetto dell’evento nel canto degli angeli. Anche questo come è bello. Noi non lo diremmo mai, perché di nuovo rischiamo sempre un grande provincialismo teologico in un certo senso, in questo restringere tutto agli uomini, per giunta agli uomini del nostro tempo, per giunta. Il canto degli angeli! L’evento della venuta del Cristo ha dato gioia agli angeli, si fa festa in cielo, e il canto degli angeli risuona perché loro sono contenti. L’evento del Cristo dà pace alle cose che sono in terra e dà pace alle cose che sono in cielo, dà gioia agli uomini e dà gioia agli angeli, va molto al di là, non soltanto del nostro tempo, non soltanto della nostra Europa, non soltanto dell’uomo moderno, non soltanto delle piccole dimensioni del cuore dell’uomo, ma di tutta l’umanità e di tutto il cosmo visibile. E’ qualche cosa di transcosmico. Agli angeli! E’ il Signore dei mondi, il Signore. Non riguarda soltanto noi. Certo, propter nos homines et propter nostram salutem, ma la nostra salus letifica ed inonda di pace e di esultanza il mondo angelico. Ecco questo evento, di queste dimensioni, che comporta questo e che ha queste conseguenze deve essere annunciato. E’ annunciato. Di fatti gli angeli lo annunciano. C’era tanto da fare, c’era da adorare quel bimbo là e c’era da cantare gloria a Dio. No, non avrebbero potuto cantare Gloria a Dio ed essere contenti se non l’avessero annunciato, perché è venuto per essere conosciuto. E’ venuto per essere creduto e fa parte dell’adempimento stesso delle profezie non soltanto che il Messia venga, ma che nel suo nome venga predicata, annunciata, proclamata la conversione fino agli ultimi confini della terra. E la parola è venuta per essere dichiarata, perché soltanto mediante la fede di chi accoglie questa parola che la salvezza in realtà si compie, che il cuore è trasformato e che il mondo è rinnovato. Gli angeli quindi, immediatamente, questa cosa la annunciano. Non a caso, l’annunciano ai primi destinatari dell’annuncio: i poveri, i primi, persone insignificanti, illetterati senza rilevanza storica. Non è un caso. Non è perché fossero vicini soltanto, sapete. E’ perché erano poveri. Dio l’aveva detto che l’avrebbe annunciato ai poveri. Aveva detto che in quel tempo avrebbe lasciato sul suo Monte Sion soltanto un povero, un popolo mite, povero e piccolo. Ai poveri lo annuncia per primo: lui ci sta al gioco e dovremmo starci anche noi, perché questa è la scala obbligatoria dell’annuncio, questa è la gerarchia dei valori, questo è il passaggio che non si può saltare. Prima i poveri, prima. Sono loro che per primi - l’abbiamo visto ancora l’altro ieri, che sono stati proclamati beati, “Beati i poveri” - i primi, dunque, destinatari dell’annuncio che lo accolgono come lo si deve accogliere, come inevitabilmente lo si accoglie, se davvero lo si coglie nella sua portata con immenso stupore e con grande tremore. E’ un tremore che si trasforma in gioia ma è un tremore. E’ uno stupore che si trasforma in pace di esultanza, ma è stupore trepidante, altrimenti vuol dire che non si capisce nulla, se lo si considera normale, se non si avverte che quest’angelo si fa presente, irrompendo nella nostra vita e di colpo fa di noi e ci dice cose inaudite che occhio non ha visto, orecchio non ha udito, ne in mente d’uomo mai è salita. Vuol dire che non si capisce che cosa dice. Se il tremore non prende il nostro cuore, vuol dire che il nostro cuore è rimasto chiuso. Stupore! La verifica, andiamo a vedere – e corsero a vedere - la verifica personale che deve essere fatta, deve ciascuno di noi stupito e pacificato e riempito di gioia per l’annuncio inaudito che è stato portato, correre a vedere, a toccare con mano, a verificare. E’ così che compie il suo itinerario l’opera salvifica di Dio, è così che venuta nel mezzo della notte, nel silenzio di tutte le cose, come guerriero invincibile, la Parola di Dio compie la propria missione. E poi lo proclamano e lo raccontano a tutti, altrimenti la parola dentro di loro muore, la pace si trasforma di nuovo in turbamento, la luce si estingue, la gioia si spegne e dà luogo di nuovo alla tristezza. Dirlo, dire la parola, perché non si dimentichi, dire la parola perché comunicata anche in noi riviva nel momento dell’annuncio. Ridirla la parola perché, nel pronunciarla, una nuova luce della sua comprensione si accenda in noi ed una nuova opera della sua potenza, anche in noi, oltre che in coloro che l’ascoltano, si compia. E conservarla nel nostro cuore: le due cose non sono in contraddizione. Conservarla in attesa di vedere. Cosa vuol dire che Maria conservava queste cose? Che non le diceva a nessuno? Non credo. Certo sarà stata cauta nel dirle. Conservare, come sapete, nel cuore vuol dire custodirne il ricordo, attendendo il momento della verifica, il momento in cui si chiariranno totalmente. La Madonna fece così e venne il momento quando il suo Figlio fu innalzato sulla croce e quando, risorto, annunciò anche a lei la pace e quando, glorificato, anche su di lei mandò il suo Spirito. E anche noi dobbiamo custodirla questa parola che oggi di nuovo ci è stata annunciata, attendendo il momento in cui, tolto completamente il velo dai nostri occhi, lo vedremo lui, il Cristo Signore, che ora anche non vedendo amiamo e che ora in questo amore ci riempie di gioia ineffabile, incomprensibile. Custodiamola nel cuore e come sarà bello quando potremo dire: Signore era proprio vero allora quello che tu ci hai detto.


[Torna all'indice]